ROSONE (o rosa)
Questo termine appartiene specialmente alla nomenclatura relativa all'architettura religiosa e designa quel tipo di finestre circolari aperte sulle fronti delle chiese in asse con le navate principali o laterali, o in corrispondenza dei bracci traversi o di cappelle. Finestre rotonde, a tutto centro, incorniciate da semplici cornici in marmo o in laterizio appariscono nelle primitive chiese del sec. IV-V e nelle basiliche latine e sono denominate "oculi": la navata laterale della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo a Roma, che ha le sue origini nel tempo di Pammachio, mostra tutta una serie di siffatte finestre circolari; occhialoni simili illuminavano le cappelle radiali di S. Stefano Rotondo. Antiche incisioni ci mostrano come questi oculi si aprissero prima delle trasformazioni che ne hanno mutato o celato l'aspetto originario nelle facciate delle primitive chiese romane (quali S. Croce in Gemusalemme, S. Maria Maggiore, S. Giorgio in Velabro) in corrispondenza degli assi delle navate. L' uso, tuttavia, di questo motivo non sembra costante e generale fino al sec. XII: esso si sviluppò sistematicamente con l'architettura romanica e specialmente con la gotica. Prima di questa fase, in edifici tra il sec. IX e il XII, se ne hanno esempî eccezionali per quanto decorativamente interessanti, come quelli riccamente traforati con un motivo di pavoni rampanti a lato di un tralcio, che si vedono nella facciata dell'abbazia di Pomposa.
Nell'architettura religiosa romana medievale si ha uno sviluppo di rosoni nell'interpretazione che ne danno i marmorarî romani, i Cosmati, a Roma, nel Lazio, nell'Umbria. Una delle più antiche finestre a rosa è quella di S. Maria del Vescovado ad Assisi e quella della chiesa di Lugnano in Teverina (sec. XII). Grandi rosoni si hanno a S. Pietro e a S. Maria Maggiore di Tuscania: questo specialmente interessante per le sue notevoli dimensioni eguaglianti quasi la larghezza della navata, e per la sua intelaiatura interna formata da una doppia raggiera di colonnine disposte radialmente e concentricamente. In genere, invece, i trafori che suddividono il vano rotondo per formare un'intelaiatura di chiusura, sono, in Italia, costituiti da colonnine che si dipartono da un nucleo centrale, secondo i raggi del cerchio, e raccordate tra loro da archetti: sguinci scorniciati a modinature rientranti, secondo le profilature proprie agli sguinci di porte e finestre, riquadrature e campi a musaico o a intarsio, colonnine a tortiglione, archetti polilobati, costituiscono le varianti decorative di uno schema costante.
Nell'architettura romanica il rosone diventa l'elemento tipico delle facciate: più timidamente nelle architetture in laterizio lombarde (S. Michele, S. Pietro in Ciel d'oro a Pavia); di maggior diametro nelle architetture in pietra (rosoni delle facciate di S. Zeno a Verona, del Duomo di Parma, di Modena, di Piacenza), più ricchi e con funzione architettonica predominante nelle fronti delle chiese pugliesi: quivi gl'intrecci dei trafori sono più complicati, risentendo dell'influenza bizantina, e sovente sono incorniciati da archivolti sporgenti sostenuti da colonnine pensili, come, ad es., nel Duomo di Bitonto, di Trani, di Troia, di Ruvo.
Il progresso costruttivo dell'organismo della chiesa gotica, consentendo il più ampio sviluppo degli sfinestrati aperti tra i piloni resistenti della costruzione, nei quali si concentrano i carichi e le spinte delle coperture a vòlta, offre modo agli architetti gotici di disporre nelle pareti aventi sola funzione di chiusura i grandi, complessi rosoni delle facciate. Questi si dispongono in corrispondenza delle arcate a sesto acuto formanti le direttrici delle crociere interne e proiettate sulle fronti dell'edificio e raccordano in modo vario il proprio sesto a tutto centro con il sesto acuto di queste arcate, o iscrivendosi entro un quadrato inserito nell'arcata a ogiva, o tangenzialmente a questa (Duomo di Poitiers, di Carcassonne, di Notre-Dame di Parigi, di Reims, di Amiens, di Orléans, ecc.).
Questi rosoni hanno diametri variabili tra i 9 e i 13 m.: complicato quindi, tecnicamente e artisticamente, il problema di costruire le intelaiature in pietra necessarie alla suddivisione di così vasto spazio e al sostegno delle invetriate di chiusura. Il Viollet-le Duc ne descrive qualcuna e ci mostra come l'abilità dei costruttori gotici abbia saputo risolvere questo problema con un impiego relativamente minimo di pietra, come, ad esempio, nel rosone occidentale di Notre-Dame.
L'architettura italiana di stile gotico procede invece dalle esperienze del periodo precedente e quindi non fa che sviluppare i motivi dei costruttori romanici con la variante di elementi stilistici gotici (colonnine tortili, archi di raccordo a sesto acuto, forme polilobate, intrecci): si vedano come esempî massimi tecnicamente e artisticamente complessi i rosoni delle facciate del Duomo di Orvieto e di Siena.
Nel Quattrocento il rosone si riproduce in quelle architetture che risentono ancora del gotico: così a Venezia nelle fronti dei Frari, dei Ss. Giovanni e Paolo, di S. Maria dell'Orto, e in Lombardia nelle architetture religiose dei Solari (S. Maria delle Grazie, S. Pietro in Gessate, Incoronata a Lodi) dai grandi sguinci intagliati nella terracotta e nel laterizio.
Nelle architetture quattrocentesche del marmo, l'Amadeo compie una raffinata trasformazione del rosone tradizionale, in quello che adorna la fronte della cappella Colleoni.
Nelle architetture toscane, Francesco di Giorgio impiega ancora il rosone nella fronte delle sue chiese (Madonna del Calcinaio a Cortona, Madonna delle Nevi a Siena). Il rosone - nell'arte brunelleschiana - ha funzione di finestra (Palazzo di Parte Guelfa; oculi nel tiburio della cappella de' Pazzi); ma Giuliano da Maiano segna nell'ossatura della facciata incompiuta del Duomo di Faenza tre grandi rosoni.
Motivi di festoni (come nel rosone di S. Agostino a Montepulciano, di Michelozzo), membrature di trabeazioni ritorte, colonnine a candelabro, compongono l'aspetto decorativo di questo partito architettonico che non ha seguito nei successivi sviluppi dell'architettura.
Tra gli elementi decorativi in uso nell'architettura ve n'è uno, la rosa o il rosone, che risulta dalla composizione simmetrica intorno a un centro o a un sistema di assi radiali, di elementi geometrici derivati dalla flora variamente stilizzati. Assumono carattere geometrico nelle decorazioni dell'oriente antico e dell'Egitto e poi nel Medioevo: hanno invece carattere naturalistico, floreale, nell'architettura greca e specialmente nell'architettura del Rinascimento. Nella composizione decorativa quegli elementi costituiscono punti fermi e centri da cui si svolgono partiti decorativi (fregi a fasce, collarini, capitelli) e allora si dicono rose o rosette: oppure costituiscono un centro di chiaroscuro entro spazî simmetrici, quadri, ottagoni, tondi risultanti da diverse ragioni architettoniche di riquadrature, come nei soffitti e nelle vòlte cassettonate e allora si dicono rosoni. Negli intradossi degli archi romani, nei cassettonati delle vòlte a botte degli archi onorarî, delle sale termali e basilicali classiche, negli spazî interposti tra mensola e mensola o tra modiglione e modiglione nelle trabeazioni, sempre il rosone è disposto a formare chiaroscuro, ad avvivare la parte decorativa. I modi classici sono ripresi specialmente nell'architettura quattrocentesca toscana e lombardesca, e i rosoni offrono disegni e invenzioni originali. Tra questi citiamo come esempî raffinatissimi il gruppo dei rosoni che figurano nelle vòlte e negl'intradossi degli archi e delle vòlte della cappella de' Pazzi del Brunelleschi, rarissimi e preziosi per invenzione ed esecuzione. Ma se ne hanno ovunque, negli altari come nelle riquadrature di battenti di porte, di portali, come nei soffitti in legno a cassettone (soffitto di S. Maria Maggiore a Roma; delle sale del quartiere di Eleonora, dell'Udienza e degli Otto in Palazzo Vecchio a Firenze; delle sale Borgia, di Pinturicchio al Vaticano; della scuola di S. Marco a Venezia). (V. tavv. XXXVII e XXXVIII).
V. inoltre cassettone, tavole XCVII-XCIX; fiorone, tavole LXXIX, LXXX.