Rino Gaetano
GAETANO, Salvatore Antonio (detto Rino). – Nacque a Crotone il 29 ottobre 1950, secondogenito di Domenico e Maria Riseta Cipale. Trascorsa l’infanzia a Crotone, si trasferì a Roma nel luglio 1960, ricongiungendosi alla madre e alla sorella Anna (nata nel 1944) che vi si trovavano da marzo, per affrontare le cure legate ad alcuni problemi di salute della ragazza. A Roma frequentò il quinto anno delle scuole elementari in un istituto di piazza Sempione, vicino alla nuova casa della famiglia in viale Tirreno. Il padre aveva trovato lavoro come tuttofare in un albergo e la madre in una tintoria a pochi passi da casa, mentre Anna nel 1962 iniziò a lavorare in un laboratorio di alta moda francese in via Veneto. L’esperienza dell’emigrazione, latamente intesa come forma di esclusione o discriminazione sociale, fu poi sempre un tema forte nella scrittura e nella vocalità di Gaetano, in cui elementi vernacolari disparati si ritrovano, ad esempio, nella commistione delle «sue vocali aperte miste ai modi di dire di Roma» (Selvetella, 2017, p. 20).
Nell’autunno 1961 venne mandato dai genitori a studiare nel seminario della Piccola Opera del Sacro Cuore, una struttura di preti missionari di Narni che accoglieva ragazzi di famiglie umili, ai quali veniva offerta un’istruzione rigorosa. Risale a quest’epoca il primo interesse per la scrittura e gli elementi tecnici della poesia, stimolati dalla «scoperta del senso del paradosso e l’avvicinamento con la metrica che permeava normalmente i poemi e le poesie da studiare […] Componeva strani poemi ricalcando nelle rime le opere di Dante, Petrarca, Manzoni e altri, esternando sulla carta tutta una serie di visioni e immagini da cui non era esente l’influsso del seminario» (Di Marco, 2001, p. 18). Tra questi si può ricordare E l’uomo volò, un “poema lirico” del 1964 in cui compare il sintagma “Betta filava”, da cui trasse poi l’incipit per una delle sue canzoni più fortunate (Cotto, 2004, pp. 135-155). Aveva nel frattempo già manifestato la passione per la musica: nel 1962, in occasione di uno degli sporadici ritorni a casa, trovò ad aspettarlo una chitarra classica Eko su cui iniziò, da autodidatta, a imparare i rudimenti dello strumento.
Nel 1966, conseguita la licenza media, tornò a Roma e cominciò a frequentare un istituto tecnico per geometri nei pressi di via Cavour. Nel frattempo la famiglia si era trasferita in via Cimone, nella casa in cui Gaetano trascorse poi l’adolescenza. Con il ritorno a Roma iniziò a frequentare un gruppo di ragazzi che si ritrovavano in piazza Sempione, accomunati dalla passione per la musica. In questi anni Gaetano avviò l’attività teatrale, recitando la parte della Volpe di Pinocchio in uno spettacolo musicale per ragazzi, partecipando alla messinscena di Aspettando Godot di Samuel Beckett, lavorando alla messinscena di poemi di Majakovskij (Di Marco, 2001, pp. 22 s.; Selvetella, 2017, p. 20), nella scuola sperimentale di Marcello Casco, il quale ne intuì il potenziale; per i suoi spettacoli provò anche a musicare qualche testo: tentativi di cui non rimane traccia. Al 1967 risalgono i primi abbozzi di canzoni originali, documentati dai quaderni manoscritti: nella pagina di apertura del primo quaderno Gaetano riporta i nomi di Bob Dylan, Enzo Jannacci, Fabrizio De André, Adriano Celentano, i Gufi, Gian Pieretti, Ricky Gianco, i Beatles (Cotto, 2004, p. 54). Per quanto si evince dai frammenti pubblicati, per l’intero corso della sua produzione Gaetano continuò a riprendere elementi da questi quaderni , valendosene come di una riserva di materiali pronti all’uso. Intanto, afine decennio, la famiglia traslocò in via Nomentana 53: qui Gaetano continuò ad abitare con i genitori fino alla morte (1981). La madre accudiva alla portineria e all’amministrazione del palazzo, e la famiglia aveva in concessione un piccolo appartamento seminterrato. Il rapporto di Gaetano con il quartiere costituì sempre una presenza importante nella sua scrittura, anche nell’evocazione di luoghi tipici come il bar del “Barone”, punto di riferimento a Monte Sacro, menzionato nella canzone di apertura del primo disco, Tu, forse non essenzialmente tu.
Nei primi anni Settanta iniziò a frequentare coetanei come Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Giorgio Lo Cascio, che gravitavano intorno al laboratorio creativo del Folkstudio Giovani. Il locale romano, nel quale avevano mosso i primi passi i nuovi “pupilli” di Vincenzo Micocci, Venditti e De Gregori, fu teatro delle prime esperienze musicali di Gaetano. Già in questo contesto si percepiva chiaramente la sua alterità: «Non è un intellettuale, ha studiato ragioneria, proviene da un altro ambiente sociale e ha avuto una formazione culturale autonoma, quasi da autodidatta» (D’Ortenzi, 2007, p. 11). Ne parla in termini simili, ripercorrendo gli inizi del loro rapporto, lo stesso Micocci: «L’inizio con Rino fu molto stentato, perché lui si presentava più con i suoi spigoli che altro. Conobbi Rino con questi suoi aspetti spigolosi, come quelli cioè del suo primo disco, in cui parlava di operai e ferrovieri. Rino mi sembrò il primo cantautore proletario nel senso in cui lo intendeva Pier Paolo Pasolini. Perché altri, in fondo, come De Gregori, erano degli aristocratici» (Di Marco, 2001, p. 34). Con Venditti, in particolare, vi erano vari motivi di vicinanza: «entrambi sono cresciuti a Monte Sacro, immenso quartiere d’immediata periferia, […] entrambi sono tifosi sfegatati della Roma, si ritengono comunisti e amano la vita notturna» (Del Curatolo, 2019, p. 27). Va precisato che Gaetano risultava tesserato al PCI forse più per opportunità che non per un’adesione ideologica convinta; non vi sono comunque riscontri di una sua attività in seno al partito.
Continuava frattanto la passione per il teatro: il 20 maggio 1971 iniziò a collaborare con Maria Teresa Albani e la compagnia di teatro di strada dei Commedianti diretta da Gianfilippo Carcano, per realizzare uno spettacolo dal titolo Le creature di Proteo, ripreso nei mesi successivi in molte città (si ricorda in particolare una recita al Folkstudio il 4 luglio 1972). Alcuni biografi fanno risalire a questa fase anche i primi contatti con Nicola Di Bari, per il quale avrebbe poi scritto Prova a chiamarmi amore, Questo amore tanto grande e Ad esempio a me piace il Sud (Bizzarro, 2008, pp. 12 s.; Del Curatolo, 2019, p. 24; Di Marco, 2001, p. 28 s.). Altre considerazioni porterebbero a posporre di qualche anno questo rapporto: le canzoni in questione apparvero infatti tutte in un album del 1974 (Nicola Di Bari, Ti fa bella l’amore, RCA, TPL1-1104), lo stesso anno della partecipazione a Canzonissima (24 novembre) con Ad esempio a me piace il Sud. La seria intenzione del giovane di imboccare la carriera musicale trova conferma nell’iscrizione alla SIAE, presso la quale sostenne gli esami come paroliere (dicembre 1972) e come autore musicale (marzo 1973; Persica, 2017, pp. 87-89). Poco convinto di poter interpretare come cantante i propri brani, in un primo momento puntava ad affermarsi come autore, lasciando ad altri il compito di inciderli su disco (Cotto, 2004, p. 184).
È del 1973 il primo tentativo discografico, con il 45 giri I Love You, Maryanna / Jaqueline (It, ZT 7047), prodotto da Antonello Venditti, Piero Montanari e il fonico Aurelio Rossitto, con l’aiuto di Alessandro Centofanti alle tastiere. Sembra che fu Venditti a presentare Gaetano a Micocci, il dirigente della It – un’etichetta satellite della RCA, indipendente quanto alla gestione artistica – che curò negli stessi anni il lancio e la scoperta di molti cantautori. Il dettaglio biografico in questo caso rimane controverso: in diverse interviste Lucio Dalla ha raccontato di averlo presentato lui al discografico, mentre per Anna Gaetano sarebbe stato il paroliere e produttore discografico Sergio Bardotti. Il disco uscì sotto lo pseudonimo di Kammamuri’s e annunciava alcune coordinate stilistiche che sarebbero state fondamentali nella sua produzione successiva: il primo brano è una sequenza di brevi frasi in linguaggi maccheronici, nei quali il suono pare prevalere sul senso, mentre il secondo sembra fare il verso a Fred Buscaglione, mentre – nella sua qualità teatrale – rappresenta l’elemento più vicino all’esperienza artistica precedente di Gaetano, nutrita del teatro di Beckett, Eugène Ionesco e Jerzy Grotowski. Jaqueline era stata già incisa, ma mai distribuita, per un 45 giri della Bell Disc di Milano, insieme a La ballata di Renzo, canzone inedita poi divenuta celebre perché, con il protagonista investito da una macchina e respinto da diversi ospedali romani, sembrò profetizzare le tragiche circostanze della morte del cantautore (D’Ortenzi, 2007, p. 15; per una delle fonti manoscritte della canzone cfr. Cotto, 2004, pp. 80 s.).
Ai primi mesi del 1974 risale l’importantissimo incontro con Bruno Franceschelli, conosciuto attraverso la nipote al bar del “Barone” a Monte Sacro. Ci fu da subito un profondo rapporto di amicizia e collaborazione creativa: «il genio era lui e, se vogliamo, io ho avuto solo il pregio di averlo capito da subito, quando dal Barone sottopose alla mia attenzione quei foglietti scarabocchiati. Bastò un’occhiata, gli dissi: qui io cambierei questa parola, questa frase può essere diversa… mi chiese se l’indomani sarei stato libero. Iniziò un rapporto fraterno, prima ancora che una collaborazione artistica» (così Franceschelli, riportato da Del Curatolo, 2019, p. 34). Alla metà del 1974 risale il primo LP, Ingresso libero (It, ZSLT 70024), nel quale si approfondiscono e precisano le caratteristiche della scrittura di Gaetano: alla dimensione teatrale, al gusto per l’accostamento burlesco e paradossale di immagini, parole e suoni, si accompagna l’eco delle tradizioni del Meridione, cui il cantautore era sentimentalmente molto legato. A rafforzare questo interesse contribuì anche l’amicizia con Matteo Salvatore, il poeta contadino di Apricena, conosciuto frequentando l’ambiente del Folkstudio (Del Curatolo, 2019, pp. 31 s.). Ingresso libero permise inoltre di collaudare le sue personali modalità di scrittura e di lavoro in studio: Gaetano entrava in sala di registrazione con la chitarra e il quaderno di appunti, per poi sperimentare lì per lì soluzioni timbriche e musicali inconsuete direttamente con i musicisti e i tecnici del suono. Era essenziale, in questo processo, il bilanciamento tra la capacità di immaginare in modo preciso gli elementi essenziali dell’arrangiamento e la disponibilità a lasciare ai musicisti la libertà di contribuire secondo la propria sensibilità. Sebbene il disco presentasse indubbi motivi di interesse, le vendite non furono esaltanti; i risultati migliori furono ottenuti dal singolo Tu, forse non essenzialmente tu / I tuoi occhi sono pieni di sale (It, ZT 7057), che Renzo Arbore e Gianni Boncompagni inclusero nella trasmissione Alto gradimento (D’Ortenzi, 2007, pp. 22 s.).
I primi successi: Ma il cielo è sempre più blu e Mio fratello è figlio unico
Nei primi mesi del 1975 Rino Gaetano conobbe Amelia Conte, una studentessa di Legge incontrata tramite il comune amico Carlo Carcione: la compagna gli fu poi costantemente a fianco, fino al momento della morte (Lax, 2012). Carcione era un altro aspirante cantautore: nel 1973 aveva inciso sul lato B di un suo 45 giri un brano regalatogli da Gaetano e firmato con lo pseudonimo di “Bacom” (Carlo da Ragusa, Nella tua mente, Evelyn / Rubare un amore, Picci, LG 3018). Risale a questa fase la performance dal vivo di Ad esempio a me piace il sud, registrata il 20 aprile 1975 in occasione dei concerti organizzati da Micocci in accordo con Ennio Melis al teatro Trianon di Roma per la rassegna Domenica Musica, una serie di matinées con musicisti dell’ultima generazione e con un biglietto d’ingresso a prezzo popolare (ne rimane anche una testimonianza discografica: Trianon ’75: Domenica Musica. Proposta per un discorso attuale, RCA, TMC2 1178, 1975). Negli stessi mesi fu ultimata la registrazione di Ma il cielo è sempre più blu, il primo LP in cui Gaetano collaborò con alcuni musicisti “di fiducia” della It Records: Arturo Stàlteri, Gaio Chiocchio, Mauro Balestra, Luciano Ciccaglioni, Piero Ricci, Rodolfo “Foffo” Bianchi, Tony Formichella, Guido Podestà, Pierluigi Germini; il loro suono caratterizzò in modo determinante questo disco e i successivi.
A detta di Stàlteri, con la registrazione di Ma il cielo è sempre più blu si stabilì rapidamente un clima di collaborazione aperto e cordiale. Nel modo di lavorare di Gaetano colpiva la lucidità e la consapevolezza del risultato desiderato; aveva idee molto precise sulle parti spettanti ai vari strumenti. La messa a punto delle parti avveniva direttamente in studio, con l’autore che a volte cantava ai musicisti le rispettive linee affinché le imparassero dalla sua viva voce. Nel processo di realizzazione del disco un ruolo di primo piano spettava anche a Maurizio Montanesi, il fonico con il quale Gaetano lavorava a stretto contatto per tutta la fase di produzione, intervenendo sulla scelta dei timbri e sul bilanciamento generale del suono, una qualità essenziale per la riuscita complessiva del lavoro. La fase di mezzo della sua produzione discografica, difatti, dimostra una presenza sonora molto spiccata delle tracce vocali e strumentali, con una distribuzione stereofonica che pone in particolare risalto l’interazione tra i diversi strumenti e il canto. Quest’ultimo era registrato spesso in pochi takese generalmente in diretta, insieme agli altri strumenti, con il cantante posizionato in una cabina insonorizzata destinata in origine all’isolamento della batteria. Quanto al missaggio, Franco Pontecorvi riferisce che anche in questa fase dell’elaborazione del master discografico, in misura più marcata di quanto non succedesse di solito, veniva richiesta la collaborazione diretta dei musicisti per agire sul banco della regìa audio, trasformando anche questo passaggio in un momento di interazione creativa.
La versione discografica del singolo di lancio dell’album, una lunga versione di Ma il cielo è sempre più blu suddivisa sui due lati di un 45 giri (It, ZT 7060), cominciò a circolare prima nelle emittenti radiofoniche locali, poi in a livello nazionale, per essere infine presentata in televisione il 18 maggio 1975 nella trasmissione televisiva Angeli e cornacchie. Il successo del disco consentì a Gaetano di comprarsi la prima automobile, una SIMCA 1000 verde bottiglia, con la quale girò l’Italia nell’estate 1975 per onorare gli impegni dal vivo procuratigli dall’impresario Libero Venturi. In questa fase fu finalmente messo sotto contratto dalla It; l’accordo gli garantiva uno stipendio fisso, a confermare la fiducia di Micocci e lo status ormai raggiunto di cantautore. Poté così acquietare i timori del padre, al quale qualche mese prima aveva promesso che avrebbe accettato un posto in banca se non avesse ottenuto risultati significativi con l’attività di autore e musicista (Gregori, 2016, p. 58). Nell’ottobre 1975 avrebbe dovuto debuttare lo spettacolo di teatro-canzone Ad esempio a me piace…, scritto con Franceschelli, nel corso della rassegna “Centrale Bum Bum” organizzata sotto la direzione artistica di Maurizio Costanzo al teatro Centrale di Roma, in piazza del Gesù. Il lavoro, sebbene non abbia mai visto la luce, permette di evidenziare come in realtà l’interesse per il teatro, che fin dai vent’anni lo aveva attratto sul palcoscenico, fosse ancora vivo. Lo spettacolo si ispirava al lavoro di Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci, nel tentativo di coniugare i linguaggi espressivi dell’azione scenica e della parola recitata e cantata (alcuni estratti sono pubblicati in Cotto, 2004, pp. 173-176).
Mentre proseguiva la preparazione del nuovo album e veniva messo in cantiere un nuovo tour con Venditti, l’attività di autore ‘di scuderia’ per la It si confermò con la pubblicazione di Sandro trasportando (musica di Gaetano, parole di Eugenio Gadaleta, cantante la moglie di questi, Carmelita). Il singolo (Sandro trasportando / Naufragio a Milano, testo di Paolo Conte; It, ZT 7063) seguiva l’uscita del loro primo (e unico) LP. Nell’aprile 1976 fu la volta di un nuovo singolo di Gaetano, Mio fratello è figlio unico / Berta filava (It, ZT 7064), che anticipava altri due brani del suo prossimo album, pubblicato di lì a poche settimane. A maggio uscì su Ciao 2001 una lunga intervista a firma di Enzo Caffarelli, introdotta da una lusinghiera recensione che descriveva un disco «decisamente più maturo e personale del precedente. Rino è una figura atipica: la difficoltà di trovare modelli a cui avvicinarlo, correnti in cui inserirlo, è il miglior complimento che gli si possa fare» (Caffarelli, 1976). Grazie all’effetto trainante del successo estivo di Berta filava, Mio fratello è figlio unico entrò nella classifica degli LP più venduti pubblicata da Ciao 2001 nell’agosto 1976, insieme a titoli quali Buffalo Bill di De Gregori, La batteria, il contrabbasso, eccetera di Lucio Battisti, Via Paolo Fabbri 43 di Francesco Guccini e Amigos di Carlos Santana (Di Marco, 2001, p. 69). Per il tour promozionale la It optò per un accostamento eccentrico: all’esibizione solistica di Rino seguiva quella del gruppo del contrabbassista Giovanni Tommaso, i Perigeo. Forse stimolato proprio da quest’esperienza, nel 1976 iniziò la collaborazione dal vivo con un’altra band orbitante nell’ambiente della It, i Crash (Claudio, Fabrizio e Gildo Falco, Pino Scannicchio, Mario Achilli), con i quali lavorò stabilmente almeno fino al 1978.
Nella prima parte del 1977 l’attività di Gaetano fu completamente assorbita dai lavori per il nuovo album, che avrebbe preso il nome dalla prima traccia, Aida (It, ZPLT 34016). Fu realizzato appoggiandosi a Foffo Bianchi quale responsabile dello stesso gruppo di musicisti che già avevano lavorato al disco precedente, e a Ruggero Cini come arrangiatore. Ricorda Luciano Ciccaglioni: «Rino non era uno pignolo, ma a volte aveva delle proposte ben precise. Per questo era nato un team definito, composto da una chitarra ritmica e un arrangiatore, secondo i pezzi. Era un lavoro di collaborazione. Un lavoro in fondo leggero e divertente, perché la giornata passava in fretta. Rino aveva degli spunti. Creandosi questo confronto costruttivo su tante cose, si lavorava agevolmente» (Di Marco, 2001, p. 74).
L’album costituisce probabilmente il più cospicuo precipitato dello stile del cantautore nel periodo di più limpida creatività: vi si ritrova «il segreto di quel nonsense che si accosta con facilità al nome di Rino Gaetano, uno scarto logico incomprensibile all’apparenza, che invece ha fili invisibili che legano un testo all’altro con estrema naturalezza» (Selvetella, 2017, p. 43). A questo atteggiamento estetico contribuisce anche la scelta, nei primi tre album, di accompagnare al disco surreali note di copertina con cui Gaetano si faceva beffe del linguaggio delle istituzioni, della religione, della politica, del giornalismo e della burocrazia; proprio lui, così sensibile alla parola, sembrava stigmatizzare in tal modo l’uso discriminatorio della lingua da parte di politici, industriali, giornalisti e intellettuali. Come dichiarò in un’intervista a Ciao 2001 nell’agosto 1977, cifra della sua scrittura era proprio la tensione verso un tipo di espressione piana, quotidiana: «bisognerebbe sforzarsi, sempre usando un linguaggio letterario da canzone, di far combaciare quello che si scrive con quello che si dice» (Caporale, 2001). O ancora, come dichiarò a proposito di canzoni come Berta filava o Glu glu, in cui la consequenzialità logica era messa tra parentesi in favore di un fluire libero di immagini e sintagmi: «erano senz’altro elementi di dispersione per un discorso che ora mi sento di affrontare meglio. Si tratta sempre di ironia, ma questa volta deve arrivare sempre e con precisione. La parola d’ordine è evitare i vicoli ciechi» (Sisto, 1977).Vennero estratti due singoli dall’album: curiosamente entrambi avevano Aida sul lato A, mentre sul lato B vi erano due pezzi dal carattere molto diverso, Escluso il cane (It, ZBT 7078) e Spendi spandi effendi (It, ZBT 7081). Il riscontro del pubblico fu notevole: le vendite dell’LP arrivarono in pochi mesi a 50'000 copie (D’Ortenzi, 2007, p. 74). Durante l’estate Gaetano fu molto attivo negli spettacoli dal vivo, consolidando il rapporto con i Crash, per i quali aveva nel frattempo prodotto un singolo (Meditation / Ekstasis, Valiant, ZBV 7073) e scritto il testo della canzone Marziani noi.
Le registrazioni di questi anni (ad esempio quelle realizzate a San Cassiano in Alta Badia nel 1977) restituiscono l’impressione di un performer perfettamente in grado di controllare e usare gli elementi più “sporchi” della propria vocalità per enfatizzare una personale commistione tra i tratti tipici della canzone italiana e quelli della tradizione blues e rock. Tra gli interventi parlati che intervallano le canzoni spicca la presentazione di Berta filava, una canzone dedicata «a questi grossi personaggi enigmatici del mondo politico… e di altri mondi anche». Il tema della distanza del cittadino dalla politica, della sensazione da parte degli individui e delle frange sociali più deboli di essere abbandonati dalla classe dirigente, fu un’istanza sempre ben riconoscibile nella scrittura di Gaetano, riconducibile probabilmente alla condizione di isolamento che caratterizzò l’intera sua vicenda umana e artistica. Il 19 agosto fu ospite di Gino Paoli nella trasmissione del Secondo Canale Auditorio A: si presentò con un casco coloniale e una pistola della benzina per cantare Spendi spandi effendi e Aida, dopo essere stato introdotto dallo stesso Paoli come «l’erede di un certo tipo di nonsense, di marinetterie, del surrealismo più antico».
Il 1978 si aprì con la partecipazione al XXVIII Festival di Sanremo. Gaetano cantò Gianna, brano che attirò gran parte dell’attenzione del pubblico e della critica: si classificò terzo, dopo i Matia Bazar e l’esordiente Anna Oxa, ma fu il trampolino per raggiungere una piena visibilità nazionale. Con questa apparizione si fissò uno degli elementi che segnarono poi la futura memoria dell’immagine di Gaetano e la resero ancor più iconica, ovvero il cappello a tuba con cui lo si vede spesso ritratto su copertine di dischi e libri, nelle illustrazioni degli articoli a lui dedicati, nei materiali audiovisivi d’archivio. Nel tentativo di spiegare ai giornalisti in sala stampa il proprio approccio, il cantautore richiamò la necessità di sfruttare uno «spazio di tre minuti per fare un discorso che normalmente fai in uno spettacolo di due ore. Così devi trovare un sistema. Da parte mia, ho scelto la strada del paradosso, un po’ alla Carmelo Bene» (Del Papa, 2015).
Il ritratto di Gianna, del suo pragmatismo popolare che la conduce a non credere a «canzoni o UFO» ma si traduce in «un fiuto eccezionale per il tartufo», è tutta giocata sul doppio senso a sfondo sessuale senza mai scadere nel volgare o nel pruriginoso. In questo modo si presta anche a una lettura più profonda, nella quale la protagonista diventa metafora della morale di un Paese che a qualsiasi costo «difende il suo salario dall’inflazione» mentre si nasconde dietro a una successione di frasi fatte che, proprio nella loro ripetizione ciclica nel corso del ritornello, dimostrano una insanabile vacuità. Il 26 febbraio il singolo della canzone (It, ZBT 7086, sul lato B Visto che mi vuoi lasciare) entrò nella classifica della rivista Ciao 2001 alla ventinovesima posizione, per arrivare al primo posto il 19 marzo e rimanere in vetta fino a giugno, vendendo in pochi mesi circa 600'000 copie (D’Ortenzi, 2007, p. 93). Insieme agli ottimi riscontri ottenuti dal 33 giri uscito qualche mese dopo, Nuntereggae più (It, ZPLT 34037), fu la definitiva consacrazione di uno stile che arrivava a un pubblico di massa proprio perché affrontava le criticità politico-sociali del momento con uno sguardo disincantato, dissacrante e leggero ma non per questo meno corrosivo. Lo faceva senza i gravami retorici dell’“impegno”, caratteristico dei cantautori più politicizzati dello stesso decennio, come ad esempio nell’impietoso ritratto di un’élite culturale e politica sclerotizzata nel desiderio di autoconservarsi, consegnato alle atmosfere giocose e solari di Nuntereggae più. Anche in questo modo Gaetano riconfermava, rispetto al contesto musicale coevo, un'alterità che scaturiva da una ricerca personale e dall’esigenza di mantenere il contatto con quel mondo popolare dal quale proveniva e che costituiva anche l’orizzonte della sua poetica.
Le vendite dell’album assommarono a poco meno di 400'000 copie nel corso dell’estate-autunno 1978, grazie anche alla partecipazione alla serata finale del Cantagiro e al piazzamento di Nuntereggae più tra le vincitrici della competizione itinerante estiva Disco Mare. La finale fu nella Valle dei Templi il 22 agosto: la serata fu trasmessa in diretta dalla RAI, ma, a seguito della richiesta di sostituire la sua canzone con una meno “politica”, il cantante decise di rinunciare alla partecipazione. Si ripropone qui la distanza e l’isolamento di Gaetano tanto dai mezzi di comunicazione mainstream, che ne sfruttavano la presenza per le capacità affabulatorie e l’apparente leggerezza, quanto dal discorso più militante della critica musicale e dell’ambiente cantautorale. A fronte dell’episodio appena rievocato è indicativo che nelle recensioni del disco uscite su riviste quali Ciao 2001 o Nuovo Sound, il lato satirico e corrosivo della scrittura è ignorato o derubricato a semplice nota di sapore macchiettistico (Gregori, 1978; Sisto, 1978). Analoghe considerazioni emergono dalla visione retrospettiva di tre apparizioni televisive di quel periodo, nelle quali Gaetano si trova a confronto con personaggi importanti dell’establishment radiotelevisivo e musicale. A Discoring, al cantautore che rapportò il proprio gusto per il nonsense ai suoi precedenti teatrali, Gianni Boncompagni rispose con sufficienza, ai limiti del paternalistico («io eviterei queste citazioni così imponenti… Ionesco, Majakovskij, comunque…»). Nell‘annunciare la sua performance ad Acquario, Maurizio Costanzo lo presentò all’altra ospite della trasmissione – quella Susanna Agnelli menzionata anche nel testo di Nuntereggae più – come «un cantautore che fa canzoncine ironiche, così, scherzose, scanzonate […] che si dedicherà prossimamente a mettere in musica forse le Pagine Gialle perché fa degli elenchi di nomi». Infine, a 10 Hertz, l’accenno di satira sociale nel definire l’Italia un paese ‘divertente’ fu immediatamente rintuzzato da Gianni Morandi; a Gaetano, che diceva «io conosco anche il profumo dei ministri», Morandi rispose: «Lo sai che qui non possiamo parlare dei ministri, dobbiamo parlare solo di canzoni». Il dato comune che si trae dalla visione di questi documenti, specie se considerati quali indicatori della reputazione di Gaetano e della sua arte, è il ritratto di una figura che faceva fatica a inserirsi nel discorso culturale del momento, risultando allo stesso tempo troppo profondo per il mainstream e troppo leggero per il pubblico più militante.
Nonostante queste difficoltà, il favore momentaneo del pubblico incoraggiò la RCA a investire su Gaetano anche in prospettiva internazionale. La sua presenza a 10 Hertz era legata alla presentazione di Corta el rollo ya, la versione spagnola di Nuntereggae più (traduzione di Lope de Toledo), distribuita come singolo sul mercato internazionale in ottobre (RCA, PB-6251). Fu il primo tentativo di esportare la musica di Gaetano, mentre in Italia la testimonianza del successo discografico venne suggellata dalla pubblicazione dell’antologia Ad esempio… nella serie Tre della It Records (ZNLT 33061). L’album contiene una scelta della produzione precedente alla partecipazione al Festival di Sanremo e include la versione originale di Ma il cielo è sempre più blu della durata di oltre otto minuti, originariamente pubblicata solo sul 45 giri del 1975.
Chi prese molto sul serio Gaetano fu Enzo Siciliano («in tutto e per tutto compresso nella musica di Rino», a detta di Gregori, 2016, p. 140). Lo scrittore e critico letterario, poi divenuto presidente della RAI, lo volle intervistare il 15 luglio 1978 nella trasmissione radiofonica Quadernetto romano. Cercò di approfondire il metodo di scrittura di Gaetano muovendo da una lunga discussione su Nuntereggae più, definita una «specie di catalogo, così fatto, sembrerebbe, per pure associazioni, ma poi invece non si tratta di pure associazioni, un filo logico c’è»; dal canto suo Gaetano la ricondusse a un collage, risultato di un lavoro di sintesi della realtà quotidiana e della sua personale interpretazione dello scenario politico e sociale. Un’operazione di cui viene ribadita la finalità legata essenzialmente all’intrattenimento, a dipingere un ritratto della realtà ben separato da qualsiasi istanza ideologica: «io sono uno che sta nel bar e guarda la gente che gli sta attorno, io non faccio commenti politici. I miei commenti politici li faccio quando sono un maschietto, così, che va a votare, oppure che si interessa di politica, che frequenta delle associazioni politiche».
Sul versante discografico si era nel frattempo preparato il passaggio alla RCA, la casa madre che distribuiva i dischi della It. L’approdo a una realtà produttiva più grande, se da un lato determinò un investimento più sostanzioso sulla realizzazione dell’album successivo, dall’altro segnò il temporaneo allontanamento dai musicisti con i quali Gaetano aveva lavorato fin dal successo di Ma il cielo è sempre più blu. Le registrazioni per Resta, vile maschio, dove vai? (RCA, PL 31449, 1979) si tennero tra febbraio e marzo 1979 a Città del Messico – la RCA vi aveva appena aperto dei nuovi studi che voleva pubblicizzare con produzioni di personaggi sulla cresta dell’onda (Montanari, 2017) – e a Miami, con un team che comprendeva il produttore Giacomo Tosti oltre gli arrangiatori Alessandro Centofanti e Jonathan Zarzosa, con l’apporto di musicisti e tecnici locali. Il disco si discostava dal passato anche per un altro fattore: per la prima volta Gaetano interpretò, nella title track, una canzone su testo di un altro autore (Giulio Rapetti alias Mogol; all’epoca il suo sodalizio con Battisti era già in crisi). Il brano nacque da un loro incontro nelle sale di quel laboratorio creativo che era il Cenacolo della RCA al numero 111 di via Nomentana a Roma, «dopo una partita di tressette e qualche bicchiere di Frascati» (Di Marco, 2001, p. 109). La canzone colpisce per il timbro vocale, decisamente più morbido dell’abituale, e per i parallelismi con diversi tratti della già ormai classica produzione precedente di Mogol, quali 7 e 40 o i triangoli amorosi di Non è Francesca, 29 settembre, Innocenti evasioni, in una riscrittura qui più sorniona e ironica. Tali discontinuità nella scrittura come nella produzione furono cruciali per un risultato finale che valorizzava soprattutto «la parte musicale, mentre la parte letteraria, che in passato nasceva contemporaneamente o, a volte, anche prima della parte musicale, qui nasce spesso in un secondo momento rispetto alla musica» (Bizzarro, 2008). In termini commerciali, l’esito complessivo dell’album sconfessò tuttavia le scelte compiute dalla RCA: il disco vendette meno di 200'000 copie, meno della metà del precedente (Del Curatolo, 2019, p. 78). Conferma una strategia di promozione non ottimale dell’album il fatto che il brano di maggiore successo fu la canzone posta sul lato B del singolo di lancio, Ahi Maria, il cui stile risente in maniera smaccata delle sonorità latinoamericane mentre il testo celebra in maniera scherzosa la figura della madre. La stabilità economica e l’affermazione culturale erano acquisite, ma la vena del musicista fu giudicata meno lucida e vivace rispetto ai dischi precedenti (D’Ortenzi, 2007, pp. 118 s.).
Dopo l’inverno speso a lavorare su Resta, vile maschio, dove vai?, l’estate 1979 fu dedicata a un tour estivo, partito da Rimini il 5 luglio. Gli spettacoli vedevano sul palco una band composta da Massimo Buzzi alla batteria, Nanni Civitenga alle chitarre, Montanari al basso (Montanari, 2017) e venivano realizzati da una squadra di una dozzina di persone tra musicisti, fonici, attrezzisti, assistenti. Diversi testimoni riportano una dichiarazione che il cantante avrebbe reso in uno di questi concerti (ma ci sono attestazioni divergenti riguardo al luogo e alla data in cui sarebbero state effettivamente pronunciate): «C’è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio, io non li temo, non ci riusciranno. Sento che in futuro le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni, che grazie alla comunicazione di massa capiranno cosa voglio dire questa sera, capiranno e apriranno gli occhi, invece di averli pieni di sale, e si chiederanno cosa succedeva sulla spiaggia di Capocotta!» (Gaetano faceva qui riferimento allo scandalo politico innescato da un fatto di cronaca nera, la morte della ventunenne Wilma Montesi, trovata cadavere sulla spiaggia di Capocotta, a Torvaianica presso Roma, il 9 aprile 1953). Chi ha poi voluto leggere in queste parole il presagio di una morte non propriamente accidentale ha avuto gioco facile; d’altro canto, gli espliciti riferimenti alle proprie canzoni e il tono enfatico possono anche essere letti in senso autoironico, tanto più se si pensa al generale scetticismo di Gaetano circa la possibilità che un cantautore possa proporsi come punto di riferimento politico o sociale (il riferimento a Capocotta viene ripreso anche in un aneddoto del 1978 raccontato da Gregori (2016, p. 145), in cui il cantante si schermiva dal ruolo di maître à penser attribuitogli da taluni ammiratori dopo il successo di Sanremo). Che il cantautore stesse sviluppando una certa insofferenza nei confronti del mondo dello spettacolo e delle sue convenzioni, lo si intuisce anche da un altro episodio, avvenuto nel corso della serata finale della rassegna “Discoestate”, a Rieti: durante la sua esibizione, prevista in playback, Gaetano si rifiutò di mimare la performance vocale e si limitò a fumare una sigaretta sul palco (Del Papa, 2015).
Sotto il profilo discografico il 1980 fu segnato soprattutto dalla collaborazione con Giovanni Tommaso. La prima uscita dell’anno vide Gaetano impegnato nella trasposizione di Alice nel paese delle meraviglie firmata dai Perigeo Special (in Alice, RCA, PL 31470, canta nella traccia Al Bar dello sport insieme a Maria Monti e nella traccia finale, Confusione, gran confusione). Dal canto suo, Tommaso lavorò come arrangiatore per l’ultimo disco di Gaetano, E io ci sto (RCA, PL 31539). Ancora oggi Tommaso ricorda di essere rimasto colpito dalla grande professionalità del cantautore, insieme alla capacità di mettere immediatamente a fuoco il proprio apporto creativo e interpretativo, tanto nei pezzi suoi quanto in quelli altrui. Pur se inserito in un ambiente di alto livello dal punto di vista tecnico e creativo, in questo periodo il cantautore subì una impasse dal punto di vista della scrittura – diverse fonti biografiche e orali la testimoniano – che si tradusse nella travagliata gestazione di molte tracce dell’album, a iniziare dalla title track, che occupò un’intera giornata di tentativi andati a vuoto prima di trovare una configurazione stabile, ritenuta soddisfacente.
L’album vide il ritorno di Montanesi in cabina di regìa, anch’egli testimone di un’atmosfera nello studio meno allegra e spensierata che in passato (Di Marco, 2001, p. 118). Sguardo e tono delle canzoni erano mutati: i testi sono animati da uno spirito di critica sociale diretta, senza metafore, e il cambiamento è sottolineato anche da un lieve spostamento a livello stilistico. Come spiegò l’autore a Domenica In, ospite di Pippo Baudo: «Diciamo che è un viaggio, un viaggio un po’ rock un po’ ritmico attraverso l’Italia, quest’Italia che tutti quanti forse si ha voglia di cambiare» (Del Curatolo, 2019, p.80). La differenza con i lavori precedenti viene confermata da uno dei più lucidi narratori della vita di Gaetano, l’amico giornalista Enrico Gregori: il concetto centrale dell’album, nelle intenzioni di Gaetano, puntava a esprimere una “rabbia” che prima di allora non era emersa (2016, pp. 165-167). Anche la fortuna del disco fu contrastata: su Ciao 2001 un recensore parlò di «un’infinità di cartucce la maggior parte delle quali non vanno però a segno» (D’Ortenzi, 2007, p. 150).
L’8 giugno 1980 andò in onda sul Secondo canale Il favoloso Fred, uno show interamente dedicato a Fred Buscaglione: Gaetano partecipò con una sua versione de Il Dritto di Chicago, rendendo omaggio a una delle figure che più ammirava nella musica italiana del recente passato. Le vendite di E io ci sto furono ancora inferiori a quelle del disco precedente; per tentare un rilancio, la RCA organizzò una tournée insieme ai New Perigeo e Riccardo Cocciante. La formula prescelta fu battezzata “Q concert”: consisteva in uno show durante il quale i musicisti alternavano momenti solistici all’esecuzione di brani in collaborazione, nell’intento di rafforzare a vicenda la propria visibilità (un primo esperimento aveva coinvolto Ron, Goran Kuzminac e Ivan Graziani). L’operazione può essere letta alla luce di altri simili accostamenti tra cantautori e band di ambito rock o progressive, sulla falsariga di quanto già successo per Guccini con i Nomadi, De André con la Premiata Forneria Marconi, Dalla con gli Stadio (Selvetella, 2017, p. 81). Per l’occasione Gaetano, Tommaso e Cocciante scrissero la canzone Insieme e si cimentarono con una cover di Imagine di John Lennon. L’operazione, al di là delle finalità commerciali, venne presentata dal cantautore alla stampa nei termini di una sfida stimolante; si trattava infatti di «uno spettacolo nel vero senso della parola; per noi è una sensazione nuova, personalmente devo dire che non la provavo da parecchio tempo, mi ha permesso anche di accorgermi dei miei errori: suonando da solo ti vizi, non sei mai obiettivo» (cit. in Persica, 2017, p. 263). Diverso è il ricordo di Franceschelli, che assistette al concerto inaugurale del tour al teatro Tenda di Roma e ricorda un Gaetano impacciato, non a proprio agio (in Di Marco, 2001, pp. 126 s.). A questo si aggiungeva la preoccupazione per il padre, entrato in coma nel febbraio 1981: al suo capezzale il cantautore si recava ogni volta ch’era libero da impegni di lavoro.
Dal tour con i Perigeo e Cocciante fu tratto un disco dal vivo, Q concert (RCA, PG 33417), che comprendeva pezzi inediti, pezzi noti, cover: «si mise in moto un carrozzone eterogeneo, forse troppo, che non esaltò più di tanto la critica» (Gregori, 2016, p. 180). L’uscita fu assemblata a partire dai materiali registrati con lo studio mobile a 24 piste della RCA il 4 e il 5 marzo 1981, rispettivamente a Novara e Pistoia (Di Marco, 2001, p. 130). Va detto che il formato con cui fu commercializzato il disco non favorì la riuscita dell’operazione: la serie dei “Q disc”, album a 33 giri contenenti quattro-cinque canzoni (la prima uscita era stata Quattro canzoni di Mimmo Locasciulli, RCA, PG33403, 1980), non ebbe grande fortuna. Nonostante il limitato riscontro dell’iniziativa, al termine del primo tour la casa discografica ne stava già preparando un’altra simile: questa volta a Gaetano e ai New Perigeo si sarebbe affiancata Anna Oxa, della quale sono rimaste alcune registrazioni, poi pubblicate postume, di un arrangiamento a due voci de Il leone e la gallina di Battisti, Ad esempio a me piace il Sud e dell’inedito Quando il blues arrivò da me. Nel maggio 1981, mentre al Cenacolo e nella villa che il cantautore aveva acquistato a Mentana l’anno precedente (pur continuando a vivere stabilmente nella casa di famiglia a Monte Sacro) proseguivano le prove per il tour, il padre di Gaetano usci dal coma. Al 31 maggio risale l’ultima apparizione televisiva di Gaetano, nella trasmissione Domenica Musica, che andava in onda dal teatro Tendastrisce su via Cristoforo Colombo a Roma.
Rino Gaetano morì il 2 giugno 1981 in uno scontro frontale tra la sua auto e un camion sulla via Nomentana, all’altezza di via Carlo Fea, poco prima delle quattro del mattino; l’autotrasportatore, Antonio Torres, riferì di non aver potuto evitare la macchina, che viaggiava in contromano sulla sua corsia. Quella sera, prima di dirigersi verso i locali di Trastevere, Gaetano aveva mangiato vicino casa da solo, alla pizzeria La Pinetina. L’autopsia rilevò un possibile collasso, che avrebbe causato la perdita di controllo del veicolo (Cotto, 2004, p. 188). Nettamente più congetturali le teorie di chi, nel corso degli anni, ha sostenuto la tesi di una cospirazione ai danni di un artista “stravagante”, colpevole di aver esposto con le sue canzoni verità “scomode” (un compendio di tale letteratura ha offerto Bruno Mautone nel 2016). Certamente Gaetano era un osservatore attento della politica e della società; inoltre il linguaggio metaforico e il gusto per il paradosso avevano offerto più di un appiglio per interpretarne la produzione in questa chiave. D’altro canto, se si sostiene che il nonsense delle sue canzoni era una strategia consapevole di mise en abyme della realtà, un’interpretazione troppo letterale dei suoi testi come portatori di messaggi precisi, accessibili ai soli iniziati, corre il rischio della sovrainterpretazione, senza riscontro in circostanze precise e documentabili.
Le circostanze dell’incidente furono rese ancor più drammatiche dagli avvenimenti delle ore successive: il dottor Gilnardo Novelli e lo staff del reparto di chirurgia d’emergenza del Policlinico di Roma cercarono invano di trovare un posto per l’infortunato in un reparto craniolesi, ma in nessun ospedale romano si trovò una soluzione per operarlo d’urgenza (Di Marco, 2001, p. 135; Selvetella, 2017, p. 84). Gaetano, già in coma dopo l’incidente, spirò dopo due ore di agonia, verso le sei del mattino. I funerali si tennero il 4 giugno nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù, sul lungotevere Prati; la cerimonia fu officiata da padre RenatoSimeoni, il prete che aveva conosciuto il ragazzo in seminario a Narni, vent’anni prima. Forse anche a seguito delle clamorose circostanze della morte, la cerimonia destò grande curiosità nella stampa: fu poi definito uno dei primi funerali “mediatici” del mondo musicale italiano (D’Ortenzi, 2007, p. 155). Dopo una prima sepoltura a Mentana, dove Gaetano aveva la residenza e intendeva stabilirsi dopo il matrimonio con Amelia Conte, a ottobre le spoglie furono traslate nel cimitero del Verano (riquadro 119, cappella 5, loculo 10): ancora oggi ricevono quotidiano omaggio da molti appassionati che vengono anche di lontano per onorare la memoria del cantautore.
Nel ripercorrere la cronologia delle iniziative e delle uscite discografiche postume, va in primo luogo notato come il culto della figura di Gaetano conosca un calo netto tra gli anni della morte e i primi anni Duemila. Solo nell’ultimo quindicennio si osserva una ripresa d’interesse, testimoniato da pubblicazioni e uscite discografiche, anche di materiali inediti. Per Silvia D’Ortenzi tale discontinuità può essere spiegata in primo luogo con l’eccentricità rispetto al contesto coevo, ossia «la provenienza da un ambiente popolare» che «gli ha permesso di avere una libertà creativa, senza avere il limite dei modelli e della retorica» (2007, p. 156).
Tra le uscite interessanti degli ultimi vent’anni si segnalano in particolare La storia (1998), con due canzoni inedite (Solo con io e Le beatitudini) provenienti dalle sessioni per Resta, vile maschio, dove vai? (Bizzarro, 2008, pp. 140-144), e le raccolte Rino Gaetano Live & Rarities (2009), con due ulteriori raccolte di Rarities del 2017. Si è anche assistito all’occasionale ripresa di nuove canzoni da parte di altri interpreti, spesso in contemporanea con la messa in circolazione di materiali originali emersi dall’archivio del cantautore: si ricorda almeno la presentazione al Festival di Sanremo 2007 di In Italia si sta male da parte di Paolo Rossi. Nel 2019, per il quarantennale della pubblicazione di Ahi Maria, Sony Music Legacy ha pubblicato una raccolta di brani di Gaetano contenente una versione demo, inedita, dello stesso brano. La versione LP della raccolta ha esordito in cima alle classifiche dei vinili più venduti in Italia, mantenendo la posizione per diverse settimane. Sul fronte degli omaggi discografici, nel 2003 venne realizzato il disco tributo E cantava le canzoni…: tributo a Rino Gaetano e nel 2011 Dalla parte di Rino: tributo a Rino Gaetano, in cui varie personalità di spicco della musica italiana reinterpretano i brani del cantautore; nel 2014 è uscita l’antologia-tributo Solo con io, per i quarant’anni dall’uscita del primo disco, Ingresso libero. La fiction televisiva Ma il cielo è sempre più blu (2007), prodotta da Claudia Mori e diretta da Marco Turco per RAI Fiction ,contribuì a riportare la figura del cantante alla ribalta nazionale grazie in primis all’intensa interpretazione attoriale e musicale di Claudio Santamaria, pur concedendo all’economia della narrazione televisiva svariate licenze rispetto alla realtà storica e biografica.
Dal 1982 al 2017 si è inoltre tenuto un premio “Rino Gaetano” per cantautori (poi ribattezzato “Spazio d’autore”): vi hanno preso parte numerosissimi esponenti della popular music italiana, desiderosi di riconoscere un debito artistico nei confronti di Gaetano. Tra le tante formazioni che hanno portato le sue canzoni dal vivo sui palchi italiani – Yari Selvetella nell’ultima edizione del suo libro ne riporta più di quaranta (2017, pp. 119-121), mentre un recente riscontro da parte della famiglia innalza il computo a oltre sessanta – è doveroso ricordare almeno la Rino Gaetano Band, nata nel 1999 per volontà della sorella Anna: di questo primo progetto musicale promosso dagli eredi del cantautore fa parte anche il nipote Alessandro Gaetano. Dal 2011 la famiglia promuove il “Rino Gaetano Day”, un evento gestito dal 2013 dall’Associazione Rino Gaetano ONLUS: si tratta di un concerto gratuito, un raduno che vede annualmente la partecipazione di diverse migliaia di persone, offre uno spazio a giovani cantautori e mette a disposizione di associazioni o organizzazioni impegnate nel sociale un’occasione di visibilità a livello nazionale.
Per la redazione di questa voce sono stati fondamentali i contributi raccolti da persone che hanno conosciuto Rino Gaetano e hanno lavorato con lui. Ringrazio in particolare Alessandro Gaetano, Anna Gaetano, Pierluigi Germini, Agostino Marangolo, Piero Montanari, Franco Pontecorvi, Arturo Stàlteri, Giovanni Tommaso. E. Caffarelli, R. G. Una filastrocca venuta dal Sud, in Ciao 2001, 9 maggio 1976; N. Sisto, La ricerca dell’essenziale, in Nuovo Sound, luglio 1977; P. Caporale, R. G. cantabarista, in Ciao 2001, 7 agosto 1977; E. Gregori, Il “reggae” ironico di R. G., in Ciao 2001, 4 giugno 1978; N. Sisto, R. reg’ G., in Nuovo Sound, luglio 1978; E. Di Marco, R. G. Live, Roma 2001; M. Cotto, R. G. Ma il cielo è sempre più blu: pensieri, racconti e canzoni inedite, Milano 2004; S. D’Ortenzi, Rare tracce. Ironie e canzoni di R. G., Roma 2007; K. Bizzarro, Abbasso e Alè. Viaggio nel mondo di R. G., Bologna 2008; G. Lax, R. G., compleanno di ricordi, https://laxstyle.wordpress.com/2012/10/29/rino-gaetano-compleanno-di-ricordi/ (29 ottobre 2012); M. Del Papa, Il mare sulle labbra. Affettuoso ricordo di R. G. in un atto, s.l. 2015; E. Gregori, Quando il cielo era sempre più blu. R. G. raccontato da un amico, Cesena 2016; B. Mautone, Chi ha ucciso R. G.?, Orbassano 2016; P. Montanari, In ricordo di R. G., l’amico che non ci ha mai lasciato, https://www.globalist.it/musica/2017/06/02/in-ricordo-di-rino-gaetano-l-amico-che-non-ci-ha-mai-lasciato-2000106.html (2 giugno 2017); M. Persica, R. G.. Essenzialmente tu, Bologna 2017; Y. Selvetella, R. G. Il figlio unico della canzone italiana, Roma 2017; F. Del Curatolo, Se mai qualcuno capirà R. G., Roma 2019.