DELL'AQUILA (de Aquila), Ruggero
Il D. era figlio di Riccardo Dell'Aquila, conte di Avellino, e di sua moglie Magalda o Matilde, figlia, a quanto pare, di Rainaldo Avenel e di Adelicia, nipote di re Ruggero IL Dato che nel 1160-61 era ancora un adulescentulus,la sua data di nascita dovrebbe cadere intorno al 1145. Dopo la morte del padre (14 sett. 1152), ereditò la contea di Avellino; la morte degli altri discendenti di Adelicia (prima del 1160-61) lo rese, inoltre, unico erede dei possedimenti di sua nonna in Sicilia ad Adrano, Polizzi e Collesano.
Nel 1160-61, insieme con altri principi reali, tra cui Simone, figlio naturale, e Tancredi, nipote di Ruggero II, prese parte alla congiura capeggiata da Matteo Bonello contro Guglielmo I. Dopo la repressione dell'insurrezione, mal progettata e condotta con irresolutezza, il re lo perdonò, grazie all'intervento della nonna Adelicia, e in considerazione della sua giovane età. Non gli fu tolta neanche l'avita contea di Avellino; infatti, nel marzo del 1162 il baiulo cornitale permise una permuta nel nome del D. a Mercogliano. Il giovane conte, però, provocò ben presto di nuovo l'ira del re quando sposò, senza il necessario permesso della corte, Marotta, figlia del defunto conte di San Severino (Cilento). Per sottrarsi ad eventuali misure punitive da parte di Guglielmo 1, già nel 1162 si unì ai feudatari campani in rivolta che si erano raccolti intorno al conte Roberto di Loritello. Faceva parte di questo gruppo anche il cugino paterno del D., Riccardo Dell'Aquila, conte di Fondi. All'arrivo delle truppe reali, i rivoltosi, tra cui il D. e suo cognato, Guglielmo di San Severino, si rifugiarono presso la corte dell'imperatore Federico I Barbarossa. La moglie del D. e la suocera, Fenicia, caddero invece prigioniere durante la difesa di San Severino e furono condotte a Palermo. Sembra però che il D. non abbia perso neanche allora i suoi possedimenti, perché in un documento del luglio 1165 viene nominato come confinante di un fondo a Monteforte.
Più tardi, dopo la morte di Guglielmo I (1166, se non prima), la reggente Margherita richiamò dall'esilio il D. e altri baroni che avevano preso parte alla rivolta e li ristabilì nei loro antichi diritti. Secondo le aggiunte e gli aggiornamenti del Catalogus baronum dell'anno 1167, il D. doveva fornire, per i suoi feudi di Cavi Risorta, Riardo, Avellino, Mercogliano, Capriglia Sant'Angelo a Scala, ottantotto cavalieri e cento servientes,ilche era senza dubbio un grande contingente. Nell'agosto del 1167, attorniato da numerosi baroni nel castello di Avellino, sua residenza, il D. fece donazione di una proprietà fondiaria a Mercogliano al vicino monastero di Montevergine. Tuttavia, dopo il suo ritorno dall'esilio, il D. soggiornò raramente ad Avellino. In quegli anni si trattenne spesso alla corte reale di Palermo, dove sembra abbia esercitato una certa influenza sul giovane re Guglielmo II. Insieme con i conti di Gravina e di Monopoli e suo cognato, Guglielmo di San Severino, fu tra i più stretti confidenti del discusso cancelliere Stefano de Perche, che alla fine del 1167 accompagnò a Messina. Lì, insieme con cinque altri conti ed i tre giustizieri della Curia, fu tra coloro che condannarono, per l'illegittima occupazione di castelli reali, il conte Riccardo di Molise. Nell'agosto del 1168 il D. si trovava ancora in Sicilia, dove sottoscrisse a Collesano una donazione - tre gualchiere a Polizzi - fatta da sua nonna alla certosa calabrese di S. Stefano del Bosco. Quando ci fu un nuovo attentato alla vita del cancelliere, anche il D. fu assalito e ferito, a Palermo, in piena strada; solo l'intervento del re valse a salvargli la vita.
In seguito alla destituzione del cancelliere, all'inizio del 1169, anche il D. perse la sua influente posizione a corte e da allora in poi non è più ricordato tra le persone vicine al re. Sembra che negli anni seguenti soggiornasse in prevalenza nella sua contea di Avellino, come provano i documenti di donazione ivi emessi a favore del monastero di Montevergine (marzo 1174 e maggio 1177), o anche la lite con lo iudex di Mercogliano, Pagano, cui egli aveva confiscato nel 1183 una parte del suo patrimonio privato. Tuttavia, egli non aveva perso di vista i suoi possedimenti siciliani. Nel dicembre del 1177, infatti, donò all'ospedale di S. Giovanni in Gerusalemme una chiesa presso Adrano e un mulino presso Polizzi, che facevano parte dell'eredità della nonna materna. Non sembra invece che abbia conservato gli eccellenti rapporti che suo padre e suo nonno avevano stretto con Montecassino.
Il D. morì nell'autunno o nell'inverno del 1183. Quando, nel gennaio del 1184, fu emessa una prima decisione relativa alla lite con Pagano, il D. era già morto e, a quanto sembra, senza lasciare eredi. Della contea di Avellino, dopo il 1191, fu investito Ruggero di Castelvetere, signore di Taurasi, che si era distinto durante la campagna militare normanna contro l'impero bizantino. È senza fondamento, però, l'ipotesi secondo la quale sua moglie Perrona, che nel 1196 si qualificò come "olim comitissa Avellini", fosse figlia del Dell'Aquila.
Fonti e Bibl.: R. Pirro, Sicilia sacra, II,Panormi 1733, P. 934; B. Tromby, Storia criticocronologica diplomatica del patriarca S. Brunone e del suo Ordine cartusiano, IV,Napoli 1775, App. I, n. LXXV, p. XC; Petri Blesensis Epistolae,in Migne, Pat. Lat.,CCVII, ep. X, col. 29; U. Falcando, La "Historia" o "Liber de Regno Siciliae", a cura di G. B. Siragusa, Roma 1897, in Fonti per la storia d'Italia, XXII, pp. 51 s., 68 s., 78, 108, 134, 140, 156 s.; Catalogus baronum,a cura di E. Jamison, Roma, 1972, pp. 70 s., n. 392; Codice diplomatico verginiano, V, a cura di M. P. Tropeano, Montevergine 1981, n. 412, p. 42, n. 453, p. 188, n. 474, pp. 261-64; VI, ibid. 1982, n. 569, pp. 259-65; VII, ibid. 1983, n. 614, pp. 54-57; VIII, ibid. 1984, n. 733, p. 118; X, ibid. 1986, n. 997, pp. 318-320; L.T. White, Latin monasucism in Norman Sicily,Cambridge, Mass., 1938, pp. 154 s., 238 s.; F. Scandone, Storia di Avellino, II, 1, Napoli 1948, pp. 40-44, 49-60, 191, 203; E. Jamison, Admiral Eugenius of Sicily, his life and work,London 1957, p. 89 n. 2; Id., Judex Tarentinus,in Proceedings of the British Academy,LIII (1967), pp. 342 ss.; Catalogus baronum. Commentario, a cura di E. Cuozzo, Roma 1984, pp. 100-102, n. 392.