RUFFO DELLA SCALETTA, Rufo
– Nacque a Roma il 15 dicembre 1888, da Antonio e da Ludovica Borghese.
La nobile famiglia era originaria della Calabria, ma nel XVII secolo un suo antenato, Antonio Ruffo di Bagnara, acquistò il feudo di Scaletta, in Sicilia, dando origine a un nuovo ramo della famiglia. Dopo l’Unità d’Italia il nonno Vincenzo si trasferì a Roma. Di profondi sentimenti cattolici, fin da giovane studente Rufo fu attento ai movimenti di carattere sia letterario sia religioso e la sua villa romana divenne un cenacolo culturale di incontri e confronti con una ristretta cerchia di amici. Fondamentale per la sua formazione religiosa e intellettuale fu la frequentazione di padre Giovanni Genocchi nei primi anni del Novecento, ma non si avvicinò alle idee e alle istanze del movimento modernista. Un altro personaggio che influenzò la sua giovinezza fu Giovanni Cena, incontrato nel 1911 grazie ad amici comuni, portatore di un socialismo filantropico e umanitario. Iniziò a interessarsi di alcune problematiche del Mezzogiorno conoscendo illustri meridionalisti del tempo, come Leopoldo Franchetti, Gaetano Salvemini, Umberto Zanotti Bianco e le loro principali opere o prese di posizione nei confronti delle popolazioni meridionali. Con Zanotti Bianco fece un’esperienza per lui singolare: un viaggio di due settimane, nel maggio del 1912, nella provincia di Reggio Calabria per una inchiesta sulle condizioni di vita dei maestri elementari che insegnavano in quella provincia. Studiò legge all’Università di Roma e si laureò con una tesi su L’azione dello Stato nella colonizzazione interna, che pubblicò sulla Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliare nel 1912.
In questo studio, comparando la situazione e le politiche di altre realtà come l’Austria-Ungheria, la Germania, gli Stati Uniti, sottolineava il fatto che l’azione dello Stato nella colonizzazione interna doveva creare tutte quelle circostanze di ambiente tese a favorirla, facilitando i trasporti, incrementando i rimboschimenti per una migliore distribuzione delle piogge, offrendo la terra a prezzi convenienti per quegli emigranti che con i loro risparmi intendevano acquistarne una quota. Lo Stato doveva, in definitiva, assicurare tutti i mezzi necessari per una efficace e stabile immigrazione nelle terre da colonizzare, soprattutto nelle province meridionali.
Il 28 novembre 1914 sposò Gabriella Bacci, figlia del conte Annibale e della marchesa Alfonsina Rusconi. Da questo matrimonio nacquero quattro figli: Sigerio (24 ottobre 1915), che fu 12° principe della Scaletta; Ludovica (17 febbraio 1917), ‘patrizia di Messina’; Giovanni (12 novembre 1918), ‘patrizio napoletano e nobile patrizio di Messina’, disperso nella campagna di Russia e morto presumibilmente nel dicembre del 1942, e infine Benedetto (7 marzo 1922), scomparso all’età di 16 anni il 30 agosto 1938.
Durante la prima guerra mondiale si arruolò come volontario. Aderì nel 1919 al PPI (Partito Popolare Italiano) fondato nel gennaio di quell’anno da don Luigi Sturzo. Nelle elezioni politiche del novembre 1919 decise, in un primo momento, di presentarsi come candidato in Sicilia, ma poi si ritirò per sue ragioni personali dalla competizione elettorale. Continuò tuttavia il suo impegno nel PPI e il 30 novembre 1921 fu annoverato dal Consiglio nazionale tra i membri della direzione. Nell’ambito della direzione del Partito seguì in modo particolare la politica estera e fu nominato esperto alla conferenza internazionale economica di Genova dell’aprile 1922, in cui si affrontò la questione della ricostruzione economica dell’Europa dopo la guerra.
Ebbe modo di illustrare la sua visione dei complessi problemi del primo dopoguerra durante il IV Congresso nazionale del Partito, tenutosi a Torino dal 12 al 14 aprile 1923.
Già in un articolo giornalistico del 1921 aveva manifestato le sue forti riserve sul trattato di pace di Versailles, su quella impalcatura di «pace vendicativa» che in quella sede era stata costruita, soprattutto a danno della Germania, con il pesante sistema delle riparazioni, e che poteva essere preludio di nuove e più pericolose instabilità internazionali.
Nella relazione dell’aprile del 1923 presentò la situazione internazionale con lucida visione, mettendo l’accento sul fatto che stavano emergendo due potenti forze economiche rappresentate dagli Stati Uniti e dal Giappone, mentre tardava a manifestarsi un nuovo e più stabile assetto mondiale, denunciando nuovamente la pericolosità dei trattati di pace unilaterali sottoscritti a Versailles, la debolezza strutturale della Società delle Nazioni, la corsa agli armamenti che tendeva sempre più a indebolirla, la politica protezionista dei vari Stati, il nodo ancora irrisolto e difficile delle riparazioni che avevano inasprito il contrasto e l’odio tra Germania e Francia. Di converso, i principi della morale cristiana potevano e dovevano giocare un ruolo positivo nei rapporti internazionali e il PPI aveva il dovere di lavorare perché le relazioni fra i popoli fossero ispirate agli ideali cristiani, seguendo soprattutto gli insegnamenti di Benedetto XV e promuovendo contatti con partiti affini nei vari Stati europei, che orientavano la loro azione ai principi sociali del cristianesimo. Auspicava quindi una maggiore collaborazione tra Italia, Inghilterra e Stati Uniti da una parte e tra Italia e Stati danubiani dall’altra. Era assoluto interesse del governo italiano aiutare i Paesi dell’ex Impero austro-ungarico a risollevarsi economicamente e stringere con essi solidali contatti di amicizia.
La sua approfondita relazione si allargò anche verso altri scacchieri geopolitici come il Mediterraneo, con i conseguenti rapporti dell’Italia con la Turchia e il mondo arabo. A conclusione del IV congresso fu eletto tra i membri del Consiglio nazionale fino alla celebrazione del successivo.
Anche nel V congresso, l’ultimo, celebrato a Roma dal 28 al 30 giugno 1925, Ruffo tenne la relazione incentrata sulla politica estera. In quella sede riprese i principi espressi a Torino muovendo una critica alla politica estera italiana che, a suo avviso, fino a quel momento non aveva favorito la costruzione di una vera pace in Europa. Due forze si contrapponevano nel teatro europeo: quelli che volevano che tutte le divergenze degli Stati passassero dalla Società delle Nazioni e si andasse a una vera cooperazione internazionale liberalizzando anche il commercio da ogni vincolo protezionistico, e quelli che invece intendevano far prevalere il proprio egoismo e imporre il diritto della forza nelle varie questioni ancora da risolvere. L’Italia aveva bisogno di promuovere una buona politica con tutti gli Stati per favorire l’economia, il commercio e la stessa emigrazione, mentre la politica fascista andava nella direzione opposta e verso un’unica meta: la costituzione di un Impero. Secondo Ruffo l’Italia si condannava così a un pericoloso isolamento. Il suo discorso fu una chiara condanna della politica estera fascista condotta sino ad allora, lontana dallo spirito della Società delle Nazioni, pur riconoscendo che vi erano stati alcuni risultati positivi come il trattato di amicizia italo-iugoslavo, l’accordo per Fiume, il patto di collaborazione con la Cecoslovacchia, la ripresa delle relazioni con la Russia. Ma pesava, di contro, l’assenza di una notevole azione politica italiana nei consessi internazionali, l’atteggiamento ostile nei confronti della Società delle Nazioni e verso alcuni atti internazionali che avrebbero favorito una pace duratura.
Nel 1923 fu tra i firmatari dell’atto costitutivo della Società editrice libraria italiana (SELI) e anche della Società italiana tipografica editrice che stampava Il Popolo, quotidiano del Partito. L’anno dopo fu eletto presidente della sezione romana del PPI contribuendo generosamente a tenerla in piedi anche da un punto di vista finanziario. Si candidò alle elezioni politiche del 6 aprile 1924, ma senza successo, anche per le crescenti violenze fasciste. La sua villa in quegli anni divenne punto di riferimento per incontri riservati della dirigenza del Partito.
Gli scriveva Sturzo da Parigi il 19 luglio 1926: «Ti raccomando assai la SELI. Desidero che abbia una sistemazione, la più economica possibile, purché viva. Ci tengo assai. Spero che il Bollettino riprenda le sue pubblicazioni al più presto» (De Rosa, 1960, p. 41).
Sciolto il Partito, nel novembre del 1926, Ruffo si ritirò nel privato e seguì altre attività più neutrali nell’ambito del comitato permanente dell’Istituto internazionale di agricoltura e come ministro plenipotenziario, dal 1932, del Sovrano Ordine di Malta presso la S. Sede. Mantenne l’attività di conferenziere e viaggiò molto all’estero, interessandosi in particolare dei problemi dell’emigrazione e del lavoro. Negli anni Trenta tornò il suo interesse verso i problemi del Mezzogiorno e la passione per le ricerche archeologiche.
Partecipò alla seconda guerra mondiale come ufficiale di aviazione sui fronti dell’Albania e dell’Africa settentrionale. Nel 1946 volle anche laurearsi in filosofia presso l’Università di Roma. All’indomani della guerra si iscrisse alla Democrazia cristiana (DC) e fu tra i probiviri del Partito dal 1948 al 1953. Il suo mai sopito interesse verso la politica estera si concretizzò in alcune conferenze tra il 1948 e il 1949. Come per il primo dopoguerra, anche nel secondo il nodo restava la Germania: dalla pace con la Germania dipendevano il processo di unione europea e l’abbassamento o l’inasprimento del conflitto ideologico tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Bisognava rafforzare quella parte della Germania sotto il controllo degli Alleati occidentali concedendo ampi poteri politici oltre che amministrativi. In altra occasione, nella commissione di politica estera della DC, nel maggio del 1949, parlò della politica estera degli Stati Uniti e di una eventuale crisi economica nella nazione provocata da sovrapproduzione nel campo agricolo e industriale. Morì a Roma il 23 febbraio 1959.
Opere. L’azione dello Stato nella colonizzazione interna, in Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie, 1912, vol. 58, n. 231, pp. 315-356 (ora in De Rosa, 1961, pp. 53-89); I canti della prima batteria, Roma 1918; Damasco, Roma 1921; Il latifondo siciliano. Relazione al Congresso degli agricoltori siciliani, 16 gennaio 1921, Messina 1921; Pace o guerra?, in L’Azione popolare, 20 aprile 1921 (ora in De Rosa, 1961, pp. 90-94); Diversità di obbiettivi nella politica per le riparazioni, in Il Popolo, 21-22 agosto 1923 (ora in De Rosa, 1961, pp. 135-140); Indirizzi di politica estera. Relazione al IV Congresso nazionale del Partito popolare italiano, in Il Popolo nuovo, 8 aprile 1923 (ora in De Rosa, 1961, pp. 95-134 e in Gli atti dei congressi..., 1969, pp. 481-507); I nuovi assetti della politica centro europea e l’atteggiamento dell’Italia, in Il Popolo, 2-3 ottobre 1923 (ora in De Rosa, 1961, pp. 141-145); I rapporti tra gli Stati e l’antitesi tra imperialismo e concezione cristiana. Relazione al V Congresso del Partito popolare italiano (28-30 giugno 1925), in De Rosa, 1961, pp. 146-157 e in Gli atti dei congressi..., 1969, pp. 617-625; Il problema della pace con la Germania (giugno 1948), in De Rosa, 1961, pp. 158-165; La politica estera degli Stati Uniti in relazione alla prospettiva di una crisi economica di sovrapproduzione (10 maggio 1949), ibid., pp. 165-168; Innocenzo III e la stabilità monetaria, in Il Diritto ecclesiastico, LXIV (1953), n. 2-3, pp. 352-358.
Fonti e Bibl.: L’archivio Ruffo è custodito dagli eredi a Roma; tracce della sua attività nel Partito popolare italiano si trovano nell’Archivio storico dell’Istituto Luigi Sturzo a Roma.
F. Mazziotta, Messina e la casa Ruffo di Scaletta, Messina 1921; G. Migliorini, R. R. Gentiluomo cristiano, in L’Italia, 25 febbraio 1959; G. De Rosa, Vita e opere del Principe R. R., Napoli 1960; Id., R. R. e Luigi Sturzo. Con lettere e documenti inediti tratti dall’archivio Ruffo della Scaletta, Roma 1961; Gli atti dei congressi del Partito popolare italiano, a cura di F. Malgeri, Brescia 1969, passim; A. Sindoni, Ruffo della Scaletta, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, 1860-1980, a cura di F. Traniello - G. Campanini, II, I protagonisti, Casale Monferrato 1982, pp. 559-561.