LANGOSCO, Riccardo di
Figlio secondogenito di Rufino (II), conte palatino di Lomello, del ramo di Langosco, nacque probabilmente attorno al 1221; fu fratello minore di Goffredo.
Non si conosce alcun documento relativo alla sua giovinezza e alla sua carriera politica e militare durante la prima maturità e pertanto si è costretti a tralasciare questa parte della sua vita, che si svolse probabilmente prima al servizio di Federico II e poi dei gruppi ghibellini di Lombardia a fianco del fratello maggiore. Infatti alla morte di Goffredo di Langosco (1276) il L. si accordò subito con l'arcivescovo Ottone Visconti, che era divenuto il vero capo della pars extrinseca di Milano, per guidare il piccolo esercito dei fuorusciti milanesi e dei cavalieri spagnoli inviati dal re Alfonso X di Castiglia contro i Torriani. La fortuna in quel momento si mostrava favorevole alla causa del conte e dell'arcivescovo, poiché anche Como passò prima della fine del 1276 nelle mani dei fuorusciti. I Torriani erano quindi circondati dagli avversari, poiché Pavia, Vercelli, Novara, Como, la Valtellina e l'Ossola aderivano ai Visconti e ai gruppi legati al Langosco. L'arcivescovo, che si era rifugiato a Giornico in Val Leventina, si trasferì nel dicembre a Cannobio sul lago Maggiore e, unitosi a Simone da Locarno e al L., costituì una flotta per navigare il lago sino ad Arona, ove lo raggiunsero i cavalieri inviati dal marchese Guglielmo VII di Monferrato e dalle città di Torino, Asti, Vercelli, Novara, Ivrea. La rocca di Arona, ben guardata dai Torriani, fu assediata dal lago e da terra, a opera dei cavalieri guidati dal L., che desiderava vendicare la morte del fratello.
Ottone Visconti non ebbe però fortuna, poiché gli aiuti militari sopraggiunti da Milano liberarono il castello dall'assedio; l'arcivescovo si rifugiò con Simone da Locarno e il L. a Como, ove i tre riorganizzarono le loro milizie. Nei primi giorni del 1277, si svolse un grande raduno di fuorusciti milanesi e di ghibellini a Vercelli, ove il L. fu nominato capitano delle armate degli estrinseci. Iniziò subito la guerra in territorio comasco e furono occupati i centri di Civate e Lecco; poi l'esercito del L. conquistò i castelli di Seregno e Carate Brianza, mentre Napoleone Della Torre, il 20 gennaio, occupò Desio. Nella notte il L., con l'aiuto di alcuni traditori, penetrò nel forte borgo milanese e sorprese nel sonno i nemici. Francesco Della Torre cadde combattendo, ma Napoleone, suo figlio Mosca, Guido, Lombardo e altri furono presi prigionieri e affidati ai Comaschi, che li rinchiusero nella torre del Baradello. Il L. aveva conseguito la vittoria durante le prime ore dell'alba del 21 gennaio, giorno della ricorrenza della celebrazione liturgica di S. Agnese, che da allora divenne festa solenne per Milano.
Stefanardo da Vimercate narra che il L. avrebbe voluto vendicare la morte del fratello Goffredo uccidendo Napoleone mentre si arrendeva all'arcivescovo e che Ottone Visconti si sarebbe intromesso, impedendogli di compiere l'atto criminale. Questo particolare, che mira a esaltare la pietà e la misericordia dell'arcivescovo, fu successivamente rappresentato nella sala d'armi della rocca di Angera, nel grande affresco che mostra Napoleone inginocchiato dinanzi a Ottone a cavallo, il quale con un cenno della mano benedicente ferma il braccio armato di un miles visconteo, che vorrebbe colpire l'avversario ormai prigioniero.
La mattina del 22 gennaio Ottone Visconti e il L. entrarono trionfalmente in Milano alla testa dei nobili; il L. fu subito eletto podestà della città, mentre Simone da Locarno fu nominato capitano del Popolo e Guglielmo da Pusterla podestà dei mercanti. Assunta la podesteria, il L. nominò immediatamente tre giudici per risolvere le cause civili, Ardizone Nano, Ansaldo di Aviano e Giacomo Pastorino, e un giudice ad malleficia inquirenda, Salimbene Ranzano. Essi svolsero il loro lavoro amministrativo in stretto rapporto con il podestà, secondo quanto attestano pochi documenti dell'ente politico milanese.
Tuttavia egli era presente a Milano nel palazzo nuovo del Comune il 12 giugno 1277 per ricevere da Lanfranco da Besozzo, procuratore del monastero femminile di S. Vittore di Meda, una dichiarazione con la quale si documentava che le terre possedute da Carnelevario Della Torre, fratello di Napoleone, nella località di Nobile, erano un tempo, con precisione prima della rotta di Desio, di proprietà del cenobio, a cui erano state sottratte con la forza e trattenute contra Deum et iustitiam da Carnelevario. Il procuratore aveva fatto stimare da due monaci umiliati, ufficiali del Comune di Milano, il valore dei frutti goduti dal nobile milanese e richiedeva che essi fossero consegnati alle monache di Meda e non trattenuti dai vincitori, che dopo la battaglia di Desio li avevano sequestrati. La questione, che vedeva il cenobio di Meda contrapporsi al Comune di Milano e ai Comuni rurali vicini, i quali avevano trattenuto le terre sequestrate agli sconfitti Torriani, si concluse solo nel 1281 con la restituzione al monastero dei suoi beni. Un problema simile si presentò nel novembre dello stesso anno e per risolverlo il L. ordinò che si riunisse nel palazzo nuovo del Comune di Milano il Consiglio degli Ottocento e dei consoli dei Capitanei, dei Valvassori, della Motta e della Credenza. Tuttavia egli non prese parte alla riunione, in cui il suo assessore Ardizzone Nano decise che il Comune di Milano avrebbe dovuto ricevere dalla badessa del monastero del Bocchetto 1471 lire di terzuoli, che ella aveva incassato da Napoleone Della Torre, il quale l'aveva costretta a vendere un podere posto nella campagna milanese. Poiché l'immobile era stato riconsegnato alle monache, il L. in qualità di podestà richiedeva la restituzione del capitale, che durante la causa era stato depositato presso gli umiliati milanesi di S. Calimero. Inoltre il 9 sett. 1277 il L. ebbe la presidenza di un'importante riunione del Consiglio degli Ottocento, a cui parteciparono anche il capitano del Popolo Simone da Locarno e l'arcivescovo Ottone Visconti. In quella seduta furono eletti dodici giurisperiti con il compito di emendare e correggere gli statuti del Comune e con la facoltà di proporne dei nuovi, di aggiungere, di diminuire e di cambiare tutto ciò che a loro fosse sembrato opportuno e utile, a vantaggio del bene pubblico.
Infine il 14 dic. 1277 il L. accolse una supplica presentata dalle comunità di Erba e di Orsenigo, che volevano rinvigorire gli antichi precetti loro concessi dai consoli di Milano a ricompensa del loro valoroso comportamento durante la battaglia di Carcano contro Federico Barbarossa. Egli stabilì che le due comunità non fossero molestate da ufficiali del Comune di Milano per la loro esenzione dalle imposte sul grano e sui carriaggi e da ogni altro onere, come stabiliva il precetto imperiale.
Il L. operò in pieno accordo con l'arcivescovo per modificare la legislazione precedente e per ristabilire l'ordine giuridico e sociale turbato dai lunghi anni di guerra civile nella città di Milano, soprattutto a vantaggio degli enti ecclesiastici che avevano subito soprusi dai Torriani.
Rientrato a Pavia, dovette subire la dominazione del marchese di Monferrato Guglielmo VII che, alla fine di luglio 1278, era alla guida della città con il titolo di capitano e difensore del Comune pavese, valido per cinque anni. Egli aveva imposto una tregua nelle lotte tra i Langosco, i Petra, i Bottigella e gli Zazzo da una parte e i Beccaria dall'altra per il controllo della vita politica della città. Nel marzo 1288, in un momento di crisi del potere del marchese, in città ripresero le lotte tra i due partiti dei Fallabrini, in cui militavano i Langosco e i Bottigella, e dei Marcabotti, capitanati dai Beccaria.
Durante gli scontri, il 12 marzo 1288, il L. morì, lasciando due figli, Filippone, che in seguito ai disordini fu espulso dalla città e che più tardi divenne signore di Pavia, e Guido, che fu vescovo di Pavia dal 1295 al 1311.
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