razionalita
Facoltà propria degli esseri dotati di ragione. Tale concetto attraversa vari settori d’indagine culturale del Novecento e acquisisce significati diversi nelle varie discipline in cui viene studiato. Si parla generalmente di tre tipi di r.: la r. dell’azione (che designa il comportamento dell’agente che calcola i possibili vantaggi e svantaggi di un’azione al fine di conseguire i migliori risultati), la r. della credenza (che è caratterizzata dai requisiti della coerenza rispetto ai principi fondamentali della logica elementare e della fondatezza, ossia del sostegno necessario di prove, ragioni e giustificazioni di tipo empirico o teorico), la r. scientifica (che si identifica con l’esistenza di oggettivi criteri e metodi, di tipo induttivo o deduttivo, in grado di garantire l’accrescimento della conoscenza).
Per quanto riguarda l’azione umana, il termine deriva dalla teoria economica, dove è stato introdotto per designare il comportamento tipico dell’agente che calcola i rischi e i profitti di una certa azione economica al fine di conseguire i migliori risultati. Tale significato è stato poi generalizzato da Weber fino a ricomprendervi il comportamento umano in quanto orientato verso uno scopo. Riprendendo nozioni metodologiche elaborate originariamente nella scuola austriaca di economia (segnatamente da C. Menger), Weber definì razionale quell’azione che, basata su una valutazione delle sue possibili conseguenze, si presenti come la più adeguata al conseguimento dello scopo desiderato. A questa r. strumentale e strategica (che raramente, tuttavia, è dato di riscontrare nel comportamento effettivo degli individui, come già metteva in evidenza Weber, che la considerava un tipo ideale rispetto a cui misurare eventuali scostamenti) è stato comunque obiettato di riflettere essenzialmente ciò che in fondo lo stesso Weber suggeriva, il tipo di organizzazione sociale e industriale capitalistica: Marcuse e, soprattutto, Habermas ne hanno ridimensionato le pretese antropologiche richiamando l’attenzione sulla rilevanza degli scopi e dei valori dell’agire nel contesto di un adeguamento del marxismo alle mutate condizioni socio-economiche dell’Occidente. D’altra parte, al di là di queste interpretazioni politiche, va rilevato come il concetto strumentale-strategico della r. dell’azione abbia ricevuto ampie elaborazioni nei modelli matematico-probabilistici della teoria della decisione (➔) e della teoria dei giochi (➔). Nonostante la ricchezza e l’articolazione di tali modelli, si tende comunque a preferire, nelle teorie sociologiche di orientamento individualistico, concetti più deboli di r., in grado di valere come modelli esplicativi dell’effettivo comportamento umano, non sempre, per ovvi motivi, fondato sul calcolo di tutte le possibili conseguenze di una certa linea d’azione al fine di ottimizzare i risultati. In questa direzione vanno soprattutto le ricerche del sociologo R. Boudon, che ha posto nella individuazione di «buone ragioni» (cioè motivazioni soggettive plausibili) a fondamento del comportamento la possibilità di spiegarlo in termini di r. o, meglio, di ragionevolezza.
Il concetto di r. è stato ampiamente dibattuto anche in filosofia, in partic. nella tradizione analitica, sia relativamente all’azione sia relativamente alla credenza. Sul piano dell’azione, si tende solitamente a considerare razionali quelle azioni che si presentino appropriate o adeguate, per il conseguimento di certi scopi, rispetto alle credenze dell’agente, arrivando a concepire la r. in questo senso come un criterio mediante cui non solo si spiega o comprende il comportamento umano, ma si definisce la natura stessa dell’agire umano (di rilievo in questa prospettiva le riflessioni di D. H. Davidson). Quanto alla r. della credenza, nella filosofia analitica essa è stata caratterizzata attraverso i due requisiti della coerenza e della fondatezza. Con il primo requisito s’intende la caratteristica, che una credenza o un insieme di credenze deve possedere perché sia razionale, di non implicare contraddizioni ed essere in accordo almeno con i principi fondamentali della logica elementare. Per quanto riguarda il secondo requisito, quello della fondatezza, si considera razionale una credenza se è sostenuta sulla base di prove, ragioni e giustificazioni di tipo empirico o teorico: in questo senso, per es., la credenza nell’animismo o nella stregoneria non sarebbe un esempio di razionalità. Da parte sociologica e antropologica, tuttavia, si contesta talvolta l’eccessiva ristrettezza di questo concetto di r.; ma anche in ambito filosofico se ne sono notati i limiti, per es., da parte di concezioni relativistiche che tendono a relativizzare le credenze e gli stessi criteri per la loro accettazione ai contesti storico-culturali entro cui le credenze e i criteri sorgono e si tramandano. Un discorso a parte merita infine il problema della r. nella scienza, che si identifica con l’esistenza di oggettivi criteri e metodi (siano essi di tipo induttivo o deduttivo) in grado di garantire la fondatezza e l’accrescimento della conoscenza. Implicitamente già presente in Duhem, una vera e propria discussione sulla r. scientifica sorge solo nella filosofia della scienza della seconda metà del Novecento, in seguito alle tesi storico-epistemologiche di Kuhn e Feyerabend, che hanno messo in evidenza come nella ricerca scientifica spesso abbiano giocato un ruolo rilevante fattori propagandistici e fideistici. Alle tesi di Kuhn, in partic., è stata mossa l’accusa di fornire un quadro della storia della scienza da cui emergerebbe l’irrazionalità, piuttosto che la r., dell’impresa scientifica. D’altra parte, con il falsificazionismo di Popper si assiste all’ultimo grande tentativo volto a una formulazione (sia descrittiva, sia normativa) del metodo scientifico razionale, fondato sull’atteggiamento critico che ogni ricercatore dotato di r. dovrebbe avere, e di fatto secondo Popper ha, nei confronti delle proprie ipotesi e teorie.