romanizzazione
Viene così indicato tradizionalmente il processo di assimilazione e integrazione delle popolazioni di volta in volta assoggettate dai romani. Come molte categorie storiografiche, il concetto di r. è una costruzione intellettuale che non corrisponde a un’entità evidente di per sé ed è stato pertanto sottoposto a continue ridefinizioni, spesso conseguenza di dibattiti ideologici di più ampia portata, che sono giunte non di rado sino al punto di metterne in discussione la stessa legittimità epistemologica. Nella sua accezione originaria, sviluppata tra la fine del 19° e gli inizi del 20° sec. da autorevoli storici come T. Mommsen, la r. era un processo centralizzato di civilizzazione di popolazioni ancora barbare, successivo alla conquista militare, conseguito grazie a un’azione integrata che prevedeva la costruzione di opere pubbliche, l’introduzione di un sistema amministrativo e legale più efficace, l’imposizione di uno stile di vita diverso e più raffinato. Anche in questa accezione, tuttavia, la r. – al di là del suo impiego a fini propagandistici presso i regimi totalitari (come specialmente il fascismo italiano) – è subito apparsa come un fenomeno complesso e disomogeneo, dagli esiti e tempi diversi, a seconda delle regioni conquistate: nei territori occidentali o in alcune zone dell’Africa del Nord, dove tradizionalmente erano insediate popolazioni che si erano dotate di assetti statuali meno rigidi, la penetrazione romana ebbe, almeno esteriormente, forme più eclatanti rispetto alle regioni orientali, altamente ellenizzate e fortemente urbanizzate già molti secoli prima della conquista romana. Le prime obiezioni all’adozione di questa categoria, incentrate soprattutto su una valorizzazione degli elementi di resistenza alla r. riscontrabili praticamente in ogni provincia dell’impero, cominciano ad affiorare dagli anni Trenta del 20° sec., ma è solo con gli anni Settanta che si afferma, sulla scia di una storiografia postcoloniale pervasa da un forte spirito anti-imperialista, un rifiuto radicale del concetto. In questa prospettiva, si è preferito insistere, più che sui segni esteriori della presenza romana al di fuori dell’Italia, sulle modalità di sopravvivenza e riadattamento degli elementi specifici di ogni cultura non romana all’interno dell’impero e sui diversi livelli di opposizione al processo di assimilazione imposto dai conquistatori. Nell’ultimo decennio, alla negazione radicale della r. si è preferito opporre un modello storiografico più articolato. Rigettata definitivamente l’idea di una r. intesa come mera «civilizzazione», per spiegare le dinamiche dei rapporti tra conquistati e conquistatori si è posto l’accento sulla reciprocità dei fenomeni di penetrazione culturale avvenuti nelle province, sia pur entro una dimensione non paritaria, ma del tutto sbilanciata dalla parte di Roma (anche soltanto in quanto potenza militare vincitrice, capace di eliminare con la forza componenti essenziali delle culture dominate, se troppo ostili). La r. è stata intesa così come lo studio delle varie fasi di quei processi di trasferimento di cultura, bilaterali e multidirezionali, avvenuti in tutte le zone periferiche del mondo romano, e in questa accezione si rivela uno strumento concettuale ancora attuale.