ritmo
111. Con accezione metaforica del termìne si è episodicamente parlato per D. come per altri poeti di ritmo (mentale), riguardo all'alternarsi dei personaggi, ricorrere d'immagini o contrasti di esse, vario gioco d'intrecci nella struttura narrativa, ecc. Alcuni studiosi, con limitazione d'interpretazione, hanno usato il termine ‛ ritmo ' nel significato strettamente musicale (dimenticando che nella lingua il movimento non è, come nella musica, ritmo in sé stesso e per sé stesso). Altri ancora, con eccesso d'interpretazione, hanno conferito alla parola accezioni troppo vaghe e imprecise, servendosene come termine di comodo per definire i risultati poetici più disparati, e soprattutto l'‛ ineffabilità ' del prodotto poetico, proponendo interpretazioni forzate o, comunque, rispetto a D., anacronistiche, nell'atto di avvolgere un testo medievale di un alone tardoromantico, e ritenerlo come intriso di tensioni e suggestioni lirico-musicali indefinite.
Di ritmo poetico dantesco si può invero correttamente parlare: a) nei termini e nei limiti della lingua, badando di non applicare procedimenti e schemi propri di un'altra arte, distinta e autonoma; b) badando di non esasperare la funzione del suono, delle spaziature di accenti ecc. nel verso, e conferire eccessivo rilievo all'elemento liquido e vocale della parola dantesca. I migliori commentatori hanno più volte rilevato difatti che in D. la musicalità della parola non eccede mai al punto da acquistare valori autonomi. Se per rilievo ritmico-musicale s'intende il mero rilievo esteriore (qualitativo) o quantitativo di suoni marcatamente contrapposti, si correrebbe il rischio di trovare andamenti ritmici ed elementi musicali più scarsi nel Paradiso che nel Purgatorio e nel Purgatorio più scarsi e meno efficaci che nell'Inferno.
Ritmo invece, nel suo significato più ampio, coincide con l'arte stessa del poeta: il metro è misura, aspetto esteriore del ritmo; il ritmo trascende il dato metrico, e non è realtà riducibile soltanto in schemi astratti e ripetibili: è piuttosto la poesia stessa, sotto l'angolazione particolare dell'orchestrazione delle rime, armonie, simmetrie, sequenze verbali, cadenze, accenti, stazioni sospensive che scandiscono la struttura del verso e il giro sintattico delle strofe o delle terzine.
L'andamento del ritmo è elemento difficile da esaminare, sfuggente all'analisi, per cui le ricerche sul ritmo, quasi per necessità inerente all'oggetto, hanno fissato le invarianti in schemi meccanici e astratti, in rappresentazioni o traduzioni numeriche dei fenomeni: utili e funzionali, a patto di non dimenticare che la descrizione va affrontata tenendo in conto le qualità esteriori, ma anche i significati delle parole e dei contesti in cui esso si snoda e si costruisce. Perché, se così non fosse, versi rappresentati dallo stesso schema, anche diversi per la materia loro, apparirebbero ciononostante d'immediata parentela. E il ritmo sarebbe immobile astrazione, sempre uguale a sé stessa, come preesistente al poeta che vi ha dato forma: e le leggi che governano il metro dantesco, sarebbero le pure combinazioni delle tracce lasciate dal movimento. In D. il ritmo poetico mostra in effetti la propria efficacia e la particolare suggestione proprio perché è strettamente legato e conforme a significati e contesti a esso coerenti. D. non ci dà ritmi belli o brutti in sé, ma versi in cui l'effetto artistico del ritmo è strettamente legato ai significati di cui è portatore. Il catalogo schematico delle ‛ figure ' diverse, utile come preliminare didattico, è privo in effetti di validità ermeneutica. A schemi simili corrispondono effetti sempre diversi. Di qua, di là, di giú, di sú li ména (If V 43), e con l'ali alzáte e férme al dólce nido (v. 83) sono entrambi tipici versi giambici, metricamente identici; ma il diverso valore sentimentale delle parole su cui cadono gli accenti rende l'effetto diversissimo: una " rapina fatale " da un lato, un " volo diritto e sicuro " dall'altro (Fubini). Suono e concetto sono intimamente congiunti; " noi li distinguiamo unicamente per astrazione, come solo per astrazione possiamo separare l'immagine nel suo aspetto visivo da quello fonico ": per es. nei noti versi di Pd XXIII 25-27 (Fubini).
Il ritmo in D. non è in sé puro schema fisicamente percettibile, ma è fatto di parallelismi nella struttura concettuale; non è ornatus aggiuntivo, ma gioco di correlazioni e opposizioni affidato a corrispondenze fra la collocazione ritmica e quella sintattica, per cui l'immagine si concentra là dove cade un particolare accento o rilievo del ritmo che nel discorso costituisce un momento rilevante nella continuità dell'espressione (Terracini). L'analisi delle eufonie, per es., diventa criticamente valida soltanto se si tiene in conto la posizione del suono nel verso, non le qualità di quel suono. Un fonema vocalico o un'insistenza consonantica non dicono nulla di per sé, restano allo stato neutro fino a che l'immagine non offra con tali fonemi un qualche rapporto. L'insistere, poniamo, in un verso dantesco, sulle i o sulle u toniche, non esprimerà di per sé nulla; quelle vocali non si prestano " naturalmente " all'espressione di suoni stridenti e penetranti, od oscuri, né la sequenza di i a " musicalità delicata ", com'è stato detto, e " intonazione tenera "; né la r include in sé espressioni di fremito, la s di sibilo, la l di liquidità, delicatezza, e così via. Si è insistito spesso, anche nella critica dantesca, sui valori fonosimbolici dei suoni e del ritmo: sulle spiranti labiodentali, per es. (e cigola per vento che va via, If XIII 42), o dentali, le quali ritraggono magari sprizzare di sangue (soffi con sangue doloroso serino, v. 138) o fischi di serpente (se state fossimo anime di serpi, v. 39); e sul profluvio delle fricative labiodentali sorde, con allitterazioni (in If VIII 70-78), che desterebbero speciali echi ed effetti estetici. La ricerca di ‛ effetti ' ed ‛ espressività ' ritmiche e sonore nel testo, basata sul legame suono/senso (in poesia effettivamente più intenso e flagrante che in prosa) ha fatto scambiare per suggestioni di suono quello che in realtà era una suggestione di senso. Il ritmo insistito sulle e toniche nel verso in sé medésmo si volvéa co' dénti (VIII 63) è efficace in quanto è conforme all'accanimento sulle proprie carni di Filippo Argenti; e il saltellare del Minotauro che gir non sa, ma qua e là saltella (XII 24) prende a sua volta rilievo attraverso la serie dei monosillabi in posizione tonica. È un ritmo accentuativo a contrasto come Supín giacéa in térra alcúna génte, / alcúna si sedéa tutta raccólta, / e altra andava continüaménte (XIV 22-24), con un primo verso percorso da cinque accenti, un altro con quattro ancora rilevati, e un terzo (con l'avverbio finale di sei sillabe) che non pare concedere più di due accenti principali, si evidenzia in tutta la sua efficacia espressiva in quanto descrizione collocata nel contesto della disperata landa infuocata dei violenti contro Dio. Né è affatto casuale l'omofonia di cinque accenti nel verso ótto vólte la códa al dósso dúro (XXVII 125), se penso quanto sottolinei l'" impressione di dura fatalità che Minosse e la sentenza sua fanno sul nuovo dannato " (Terracini). Ma rileveremo per contro che, nell'ambito del ritmo, non è predominante il significato, l'immagine, né il contesto, al quale esso ritmo, come in funzione ancillare, obbedirebbe: quella fatalità è a un tempo evocata da un'armonia vocalica che si appoggia sulle toniche e riecheggia il vocalismo delle parole su cui si appunta il peso significativo della frase (Terracini). Soltanto in questo senso, strettamente linguistico, si parlerà allora correttamente di " ritmo imitativo " in Dante.
(Senza negare dunque la pertinenza del nesso suono/senso, poiché il simbolismo dei suoni è relazione innegabile e oggettiva [ Jakobson]. Nessuno può mettere in dubbio che sostituendo in un verso di D. una parola con un sinonimo, identico anche quanto al numero delle sillabe e all'accento, ma di composizione fonica diversa, si lasci intatta la poesia; la terzina notissima, Pd XXIII 25-27 Quale ne' plenilunïi sereni / Trivïa ride tra le ninfe etterne / che dipingon lo ciel per tutti i seni, ha giustamente suscitato l'ammirazione di chi si è fermato sui suoni chiari e cupi delle vocali, sul ricorrere delle consonanti liquide l, r, n, e delle vocali ‛ acute ' i, u, o sull'assenza totale delle o, e la scarsità anche delle a. E D. probabilmente ha consapevolmente gravato di valori fonosimbolici le rime aspre o l'accavallarsi delle allitterazioni che incontriamo per es. in If XXIX 82-83 e si traevan giù l'unghie la scabbia, / come cortel di scardova le scaglie; o vedi Pg VIII 100-102).
2. Al ritmo poetico dei versi collabora la rima. (La quale non è che un caso particolare del parallelismo, costante formale di ogni tipo di linguaggio poetico. Essa introduce sempre una risorsa duplice: sonora, basata com'è sull'iterazione regolare di fonemi o di gruppi di fonemi equivalenti, e strutturale: è insomma il caso flagrante e canonizzato dell'eufonia, della corrispondenza dei fonemi; corrispondenza che si mostra, oltre che nell'assonanza delle rime, nelle allitterazioni, nella ripetizione stessa di determinate classi di suoni costituenti la sintassi sonora unitaria e organica basata su equivalenze e parallelismi di elementi fonici relazionabili: indicativo in altra sede l'accostamento sorda/sonora di p/b che in If XXI 7-21 per es. costruisce una trama, un criterio selettivo e classificatorio che stringe in unità la compagine intera di un periodo: l'eufonia percepita non è che la sistematizzazione - perseguita costantemente dai poeti sommi - dei fenomeni articolatori: e vedi anche la " ripercussione " dei ritmi che incorniciano la parola chiave tramite parole eco [VE II XII 8] e che contribuisce talora a rilevare la parola, immettendola in una testura di corrispondenze foniche equivalenti: cfr. l'analisi di pietà e vertù nel son. Se vedi li occhi miei, in Jakobson).
D. della rima aveva colto in sede teorica il carattere insieme ritmico e melodico: melodico, nella totius armoniae dulcedo (VE II XIII 3) e ritmico, nella forza dell'ictus ritmico (§ 12 rithimi repercussio e § 5 ‛ concrepantia '). Ma sul piano della realizzazione artistica, la rima per D. non è affatto cadenza, specie nella Commedia (al § 12 D. avvertiva di evitare la nimia... rithimi repercussio, cioè la frequente risonanza della medesima rima). La cadenza, nella Commedia, è più frequentemente spostata all'interno del verso, dopo accento di quarta molto spesso; non è melodicamente rilevata come ritorno sonoro. Il suo è piuttosto un rilievo semantico: e spesso si stacca nella sua individualità di rima difficile, inattesa, con parole semanticamente a contrasto. Nell'atmosfera stilnovistica della Vita Nuova la parola in rima era piuttosto " attenuata " (Bigi), né si sollevava troppo dal contesto del ritmo (una caratteristica appunto della tradizione lirica provenzale e guittoniana; lo stesso accadrà in Petrarca). Sono rarissimi in D. i casi di " rima debole o trascurata " (Parodi), per es. la rima di desinenze, di avverbi in -mente, ecc. La rima non è puro ornamento, florida fluidità; importa meno la sua funzione metrica, di chiusa di verso; in D. conta particolarmente come unità semantica che accorda e contrappone parole, spesso discordanti, creando effetti singolari, audaci e vigorosi.
3. Strettamente connesso al discorso sul ritmo, il problema se il ritmo condizioni a priori la parola, l'ordine di esse o viceversa. Il ritmo della terzina segue, nella Commedia, schemi fissi e ritornanti? I commentatori hanno per solito mostrato che in D., a varietà di atteggiamenti, corrisponde varietà e duttilità di forme: il poeta domina la materia e le impone suggelli di prepotente efficacia. Nella Commedia i toni (dal narrativo al drammatico, dall'invettiva alla contemplazione) si atteggiano secondo ritmi variabilissimi, personalissimi (si dirà appresso della rarità di ritmi uguali e cadenzati). Segno e immagine concordano sopra un motivo fondamentale, e il concetto nasce fuso in un'unica tensione con il suono, sì che è inutile discernere se è il pensiero a determinare il ritmo o questo a trascinare a sé la parola, tanto profondamente l'uno finisce per esser compenetrato e completato nell'altro (Parodi). Non si concluda però che il parallelismo pensiero-ritmo debba essere inteso come corrispondenza a senso unico. Troviamo difatti conformità di ritmi persistenti al di là di affinità di rappresentazione e di situazione, quasi un " preponderare del significante sul significato " (Contini): e vedi Pg I 118-120 Noi andavam per lo solingo piano / com'om che torna a la perduta strada, / che 'nfino ad essa li pare ire in vano, accanto a II 10-12 Noi eravam lunghesso mare ancora, / come gente che pensa a suo cammino, / che va col cuore e col corpo dimora, e ancora IV 31-33 Noi salavam per entro 'l sasso rotto, / e d'ogne lato ne stringea lo stremo, / e piedi e man volea il suol di sotto. Sembra più esatto parlare di toni fondamentali (qui il narrativo) apparentati tra loro per strette corrispondenze ritmiche: meglio, di figure ritmiche e sintattiche a un tempo.
Vedi per es. Pg XXI 82 Nel tempo che 'l buon Tito, con l'aiuto, ecc., accanto a If XXX 1 Nel tempo che Iunone era crucciata, ecc., e Pg XIX 1 Ne l'ora che non può 'l calor dïurno, e IX 13 Ne l'ora che comincia i tristi lai, ecc. ecc. L'andamento del ritmo, pur non essendo in D. assolutamente ripetizione meccanica, aderisce a schemi ripetibili, ed è memoria ritmica: Ricorditi, spergiuro, del cavallo (If XXX 118), Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe (Pg XVII 1), " Ricordivi ", dicea, " d'i maladetti... " (XXIV 121); e ricorditi di me, che son la Pia (V 133), rimembriti di Pier da Medicina (If XXVIII 73); oppure Luogo è in inferno detto Malebolge (XVIII 1), Loco è nel mezzo là dove 'l Trentino (XX 67), Luogo è là giù da Belzebù remoto (XXXIV 127), Luogo è là giù non tristo da martìri (Pg VII 28); e anche Non fece al corso suo sì grosso velo (If XXXII 25), non fece al viso mio sì grosso velo (Pg XVI 4); oppure il rinnovo di formule iniziali tipo: Io cominciai: " Poeta che mi guidi... " (If II 10), I' cominciai: " Poeta, volentieri... " (V 73), e cominciai: " Francesca, i tuoi martìri... " (V 116), I' cominciai: " Maestro, tu che vinci... " (XIV 43), Io cominciai: " O frati, i vostri mali... " (XXIII 109), poi cominciai: " Belacqua, a me non dole... " (Pg IV 123), Io cominciai: " Maestro, quel ch'io veggio... " (X 112), e cominciò: " L'amor che mi fa bella... " (Pd XII 31), Io cominciai: " Voi siete il padre mio... " (XVI 16), Poi cominciò: " Colui che volse il sesto... " (XIX 40), E cominciai: " O pomo che maturo... " (XXVI 91), incominciai: " O anime sicure... " (Pg XXVI 53), incominciai: " Madonna, mia bisogna... " (XXXIII 29). E si potrebbe vedere la collocazione del gerundio (li occhi lucenti lagrimando volse, If II 116, assimilabile a li occhi svegliato rivolgendo in giro, Pg IX 35; de la sua palma, sospirando, letto, VII 108; e accostare e dopo sé, solo accennando, mosse, Pg XXXIII 14, a Or dubbi tu, e dubitando sili, Pd XXXII 49; Quali si stanno ruminando manse, Pg XXVII 76, a Quali i fanciulli, vergognando, muti, XXXI 64; ogne villan che parteggiando viene, VI 126, a Tutta esta gente che piangendo canta, XXIII 64; raggio di luce permanendo unita, Pd II 36, a suso a le poste rivolando uguali, Pg VIII 108; oppure guardando il loco e imaginando forte, XXVII 17, a fuggendo a piede e sanguinando il piano, V 99, e a calcando i buoni e sollevando i pravi, If XIX 105; e ancora provando e riprovando, il dolce aspetto, Pd III 3; serrando e diserrando, sì soavi, If XIII 60; voltando e percotendo li molesta, V 33; dinanzi a suo maggior parlando sono, Pg XXXIII 26; e l'altro dietro a lui parlando sputa, If XXV 138).
Interessante ancora osservare l'enjambement della stessa parola in chiusa di verso, che si tira appresso lo stesso ritmo nel verso seguente (Quando / mi diparti' da Circe, che sottrasse, If XXVI 90-91; Quando / lo raggio de la grazia, onde s'accende, Pd X 82-83). Oppure con il ritmo si accorda anche la cesura nelle due coppie (Io non so s'i' mi fui qui troppo folle, If XIX 88 e Pg XVIII 127 Io non so se più disse o s'ei si tacque), e ancora Pd XVII 28 Così diss'io a quella luce stessa, e V 130 Questo diss'io diritto a la lumera; e anche Pd VI 140 e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe, accanto a viri 142 E se 'l mondo là giù ponesse mente. Si potrebbe anche vedere come il tono comparativo si disponga secondo matrici ritmiche molto simili (E come a gracidar si sta la rana, If XXXII 31; E come a messagger che porta ulivo, Pg II 70; E come a lume acuto si disonna, Pd XXVI 70; E come augelli surti di rivera, XVIII 73; E come clivo in acqua di suo imo, XXX 109; E come donna onesta che permane, XXVII 31; E come suono al collo de la cetra, XX 22; E come giga e arpa, in tempra tesa, XIV 118; E come quei ch'adopera ed estimo, If XXIV 25; E come l'alma dentro a vostra polve, Pd II 133; E come, per sentir più dilettanza, XVIII 58; E come fantolin che 'nver' la mamma, XXIII 121; E quale il cicognin che leva l'ala, Pg XXV 10, ecc.). Per questa via, ancor percorribile largamente, si giunge a concludere che le figure, più che di parole, di nessi semantici e d'immagini, sono costituite " di rapporti, giaciture, contatti " (Contini). Gli " echi di Dante entro Dante ", non tanto si ripetono e si riproducono " per eccitazioni " puramente verbali, " provenienti da oggetti affini ", ma si organizzano in figure ritmiche, o " astrazioni ritmiche ripetibili " in cui prevalgono, con pari rilievo, gli aspetti semantici e gli aspetti ritmici. Si pensi, ancora col Confini, alla memoria ritmico-timbrica e fonico-simbolica di schemi sintattici, al rinnovo degli attacchi di verso, o di " formule in rima, e cioè in una contingenza ritmica particolare e flagrantissima " (oppure alla Rhythmische Wortstellung della clausola con sostantivo in cesura: If XII 43 più volte il mondo / in caòsso converso, XIII 15, fanno lamenti / in su li alberi strani, ecc., o participio o aggettivo latinamente in fine verso: Pg XI 117 per cui ella esce de la terra acerba, XII 33 mirar le membra d'i Giganti sparte, XIII 96 che vivesse in Italia peregrina, If XIX 99 ch'esser ti fece contra Carlo ardito, ecc.). Un più ampio catalogo degli stilemi ci mostrerebbe che certi " valori puramente formali " e collocazioni sintattiche ricorrono identiche nel corso della Commedia. La ricorrente memoria, gli echi ritmici, le " identità di partizioni mensurali " (Contini) non sono però mera obbedienza a passività di schemi, quasi i versi fossero altrettante misure unitarie a sé stanti, astratti elementi musicali che imprigionano il poeta; ci mostrano la libera capacità inventiva dell'autore, e insieme la prevalenza del ritmo sulla semanticità, che è un carattere proprio della grande poesia.
4. Si sono ora notate alcune matrici interne o modelli in cui precipitano e si cristallizzano stilemi (non meccanici comunque, ma frutti consolidati di un abito ritmico personale).
Altro tipo di convergenza: l'immagine che, efficacemente, per una sorta di ‛ ritmo imitativo ', si sorregge su ritmi coerenti ad essa. Tale correlazione si è osservata atomisticamente nel verso singolo, al considerarlo catena di unità accentuatine binarie o ternarie (convenzionalmente chiamate giambiche o anapestiche).
L'endecasillabo di movimento anapestico, accentato sulla 4a, 7a, e 10a, si legherebbe nella Commedia a immagini di violenza, sforzo: batte col remo qualunque s'adagia, If III 111; graffia li spinti ed iscoia ed isquatra, VI 18; voltando pesi per forza di poppa, VII 27; forte spingava con ambo le piote, XIX 120; Così parlando il percosse un demonio, XVIII 64, ecc.; e ancora battiensi a palme e gridavan sì alto, IX 50; e ferì 'l carro di tutta sua forza, Pg XXXII 115; che con la coda percuote la gente, IX 6; oppure si accompagna a immagini di rovine, cadute: tal cadde a terra la fiera crudele, If VII 15; Ella ruina in sì fatta cisterna, XXXIII 133; ahi dura terra, perché non t'apristi?, XXXIII 66; e all'idea di movimento: sì come l'onda che fugge e s'appressa, Pg X 9; che mena il vento, e che batte la pioggia, If XI 71; pur come quella cui vento affatica, XXVI 87; ad azione rapida: ed el sen gì, come venne, veloce, Pg II 51; correndo su per lo scoglio venire, If XXI 30; di nere cagne, bramose e correnti, XIII 125; a rumori: Quella sonò come fosse un tamburo, XXX 103; o grida: quivi le strida, il compianto, il lamento, V 35; Così gridai con la faccia levata, XVI 76; però si mosse e gridò: " tu se' giunto! ", XXII 126; con particolari rilievi quando la prima parola del verso porta l'accento sulla prima sillaba: forte spingava con ambo le piote, XIX 120; folgore par se la via attraversa, XXV 81; pute la terra che questo riceve, VI 12; Buio d'inferno e di notte privata, Pg XVI 1.
L'endecasillabo giambico invece, con i cinque accenti sulle sillabe pari del verso, pare più acconcio all'idea di movimenti pacati: Di pari, come buoi che vanno a giogo, Pg XII 1; venendo teco sì a paro a paro, XXIV 93; a me che tutto chin con loro andava, XI 78; che giva intorno assai con lenti passi, If XXIII 59; de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti, VI 101; e piede innanzi piede a pena mette, Pg XXVIII 54; Allor si mosse, e io li tenni dietro, If I 136, ecc.; o per sottolineare anche la caduta, ma non precipitosa, o la rovina violenta, ma fatta di esaurimento interiore, e svenimenti (Frascino): E caddi come corpo morto cade, If V 142; e caddi come l'uom cui sonno piglia, III 136. Il Cesareo aveva a suo tempo già rilevato l'effetto dei versi ad accento sdrucciolo sulla quarta sillaba, che accompagnano " assai bene gl'impedimenti del pensiero, le titubanze dell'animo, le diversità del movimento "; e vedi mi rimanessero e chinati e scemi, Pg XII 9; Ed ecco piangere e cantar s'udìe, XXIII 10; ché quel può sorgere e quel può cadere, Pd XIII 142; che non paressero impediti e lenti, Pd VIII 24.
In effetti i versi imparisillabi (tra questi in maniera somma l'endecasillabo) offrono, rispetto ai parisillabi (che hanno in generale un ritmo fisso) possibilità di ritmo accentuativo molto vario (D., in VE II v ss., mentre dimostra la superiorità della canzone su sonetto, ballata e altri componimenti, giudica l'endecasillabo superbissimum carmen non soltanto per le sue possibilità semantiche, grammaticali e lessicali, capacitate sententiae, constructionis et vocabulorum [II V 3], ma innanzitutto per la sua durata ed estensione temporale, temporis occupatione. Ammettendo come subordinati il settenario e il quinario, riconosce l'eccellenza ai metri dispari; sono respinti i pari, ritenuti più facili e popolari). Oltre a varietà di incipit (giambico, anapestico, trocaico, dattilico), e varietà di clausole, l'endecasillabo gli permette varietà di spaziature interne. Quello petrarchesco pare snodarsi su una linea più melodica, priva di spezzature e varianti (normalizza l'accento di 6ª a preferenza di altri). Su contrasti spesso, non in rilievi di cadenze di un ritmo unitario (come in Petrarca, o com'era in parte nel D. stilnovista, con toni certo di maggiore arcaicità rispetto a Petrarca: cfr. CESURA) si muove l'endecasillabo della Commedia, in cui gli accenti intermedi di preferenza spiccano una battuta dall'altra (Casella): la perfetta saldatura tra i due emistichi dell'endecasillabo petrarchesco è in D. rotta spesso da aspre dialefi. Se l'endecasillabo petrarchesco è fortemente punteggiato " dagli accenti principali di quarta, ottava e decima o di sesta e decima ", in D. trova un rilievo particolare la pausa, cioè lo stacco tra parola e parola, che " assume un'importanza quale non avrà nei poeti posteriori, attesi a rinsaldare l'endecasillabo entro le battute degli accenti principali e a conseguire quella scioltezza e agilità di movimento, quella sonorità elementare e piatta " che sfocerà nel melodismo dei petrarchisti e nella " fuga verso l'esteriore " (Casella). In D. il ritmo sembra piuttosto portato, nella Commedia, dalle singole parole accostate e rilevate, che non permettono (se non raramente) di spaziare il verso secondo cesure canoniche (cfr. CESURA) ma che inducono a considerarlo piuttosto unità ritmica. (si pensi invece all'alternanza di tipo più meccanico che predomina nelle canzoni amorose - tipo l'endecasillabo cavalcantiano della canzone Donna me prega, e nei sonetti, - che è invece rara nella Commedia: cfr. CESURA; dove effettivamente, di endecasillabi con accenti di quarta e di ottava con spezzatura monotona come Siede la terra / dove nata fui // su la marina / dove 'l Po discende // per aver pace / co' seguaci sui, If V 97, non troviamo che esempi isolati, mai in serie come in quest'unico caso citato. È un tipo che nelle canzoni dottrinali e nelle ‛ petrose ' tende a scomparire: il trapasso tra gli emistichi si fa insensibile e il numero degli endecasillabi con accento sulla sesta più numeroso). Un'unità ritmica sui generis, in cui è rotta ogni larga cantabilità o " liquidità evocatoria " (Contini), per l'insistere su asprezze di pause e dialefi (come anche su dure sinalefi, tipo quella tra Filippeschi e uom, proprio a cavallo della pausa, nota Contini, in Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura, Pg VI 107); o per ritornanti urti di accento (anche dell'usus petrarchesco: ma in Petrarca sono espedienti, nota il Mengaldo, di raffinata varietas ritmica all'interno di un sistema che si fonda sull'alternanza di endecasillabi dalla equilibrata spaziatura d'accento: l' " andante ", osserva il Contini, è la " dominante ritmica " che prevale, e ammorbidisce urti o punte semantiche), cioè schemi accentuativi squilibrati e scontri di ictus. Nella Commedia, più che nelle Rime, sono introdotte le forti scansioni: si vedano i versi di tipo ‛ aberrante ' a doppio accento conclusivo su 9ª e 10ª (per apocope in nona sede), per es. in If XXII 103 per un ch'io son, ne farò venir sette, o Pg XX 21 come fa donna che in parturir sia (tant'è che per Pd XIII 126 gli accenti più canonici hanno fatto preferire li quali andaro e non sapëan dove, a li quali andavano e non sapean dove, della '21 e del Casella). Il tipo lo si è osservato associarsi (non casualmente) a immagini di sforzo, peso, caduta e simili: Che furo a l'osso, come d'un càn fórti, If XXXIII 78; Sovra tutto 'l sabbion, d'un cadér lénto, XIV 28; dicono e odono e poi son giú vólte, V 15; grave a la terra per lo morta gélo, Pg XII 30.
Ma più che il mero schema accentuativo nella metrica medievale e per D. conta il comporsi delle parole tant'è vero che D. - come anche gli altri teorici del tempo - nei momenti in cui si preoccupa di definire la propria ars, non definisce gli accenti, le cesure, ma - oltre ai modi, quali sonetto, ballata, canzone - la concursio verborum: Pazzaglia). Il ritmo non è dunque sentito tanto come il risultato della traccia lasciata da una determinata spaziatura di accenti, quanto la sequenza specifica di parole di differente spaziatura sillabica: vedi per es. quello battuto fortemente su parole tronche che irrobustiscono il verso (If XXXIII 4-5 Poi cominciò: / " Tu vuo' / ch'io rinovelli // disperato dolór, / che 'l cór / mi preme... "; e ancora Pd I 70 Trasumanar significar per verba, III 49 ma riconoscerai ch'i' son Piccarda; e altri in cui le parole tronche s'infoltiscono, insieme ai monosillabi, e procedono distinte e scandite: If I 102 verrà, che la farà morir con doglia, e 126 non vuol che 'n sua città per me si vegna, Pg I 109 Così sparì; e io sù mi levai, III 62 ecco di qua chi ne darà consiglio, Pd II 43 Lì si vedrà ciò che tenero per fede, I f III 33 e che gent'è che par nel duol sì vinta, Pd I 6 né sa né può chi di là sù discende, ecc.). D. conosce comunque, altrettanto spesso, le battute medie, sulle piane, che paiono rallentare il ritmo, come in If V 142 E caddi come corpo morto cade, Pd III 123 come per acqua cupa cosa grave, ecc.; ma anche in questi tipi spiccano in ogni verso non meno di quattro accenti ritmici, tutti rilevati, che distaccano i vari membri l'uno dall'altro, e martellano le parole. Accanto, abbiamo versi dove, di accenti, ne spicca uno solo: per es. il tipo con accento ritmico principale di 6ª su cui gravitano le cinque sillabe precedenti (folgoreggiando scénder, da l'un lato, Pg XII 27), appena trattenute da un accento secondario di 4a: al primo emistichio è impresso un movimento di discesa precipitosa, e il secondo travolge il verso in un rapido finale (Frascino). Varietà insomma, ricchezza, duttilità e maneggevolezza, conseguente alla capacità del poeta grandissimo di dominare sempre la propria materia.
5. Al di là del " piccolo ritmo " provvisto di singola capacità evocatoria (il cui isolamento, gravato di un'ipoteca musicale assimilabile al tipo fonosimbolistico già illustrato, può confortare estetismi frammentari, ed essere sviluppato con eccessi d'interpretazione; atomizzando versi singoli isoliamo immobili astrazioni sempre uguali a sé stesse) occorre tenere soprattutto in conto il " grande ritmo " della terzina (o della strofa: Pazzaglia). Il ritmo dantesco è composto d'insiemi, e concepito come immanente alla complessa rispondenza dei versi nella terzina (o nella strofa, se canzone: Pazzaglia): nella serie dei versi meglio, e più correttamente, ci è dato cogliere la correlazione tra mutamenti di tono, di situazione, e andamenti congruenti del ritmo. Occorre non ridurre l'esame del ritmo soltanto a sequenze foniche e rilievi accentuativi. Ritmo difatti è anche alternanza e contrasto all'interno del più ampio organismo delle terzine: a un discorso che procede entro la misura del verso, D. fa costantemente alternare o contrastare il susseguirsi di versi che scorrono oltre i limiti di esso, che poi s'interrompono in frangimenti minori, in più rotte cesure: cfr. If XXVII 36-57, indi i vv. 58-60 Poscia che 'l foco alquanto ebbe rugghiato / al modo suo, l'aguta punta mosse / di qua, di là, e poi diè cotal fiato. A cesure consuete si alternano, a contrasto, cesure inconsuete, a proposizioni polisindetiche si contrappongono, nella parte finale del canto, proposizioni asindetiche (e rimando al commento del Terracini appunto a If XXVII, all'analisi del contrasto anche ritmico delle terzine che precedono il rotto racconto del dannato sino ai versi finali in cui a più densa commozione corrisponde concentrazione in franti sintagmi di denso valore evocativo: dosso duro, foco furo, indi l'arresto sulla rima in rancuro).
La terzina dantesca è lo strumento narrativo più adeguato, nella sua serie concatenata, per legare con efficacia di relazioni prosodia e sintassi. In D. i rapporti ritmico-musicali sono parte integrante della sintassi del periodo; giammai un mero connettivo sonoro atto a sostituire lacune sintattiche. Si tratta certo di sintassi poetica, che gioca su spaziature, segnate da pause musicali' oltre che da espliciti nessi logico-subordinativi. Pensiamo alla pausa centrale (l'andamento del ritmo poetico si dispone in tensioni e distensioni di parti ascendenti o crescenti, e parti discendenti, o decrescenti, della frase) che, tra due periodi ritmici, segna il passaggio da una protasi (tesi) a un'apodosi (antitesi). Questo si rileva spesso nelle similitudini.
Vedi la pausa centrale in Pd XXXI 43-48 E quasi peregrin che si ricrea / nel tempio del suo voto riguardando, / e spera già ridir com'ello stea, // su per la viva luce passeggiando, / menava io li occhi per li gradi, / mo sù, mo giù e mo recirculando; la ripresa si regge su un ritmo ascendente che si appoggia su ogni sillaba; e, osserva il Casella, segue " una dialefe e una dieresi menava / ïo che stremano i legami di parola a parola, come per scioglierne anche il nesso sintattico, e obbligano a una scansione riposata infrenante il movimento del secondo emistichio. Da ultimo un endecasillabo a battute giambiche, che s'attenuano in un'ampia voluta ". Ma in moltissimi altri casi ancora è possibile cogliere pause centrali rilevate, che delimitano le stazioni ascendenti del ritmo (di varia o uguale ampiezza) dagli allentamenti delle riprese successive (cfr. per es. Pd XXXI 103-111, o XXIV 46 ss.). Una delle pause centrali, fondamentale e caratteristica del ritmo della terzina dantesca, è quella che " dopo l'accento di quarta, frange l'endecasillabo precisamente quando la linea melodica, più o meno tesa nella successione varia di endecasillabi a tesi e antitesi, accenni al riposo o vi s'" indugi " (Casella): cfr. If I 13-18 [...] guardai in alto / e vidi le sue spalle [...], Pd XII 91-96 [...] addimandò, / ma contro al mondo errante[...] (In tutta la Commedia " difficilmente si trova un lungo periodo ritmico dove a endecasillabi in serie di tesi e di antitesi, non segua la pausa dopo l'accento di quarta " [Casella]: cfr. Pg VIII 112-117, IX 52-57, 133-138, XXXI 1-6).
La terzina si presta a una gran varietà di ritmi, cioè agli amplissimi giri periodali e inarcature distese, come alle chiuse epigrafiche e sentenziose. Consente a D. sia la " lettura del fraseggio particolare " (Contini) insistita su quelle scansioni già osservate (la " sillabazione lapidaria " e il " piglio legislativo " della sentenza e dell'enunciato; i minimi, ma forti, squilibri e frangimenti, i contrasti interni al verso); e sia la distensione sintattica e narrativa, la lettura generale delle serie più ampie che scandiscono e rilevano, anche nel breve giro di tre versi, i singoli momenti delle immagini. Naturalmente anche qui s'impongono matrici e astrazioni ritmiche. Si è per es. notato, analizzando il rapporto in cui stanno i paragoni danteschi con la successione delle terzine, come la terzina cinga spesso il primo termine del paragone, e cinga il secondo: e ciò è segno della sua tendenza a essere in sé unità completa, e a scandire e rilevare l'immagine in ritmi uniformi.
Vedi Come li augei che vernan lungo 'l Nilo, / alcuna volta in aere fanno schiera, / poi volan più a fretta e vanno in filo, / così tutta la gente che li era, / volgendo 'l viso, raffrettò suo passo, / e per magrezza e per voler leggera, Pg XXIV 64 ss. (e cfr. per analogia i vv. 70-75, If II 127-132, VI 28-33). Il " ritmo chiuso " della terzina regge per es. il canto di Francesca; la poesia si svolge entro il giro delle singole terzine o dei periodi di due terzine, che si cingono quasi regolarmente di scansioni finali nell'ultimo verso (Caina attende chi a vita ci spense). O vedi il ritmo lento e spezzato che introduce, nel canto vi del Paradiso, alla vita solenne di Giustiniano, dove il canto è scandito in modo particolarmente marcato, e poi ogni terzina, col suo forte suggello, sta chiusa in sé, quasi un momento di questo tono solenne (vicino a' monti de' guai prima uscìo; e, sì cangiando, in su la mia pervenne; d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano). E quando Giustiniano incomincia la storia del santo segno, il tono solenne del " ritmo chiuso " Si fa ancor più serrato, e l'epicità si dispiega in toni trionfali: " ogni scansione finale della terzina è una scultura, e la storia dell'Impero romano si sviluppa attraverso successive scansioni " (Malagoli).
Altre volte domina invece, nei momenti descrittivi o ampiamente narrativi, un " ritmo aperto ": la catena di terzine si succede senza particolari scansioni, fra loro distinte e giustapposte. D. travalica continuamente lo schema della terzina: si veda per es. nell'episodio di Capaneo (If XIV 52 ss.) il ritmo sospeso che si protrae per ben otto versi, per poi concentrare tutto l'effetto sul nono; oppure l'indignazione di s. , Pietro (Pd XXVII 46 ss.) che si allarga nel giro di tre terzine. C'è chi ha fatto al riguardo precise statistiche (Lisio) allo scopo di stabilire la percentuale delle terzine organizzate in serie rispetto alla più piccola serie di endecasillabi staccati, che si accavallano verso per verso, nell'ambito di una stessa terzina, con effetto meno ampio, ma più serrato. In genere i periodi che tendono a chiudere in una sola terzina il pensiero hanno le rime vicine (a b a); con le rime del secondo verso scattano serie molto spesso triplici, soprattutto nei momenti di maggiore solennità (" Il metro di D. nei momenti più solenni è un metro triplice, di tre terzine separate e congiunte ": Fubini).
Pensiamo per contrappostò al piccolo mondo conchiuso dell'ottava, con rime alternate per sei versi, e i due ultimi a rima baciata, che suggellano il ritmo e segnano una marcata stazione obbligata del pensiero; la terzina invece è piuttosto tensione continua, provocata dalla ripresa dei versi e delle rime: non è unità isolata, ma s'innesta nel giro più ampio delle altre, " tende a moltiplicare se stessa con uno straordinario dinamismo " (Fubini) travalicando continuamente lo schema ternario.
Quanto alle suaccennate equivalenze verso-periodo e terzina-periodo, c'è chi ha notato differenze cospicue tra le Rime e la Commedia, oltre che nelle diverse cantiche del poema stesso. Il Lisio ha mostrato, con tabelle statistiche, che nelle ultime due cantiche sono più numerosi i periodi non finiti col verso: dall'Inferno al Paradiso cresce progressivamente la tendenza a far equivalere il periodo non più con il verso, ma con la terzina. Per il Lisio si tratta di crescente familiarità del poeta col suo metro; giustamente il Parodi ha aggiunto che qui conta anche la diversa materia. Dove predomina il racconto e la descrizione, è più facile la disposizione parallela in tre membri, dove invece prevale l'insegnamento dottrinale, il periodo prende un andamento più ampio e simmetrico.
6. Un discorso a parte merita l'andamento ritmico della prosa, già in parte studiato. Il Lisio vi ha ricercato ritmi poetici, constatando la ricchezza di versi nella Vita Nuova (più scarsi nel Convivio) e la frequenza di essi nella clausola. Il procedimento è parso non del tutto lecito (Parodi) perché né nella Vita Nuova né nel Convivio è possibile staccare " versi che si distinguano nel complesso della prosa e si propongano all'attenzione così da ritenersi sovrapposti all'oratio soluta " (Schiaffini). Gli andamenti del ritmo prosastico propri della poesia sono stati allora più correttamente ricondotti nell'ambito della ricerca dantesca di una dignità formale elaborata attraverso le forme della tradizione lirica più vicina: si pensi al tipico procedimento per " stazioni " del periodo, nella Vita Nuova, e allo " stile legato ": al narrare graduato in successioni, rispondenze e parallelismi che rendono a tratti il periodo ritmicamente uniforme, come se si trattasse di una successione di strofe (Terracini). Ma nella Vita Nuova l'andamento ritmico non rientra tanto nel modello della prosa ritmica latina: la proposizione ha un aspetto più statico, né si regge ancora su architettata compattezza di sintassi; il periodo si snoda per scomparti, rilevati dalla paratassi (in armonia a una forma più analitica che sintetica del pensiero), e si svolge sul gioco di ritmi ascendenti graduati, e costanti distensioni conclusive. Il modello è appunto un modello lirico: gli andamenti strofici difatti si fanno nella prosa più decisi in quei capitoli della Vita Nuova su cui gravita tutto il significato del libro (cap. XI, dedicato al saluto di Beatrice) e i versi vi si scorgono in numero più grande perché là vibra più intensa la commozione del poeta (Terracini). Povere di versi infatti sono le parti dell'operetta piuttosto dichiarative e freddamente espositive.
Anche nel Convivio sono state isolate ‛ strofe ' di canzone nel tessuto sintattico della prosa: v. l'analisi che il Parodi e lo Schiaffini hanno fatto di Cv II III 11 (Questo è lo soprano edificio del mondo, nel quale tutto lo mondo s'inchiude, e di fuori dal quale nullo è; ed esso non è in luogo ma formato fu solo ne la prima Mente, la quale li Greci dicono Protonoè) sottolineando la struttura del periodo diviso in due membri, e questi a loro volta suddivisi in altri cola più piccoli, armonizzati in una specie di chiasmo, con una cadenza ossitona nella prima parte che rima con la chiusa della seconda (il Di Capua ha anche rilevato in qualche periodo delle epistole costruzioni parallele che fanno pensare a strofe di canzone e di ballata). Altri equilibri ritmici si possono altresì indicare nel Convivio nelle armoniche rispondenze tra i vari membri subordinati delle frasi, che formano concatenazioni ritmiche ascendenti fino alla principale, cui segue una serie più breve di membri subordinati che " concludono con una concatenazione discendente, mentre ogni pausa, anche minore, è contrassegnata dalla clausola ritmica " (Segre). L'andamento del ritmo sintattico nel Convivio è stato analizzato con particolare attenzione dal Segre: egli ha individuato l'edificio del periodo in un nucleo ritmico e logico insieme, cioè nella forza accentratrice della proposizione principale incorniciata dalle secondarie: il ritmo della prosa obbedirebbe non tanto a suggestioni liriche di moduli poetici, quanto alla volontà di esprimere gradazioni di valori, simmetria di cose e di idee. Prevale nel Convivio la ricerca di ordine, chiarezza e simmetrie: vedi per es. il ritmo ascendente che concentra le linee di forza del discorso verso l'estremità di esso, per ovviare alla tensione che ne scaturisce (Segre). Certi tipi di giustapposizioni paiono obbedire al desiderio di scandire spazi logici del periodo. Anticipazioni di aggettivi, disposizioni chiastiche, prolessi, elementi ritardanti (parentesi, distinzioni), riprese anaforiche, sono costruite in funzione della disposizione delle parole, la cui collocazione e distribuzione obbedisce anche a intenzioni ritmiche. L'ordo artificialis non è vezzo ornamentale ma riproduce in sede stilistica procedimenti scolastici del ragionamento (anche per la poesia il Fubini ha osservato come il ragionamento scolastico sia una cosa sola col ritmo delle terzine). I parallelismi di proposizioni sintattiche analoghe rispondono a un desiderio di proporzione e di armonia: cioè a forte lucidità espositiva e capacità costruttiva. Al cospetto di un modello latino, l'edificio sintattico e stilistico del volgare è " per la prima volta fatto oggetto di uno sforzo organizzatore e unificatore " (Segre). Se nella Vita Nuova (e anche, in sede teorica, in VE II I 1) la prosa pare derivare dalla poesia, nel Convivio (cfr. I X 12-13) rima e ritmo sono considerati elementi sovrapposti a un linguaggio autonomamente armonico e maturo ormai, che può benissimo prescindere dalle accidentali adornezze ... cioè la rima e lo ri [tim]o e lo numero regolato (forma per altro ricostruita, portando la tradizione manoscritta la rima e lo rimato e lo numero regolato; la Simonelli, accogliendo una nota di Busnelli-Vandelli, espunge e lo rimato); spoglio degli ornamenti non connaturati all'espressione, il nuovo volgare prosastico può manifestare interamente la propria vertù. Corrispondenze e simmetrie (ripetizioni, allitterazioni, inversioni, clausole, ecc.), le adornezze insomma riconducibili ad abitudini di scuola o a precedenti teorici dell'arte retorica, non sono nel Convivio vuoto tecnicismo, segno di stanchezza inventiva, e fredda applicazione di formulismo scolastico, ma vengono a far parte integrante dello stile personale (Vallone). Il cursus ne è un chiaro esempio (uno degli elementi essenziali dello stile epistolare del Medioevo era appunto la cura della cadenza finale, del ritmo in clausola). Tracce di clausole finali arieggianti il cursus latino si possono rintracciare anche nella Vita Nuova (oltre che nelle opere latine); ma D. ha un senso troppo delicato del ritmo volgare per applicarvi pedissequamente le regole del cursus latino: la frequenza dell'avverbio in clausola, il gerundio narrativo che spesso si pone al limite estremo del periodo, suggerendo lievi rallentamenti ritmici su cui si adagia e si risolve il periodo (equilibrio, armonia, più che contrasto), l'ottenimento di clausole tramite libere collocazioni di parole, non dipendono che da un gusto educato alle cadenze della prosa latina (Terracini). Ma nelle varie clausole è difficile vedere l'attaccamento a questo o a quello schema, perché in D. non v'è pedanteria di umanista; come per ogni altra assunzione retorica, occorre tenere in colito costantemente l'intento di dare anche al volgare prosastico una dignità e una bellezza pari a quella del latino. Dal modello ritmico latino potrebbe per es. esser stato influenzato l'uso di anteporre nelle secondarie l'infinito al verbo servile da cui dipende (Vn XXVI 3 tanto che ridicere non lo sapeano), o nelle principali (XXIII 5 e vedere mi parta donne andare scapigliate). Ma anche la posizione finale del verbo, o il distacco dell'ausiliare dal participio, le correlazioni (chi... chi; uno... un altro; di quà... di là, ecc.), la collocazione dei sostantivi e dei verbi, la posposizione del verbo all'infinito, indirizzati in parte da una matrice latina, costituiscono a un tempo, in D., procedimenti ritmici autonomi: la disposizione e rotazione degli elementi sintattici si muovono in armonia al pensiero da esprimere, e obbediscono inoltre alla sensibilità dell'artefice cui preme conferire alla frase ondulazioni ritmiche prodotte dall'alternanza di vocaboli su cui con diverso peso si appoggia l'accento (Segre). Torniamo al discorso, già accennato per la poesia, sul parallelismo tra movimento del pensiero e movimento del ritmo, in quanto i valori ritmico-retorici nella prosa del Convivio coincidono con la cura posta dallo scrittore alla distribuzione, anche spaziale, della materia logica e sintattica (Segre). L'immagine si compenetra in un ritmo congruente alla sua descrizione.
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