MARANTA, Roberto
Nacque nel 1476 a Venosa, probabilmente da un Bartolomeo originario di Tramonti in Principato Citra. Ebbe una sorella, Elisabetta detta Giovanna, che sposò il giurista venosino Giovanni Simeone, zio di Vincenzo Massilla; e un fratello, Cristoforo. Le nozze con Beatrice Monna, figlia del notaio Gaspare e di Angelella Schinosa, gli procurarono l'aggregazione alla nobiltà di Molfetta. Ne nacquero Bartolomeo, Pomponio, Lucio, Silvio. Non è chiara l'attendibilità della notizia (Giacomo Cenna, p. 344) di un successivo matrimonio con Viva Cenna.
Si laureò nello Studio di Napoli sicuramente prima del 1502. La fantasiosa cronaca del Cenna lo vuole uditore generale del Principato di Melfi dal 1501. Non occupò, comunque, magistrature di rilievo. Si dedicò all'avvocatura, che tra il 1507 e il 1520 esercitò alternando gl'inverni a Salerno, le estati venosine, i soggiorni a Molfetta.
L'ampio circuito professionale gli valse la chiamata dall'Università di Salerno. La carriera accademica fu però meno lineare rispetto all'iter Salerno-Sicilia-Napoli tracciato dai biografi.
Le lecturae salernitane, se si presta fede a Tommaso Grammatico, che scrive nel 1547, risalivano a tempi molto recenti e si erano protratte "pluribus annis". Qualche coordinata cronologica si ricava dalle testimonianze autobiografiche di due allievi, Giovanni Antonio De Nigris e Vincenzo Massilla. Il De Nigris, sistematore dei capitoli angioini, narra (cc. 277v-278r) di aver seguito adolescente (non oltre il 1516-17) lezioni di diritto "pro maiori parte" a Salerno e "quandoque" a Napoli sotto la guida di Giancola De Vicariis e del M. (il primo a Napoli e il secondo a Salerno, ad avviso di N. de Nigris, p. 238). Il Massilla, nel commento alle consuetudini baresi (n. 24, c. XXXVr), rammenta di aver frequentato lo Studio salernitano dal 1519, ascoltandovi per tre anni in sero il de Vicariis e, proprio nel 1519, il M. in mane. Lo stesso M. informa che la sua prima disputatio a stampa (n. 45, c. 6r, ed. 1532), predisposta a Venosa nell'estate del 1519, fu discussa nello Studio di Salerno il successivo 19 ottobre.
In una lettera del 30 sett. 1524 (individuata da de Frede in Arch. di Stato di Napoli, Sommaria Diversi, vol. 222 seconda numer., c. 67v) il principe di Salerno Ferrante Sanseverino ringrazia Giovanni Caracciolo, principe di Melfi, per avere ottenuto che "messer Roberto Malatesta venga ad legere cqua in Salerno, postponendo omne suo desegno" e auspica che l'interessato "non ponga dilacione". Il M. accettò la proposta, poiché il suo cons. XCV risulta firmato a Salerno il 17 nov. 1524. È plausibile che l'approdo allo Studium salernitano rientrasse nel programma "mecenatesco" del Sanseverino, che ingaggiò, accanto al De Vicariis, una prima leva di legisti non locali quali Giovanni d'Arnone e Severo Petrucci. Il reclutamento del M. fu di lí a poco considerato (Middendorp) simbolo di una stagione - peraltro rapidamente oscurata dalla concorrenza di Napoli -, durante la quale la sede dell'antica scuola medica aveva saputo aprirsi ad altre discipline.
Il M. avrebbe poi insegnato in Sicilia: l'informazione, veicolata dai municipalisti, è stata di recente riferita a Palermo (Pedio, p. 168 della recensione a Solimene, Un umanista…). Rientrato dalla Sicilia avrebbe infine ottenuto una cattedra a Napoli: egli stesso vi allude nelle Disputationes (c. 2r, ed. 1532). Nella capitale, secondo il pronipote Carlo, che ebbe modo di consultare le patenti di nomina (Controversarum, III, p. 256), svolse corsi di feudi, mentre il Cenna (p. 344) ipotizza "per alcuni anni la lettura della sera". Sia Carlo Maranta sia il Cenna dichiarano di possedere i manoscritti, rispettivamente, dei Commentaria feudali e delle lecturae salernitane e napoletane.
L'impegno universitario non distolse il M. da una produzione prettamente "pratica". Dal 13 nov. 1520 al 20 sett. 1525 lo assorbí la stesura dello Speculum (lo dichiara egli stesso: n. 47, c. 110r [i.e. 100] ed. 1540), che non fu dunque composto - come vuole una suggestiva ipotesi del Cenna (p. 344) - nel castello di Lagopesole durante la peste del 1501. Quanto ai consilia, quelli emessi dal 26 sett. 1521 al 4 sett. 1534 risultano redatti a Melfi, da dove il M. si allontanò solo per scampare alle devastazioni di Odet de Foix visconte di Lautrec: la serie è sospesa dal febbraio 1528 all'ottobre 1529.
La caduta dei filofrancesi Caracciolo del Sole, principi di Melfi, indusse il M. a invocare la protezione di Pompeo Colonna, luogotenente del Regno. A lui, il 5 maggio 1532, dedicò le Disputationes, unica opera non postuma.
Le dieci Disputationes perutiles nonnullarum questionum et conclusionum (Napoli, G. Sultzbach, 1532; ibid., apud Ioannem Dominici de Gallis, 1546 e poi inglobate in numerosi esemplari dello Speculum, a partire dall'edizione lionese del 1554) nascevano dalla docenza salernitana ma affrontavano quesiti pratici di natura processuale, civile e criminale. La disputatio III (n. 14) invoca una "Caesarea decisio" per dirimere la questione della liceità della condanna a morte laddove la legge prescriva la pena arbitraria. La X contiene in fine la formula della rinuncia della donna, per sé e per i discendenti, a ogni futura eredità: una prassi generalizzatasi tra i notai del Mezzogiorno continentale e insulare proprio con il nome di "cautela di Maranta".
L'anno di morte del M. è incerto. A lungo si è indicato il 1530. Ma (come dimostra Maffei, p. 54) l'arco cronologico va circoscritto tra il 4 sett. 1534, giorno dell'ultimo consilium datato (CXXVII, c. 154r), e il 4 febbr. 1535, allorché fu stipulato un atto notarile avente a oggetto immobili del suo asse ereditario.
Bisognò attendere circa un lustro perché vedesse la luce lo Speculum aureum et Lumen advocatorum. L'iniziativa fu assunta dal figlio Pomponio, studente di diritto a Padova, su impulso del suo maestro Marco Mantova Benavides, il quale ne rivendica il merito in poche righe confluite in Tractatus universi iuris. Può dunque ritenersi editio princeps quella, con dedica del leccese Teseo Mega al viceré di Sicilia Ferrante Gonzaga principe di Molfetta, apparsa a Venezia nel 1540 "ex impressione Baptista de Tortis". Un esemplare è conservato presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia.
Lo Speculum conta almeno 44 edizioni tuttora reperibili. I tipografi presentavano la Practica Marantae (cosí, a detta di Ughelli - Coleti, VII, col. 737, il volume era conosciuto come una sorta di provvidenziale filo d'Arianna forense.
Nel Proemium, invero, il M. si prefigge di tessere la tela totius iudicii per studenti e professionisti, specie del Regno di Napoli. Nella stessa sede egli definisce l'ordo (analiticamente descritto nella VI parte) causa formalis del processo: e questo, a sua volta, pietra angolare della scienza giuridica. La parte III invece, denso excursus storico-filosofico, arriva a escludere che il principe e il pontefice, benché legislatori, possano infrangere rispettivamente lo ius gentium e il diritto divino. Pur convinto che il Rex Siciliae non conosca superior (pars VI, Actus II, n. 249), il M. non è disposto - al pari del probabile maestro Matteo D'Afflitto - ad avallare le ambizioni assolutistiche della Spagna imperiale. Del resto, egli operò sempre entro ambienti filofrancesi (i Sanseverino, i Caracciolo di Melfi).
Il diritto processuale del Regno che emerge dallo Speculum nasce dall'interazione tra ius civile e iura municipalia. Rispetto a questi ultimi, il M. profonde notevoli energie nella "ambigua et ventilata quaestio" della sorte dello ius Longobardorum nel Mezzogiorno. Già nella disp. II (1519 circa), egli aveva presentato minuziosamente gli argomenti a favore e contro il primato delle due leges (longobarda e romana) considerate "comuni" dalla costituzione Puritatem, per concludere che nel Regno il diritto romano prevale sul longobardo e che la vigenza (locale) di quest'ultimo deve essere provata. Lo Speculum recepisce questa posizione (pars III, nn. 95-106, 123-126, 131). Analogamente, il cons. XXVII sarebbe stato interpretato dalla dottrina più tarda come riprova della disapplicazione giudiziaria della disciplina successoria germanica. Perciò il M. venne considerato, sulla scia di Luca da Penne e di D'Afflitto, il più equilibrato fautore dell'emarginazione della lex longobarda: opzione che nasceva dall'intento di ridimensionare le specificità dello ius Regni e favorirne l'integrazione nell'alveo del diritto comune.
Il nitore argomentativo e la valenza "universale" delle regole processuali giustificano la lunga vitalità e l'utilizzo dello Speculum in altri contesti, come sarebbe di rado accaduto alla posteriore letteratura giuridica meridionale.
Nel 1553 due inedite Repetitiones (in l. Is potest, ff. de acquirenda haereditate [D. 29.2.18], datata Molfetta 25 novembre - 9 dic. 1517; e in l. Si actor ff. de procuratoribus [D. 3.3.29], non datata) trovano ospitalità nella prestigiosa collezione curata da Ugone Dalla Porta e Antonio Vincenzi (Repetitionum seu Commentariorum in varia iurisconsultorum Responsa, Lugduni 1553, I, cc. 449v-453v; III, cc. 454v-466v): più volte riprodotte in appendice allo Speculum (a partire dall'edizione lionese del 1557), esse compaiono anche nella silloge curata da Pompeo Limpio (Repetitionum in varias iuris civilis leges… volumina VIII, I, Venetiis 1608, cc. 496v-501r [i.e. 501v-506r, secondo l'Index di Ascheri - Brizio] e III, cc. 442r-453r).
Per impulso di G.B. Ziletti, uno stralcio della pars VI dello Speculum entra nel Tractatus de testibus probandis vel reprobandis variorum authorum (Venezia, G. Cavalli, 1568, pp. 563-570) col titolo di Tractatus de testibus. Due anni dopo, le dieci Disputationes marantiane vengono inglobate nelle Selectae quaestiones iuris variae (Colonia, G. Calenius, 1570, pp. 412-460). Nel 1575 le disputationes VIII e IX in tema di prelazione confluiscono nel Tractatus de iure protimiseos (Francoforte s.M., N. Basse, 1575, pp. 316-393) comprendente pagine di D'Afflitto, Baldo e Mantova Benavides.
Nel 1591 Roberto iunior, figlio di Pomponio, trasceglie, tra gli "infiniti" autografi posseduti da Ascanio Cenna, 148 consilia del nonno, dedicandoli al viceré Juan de Zuñigo conte di Miranda (Consilia sive Responsa… una cum duobus tractatibus: unus de multiplici alienatione prohibita…, Venetiis, Err. M. Sessa, 1591). Pur privi della geometria dello Speculum, i Consilia rivelano altrettanta limpidezza stilistica. Nel merito toccano tasti delicati: per esempio gli effetti del patto nudo nella contrattazione mercantile, la liceità della tortura, l'arbitramento degli indizi, la verifica del principio universitas delinquere non potest. Particolarmente originale il parere che fissa incidentalmente criteri differenziali tra peccatum, delictum e crimen (cons. LIII, n. 7, c. 90v).
Ultima opera del M. giunta sotto i torchi, i Singularia et iuris notabilia risalirebbero (per Chioccarelli, c. 178v) a un soggiorno salernitano del 1507; ma videro la luce solo nel 1601, a Venezia, in coda a un ennesimo esemplare dello Speculum. Se ne contano sette ristampe sino al 1650, alcune tedesche (la prima a Colonia nel 1606). Strutturati in lemmi alfabetici, i Singularia concedono rade digressioni, come quella sull'extensio interpretativa in materia penale. Ancor più asciutte si presentano le Explicationes, seu Declarationes variae, associate tipograficamente ai Singularia: si tratta di elaborati accademici dal contenuto eterogeneo.
Il M. compose anche alcune brevi poesie. Quattro liriche si leggono in appendice ai Singularia (pp. 166 s., ed. 1601).
La rivisitazione tardoilluministica della giurisprudenza regnicola d'antico regime avrebbe ritagliato per il M. il poco entusiastico profilo del "buon pratico" (Giustiniani, p. 218). Ancora di recente lo si è annoverato tra gli esegeti seppur d'un certo spessore (Elías de Tejada, pp. 239 s.). Pur mancando approfondimenti monografici, la storiografia giuridica degli ultimi anni ne ha apprezzato la fisionomia anche al di là del magistero processualistico. In effetti il M. esprime una cultura giuridica meridionale assai sensibile alla prassi ma ancora riconducibile entro moduli "accademici" e dunque capace di raccordarsi alla trattatistica europea.
Del figlio primogenito del M., Bartolomeo, sono incerti sia il luogo (Venosa o Molfetta) sia la data di nascita (1500 ovvero 1514). Laureatosi a Napoli, botanico di fama, si spostò intorno al 1550 a Pisa presso il maestro Luca Ghino di Ghini. Rientrò a Napoli verso il 1555 alla scuola di Gianvincenzo Pinelli. Nel 1556, chiamato da Vespasiano Gonzaga, trascorse circa un anno a Roma. Fu poi medico di corte in Spagna. Si ritrasferí da Napoli a Roma nel 1565. Arrestato dal S. Uffizio probabilmente per eterodossia, fu liberato su intercessione del fratello Lucio, vescovo, di rientro dal concilio Tridentino. I più importanti scritti di botanica di Bartolomeo videro la luce in un ristretto lasso di tempo. I Methodi cognoscendorum simplicium libri tres (Venezia, V. Valgrisi, 1559) contengono il carteggio (1558) con Gabriele Falloppia: all'origine di una contesa con Pietro Andrea Mattioli (Tiraboschi, VII, p. 14), che indurrà l'autore a una Epistola excusatoria (in P.A. Mattioli, Epistolarum medicinalium libri quinque, IV, Pragae 1561, p. 462), la Methodus fu ripubblicata nel 1571 come Novum herbarium (Venezia). Seguirono De aquae, Neapoli, in Luculliano scaturientis… metallica materia ac viribus, Neapoli, M. Cancer, 1559; Della theriaca e del mithridato libri due (Venezia, M.A. Olmo, 1572, ma sulla data Haller registra dissensi) con una dedica a Ferrante Imperato, sulla cui Historia naturalis Pillet ipotizza l'influenza di Bartolomeo. Parallelamente coltivò interessi umanistici. Deciso a "far conoscere al Mondo, che i leggisti non sono da più nella Poesia che i Medici" (Tiraboschi, VII, p. 15), sfoggiò in Lucullianarum quaestionum libri quinque (Basilea, J. Oporin, 1564) una competenza letteraria tale da suscitare l'ammirazione di Vossius. Si dilettò di arte, come mostra il Discorso… in materia di pittura (Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., II.C.5, cc. 10, pubblicato da Solimene, 1952). Morì a Molfetta il 24 marzo 1571.
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