RODIO, Rocco
– La data di nascita, incerta, va collocata nel quarto decennio del Cinquecento.
L’edizione del Missarum decem liber primus Rocchi Rodii civitatis Barensis a 4, 5 e 6 voci (Roma, Valerio Dorico, 1562) lo dice nativo di Bari. La prosopografia ottocentesca (al seguito del marchese di Villarosa, 1840) lo considerò invece di origine calabrese, la nobiltà cittadina di Catanzaro e Squillace annoverando esponenti di una famiglia di nome Rodio; altri Rodio furono, tra i secoli XV e XVI, feudatari di Amato, nel Catanzarese (Larson, 1985, p. 411); il cognome, nella forma Rhodio, è tuttora attestato in quei luoghi.
La dedica del Missarum decem liber primus a Sigismondo Augusto, re di Polonia, figlio di Bona Sforza duchessa di Bari (morta nel 1557), ha indotto qualche studioso a congetturare per Rodio un incarico a Cracovia negli anni tra il 1555 e il 1561, oppure, in alternativa, a ipotizzare che l’edizione puntasse all’ottenimento di un incarico alla corte polacca. Da una lettera del trattatista Giovanni Camillo Maffei da Solofra, indirizzata a Rodio e pubblicata proprio nel 1562, risulta però che in quell’anno, o anche prima, il musicista doveva essere a Napoli, ammirato sia come cembalista e organista sia come autore di «ricercate» e di musiche vocali («non muove mano o spira fiato che non empia l’aria di quella dolcissima armonia»). Successive testimonianze risultano da un trattato sulla nobiltà di Napoli di fra Luigi Contarino (1569), che tra gli «eccellenti Musici» nella capitale vicereale annovera «Rocco de Barri» assieme al barese Stefano Felis e ad altri dodici tra compositori e strumentisti. «Rodio Rocco di Bari» compare poi con due villanelle nella Corona delle napolitane a 3 e 4 voci (Venezia, Scotto, 1570) curata dal lucano Marc’Antonio Mazzone; mentre il 23 agosto 1571, nella chiesa parrocchiale di S. Maria a Piazza, non lontano dalla Santa Casa dell’Annunziata – famosa per la cappella musicale diretta in quegli anni da Giovan Domenico Del Giovane da Nola, presente anch’egli nella citata Corona con sette brani –, fu battezzata la figlia Lucrezia, avuta dalla moglie Cornelia Stella, sorella di quello Scipione che a sua volta divenne organista dell’Annunziata e fu poi al servizio di Carlo Gesualdo, principe di Venosa; padrino di battesimo fu Fabrizio Filomarino, nobile liutista e chitarrista poi nell’entourage di Gesualdo (D’Alessandro, 2007, p. XII). Non vi sono testimonianze dirette di un coinvolgimento di Rodio nella corte del principe di Venosa, ma i contatti con musicisti che entrarono a farne parte sono evidenti, e sono avvalorati dalla pubblicazione di due suoi mottetti nel Liber secundus motectorum del barese Felis (Venezia, Gardano, 1585), dove compare anche la primissima composizione a stampa del diciannovenne principe melomane.
Nel 1573 apparvero gli Psalmi ad vesperas [...] quae vulgus falso bordone appellat a 4 voci, prima stampa napoletana di musica da chiesa pervenuta (Napoli, Cancer; ed. anast. a cura di D. Fabris, Lamezia 1994), dedicata a due «spose di Cristo» di famiglia nobile: Livia di Capua, figlia di Ferdinando duca di Termoli, monaca nel canoro monastero benedettino di S. Gaudioso, e Laura Manzolina, di antica famiglia siciliana (Mansolini) aggregata al seggio di Nido, anch’ella esperta nel canto e nelle «cose della Musica». Due anni dopo, sempre a Napoli, Gioseppe Cacchi dall’Aquila pubblicò il Libro di ricercate a quattro voci di Rodio (ed. anast. e trascrizione di A. Carideo, Latina 2014), dedicate al napoletano Giovanni Battista Turbolo, figlio del mercante e banchiere Bernardino, di nobile famiglia sorrentina: le cinque ricercate e le quattro fantasie su canti fermi e su La mi re fa mi re, che «mostrano la scrittura ‘moderna’ e progressiva dell’autore» (Tasini, 2014, p. 99), sono presentate in partitura su quattro pentagrammi anziché nella più consueta intavolatura per tastiera su due sistemi nella notazione numerica che il napoletano Antonio Valente, organista in S. Angelo a Nido, adottò nella coeva Intavolatura de cimbalo (1575-76).
Quasi certamente nello stesso 1575 nacque il figlio Vincenzo, che a Bari contrasse matrimonio nel 1596 (in un documento catastale del 1598 risulta ventitreenne). Nel 1577 uscì a Napoli, sempre per l’editore aquilano Cacchi, la ristampa di un libro di Aeri a 3 e 4 voci per cantare sonetti, stanze e terze rime (Petrarca, Sannazzaro, Ariosto, Bembo, Guidiccioni, Tansillo i poeti selezionati), curato da Rodio e dedicato a Tarquinio del Pezzo, autore di uno dei brani, di nobile famiglia amalfitana e membro dell’accademia di Giovan Battista Rinaldi: accanto a una ventina di brani adespoti, solo un madrigale reca il nome di Rodio, mentre altri sette pezzi sono dei pionieri della monodia accompagnata in Napoli, tra loro il senese Scipione del Palla (morto nel 1569), uno dei maestri di Giulio Caccini (cfr. Brown, 1981; distinta del contenuto a pp. 165 s.).
Il 15 luglio 1587 Rodio firmò da Napoli la dedica al musicofilo Fabio Stanzione del Secondo libro di madrigali a 4 voci (non è rimasta traccia del primo libro, così come è perduto un libro di madrigali «a note negre» a 2 voci di cui è documentata una ristampa napoletana nel 1589: cfr. Gerber, 1792; Schaal, 1965). Nella raccolta del 1587, stampata a Venezia da Girolamo Scotto a istanza del libraio napoletano Scipione Riccio, figurano rime del Petrarca (sonetti e un paio di estratti dai Trionfi) e madrigali di Luigi Tansillo e Battista Guarini. Rodio vi accolse pure alcune composizioni di altri autori, forse tutti frequentatori dei concerti nel ‘ridotto’ di casa Stanzione: le primissime uscite a stampa di Scipione Dentice e del cognato Scipione Stella, una di Giulio Cesare Stellatello e due di Ippolito Tartaglino (D’Alessandro, 2007, p. XV). Nel 1591 un suo madrigale sopra un sonetto del Bembo fu accolto nel Sesto libro a 5 voci di Felis, a quel tempo maestro di cappella del duomo a Napoli.
Il compositore e teorico napoletano Scipione Cerreto, nel trattato Della prattica musica vocale et strumentale (Napoli 1601), elencò «Roccho Rodio per antichità napolitano» tra i «compositori eccellenti della città di Napoli che oggi vivono» (p. 156), non senza polemizzare con lui per divergenze circa la pratica contrappuntistica descritta in un’edizione delle sue Regole di musica che doveva essere apparsa prima di quell’anno (pp. 228, 243 s.).
Morì nel 1607 e fu sepolto il 26 marzo in S. Giorgio Maggiore, non lontano dal Duomo, come risulta da un recente ritrovamento documentario (Parrocchia di S. Giorgio Maggiore, Libri dei defunti, vol. II, 1602-1612, c. 69r). Che Rodio fosse deceduto prima del 1609 lo si poteva desumere dalla riedizione delle Regole di musica a cura dell’allievo don Giovan Battista Olifante (Napoli, 1609, ma de facto 1611 per motivi di autorizzazione ecclesiastica): la ristampa di un’opera da parte di un discepolo, e il fatto che costui nella dedica al tedesco Federigo Westphal alluda con reverenza alle lezioni del maestro («[...] le quali non devono star sepolte [...] sono andato spargendo come suo discepolo per dimostrar il valor di tanto uomo»), indicano chiaramente che il musicista era morto.
Di un libro di mottetti a 4, 5, 6 e 7 voci «compostos sobre diversos canones» rimane notizia nel catalogo della perduta biblioteca di re Giovanni IV del Portogallo (1649). Rodio viene menzionato in trattati di contrappunto del primo Seicento: Pietro Cerone nel Melopeo y maestro (Napoli 1613, p. 1077) cita un suo canone artificioso; Romano Micheli nella Musica vaga et artificiosa (Venezia 1615, p. 6) dice di averlo frequentato in Napoli tra il 1594 e il 1598. Dopo un’ulteriore ristampa delle Regole di musica nel 1626, la sua figura cadde in oblio; fu però nota a Giovanni Maria Bononcini, che nel capitolo sui canoni con obblighi del suo Musico prattico (Bologna 1673, p. 109) cita la messa di Rodio basata sul madrigale Ultimi miei sospiri di Verdelot (1562), nonché a Giovan Battista Martini, che conobbe anch’egli l’abilità contrappuntistica testimoniata sia dalle dieci messe del 1562, condotte secondo la tecnica dell’‘imitazione’ su soggetti dati (ne possedeva una trascrizione manoscritta in partitura), sia dalle Regole di musica.
Fonti e bibl.: G.C. Maffei, Delle lettere [...] Libri due, II, Napoli, R. Amato, 1562, pp. 182 s.; L. Contarino, La nobiltà di Napoli in dialogo, Napoli, G. Cacchi, 1569, p. 353; S. Cerreto, Della pratica musica vocale et strumentale, Napoli 1601; E.L. Gerber, Historisch-biographisches Lexicon der Tonkünstler, II, Leipzig 1792, col. 303; [C.A. De Rosa marchese di Villarosa], Memorie dei compositori di musica del Regno di Napoli, Napoli 1840, p. 183; G. Gaspari, Catalogo della biblioteca del Liceo musicale di Bologna, I, Bologna 1890, p. 249, II, Bologna 1892, p. 133; R. Schaal, Das Inventar der Kantorei St. Anna in Augsburg, Kassel 1965, p. 31; M. de S. Ribeiro, Livraria de música de el-rei D. João IV, I, Lisboa 1967, n. 300; C. Piccardi, Carlo Gesualdo: l’aristocrazia come elezione, in Rivista italiana di musicologia, IX (1974), pp. 86 s.; N. Pirrotta, Li due Orfei. Da Poliziano a Monteverdi, Torino 1975, pp. 221-224; H.M. Brown, The geography of Florentine monody. Giulio Caccini at home and abroad, in Early music, IX (1981), pp. 147-168; K.A. Larson, The unaccompanied madrigal in Naples from 1536 to 1654, Ph.D. Harvard University 1985, Ann Arbor (Mich.) 1986, pp. 411-422; G. Dixon, Romano Micheli and Naples: the documentation of a sixty-year relationship, in La musica a Napoli durante il Seicento, a cura di D.A. D’Alessandro - A. Ziino, Roma 1987, pp. 556 s.; D. Fabris, Introduzione all’ed. anast. dei Salmi per i Vespri a quattro voci, Lamezia 1994, pp. VII-XVI; D.A. D’Alessandro, Per una biografia di don Pietro Paolo Stella C.R., alias Scipione Stella, in S. Stella, Inni a cinque voci. Napoli 1610, a cura di F. Colusso - D.A. D’Alessandro, Lucca 2007, pp. XII, XV; F. Tasini, Il “Libro di ricercate a quattro voci” (1575) di R. R. e alcuni rilievi sui rapporti tra Napoli e la Spagna nel XVI secolo, in Anuario musical, LXIX (2014), pp. 99-118.