RENIER, Rodolfo
RENIER, Rodolfo. – Nacque a Treviso l’11 agosto 1857 da Luigi, nobiluomo, e da Fanny Venturi.
Il padre era magistrato e cambiò spesso sede per la sua professione. Il giovane Rodolfo lo seguì nei trasferimenti: svolse a Camerino i primi quattro anni di ginnasio, che terminò poi a Urbino presso i padri scolopi, dove ebbe fra i suoi insegnanti Francesco Donati, il «Cecco frate» amico di Giosue Carducci, e fu compagno del poco più anziano Giovanni Pascoli. Concluse il liceo ad Ancona, città legata ai suoi esordi di critico militante. Si iscrisse poi alla facoltà di lettere e filosofia di Bologna, nell’anno accademico 1875-76, dove seguì le lezioni di Carducci e del filosofo Pietro Siciliani, passando tuttavia l’anno seguente all’Università di Torino dove fu tra i primi discepoli di Arturo Graf, da poco chiamato alla cattedra di storia comparata delle lingue delle letterature neolatine.
Laureatosi in filosofia nel 1879, l’anno successivo si trasferì a Firenze, alla scuola di Adolfo Bartoli, come perfezionando, e vi conseguì il diploma di lettere e storia presso l’Istituto di studi superiori.
Ad ambedue i suoi maestri dedicò un commosso profilo: a Graf, la necrologia Cenni su Arturo Graf uomo, in Nuova Antologia, 16 giugno 1913, pp. 601-607 e la commemorazione Arturo Graf, ibid., 1° dicembre 1913, pp. 473-493; a Bartoli, nel volume collettaneo Dante e la Lunigiana nel sesto centenario della venuta del poeta in Valdimagra (1306-1906), Milano 1909, pp. 451-476.
Dopo avere ottenuto, nel dicembre del 1882, la libera docenza in storia comparata delle letterature neolatine, insegnò nell’Università di Torino sino alla morte, dapprima come incaricato (dal 28 febbraio 1883), poi come straordinario (dal 1° novembre 1885) e infine come ordinario (dal 1° novembre 1895).
Nel 1883 fondò a Torino, insieme con Graf e con l’amico Francesco Novati, il Giornale storico della letteratura italiana, rivista di chiaro indirizzo erudito, che in origine doveva rappresentare sia la scuola di D’Ancona e di Bartoli, sia quella di Carducci. Ben presto diventò, invece, l’organo della scuola storica, torinese e pisana, a causa delle aspre reazioni di Carducci alla rapidissima carriera di Renier e Novati, che vennero subito promossi all’insegnamento universitario.
Nel noto programma, datato novembre 1882 e tirato in dodicimila copie a parte, che fu probabilmente opera di Graf, ma firmato, oltre che da Renier e Novati, anche dai carducciani Salomone Morpurgo e Albino Zenatti, dissociatisi poco dopo dall’impresa, erano enunciati con lucidità i criteri cui si sarebbe ispirato il nuovo periodico: «La nuova storia della letteratura italiana bisogna che poggi essenzialmente sullo studio diretto dei monumenti e che rifugga da ogni costruzione sistematica» (v. Giornale storico della letteratura italiana, I (1883), p. 2).
Renier esordì giovanissimo nelle polemiche letterarie: i suoi primi lavori uscirono in varie sedi, fra cui la Rivista europea fondata a Firenze nel 1869 da Angelo De Gubernatis.
Grazie a una probabile commendatizia di Graf, vi pubblicò nel 1878 due saggi: Il realismo nella letteratura italiana e Ariosto e Cervantes. Il secondo, come si ricava dalla testimonianza di Vittorio Cian (cfr. Arturo Graf maestro, in Nuova Antologia, 16 giugno 1913, pp. 608-616, in partic. p. 613), è la rielaborazione di un lavoro seminariale. Prove acerbe, che tuttavia rivelano già alcune caratteristiche dell’attività critica più matura di Renier: da un lato, l’attenzione per i temi alla moda come il realismo, di grande attualità negli anni Settanta, per il quale basti ricordare la recensione desanctisiana, Il principio del realismo, in Nuova Antologia, gennaio 1876, pp. 28-40; dall’altro, l’approccio comparatistico alla letteratura, anche se in modi spesso farraginosi.
Dal 1880, quando Renier entrò a far parte della nuova direzione della rivista Preludio, nata l’anno prima a Bologna nella cerchia carducciana ma trasferitasi ad Ancona (gli altri condirettori erano l’editore Gustavo Antonio Morelli e Arturo Vecchini, futuro celebre avvocato e deputato, entrambi anconitani), la sua attività diventò frenetica: la sua bibliografia annovera ben settanta articoli, fra il 1880 e il 1884, sugli argomenti più disparati.
Anche se il giovane studioso diede il meglio di sé come critico militante, recensendo diverse opere, dagli Studi sulla letteratura contemporanea di Luigi Capuana (ibid., IV (1880), n. 6) ai Malavoglia, ibid., V (1881), n. 10), numerosi sono gli interventi storico-filologici, che tuttavia mettono in luce i limiti scientifici della sua personalità, come si ricava dalla polemica con Giulio Salvadori. L’allora giovane allievo di Ernesto Monaci aveva infatti scritto un articolo, Critica ortografica - Lettera al dott. Rodolfo Renier (ibid., VI (1882), n. 4, pp. 40-42) che aveva almeno il merito di sollevare questioni di metodo importanti, affrontate dalla filologia italiana soltanto alcuni anni più tardi con maggiore consapevolezza.
Il suo primo volume, La Vita nuova e la Fiammetta (Torino-Roma 1879), si rifaceva ai primi provenzalisti, da Giovanni Galvani a Raynouard, e ai primi maestri della scuola storica, mirando però al carattere ‘psicologico’ delle opere, come si evince dalla prefazione. A questo saggio si può avvicinare l’altra monografia, Il tipo estetico della donna nel Medioevo (Ancona 1885), analisi della descriptio puellae dalla poesia provenzale (I capitolo) fino allo stil nuovo (V capitolo), nel tentativo di una più approfondita comprensione della lirica medievale. Un altro titolo significativo nell’ambito degli studi romanzi è costituito da La discesa di Ugo d’Alvernia allo Inferno secondo il codice franco-italiano della Nazionale di Torino (Bologna 1883; rist. anast., Bologna 1968), edizione di un episodio di un poema franco-veneto, perduto nella sua interezza e in parte conservato nel codice torinese N.III.19.
A questo periodo, fervido di iniziative, risalgono varie edizioni di inediti, ma spiccano per importanza le Liriche edite ed inedite di Fazio degli Uberti (Firenze 1883), anche se si riscontra un’evidente sproporzione fra l’ampia introduzione storica e biografica e l’assai più breve discussione sull’autenticità delle rime. Dopo avere menzionato con molte lodi l’edizione carducciana delle Rime di Cino, «la migliore che si abbia», in cui era accolto «un buon numero di poesie dell’Uberti» (p. CCCXXXV), Renier esponeva i criteri cui si era ispirato. Egli rinunciava a stabilire una genealogia dei codici e toccava la questione filologica negli stessi termini della sopracitata risposta a Salvadori (cfr. pp. CCCXLI s.). Gli arbitrii di Renier furono oggetto della recensione (apparsa in Giornale storico della letteratura italiana, I (1883), pp. 466-477) di un carducciano quale Tommaso Casini che gli imputava una conoscenza inadeguata dell’italiano antico, dei suoi fenomeni fonetici e morfologici peculiari.
Alla frequentazione della biblioteca della famiglia milanese dei Trivulzio sono riconducibili due lavori notevoli. Il primo è lo studio Gaspare Visconti (in Archivio storico lombardo, s. 2, XIII (1886), vol. 3, pp. 509-562 e 777-824), sul rimatore della corte sforzesca, fino ad allora di fatto ignorato dalla critica. Renier tuttavia si limitava ad antologizzare alcuni componimenti, tratti ora dai manoscritti (i codici Trivulziani 2157 e 1093), ora dalle stampe. Nel 1894 scoprì il canzoniere di Visconti per Bianca Maria Sforza fra alcuni codici miniati esposti al Kunsthistorisches Museum di Vienna e ne diede notizia l’anno successivo in un opuscolo di cinquantacinque copie per le nozze di Francesco Flamini, Un codicetto di dedica ignoto del rimatore Gaspare Visconti… (Bergamo 1895), non esaminando però direttamente il codice, visto dall’amico Alessandro Luzio. L’altro è l’edizione delle Novelle inedite di Giovanni Sercambi tratte al codice trivulziano CXCIII (Torino 1889), dedicata a D’Ancona che nel 1871 ne aveva pubblicato una selezione di 32 novelle, di cui venti già edite per la prima volta dal bibliografo Bartolomeo Gamba nel 1816.
Un’incursione negli studi di dialettologia e folklore è rappresentata dall’edizione del “Gelindo”. Dramma sacro piemontese della Natività di Cristo (Torino 1896), dedicata a Carlo Salvioni, che Renier allestì sulla base di quattro edizioni a stampa.
Che Renier fosse consapevole dei propri limiti lo dimostra il carteggio con il grande filologo romanzo Pio Rajna, al quale, sebbene fosse maggiore di soli dieci anni, si rivolse sempre con tono deferente, quasi da allievo a maestro, fin dal 1878. Con Luzio, amico fin dall’epoca del Preludio, archivista presso l’Archivio di Stato di Mantova, pubblicò vari lavori eruditi sui Gonzaga: da Mantova e Urbino: Isabella d’Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche (Torino-Roma 1893) a Il lusso d’Isabella d’Este (in Nuova Antologia, 1° giugno 1896-16 ottobre 1896), fino a La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, apparso a puntate nel Giornale storico della letteratura italiana fra il 1899 e il 1903 (e ripubblicato da ultimo, Milano 2005). Il primo libro, preceduto da vari scritti del solo Luzio e da un primo studio in collaborazione, Contributo alla storia del malfrancese ne’ costumi e nella letteratura italiana del sec. XVI (ibid., V (1885) pp. 408-432), è una «narrazione storica documentata», come recita il sottotitolo, dal 1471 al 1539, incentrata sulle due cognate, Elisabetta Gonzaga e Isabella d’Este, corredata dalla pubblicazione integrale di molti documenti, che illustrano gli usi e i costumi della corte di Urbino. Il saggio, malgrado il titolo, si occupa molto più delle relazioni letterarie di Isabella, divise in sette gruppi regionali, che della sua cultura alla quale è dedicato solo il primo capitolo.
Nel 1887 si unì in matrimonio con Amelia Campostrini: l’opuscolo pubblicato per celebrare le nozze è un interessante documento della scuola storica. Divenuto di fatto l’unico direttore del Giornale storico, dopo il ritiro di Graf nel 1892, Renier fu assorbito dal lavoro redazionale della rivista. Nel 1910 pubblicò gli Svaghi critici nella Biblioteca di cultura moderna della Laterza, dove nel 1905 era uscito Attraverso il Medioevo di Novati. In tal modo Benedetto Croce, con un’abile operazione, assicurava al suo editore i due condirettori del Giornale storico della letteratura italiana, con i quali era da tempo in relazioni amichevoli, nel disegno di una continuità fra il ‘metodo storico’ e la sua opera di critico letterario. Il volume, dedicato a Vittorio Cian e Vittorio Rossi, raccoglie molti saggi del primo decennio del Novecento, apparsi tutti nel Fanfulla della domenica, il supplemento letterario del quotidiano Il Fanfulla, fondato da Ferdinando Martini nel 1879 e attivo fino al 1919, tranne il primo, Cenni sull’uso dell’antico gergo furbesco nella letteratura italiana, uscito nella Miscellanea di studi critici in onore di Arturo Graf (Bergamo 1903), e il quinto, Salvator Rosa, recensione al volume di Giovanni Alfredo Cesareo, Poesie e lettere edite e inedite di Salvator Rosa (Napoli 1892), pubblicata nella Gazzetta letteraria di Torino (XVI (1892), pp. 49 s.).
Gli argomenti toccati, suddivisi in quattro sezioni (Letteratura italiana, Letteratura francese, Letteratura tedesca, Varia), sono i più diversi: si va dal gergo furbesco a Margherita di Navarra, da Francesco di Vannozzo ad Alessandro Manzoni, dal teatro di Gabriele D’Annunzio al romanzo di Jules Verne, alle novelle di Adalbert Stifter. L’attenzione di Renier per la letteratura francese si concentra sul primo Ottocento, in particolare su Madame de Staël e Stendhal, sul quale dà un giudizio limitativo, e sulla stagione del naturalismo. Le Lettres de jeunesse (1907) di Émile Zola gli offrono l’occasione per una divagazione sugli ideali ancora romantici del maestro del naturalismo; il saggio su Guy de Maupassant, invece, trae spunto dalla morte della madre dello scrittore per interpretarne l’opera alla luce di un topos positivistico, l’eredità patologica. Più interessanti appaiono i saggi di germanistica, che si occupano di autori affatto ignoti in Italia fino ad allora, quali Stifter e Gottfried Keller: di entrambi Renier apprezza molto le novelle, meno i romanzi (il giudizio sul Bildungsroman Enrico il verde è del tutto negativo). Nell’ultima sezione, Varia, Renier riunisce i contributi più legati alla disciplina insegnata: Arlecchino, sull’origine, a suo parere italiana, della maschera; La leggenda dell’Ebreo errante nelle sue propaggini letterarie, il più impegnativo, in due parti, Buttadeo e Asvero. Infine, in Agiografia scientifica appare sensibile al dibattito sul modernismo, menzionando autori come Alfred Loisy e il Fogazzaro del Santo, recensito anche da Graf.
Morì prematuramente a Torino l’8 gennaio 1915.
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