rischio ambientale
Andare d’accordo con la natura
Molti fenomeni naturali comportano il rischio di causare gravi danni e perdite umane: è questo il rischio ambientale. Ma i disastri naturali sono spesso agevolati, se non proprio causati, da un cattiva gestione del territorio da parte dell’uomo. Eppure si può ridurre il rischio associato a eventi naturali calamitosi, pianificando l’uso delle risorse e lo sviluppo urbanistico e industriale
Un cataclisma è un evento naturale catastrofico – un terremoto, un’inondazione, un’eruzione vulcanica, un ciclone, uno tsunami, una frana – che procura danni spesso drammatici: perdite umane, feriti, distruzione e danneggiamento dei manufatti. Le calamità causate da fatti naturali possono alimentare nell’uomo il pericoloso e antico pregiudizio che si tratti di eventi imponderabili. È comprensibile che questa errata convinzione abbia condizionato per lungo tempo il rapporto degli uomini con l’ambiente, perché le forze immani della natura possono risultare ciecamente devastanti; tuttavia non è più giustificabile oggi, in quanto la scienza fornisce strumenti per capire i fenomeni catastrofici e di conseguenza dà la possibilità di potersene difendere.
Nella maggior parte dei casi, un evento naturale che sprigiona una grande quantità di energia sulla superficie terrestre diventa catastrofico in termini di perdite umane e materiali perché le opere dell’uomo sono state costruite in modo inadeguato o collocate in luoghi non adatti. Il concetto di rischio ambientale è stato sviluppato proprio per evidenziare che un evento calamitoso è determinato dalla combinazione tra cause naturali e azione umana. Si potrebbe rappresentare l’affermazione precedente con la formula:
rischio = pericolosità X vulnerabilità.
La pericolosità rappresenta la probabilità che in un determinato luogo si manifesti un evento naturale potenzialmente dannoso di intensità e durata definite. Essa si ricava dalle conoscenze acquisite sul quel particolare fenomeno, applicate alla specifica situazione locale. Per esempio, nel caso dei terremoti, si studiano quali effetti di amplificazione potrebbe avere lo scuotimento dei terreni superficiali del luogo in esame, in rapporto alla distanza dall’area sismica più vicina.
La vulnerabilità costituisce invece la misura della capacità di una comunità umana, con i suoi aspetti economici e sociali, di fronteggiare i possibili eventi di massima portata che ricadano nel proprio territorio. Quindi non soltanto la verifica di come case, palazzi, industrie e infrastrutture possono sopportare gli effetti di un evento naturale potenzialmente dannoso, ma anche la valutazione dell’efficacia dei sistemi per il pronto intervento di soccorso.
La migliore strategia per rendere minimo il rischio ambientale è senza dubbio quella di ridurre la vulnerabilità. Con questo obiettivo si realizzano carte di rischio (sismico, idrogeologico, vulcanico) che permettono di suddividere il territorio in classi di merito.
Ne risulta un prezioso strumento sia per decidere dove e come pianificare in sicurezza lo sviluppo di nuovi insediamenti, sia per valutare gli interventi più opportuni per diminuire la vulnerabilità di quelli già esistenti.
Purtroppo questo buon modo di operare non è sempre praticato, specialmente nei paesi economicamente più deboli. Si spiega sostanzialmente così l’aumento negli ultimi decenni dei disastri cosiddetti naturali. La pressione dell’uomo sull’ambiente è notevolmente aumentata; spesso si sfruttano intensivamente territori e risorse, e si fanno scelte di sviluppo economico e industriale che aumentano l’esposizione alle calamità naturali. Questo è anche il caso del rischio associato ai cambiamenti climatici relativi al progressivo riscaldamento artificiale dell’atmosfera: per esempio, aumenta notevolmente la vulnerabilità di molte importanti aree costiere, minacciate di essere sommerse dagli oceani in seguito al loro innalzamento di livello causato dallo scioglimento dei ghiacci polari.