DELLA MARRA (de Marra), Risone
Figlio di Angelo di Giovanni e fratello, molto probabilmente minore, di Giozzolino, nacque all'inizio del sec. XIII.
La famiglia, originaria di Ravello, si era trasferita, in data a noi sconosciuta, a Barletta dove, nel secondo decennio del secolo, il nonno del D., Giovanni, esercitava la mercatura. Il padre del D., Angelo, si era, poi, messo al servizio di Federico II, diventando uno dei principali funzionari finanziari del Regno: nel 1240 era stato nominato dal sovrano tra i primi tre maestri razionali. La famiglia era così entrata a far parte di quel ristretto gruppo di funzionari che si affermarono per le loro capacità durante il governo del monarca svevo e cominciarono ad assumere nelle proprie mani la gestione corrente del governo, soprattutto nel settore finanziario. Il D., al pari del fratello Giozzolino, seguì le orme del padre ed entrò nell'amministrazione sveva.
Le prime notizie sicure su di.lui lo indicano come secreto di Puglia nel 1264. Tenne questo ufficio fino al 6 marzo 1265 e successivamente, il 25 agosto, fu nominato da Manfredi secreto e maestro portolano di Sicilia, cariche che ricoprì dal 1° sett. 1265 al 3 maggio 1266 (le date sono state di recente precisate dal Kamp [Vom Kämmerer...] che ha corretto lo Stliamer [Aus der Vorgeschichte... secondo il quale l'incarico del D. avrebbe avuto termine tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo). La morte di Manfredi e la fine della dinastia sveva - che tanto aveva favorito i Della Marra e che da questi era stata tanto a lungo servita - non ebbero alcuna conseguenza negativa sulla carriera del D.: Carlo d'Angiò, infatti, volle mantenere al loro posto i funzionari di sicura esperienza e capacità, senza tener conto della loro fedeltà alla precedente famiglia regnante; dal canto suo il D. - al pari della quasi totalità degli alti ufficiali meridionali - passò al servizio del nuovo sovrano con il medesimo impegno che aveva dimostrato sotto il vecchio.
Il 10 dic. 1266 il D. fu nominato da Carlo I giustiziere di Terra d'Otranto, insieme con Berneto de Marsiliis. Fu poi di nuovo secreto e maestro portolano di Sicilia fino al 25 ag. 1269: il 25 maggio 1270 presentò il rendiconto della gestione di tali uffici svolta sia sotto Manfredi sia negli ultimi anni. Nel 1270-71 ricoprì la carica di maestro portolano di Puglia.
Numerosi sono i documenti che lo ricordano in questa veste. Nel novembre 1270 ricevette l'ordine di versare in varie rate al genero del sovrano angioino Filippo, imperatore titolare di Costantinopoli, la somma di 2.000 once d'oro che Carlo I gli aveva assegnato annualmente. In seguito, poi, alla rivolta di Durazzo contro la dominazione angioina, il D. provvide a mettere sotto sequestro, per rappresaglia, i beni dei mercanti durazzeschi che si trovavano nei porti pugliesi. Nel 1271 il re gli ordinò di destinare i beni sequestrati al risarcimento dei mercanti pugliesi che erano stati danneggiati dalla rivolta di Durazzo. Nell'aprile-maggio del 1271, inoltre, il re gli ordinò di non molestare le imbarcazioni dei templari e di rispettarne i privilegi; nel giugno gli inviò la medesima direttiva per quanto riguardava le navi dell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, alle quali, in particolare, dovevano essere riconosciuti i diritti concessi da Federico II nel porto di Barletta. Il 2 giugno Carlo I lo incaricò di svolgere una inchiesta per accertare la consistenza e la natura delle terre demaniali in Puglia. Il 6 giugno il sovrano gli ordinò di mettere Egidio di Spina nel possesso dei casali che gli erano stati concessi in feudo. Sempre nel mese di giugno fu autorizzato a concedere, dietro pagamento di uno "ius exiture", licenze di esportazione di prodotti agricoli dalla Puglia "praeterquam ad terras Paleologi" (I registri, VI, pp. 238 s.). Risulta, infine, che durante il suo incarico in Puglia il D. aveva assunto, in nome del re, il possesso delle terre del feudatario Ruggero Marimonte che era stato espropriato dal giustiziere della provincia per non aver partecipato alla spedizione angioina in Acaia.
Un documento del 21 ag. 1272 lo dice maestro portolano e procuratore dalla porta di Roseto al fiume Tronto (ibid., VII, p. 184) e un altro senza data, ma conservato in un registro contenente atti degli anni 1274-75, lo indica come secreto e maestro portolano di Sicilia (ibid., XII, p. 111). Era certamente maestro portolano di Puglia il 25 genn. 1276, quando Carlo I gli ordinò di non gravare "contra ius et licitum" i mercanti veneti (ibid., XIV, p. 69).
Il D. aveva, dunque, una lunga esperienza amministrativa, acquisita nella gestione di uffici provinciali, quando il 25 ott. 1277 fu nominato da Carlo I "receptor et conservator" del tesoro regio che era custodito a Napoli nel Castello di S. Salvatore a Mare, comunemente detto Castel dell'Ovo. Insieme con lui erano nominati tesorieri Guglielmo Boucel e Pierre Boudin: il D. era quindi l'unico italiano. Numerosissimi sono i documenti che lo indicano attivo in questo ufficio: ci si limita a ricordare che nel 1279 egli fu autorizzato dal re a farsi sostituire dai figli Guglielmo o Pietro durante le sue assenze da Napoli (fu, in effetti, sostituito da Guglielmo) e che nel 1280 venne confermato nella carica, insieme con il Boudin, quando nel luglio il sovrano nomino tesoriere Guglielmo Le Noir in sostituzione del Boucel che era morto da poco.
Il D. era ancora tesoriere nel giugno 1283. Tra il 17 e il 22 di questo mese il principe di Salerno Carlo, reggente in nome del padre, fece arrestare tutti i funzionari e consiglieri finanziari del Regno. Nella lettera inviata a varie comunità cittadine il 22 giugno il principe Carlo li accusava di essere i principali responsabili della crisi che era alla radice della rivolta dei Vespri, poiché avevano consigliato un incremento eccessivo dell'onere fiscale sulla popolazione. L'accusa riguardava i maggiori esponenti di quel ristretto gruppo di ufficiali e familiari regi che da anni dirigeva l'amministrazione finanziaria dello Stato: tra loro erano i Rufolo e i nipoti del D., Angelo, Galgano, e Ruggero, figli di suo fratello Giozzolino. Il D., invece, non era tra gli imputati: la sua posizione nel governo angioino, pur essendo elevata, non doveva essere tra le più influenti.
Il principe Carlo aveva ordinato gli arresti da Nicotera in Calabria, ove era giunto dopo la conclusione del Parlamento di San Martino. Il D. non aveva seguito la corte ed era rimasto a Napoli. Qui lo raggiunsero le notizie degli arresti dei suoi parenti e dei suoi amici; temendo di trovarsi coinvolto nell'azione del principe, fuggì dalla città con i figli. Non sappiamo dove si rifugiò. La sua fuga fu interpretata dal principe come una ammissione di colpevolezza: Carlo pose sotto sequestro tutti i beni del D., al pari di quanto aveva fatto con i patrimoni dei nipoti di questo.
Alla fine del 1283, tuttavia, il principe di Salerno riconobbe di non poter formulare alcuna accusa contro il D. ed i suoi figli: è probabile che fosse giunto a questa decisione anche grazie all'opera di Ciura Della Marra, moglie del nipote del D. Ruggero e figlia di Matteo Rufolo, la quale si andava muovendo con abilità e costanza in difesa dei suoi familiari. Il 21 dicembre con due distinti diplomi Carlo dichiarò l'innocenza del D. e dei suoi figli, consentì loro di rientrare in possesso dei beni sequestrati e dette ad essi piena quietanza per la gestione degli uffici che avevano ricoperto negli anni precedenti. In entrambi i diplomi il D. era di nuovo indicato con l'appellativo di "devotus noster": era stato, quindi, riammesso nella grazia del sovrano.
Questa sembra essere l'ultima notizia sul D., il cui nome non compare più negli atti della Cancelleria regia: sebbene riconosciuto innocente, non dovette più ricevere incarichi amministrativi.
Il D. si era sposato con Adelicia figlia di Guglielmo di Tricarico, appartenente ad una antica famiglia nobile di origine normanna (però un documento la dice figlia di Nicola de Serino: I registri, XV, p. 45). Ebbe quattro figli, Giovanni, Guglielmo, Pietro e Corrado, e due figlie, Albula e Chiarenza. Giovanni fu nominato nel 1269 connestabile di Troia e si sposò in quell'anno: era anche titolare del casale di Pleuto in Capitanata. Doveva essere già morto nel 1283, poiché il suo nome non compare mai tra quelli dei figli del D. indicati nei diplomi regi; era certamente morto quando la figlia Mabilia chiese al re il consenso per sposare Ugo de Fonseca (1285 circa). Guglielmo era signore di Roccanova e Sant'Arcangelo, aveva sposato una Adelicia di cui ignoriamo il casato e con lei custodiva nel 1282-83 il castello di Roseto e di Pietra di Roseto per conto del cugino Ruggero Della Marra. Guglielmo continuò a rimanere nascosto anche dopo il dicembre 1283; nel febbraio successivo, comunque, si rivolse al principe Carlo per ottenere la restituzione di una terra che, durante la sua assenza, era stata assegnata in giudizio ad altra persona; nel 1285-86, infine, ricevette dal re feudi in Basilicata e la licenza di combattere i nemici della Corona. Pietro risulta giustiziere di Capitanata nel 1271 e 1290. Le due figlie del D. si sposarono nel 1273: il 13 maggio il D. chiese il consenso regio per il matrimonio di Albula con Gramundino de Bazano e per quello di Chiarenza con Filippo di Ruggero Marimonte.
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