PANZARASA, Rinaldo
– Nacque a Novara il 10 gennaio 1877, primogenito di Ercole e Luisa Fea; ebbe un fratello minore, Cesare, nato nel 1890.
Terminati gli studi giuridici, all’Università di Torino, seguì le orme paterne ed entrò nella Regia avvocatura erariale (l’odierna Avvocatura dello Stato), divenendo uno dei più stretti collaboratori di Adriano De Cupis, avvocato generale dal 1904 al 1913. Abbandonata poi l’avvocatura, intraprese la libera professione, svolgendo l’attività di consulente d’impresa. Il 17 marzo 1917 partecipò, in qualità di rappresentante di un gruppo di azionisti, all’assemblea della Società italiana per il gas (Italgas). In seguito a un suo intervento in assemblea, nel quale aveva rivendicato il diritto ad una maggiore rappresentatività degli azionisti di minoranza nel CdA, fu lui stesso a essere nominato consigliere.
L’Italgas, fondata nel 1837 a Torino, si trovava in quel momento in una fase di transizione. Per compensare la progressiva diminuzione di gas illuminante, stante la concorrenza dell’elettricità, l’azienda aveva iniziato a orientarsi verso l’erogazione di altri servizi: dal riscaldamento alla generazione di forza motrice. Dalla fine dell’Ottocento, per mantenere inalterate le proprie quote di mercato, si era inoltre resa protagonista di un importante processo di concentrazione industriale, acquisendo il controllo di diverse imprese italiane impegnate nel settore del gas. Queste operazioni erano state realizzate grazie al sostegno del Credito italiano (Credit), divenuto un influente azionista della società, e al supporto del gruppo di investitori francesi – il maggiore dei quali era la Compagnie pour la France et l’etranger di Parigi – che deteneva il pacchetto azionario di maggioranza relativa.
A partire dal 1916 la Grande Guerra aveva comportato gravi disagi per l’insufficiente disponibilità di materie prime, la diminuzione delle tariffe imposta da alcune amministrazioni comunali e la riduzione dei consumi di gas. Le vicissitudini del periodo avevano inoltre evidenziato la necessità di sviluppare l’integrazione verticale della produzione: soltanto valorizzando le opportunità offerte dalla produzione di derivati del carbone e dall’ingresso a pieno titolo nel settore chimico sarebbe stato possibile prevenire il rischio di un inaridimento della redditività e delle potenzialità industriali derivanti dalla sola gestione del settore del gas.
In qualità di consigliere dell’Italgas, Panzarasa si fece subito fervido sostenitore di questo mutamento della strategia aziendale, in contrasto con i rappresentanti degli azionisti francesi diffidenti verso una svolta così profonda, che avrebbe comportato la raccolta di ingenti capitali esterni all’azienda e, di conseguenza, una ridefinizione degli assetti societari. Assicuratosi la neutralità del Credit, Panzarasa puntò a rafforzare gradualmente la propria posizione e a formare una coalizione di azionisti italiani da opporre al gruppo francese. Il progetto fu portato a compimento in occasione dell’assemblea degli azionisti del 27 marzo 1923, conclusa con l’elezione di Panzarasa alla carica di presidente e con l’ingresso nel consiglio dell’Italgas dell’industriale tessile biellese Eugenio Rivetti e del direttore generale della Società idroelettrica piemontese (SIP) Gian Giacomo Ponti. Lo stesso giorno Panzarasa fu nominato anche consigliere della SIP, divenendone presidente l’anno successivo; nel 1925, poi, assunse la carica di consigliere della Banca commerciale italiana (Comit). Nel marzo 1924, forte di un consistente pacchetto di azioni SIP nel portafoglio dell’Italgas (circa il 10% del capitale), costituì un cartello di controllo dell’Idroelettrica piemontese guidato dalla Comit in contrapposizione alla milanese Edison. Allo stesso tempo riuscì a sfruttare la propria posizione nella SIP per rafforzare il controllo sulla stessa Italgas, evitando però di entrare in contrasto con il Credit. Il mantenimento del controllo di entrambe le società torinesi – la SIP, alleandosi alla Comit, l’Italgas con il Credit – rimase l’obiettivo principe di Panzarasa per tutti gli anni Venti.
Il primo passo importante dell’Italgas nell’industria chimica avvenne nella primavera del 1925 con l’acquisizione della Società italiana prodotti esplodenti (SIPE), che aveva costruito durante il periodo bellico un complesso carbochimico di ragguardevoli dimensioni a Cengio (Savona), riconvertito nel dopoguerra alla produzione di coloranti artificiali. Questo stabilimento doveva diventare, nel progetto di Panzarasa, il centro di un complesso intreccio tecnico-produttivo destinato a unire, a monte, i sottoprodotti del gas e, a valle, tutte le principali produzioni chimiche, dai fertilizzanti agli esplosivi, dai coloranti ai prodotti farmaceutici. Per completare il ciclo produttivo di Cengio l’Italgas acquisì, sempre nel 1925, il controllo della Società italica con lo stabilimento di Rho e nel 1927 quello della Società coloranti Bonelli con il relativo stabilimento di Cesano Maderno entrambi nelle vicinanze di Milano. Nel 1928, infine, la gestione dei tre stabilimenti legati al ciclo produttivo dei coloranti fu riunita in una nuova società: l’Aziende chimiche nazionali associate (ACNA).
La strategia di espansione nel settore chimico di Panzarasa riscosse importanti consensi governativi, che si tradussero ad esempio nell’introduzione nel 1925 di una maggiore protezione doganale dell’industria dei coloranti e in un prestito di 50 milioni di lire, concesso dal Consorzio per sovvenzioni sui valori industriali (CSVI) nel 1927.
Negli anni successivi il suo rapporto con il regime finì tuttavia per assumere la forma di un do ut des dagli effetti perversi. Particolarmente onerosa si rivelò la reiterata richiesta proveniente dalle autorità militari e di governo di assicurare l’italianità del gruppo di controllo delle aziende chimiche, e in special modo quelle produttrici di intermedi e coloranti. Lo sforzo di ‘italianizzazione’ compiuto da Panzarasa, che limitò fortemente la possibilità del gruppo torinese di ottenere finanziamenti dall’estero, fu una delle cause – insieme all’esigenza dell’imprenditore e dei suoi alleati di mantenere il controllo aziendale – della forte sottocapitalizzazione e, nella seconda metà degli anni Venti, del crescente indebitamento finanziario dell’Italgas (giocato su un giro vertiginoso di effetti cambiari a breve).
Nel 1929 la fisionomia dell’Italgas appariva radicalmente trasformata: da impresa industriale di media grandezza nel panorama economico italiano con un capitale sociale di appena 10 milioni di lire, era diventata una holding finanziaria con 260 milioni di capitale, capofila di un gruppo industriale composto da dieci società di produzione e distribuzione del gas e da oltre venti aziende attive nel settore minerario e in quello chimico. Si trattava tuttavia di un gigante dai piedi di argilla. La mole impressionante di debiti contratti per alimentare l’espansione del gruppo, a causa del complesso gioco di partecipazioni azionarie incrociate messo in piedi da Panzarasa, aveva finito per poggiare interamente sul fragile pilastro rappresentato dalle azioni dell’Italgas date in garanzia alle banche e, in ultima analisi, dall’andamento della loro quotazione in Borsa. Il collasso del gruppo Italgas era così destinato a essere tanto rapido quanto celere era stata la sua ascesa nel firmamento industriale italiano. L’evento scatenante fu l’improvviso ritiro, tra l’estate e l’autunno 1929, dell’appoggio del governo e delle autorità militari; in parte dovuto alla caduta in disgrazia di alcuni gerarchi del regime in buoni rapporti con Panzarasa, che finì per riflettersi anche sulle sorti della società, come dimostrato dal rifiuto, in sede di autorizzazioni governative, alla richiesta di stipulare un nuovo prestito con un sindacato di finanziatori internazionali e da quella di procedere ad aumenti del capitale dell’Italgas e dell’ACNA.
Durante i primi mesi del 1930 la mancanza di liquidità giunse a paralizzare l’intero gruppo: fu il preludio al crollo del ‘castello di carte’, che si verificò nel settembre dello stesso anno, quando la diffusione di voci sulle difficoltà del gruppo portò a un vero e tracollo in borsa del titolo Italgas. Privato in ultimo anche dell’appoggio delle banche, il 14 ottobre 1930 fu costretto a dimettersi dalla carica di presidente della SIP e quattro giorni dopo da tutte le cariche ricoperte nelle aziende del gruppo.
L’entità del dissesto finanziario causato dal crack dell’Italgas sarà stimato da Alfredo Frassati, noto esponente della borghesia torinese e successore di Panzarasa alla presidenza dell’azienda, in 435 milioni di lire. Si trattava del costo complessivo del piano di risanamento che Frassati, sostenuto dal regime e dalla Comit, attraverso la finanziaria Sofindit, aveva portato a termine nel giro di pochi anni. Grazie a Frassati, che ne conservò la guida fino alla morte nel 1961, il gruppo Italgas, anche se notevolmente ridimensionato, fu in grado di mantenere il suo ruolo di leader nel settore del gas fino al dopoguerra e all’avvento del metano.
Rifugiatosi in Francia per evitare un mandato di cattura per bancarotta fraudolenta, Panzarasa fu arrestato a Nizza il 10 aprile 1931 ed estradato in Italia. Dopo la sentenza di assoluzione emessa nell’agosto del 1932, pubblicò a Torino una memoria difensiva intitolata Il Gruppo Italgas-Sagacia e la verità. Negli anni seguenti fu costretto a difendersi in una serie di cause patrimoniali intentategli dalla nuova dirigenza dell’Italgas e dell’ACNA. Nel 1936 tornò a occuparsi d’industria, partecipando alla costituzione della Liquigas, azienda attiva nella produzione di gas di petrolio liquefatto, in qualità di azionista e consigliere d’amministrazione. Nel 1946 pubblicò a Varese un saggio intitolato Liberalismo e collettivismo, esposizione erudita dei principi della democrazia liberale e del capitalismo messi in pericolo dal diffondersi dell’ideologia comunista. Non risulta essersi mai sposato e neppure le cause civili in cui fu coinvolto citano mai moglie o figli.
Morì a Varese il 24 settembre 1950.
Fonti e Bibl.: Documenti fondamentali per la ricostruzione del ruolo imprenditoriale, e della storia aziendale, sono conservati presso l’Archivio storico e Museo Italgas di Torino; si segnalano in particolare i verbali delle sedute del Consiglio di amministrazione, i verbali delle sedute del Comitato direttivo e il fondo Umberto Broggi. Sull’attività di presidente della SIP si veda la documentazione conservata presso l’Archivio storico Telecom Italia di Torino, fondo Gruppo elettrico Sip.
B. Bottiglieri, Dal periodo fra le due guerre agli sviluppi più recenti, in Dalla luce all’energia. Storia dell’Italgas, a cura di V. Castronovo et al., Roma-Bari 1987, pp. 207-312; B. Bottiglieri, Sip. Impresa, tecnologia e Stato nelle telecomunicazioni italiane, Milano 1990, ad ind.; V. Zamagni, L’industria chimica in Italia dalle origini agli anni ’50, in Montecatini 1888-1966, a cura di F. Amatori - B. Bezza, Bologna 1991, pp. 69-148; A. Confalonieri, Banche miste e grande industria in Italia, 1914-1933, Milano 1994, ad ind.