Robinson Crusoe
Le virtù del naufrago
Nato nel Settecento dall’immaginazione dello scrittore e giornalista inglese Daniel De Foe, Robinson Crusoe è il più famoso naufrago di tutti i tempi. Personaggio ingegnosamente letterario, è anche il prototipo del pioniere anglosassone, che non arretra davanti a nessuna difficoltà e sopravvive industriandosi in qualunque circostanza
Dopo una giovinezza irrequieta, in cui fu persino incarcerato diverse volte per ragioni politiche e debiti, De Foe fondò e diresse il periodico The review con tanta personalità e autorevolezza da essere considerato uno dei padri del giornalismo moderno. Intorno ai sessant’anni abbandonò la vita pubblica e si dedicò a scrivere i romanzi ai quali deve la celebrità.
Corre il 1719 quando pubblica il primo romanzo, il cui lunghissimo titolo originario era: Vita e strane e sorprendenti avventure di Robinson Crusoe, che visse ventotto anni da solo in un’isola deserta al largo delle coste dell’America, non lontano dalla foce dell’Orinoco, approdato sulla spiaggia in seguito a un naufragio in cui erano periti tutti i marinai, eccetto lui. Malgrado lo stile un po’ ingenuo, il libro raccoglie un trionfo così grande, tanto che l’autore si precipita a concepire e darne alle stampe il seguito, Ulteriori avventure di Robinson Crusoe, fornito ai lettori entusiasti a meno di un anno di distanza dal libro precedente.
Ispirato alla figura realmente esistita di Alexander Selkirk, marinaio britannico abbandonato nel 1705 sull’isola Juan Fernández al largo del Cile e ritrovato dopo quattro anni allo stato selvaggio, il protagonista di De Foe fugge di casa diciottenne in cerca d’avventura, intenzionato a girare il mondo. S’imbarca su una nave e, a causa di un primo naufragio, viene catturato da un pirata. Riesce a fuggire, si reca in Brasile dove lavora come piantatore, quindi è di nuovo in mare, diretto verso la Guinea.
Qui avviene il secondo, drammatico naufragio, di cui è l’unico sopravvissuto; viene trascinato dalle onde fin sulla riva di un’isola deserta al largo delle coste del Venezuela. Approdato, Robinson si ritrova completamente solo, ma non si perde d’animo. Dando prova di straordinaria ingegnosità e forza d’animo, riesce a procurarsi il cibo cacciando e coltivando, è capace di costruirsi un’abitazione, lavorare il legno e la pietra, allevare animali. La solitudine s’interrompe quando incontra il mansueto indigeno Venerdì e ne fa il proprio fedele servitore, iniziandolo alla cultura occidentale. Immerso nella natura e lontano dalla patria, l’eroe di De Foe rimane sull’isola ventotto anni, due mesi e diciannove giorni prima che una nave lo ritrovi e lo riporti in Inghilterra.
Vestito di pelli di capra, un ampio cappello in testa, l’ombrello fatto di larghe foglie e il fucile in spal-la, Robinson Crusoe è il prototipo del pioniere anglosassone che di lì a qualche decennio avrebbe incominciato a esplorare e colonizzare buona parte del mondo; in lui, al tempo, si riconobbe tanta parte della classe media.
Nel 1838, nel suo unico romanzo Le avventure di Gordon Pym, anche il maestro di racconti del terrore Edgar Allan Poe affrontò, a modo suo, il tema del naufragio. Qui però il protagonista rimane a bordo della Grampus, una baleniera alla deriva a seguito di un ammutinamento,in un clima tanto spettrale da veder passare davanti a sé una nave fantasma piena di cadaveri in putrefazione. Ma il primo, grande naufrago della letteratura è senz’altro Ulisse, la cui zattera viene travolta dalla tempesta proprio quando la ninfa Calipso ha dovuto rassegnarsi a lasciarlo partire da Ogigia, dove lo tratteneva. Dai flutti il reduce di Troia si salva grazie al velo fatato della dea marina Leucotea. Così, invece di annegare, si ritrova nudo alla foce di un fiume, sull’isola dei Feaci, ed è soccorso da Nausicaa che lo conduce dal re suo padre Alcinoo. A quest’ultimo il naufrago racconterà le peregrinazioni per tornare a Itaca, cantate da Omero nell’Odissea.