SORANZO, Remigio
SORANZO, Remigio. – Appartenente al ramo dei Soranzo detto dal baston, figlio di Francesco Soranzo da San Samuele, nacque nella prima metà del Trecento.
Ebbe numerosi fratelli (Girolamo, Pietro, Mosè, Antonio e Nicolò); più incerto, invece, è il legame che i genealogisti propongono con i fratelli Marco e Giovanni. Si stabilì assai presto a Sant’Angelo, almeno dal 1367 secondo Marco Barbaro, ove visse in un lussuoso palazzo.
Nonostante l’infrequenza del nome, in contemporanea al nostro visse un altro Remigio Soranzo, della parrocchia di San Geremia, morto nel 1412, e a sua volta molto attivo tra podesterie, avogaria di Comun e Consiglio dei dieci fino a tutto il 1405. Ciò rende difficile discernere con certezza assoluta le due carriere, cosicché entrambi potrebbero aver ricoperto la carica di avvocato ‘di petizion’ e ‘del mobile’, rispettivamente nel 1363 e nel 1365.
Nel periodo di formazione, frequentò la scuola di grammatica di Paolo da Reggio a Sant’Angelo, stringendo amicizia con il notaio Antonio Bordo (che a distanza di decenni il vecchio Soranzo ricordava ancora simpaticamente con il nomignolo di Taramoto, terremoto).
Il suo primo incarico nella vita pubblica risale all’aprile-novembre del 1372 (e non del 1370, come segnala un inventario della chiesa di S. Stefano a Murano, che ricorda un’altra podesteria nel 1378). Infatti Soranzo fu podestà di Murano e dovette fare i conti con qualche ripercussione dello scontro fra Venezia e Padova che si stava profilando in Terraferma; emanò infatti alcuni decreti volti a denunciare gli agenti del Carrarese intenti a «tractare mortem alicuius civis Veneciarum», e a bloccare ogni commercio con la città patavina e il suo distretto (luglio 1372). Alla guerra con i padovani Soranzo prese poi parte attivamente, essendo inviato a presidiare il bastione di San Giovanni della Lova assieme ad altri nobili, fra il 1372 e il 1373 (G.G. Caroldo, Istorii Venetiene, IV, a cura di S.V. Marin, 2011, p. 151). Il 16 luglio 1373 era sopracomito di una galea, ma il Senato gli permise di rientrare in città per incontrare suo fratello Pietro, fatto prigioniero dai padovani e restituito ai veneziani in cambio di Franceschino Rustega, esponente di punta di una famiglia nobiliare di Padova.
Il 4 agosto 1376 fu, con Vitale Lando, uno dei due sopracomiti eletti per scortare Nicolò II d’Este, marchese di Ferrara, e sua cognata in Puglia, dove erano attesi dal fratello Alberto d’Este. Il viaggio favorì probabilmente una familiarità con Alberto d’Este che (divenuto nel frattempo signore estense) nel giugno del 1388 avrebbe poi alloggiato nel palazzo di Soranzo, quando soggiornò a Venezia per essere ascritto al patriziato dal Maggior Consiglio.
Fino a tutto il febbraio del 1377 rivestì la carica di savio agli Ordini, mostrando un singolare attivismo nelle proposte consiliari: dall’ambasceria al sultano turco fino alle nuove norme di costruzione dei navigli, passando per gli incentivi di ripopolamento di Negroponte. Il suo impegno e la sua carriera proseguirono poi intensi negli anni cruciali della guerra con Genova, la cui flotta era penetrata pericolosamente in laguna. Dopo aver partecipato al prelievo forzoso prescritto dagli esecutori di comun con una quota personale di 6000 ducati nel 1379, Soranzo ebbe l’incarico di trasmettere all’ammiraglio Carlo Zen l’ordine di portarsi con le sue navi a Chioggia. Nell’ottobre del 1380 fu tra i membri della zonta del Senato. Fu riconfermato per due volte (sino al 1382) savio agli Ordini, e almeno dal settembre del 1383 consigliere ducale, proponendo in Senato la fortificazione di Mestre ed elaborando istruzioni da impartire all’ambasciatore veneziano in Ungheria.
Il 26 luglio 1385 il Senato lo spedì in Friuli con Marino Malipiero «ad confortandum et inducendum illos de Patria ad standum et essendum fortes et constantes in suis libertatibus» (Archivio di Stato di Venezia, Senato, Misti, reg. 35, c. 122r), avendo constatato un intollerabile aumento dell’influenza carrarese nell’area. Fu poi di nuovo, almeno dal 4 febbraio 1386, consigliere ducale e nel giugno del 1387 fu inviato (con Leonardo Dandolo, Paolo Morosini, Giacomo Dolfin, Piero Bragadin e Marino Malipiero) alla corte di Sigismondo di Lussemburgo in occasione del matrimonio con Maria d’Ungheria. Pochi mesi dopo (27 agosto 1387) Soranzo fu avogadore di Comun, ed ebbe a occuparsi di casi delicati come quello di un Nicolò Morosini, «non […] probatus» dalla Quarantia come patrizio, cui fu negato ogni incarico pubblico: si trattava di un momento importante di ridefinizione degli assetti sociali del patriziato lagunare, che non aveva ancora pienamente metabolizzato gli equilibri (o squilibri) imposti dalla ‘serrata’ del 1297.
Fra il 20 aprile 1389 e il 27 gennaio 1390 Soranzo ricoprì la sua prima carica importante fuori Venezia: fu infatti podestà e capitano di Capodistria, e durante il mandato si impegnò per la manutenzione del palazzo podestarile, chiedendo al Senato una deroga ai limiti di spesa. Nei mesi successivi, preferì rinunziare a un’ambasciata a Udine incaricata di mediare fra la città e il patriarca (3 giugno 1390), ma si orientò poi nuovamente ai reggimenti in Terraferma (Conegliano, 1392) e nel Dogado (Chioggia, 1396-97). Furono entrambi compiti onerosi, dovendo qui confrontarsi con dinamiche complesse, come quella, tesissima, fra il vescovo chioggiotto e gli abitanti del luogo.
Non è inverosimile ipotizzare un rallentamento delle responsabilità pubbliche di Soranzo negli anni a cavallo fra XIV e XV secolo; d’altronde, erano ormai quasi quattro decenni che questo patrizio di esemplare impegno era al servizio dello Stato marciano. Probabilmente offrì il suo ultimo contributo partecipando ai gruppi elettorali, sia nei XL che nei XII, che portarono al dogado di Michele Steno il 1° dicembre 1400.
Per ciò che concerne la vita privata, Soranzo è attestato come persona di alto livello umano e culturale. Le lettere di Pier Paolo Vergerio scritte fra il 1390 e il 1402, testimoniano quanto egli fosse «in omni conversatione iocundus» oltre che un oratore forbito, sì che era in grado di discorrere di molteplici cose. Va identificato senza dubbio in lui quel Remigio Soranzo che nel 1384 ad alcuni pellegrini fiorentini diretti a far visita al Santo Sepolcro aprì la sua ricca dimora, la quale «parea una casa di oro ed havvi più camere che poco vi si vede altro che oro o azzurro fino» (L. Frescobaldi, Viaggio di Lionardo di Niccolò Frescobaldi in Egitto e in Terrasanta, 1818, p. 67). Anzi, il racconto di Frescobaldi lascia presumere che egli stesso, a capo di un gruppo di pellegrini veneziani, si stesse recando in quell’anno in Terrasanta.
Economicamente assai facoltoso, risulta coinvolto in un paio di occasioni almeno nel commercio del rame (3 aprile 1385, quando è teste con il fratello Mosè a un accordo per l’importazione di rame ungherese, e 3 giugno 1397, quando il Senato gli assegna un incarico, peraltro rifiutato, inerente i negotia raminis).
Soranzo, che sposò una Clara di stirpe imprecisata, ebbe una figlia di nome Cristina, andata in sposa a Francesco Corner, figlio del doge Marco. Fu costui il suo esecutore testamentario, insieme con Mosè Soranzo. Oltre all’abbondante disponibilità di denaro, confermata dalla dote della figlia Cristina di ben 1200 ducati, egli possedeva un vasto patrimonio immobiliare concentrato per lo più nelle parrocchie di San Samuele e Sant’Angelo. Morì nel 1405.
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