ORFEI, Riccardo
ORFEI, Riccardo. – Nacque a Bazzano, in provincia di Bologna, il 12 luglio 1908 da Paolo, artista circense, e da Ersilia Rizzoli, cantante e comica.
La ricostruzione dell’albero genealogico della dinastia Orfei – tra le più note e prestigiose famiglie circensi italiane, conosciuta e apprezzata a livello internazionale – è incerta. Sembra che il capostipite sia stato il bisnonno (sul suo nome le fonti non concordano: alcune lo ricordano come Enrico [così il figlio di Riccardo, Paolo; e Litta Modigliani - Mantovani, 2002, p. 263], altre come Paolo [Cervellati, 1961, p. 89; Pretini, 1984, p. 129; De Ritis, 2008, p. 266; Serena, 2008, p. 166; Zaghini, 2010, p. 131], altre ancora come Ferdinando [Lorenzetto, 2008, p. 19]), il quale, secondo la testimonianza di Paolo Orfei, sarebbe stato un ex monsignore di Vicenza, dedicatosi, una volta abbandonato l’abito talare e sposatosi, all’allevamento di cavalli nelle Marche; secondo altri era un ex cappellano di Pesaro, sposato con un’addestratrice di orsi e cani (Litta Modigliani - Mantovani, 2002. p. 263) o un ex sacerdote di Massalombarda (Cervellati, 1961, p. 89; Pretini, 1984, p. 129; Serena, 2008, p. 166). Di certo ebbe un figlio, Ferdinando, considerato il primo circense della famiglia: fu uno straordinario suonatore di tromba e si mise a capo di un semplicissimo circo che presentava spettacoli acrobatici. Sposato con Maria Torri, di origine sinti, ebbe sei figli, tra cui Paolo (1890-1975), che divenne famoso come clown con il nome d’arte di Baccalà e fu anche un notevole acrobata-saltatore – era capace di volare sopra carrozze e addirittura treni in corsa – e un eccellente suonatore di zufolo, ocarina e tromba. Ebbe cinque figli: Riccardo, il maggiore, oltre a Paride, Miranda, Orlando e Irma.
Già a dieci anni Riccardo Orfei si esibiva in pista in duetto clownesco con il padre, del quale ereditò la versatilità. Il suo strumento musicale preferito era però la chitarra. Grazie all’ospitalità di una zia di Treviso ebbe la possibilità di frequentare il conservatorio, alimentando così la sua passione e coltivando una particolare abilità nel suonare con la chitarra pezzi come Le campane di Corneville (opera comica di Louis Clairville e Charles Gabet, musicata da Robert Planquette).
Dopo aver lavorato nei circhi di famiglia, a 21 anni si mise in proprio. Uomo dal fisico muscoloso, alto 1,90 m per un peso di 120 kg, a dispetto della mole era un eccezionale saltatore. Si specializzò nel salto attraverso i cerchi tenuti dai suoi collaboratori, e soprattutto nel salto di tre landò, le carrozze a quattro ruote dell’epoca. Dopo averle posizionate una accanto all’altra, Orfei prendeva una potente rincorsa e le scavalcava con un salto mortale.
«Gran salto di precisione», annunciava una cartolina che Orfei aveva fatto stampare per farsi pubblicità: vi era disegnato un acrobata che, dopo avere attraversato un cerchio, volava al di sopra di un landò per poi eseguire un giro su se stesso prima di atterrare. Nella stessa cartolina Orfei presentava il clown Bigolon, per segnalare le proprie doti clownesche e musicali. Vi era un doppio ritratto: uno in primo piano senza il trucco da clown e un altro con abiti e trucco da pagliaccio mentre suonava una chitarra-lira. Bigolon (termine che in dialetto romagnolo indica un uomo grande, grosso e bonario, e che Orfei scelse ispirandosi alla propria massiccia corporatura) in pista indossava una grande giacca a quadrettini di colore marrone chiaro, dei pantaloni larghissimi, un cappellino rotondo di colore nero con una piccola piuma e un paio di scarpe talmente grandi che il pubblico cominciava a ridere prima ancora di vederlo entrare in pista, solo ascoltando il rumore dei suoi passi che si avvicinavano. Il trucco era leggero: una macchia bianca sul mento e una nera sulla punta del naso.
Il circo di Orfei girovagò soprattutto in Emilia-Romagna. La carovana poteva muoversi di propria iniziativa o era chiamata dalle amministrazioni comunali per portare un po’ di divertimento. I due camion FIAT, il 15-TER e il 18-P – per l’epoca un vero e proprio lusso – erano dotati delle prime ruote di gomma a camera d’aria e già questo creava una certa aspettativa nel pubblico, che si avvicinava per curiosare. Gli spettacoli erano serali. Lo chapiteau era color crema scuro, impermeabile, rotondo, con un unico palo al centro e una pista di 8 m. Le gradinate e le poltroncine arrivavano a contenere fino a 800 persone. Oltre a una scimmia amadriade, Orfei portava con sé quattro cani – Paroni, Baffi, Mascarin e Scagarin – incaricati di fare la guardia al circo.
Girando di paese in paese, divenne conosciuto e amatissimo, un vero divo della comicità, atteso con trepidazione stagione dopo stagione da un pubblico affezionato e fedele. Adorato dai bambini, che per molti anni avrebbero tramandato il ricordo del clown Bigolon e del suo circo, era ammirato dal pubblico femminile e considerato uno degli uomini più belli e affascinanti di Bologna, spesso paragonato a Rodolfo Valentino. Giovanissimo, nel 1927, ebbe un figlio, Oscar Hoffman, che non poté riconoscere per l’opposizione della famiglia della madre, probabilmente proprio a causa della giovane età. Nel mondo del circo conobbe la sua futura moglie, Violetta Arata, proveniente da una nota famiglia di acrobati e cavallerizzi e abile funambola specializzata nella camminata sul cavo d’acciaio. Si sposarono il 6 maggio 1931 ed ebbero tre figli: Miranda, Paolo e Mauro. Oscar Hoffman, dopo la morte di Orfei, si ricongiunse con i fratelli, instaurando con loro un solido legame mai più interrotto.
Orfei scritturò diversi artisti: acrobati, equilibristi, giocolieri. L’abilità non era l’unica qualità che apprezzava. Cercava soprattutto quella particolare capacità di adeguarsi alla semplicità della vita del circo, la predisposizione a comporre una comunità fatta di reciproco sostegno e unita dalla passione per il circo e dal desiderio di trovare fortuna e benessere. Tra i colleghi che stimò di più, il bolognese Slim, che con una bicicletta acrobatica costruita da lui stesso si esibiva in esercizi di equilibrio mozzafiato; Franco Valeriani, palestrante e artista eclettico, che presentava vari numeri acrobatici; Zenaide, una contorsionista specializzata nel ‘passaggio del bicchiere’ (con un bicchiere pieno tenuto in equilibrio sulla fronte, scivolava tra le gambe delle sedie).
Ebbe inoltre una grande intesa con Gino, in arte Ridolini (il nome derivava dalla somiglianza con il famoso attore comico statunitense Larry Semon), un ragazzo piccolo e magro originario di Cisterna di Latina, che divenne la spalla di Bigolon. Ridolini un giorno si era presentato nel circo mettendosi a camminare e a correre proprio come il comico americano e Orfei intuì immediatamente che insieme a lui avrebbe potuto formare una straordinaria coppia comica: Bigolon e Ridolini, l’uno grande e grosso e l’altro piccolino, facevano sorridere il pubblico fin dalla loro entrata in pista. I loro sketch giocavano sulla dicotomia fisica: Ridolini correva agile intorno a Bigolon facendogli ogni dispetto possibile, dal pizzicotto sulle orecchie alla strattonata di naso, fino al calcio nel sedere. Bigolon, però, dopo un po’ riusciva ad acchiappare il piccolo rivale e, forte della sua stazza, lo prendeva di peso e lo faceva ruzzolare a destra e a sinistra tra le risate del pubblico.
Oltre che con Ridolini, Orfei Bigolon a volte duettava con la moglie o con il maggiore dei figli maschi, Paolo (nato il 17 luglio 1933), il quale poco più che un bambino, si era già guadagnato un nome d’arte come clown: Orfei aveva notato che il figlio prediligeva il pane a qualsiasi altra cosa, addirittura alla cioccolata, e così lo ribattezzò Pagnotta; in seguito Paolo si affermò come abile giocoliere e agile acrobata. Per Miranda (nata il 21 dicembre 1931) il padre preferì invece la scuola, ma anche lei, con il nome di Moira, è diventata una celebre acrobata e domatrice. Il figlio minore, Mauro (nato il 1° febbraio 1941), si fece conoscere come valido acrobata con le biciclette. Mauro e Oscar ereditarono dal padre un’altra sua innata abilità, quella di meccanico: Orfei sapeva riconoscere il guasto di un motore semplicemente ascoltandolo, come se fosse uno strumento musicale.
Mite e abitudinario, ma con un grande carisma, soddisfatto di quello che aveva raggiunto come uomo e come artista, Orfei amava i ritmi della vita del circo: tornare nei paesi visitati, ritrovare ogni volta il suo pubblico. Nell’estate del 1942 contrasse una malattia polmonare, stando a Moira in conseguenza di una rovinosa caduta dopo un salto al di sopra di quattro elefanti (Lorenzetto, 2008, p. 19), stando a Paolo a causa di un colpo d’aria. Durante una tappa del circo a Imola fu ricoverato a Budrio, in provincia di Bologna, per accertamenti. Inizialmente gli fu diagnosticato il tifo, all’epoca molto diffuso. Le cure però non portarono beneficio e fu riscontrato un edema polmonare.
Morì a Budrio nel 1942, secondo la testimonianza di Paolo l’8 giugno, secondo altre fonti il 22 giugno (Litta Modigliani - Mantovani, 2002, p. 268). Fu sepolto nel cimitero della Certosa a Bologna.
Fonti e Bibl.: Molte notizie su Orfei vengono dai ricordi del figlio Paolo; F. Patellani - G. De Simoni, Miranda, la ragazza del circo, in Le Ore, II (1954), 68, pp. 35-37; A. Cervellati, Questa sera grande spettacolo. Storia del circo italiano, Bologna 1961; G. Pretini, La grande cavalcata, Udine 1984; A. Litta Modigliani - S. Mantovani, Il circo della memoria. Storie, numeri e dinastie di 266 famiglie circensi italiane, Trento 2002; L. Angelini, L’attore-giocoliere. Da Enrico Rastelli al nuovo circo, Roma 2008; R. De Ritis, Storia del circo. Dagli acrobati egizi al Cirque du Soleil, Roma 2008; S. Lorenzetto, Dopo il duce, vengo io. Col circo bonifico le città ridotte a paludi, in Il Giornale, 7 dicembre 2008; A. Serena, Storia del circo, Milano 2008; T. Zaghini, Il circo. Itinerario storico dello spettacolo circense, Rovigo 2010.