ROGADEO
– La casata è attestata nella città di Ravello (Salerno) sin dagli inizi dell’XI secolo.
Nel 1018 alcuni suoi esponenti fondarono infatti, insieme ad altre famiglie autoctone, la chiesa di S. Giovanni Battista, splendido esempio di architettura arabo-bizantina, e nel 1044 a Melfi il monastero di S. Michele Arcangelo de Vultu (che svolse anche la funzione di luogo di sosta per i mercanti amalfitani che si recavano in Puglia).
In quei decenni sono attestati diversi rami dei Rogadeo che vantavano possedimenti fondiari nelle località collinari interne del territorio di Ravello: due di essi ebbero come eponimi rispettivamente i fratelli Giovanni e Mauro, figli di Leone, e i fratelli Leone e Orso, figli di Mauro. Un altro ramo del casato assunse il cognome Firmica per distinguersi dai numerosi consanguinei.
L’ascesa dei Rogadeo si inserisce nella dinamica sociale in atto in quest’area nell’XI secolo: di essa costituisce una spia significativa il frequente uso nelle fonti del titolo di dominus, attribuito a membri di nuove famiglie ascese socialmente grazie alle fortune economiche conseguite mediante i commerci. Una classe di domini si formò pure a Ravello: era appunto il nucleo fondamentale di una nuova aristocrazia di carattere mercantile. Ciò andava di pari passo con la svolta in senso urbano di Ravello e con la nascita del vescovado della civitas Ravellensis, riconosciuto nel 1086 come sede episcopale completamente autonoma dalla metropolia di Amalfi. Fu in particolare tra l’ultimo quarto dell’XI secolo e la prima parte del successivo che le famiglie di mercanti e di piccoli proprietari ravellesi passarono dalla classe dei mediocres a quella dei domini; essi avevano capitalizzato notevoli risorse economiche, in parte investite nell’acquisto di proprietà fondiarie nell’ambito del ducato amalfitano. E per emanciparsi dall’antico dominio della vecchia nobiltà amalfitana, si appoggiarono ai dinasti normanni.
Nel 1068 i Rogadeo non erano ancora domini, ma erano, comunque, i più ricchi mercanti della città. Ebbero però questo titolo Leone e Maurone, rispettivamente avo e padre di Costantino, secondo vescovo della diocesi ravellese (che resse dal 1094 al 1150) e artefice della definitiva affermazione della famiglia. Maurone alla fine della sua vita, alla stregua della nobiltà mercantile amalfitana, si fece monaco nel cenobio benedettino ravellese di S. Trifone della sua città. Nel suo lungo episcopato, Costantino prese diverse iniziative di rilievo. Fece realizzare l’ambone del Vangelo per la cattedrale (1103), che mostra in mosaico la scena dell’episodio di Giona e della pistrice, con il fine di collegare il racconto biblico alla morte e resurrezione di Cristo; e, secondo la tradizione, fondò verso il 1130 il monastero benedettino femminile della Ss. Trinità a Ravello.
Il Liber Pontificalis Ecclesiae Amalfitanae afferma che egli sarebbe stato eletto da Amalfitani e Atranesi, nel 1128, arcivescovo di Amalfi e che il pontefice, avverso ai Normanni, non avrebbe voluto confermare l’elezione, negandogli il pallio.
Il testamento del 1170 di suo nipote Orso costituisce una prova molto convincente della potenza economica raggiunta dalla famiglia, non solo in ambito locale, al tempo della dominazione normanna. Egli consegnò infatti nelle mani dei figli Leone e Giovanni la rendita di 1000 tarì d’oro amalfitani derivanti dalle sue proprietà pugliesi e sostenne molti enti ecclesiastici e monastici di Ravello, nonché l’ospedale della città. Fu inoltre il primo ravellese attestato con residenza alquanto stabile a Trani. I Rogadeo risiedevano a Ravello in un grosso complesso abitativo (fundacus domorum) posto presso la platea S. Adiutorii. Lì avevano numerose botteghe, dove vendevano prodotti del loro artigianato tessile e altri di provenienza orientale. In quei decenni il casato risulta piuttosto ricco in capitali liquidi: così Costantino, figlio di Giacomo, e Sergio, figlio di Leone, sottoscrissero nel 1195 un prestito in argento a favore delle chiese di Ravello per compensare il pagamento delle imposte richieste da Enrico VI come intervento punitivo nei confronti dei ravellesi che avevano sostenuto Tancredi di Lecce.
Per i decenni successivi la documentazione è meno abbondante ed è necessario arrivare all’età sveva per incontrare nel 1244 un Leone Rogadeo che si fregiava del titolo di patrizio e che manteneva importanti relazioni di carattere non solo economico, ma anche politico con la corte bizantina, operando nei porti pugliesi. Tra i nobili di Ravello che collaborarono nell’amministrazione del regno, compare qualche tempo dopo un Giacomo Rogadeo che nel 1261 risulta essere il regio secreto portolano e protontino. Intanto dal 1220 al 1229 un altro Leone Rogadeo era stato vescovo di Ravello, mentre ancora un Leone era stato rettore della chiesa di S. Giovanni del Toro.
Sin dall’anno 1204, inoltre, un ramo della stirpe si era trasferito a Bitonto per interessi mercantili nella persona di Giacomo; quarant’anni più tardi si era insediato a Trani, per le stesse ragioni, Giovanni Rogadeo. In quelle due città pugliesi i loro discendenti costruirono imponenti palazzi nobiliari, e alcuni esponenti dei Rogadeo di Bitonto e di Trani occuparono posti di rilievo nell’amministrazione regnicola. Il predetto Giacomo di Bitonto divenne nel 1270 vicesecreto d’Abruzzo e fu sepolto nella chiesa dei francescani conventuali di Bitonto. Suo nipote Giacomo fu ciambellano regio verso il 1346, mentre un altro Giacomo di Bitonto era stato giustiziere di Bari nel 1281. Il ceppo di Trani era rappresentato da Ruggero, che era cabelloto della tintoria della città pugliese nel 1343, e dai suoi eredi Giovanni e Soffridello Rogadeo, figli del giudice Pietro. Furono milites pugliesi del casato Leonardo, Giacomo e Pietro nel 1347, Nicola e Stefano nel 1383. In età angioina viene attestato a Ravello un Giacomo, che nel 1283 era proprietario terriero.
Nei secoli successivi, la decadenza del ramo ravellese si fece evidente e nel Quattrocento questa linea dei Rogadeo appariva in estinzione: le fonti ricordano soltanto il miles Nicola nel 1411. Intanto Nicolantonio era signore della terra di Carbonara in provincia di Bari. I discendenti del ramo di Bitonto risultano attestati fino al XX secolo con Franco Ferdinando; essi erano baroni di Calvanico e Sergio (Torrequadra) e patrizi di Ravello.
L’impresa araldica più antica dei Rogadeo era rappresentata, nel palazzo di Bitonto e sul sarcofago di Marcantonio (morto nel 1548) nella chiesa di S. Anna, da un frate incappucciato di rosso inginocchiato davanti a un sole anch’esso rosso, il tutto in campo azzurro. Si tratta ovviamente di una figura parlante, in quanto il frate orante richiama il cognome Rogadeum (‘roga Deum!’) e il sole è simbolo di Cristo. In qualche altra versione al posto del frate vi è un putto al naturale. Un altro stemma dei Rogadeo presenta invece del sole una croce patente o una croce latina d’oro, circondata da tre stelle dello stesso nel cantone destro dello scudo. I Rogadeo pugliesi usavano un troncato: nel primo il predetto antico emblema, nel secondo un fasciato d’oro e d’azzurro; inoltre lo scudo era bordato scaccato d’argento e di rosso.
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