RANGERIO
– Non sono noti la data e il luogo di nascita, né la carriera ecclesiastica di Rangerio prima dell’elezione all’episcopato, da collocare intorno al 1096 in concomitanza con il passaggio di Urbano II e delle truppe crociate da Lucca (Cardini, 1979, pp. 17 s.).
Certamente assunse la guida della diocesi lucchese prima dell’estate del 1097 (il primo atto da lui emanato risale al 18 agosto di quell’anno), subentrando al vescovo Gottifredo, di cui rimane un solo documento datato 4 luglio 1091, ma non è possibile precisare le modalità e i tempi della sua elezione, a causa delle lacune della documentazione relativa a quegli anni tormentati di lento ritorno alla piena normalità, dopo le lotte violente culminate nell’elezione (1081) del vescovo scismatico Pietro. Già in quei primissimi anni, tra il 1096 e il 1099, va collocata la redazione della Vita metrica Anselmi episcopi, una biografia in versi che rielabora la biografia anonima di Anselmo II.
Rimane irrisolta la questione relativa alla sua origine e alla sua formazione, certamente accurata. Tuttavia il suo nome, soggetto a diverse oscillazioni (Raginerius, Reingarius, Rogerius, Rainerius), non risulta diffuso in Italia, e sembra piuttosto di origine transalpina; e numerosi indizi riscontrabili nella Vita di Anselmo II (in particolare l’accenno a un soggiorno in Francia del vescovo scismatico Pietro, e alla presenza di Urbano II alla consacrazione della chiesa di Maguelonne, il 28 giugno 1096) fanno ritenere probabile una sua provenienza dalla Francia e dall’ambiente di Urbano II, anche se nel momento in cui redigeva la Vita egli mostrava di conoscere assai bene la realtà cittadina di Lucca e le sue peculiari tradizioni liturgiche.
Non è possibile identificarlo con il primicerio Raginerius figlio di Berta, né con il Raginerus evocato nella Vita tra i sostenitori di Anselmo II; e appare infondata l’ipotesi che sia stato monaco nel monastero di S. Benedetto di Polirone. Probabilmente fu discepolo a Reims (come Oddone di Châtillon, il futuro Urbano II) di Bruno di Colonia, di cui sottoscrisse il rotolo funebre (PL, CLII, coll. 556 s.).
Secondo una recente ipotesi (Strack, 2012, p. 41) Rangerio potrebbe aver partecipato alla sinodo romana del 1083, nel corso della quale Gregorio VII tenne un sermone sul Credo che poi Rangerio avrebbe rielaborato nella Vita di Anselmo (vv. 2693-2792) riconducendolo alla sinodo del 1076.
Convinto sostenitore della riforma ‘gregoriana’, Rangerio partecipò al concilio romano dell’aprile 1099, difendendo con forza, di fronte allo stesso Urbano II, i diritti dell’arcivescovo Anselmo di Canterbury (Eadmero, Historia novorum in Anglia, II, a cura di M. Rule, 1884). La citata Vita metrica Anselmi episcopi è in realtà un poema epico-storico contaminato con il genere libellistico, nel quale egli integrò i dati forniti dall’anonima Vita Anselmi con un vivace quadro delle tensioni interne alla società lucchese.
L’opera, tramandata integralmente da un unico manoscritto, scoperto nel 1806 nel monastero di S. Maria di Ripoll da Ignazio Herrera e Iacopo Villanueva e poi perduto in un incendio dell’abbazia (1835), è stata pubblicata, sulla base della loro trascrizione, da Vicente De La Fuente (Matriti 1870), e quindi da E. Sackur, G. Schwartz e B. Schneider nei MGH, Scriptores, XXX, 2, Lipsiae 1934, pp. 1152-1307; Bernard Bischoff ha poi segnalato l’esistenza di un breve frammento dell’opera (Freiburg im Br., Universitatsbibliothek, ms. 534, del XII secolo: Severino, 1992, p. 231). Cfr. ora Il poema di Anselmo, vescovo di Lucca, a cura di R. Amari, Pisa 2015.
Con la sua riscrittura poetica Rangerio intendeva creare un’opera letterariamente alta e raffinata e proporre un superamento del modello monastico cluniacense in nome di una concezione militante che assegnava un ruolo di guida al Papato e al vescovo riformatore, considerato come il capo naturale della città.
L’orizzonte geoculturale di questa Vita, «lucchese ed episcopale», si differenzia da quello «padano e matildico» della Vita anonima in prosa (Severino, 1992, p. 225). L’affresco della vita cittadina è dominato dal richiamo a un tempo mitico e dalla condanna della recente decadenza morale: compaiono anche riferimenti alle assemblee cittadine e al ruolo in esse svolto dai notabili cittadini. Rangerio dà voce anche all’élite urbana e alle stesse forze ostili alla riforma, attraverso i discorsi attribuiti al vescovo imperiale Pietro, in cui emerge insistentemente il motivo della libertas cittadina, contrapposta al centralismo romano e al dominio oppressivo di Bonifacio e Matilde.
La seconda opera di Rangerio, il De anulo et baculo (a cura di E. Sackur, in MGH, Libelli de lite imperatorum et pontificum, II, Hannoverae 1892, pp. 505-533). che condannava in termini radicali l’investitura laica, venne redatta negli ultimi mesi del 1110, in risposta al Tractatus de investitura episcoporum composto agli inizi del 1109 da un ecclesiastico di Liegi e in larvata polemica (lo suggerisce una lettera di Bruno di Segni che allude a un quesito sulle investiture sottopostogli da Rangerio) con le tendenze al compromesso emergenti nella cerchia di papa Pasquale II. Il libello, come riferisce Donizone (Vita Mathildis, II 3, vv. 391-438), venne dedicato in un primo momento a Matilde, quando quest’ultima non aveva ancora sottoscritto gli accordi di Bianello con Enrico V (novembre 1110); ma successivamente fu inviato al cancelliere papale Giovanni di Gaeta, il futuro Gelasio II.
A Rangerio va probabilmente attribuita anche la paternità del Sermo in dedicatione ecclesiae sancti Martini (sulla consacrazione, nel 1070, della nuova cattedrale) e del Sermo in translatione corporum sanctorum martyrum Reguli, Iasonis et Mauri atque Ilarie (databile verso il 1109), ove si allude alla chiusura della cripta di S. Regolo e al trasferimento delle reliquie del santo in un altare del presbiterio di S. Martino, per ricondurne il culto nell’ambito della liturgia comunitaria (Guidi, 1932; Silva, 1992).
Sul piano pastorale Rangerio prese diverse iniziative. Un documento del 12 agosto 1097 relativo alla chiesa di S. Michele in Monte presso Brancoli, ove Rangerio predicò in occasione della festa locale, attesta la sua volontà di visitare periodicamente le chiese della diocesi, che egli cercò di sottoporre al suo controllo. Potrebbe fare riferimento a Rangerio anche la formula di giuramento dei canonici di S. Donato «ad obedientiam Dei et beati Martini et episcopi R.», trasmessa dal codice 14 della Biblioteca Capitolare di Lucca (Giusti, 1948).
Un tentativo di subordinare alla guida episcopale anche la chiesa di S. Frediano venne frenato da Pasquale II, che indirizzò a Rangerio altre due lettere per esortarlo a promuovere la vita comune tra i canonici e per confermare i privilegi della Chiesa lucchese, disponendo altresì, il 18 settembre 1107, la ripartizione delle offerte destinate al sacrario del Volto Santo tra l’episcopio e il Capitolo di San Martino.
Una tradizione agiografica locale (che sembra riflettere la memoria di una concorrenzialità tra vescovo e canonici della cattedrale e del ruolo primario svolto da questi ultimi nella promozione del culto del Volto Santo) attribuisce a un vescovo lucchese, identificato in un secondo momento con Rangerio, il fallito tentativo di scrutare l’interno del simulacro per esaminare le reliquie in esso custodite (Savigni, 2005, p. 451).
Nel 1099 Rangerio sottopose il monastero di S. Bartolomeo in Silice all’abbazia cluniacense di S. Benedetto di Polirone, con l’obbligo per il priore di partecipare alla sinodo diocesana. Egli promosse la vita comune nelle canoniche cittadine, e probabilmente pose le premesse per la nascita della congregazione del clero urbano (nel cui obituario quattrocentesco è commemorato, tra i benefattori, un «Roggerius lucanus episcopus»).
Rangerio promosse un superamento delle lacerazioni connesse allo scisma, mediante una serie di accordi con l’aristocrazia laica (ad esempio con i conti Gherardeschi per la cogestione del castello di Capannoli) e con i ceti urbani.
Nel 1111 venne redatta l’iscrizione che contiene il testo del giuramento prestato tempore Rangerii episcopi dai cambiatori e speziali della curtis di San Martino. In questi anni penetrò nella documentazione lucchese il lessico feudale: il 6 giugno 1102 compare accanto al vescovo un capitaneus episcopi. In un inventario dei beni vescovili del XII secolo è menzionata un’intesa tra Rangerio e i lambardi di Montecatini.
Rangerio potrebbe essere identificato (in alternativa al suo successore Rodolfo, 1112-1118) con il vescovo lucchese (di cui è nota solo l’iniziale R.) che sottopose a Pasquale II alcune difficiliores quaestiones (Adalberto Samaritano, Praecepta dictaminum 9).
Morì il 25 gennaio 1112, e in tale data viene ricordato nel necrologio del Capitolo della cattedrale, redatto intorno al 1120 e trasmesso dal codice 618 della Biblioteca Capitolare.
Fonti e Bibl.: Pasquale II, Epistolae, in PL, CLXIII, coll. 124, 226 s., 236; Bruno di Segni, ep. 3 (1111), in MGH, Libelli de lite II, p. 565; Eadmero, Historia Novorum in Anglia, a cura di M. Rule, London 1884, pp. 112 s.; Adalberto Samaritano, Praecepta dictaminum 9, a cura di F.J. Schmale, in MGH, Quellen zur Geistesge-schichte des Mittelaters, III, Weimar 1961, pp. 55 s.; Die Urkunden und Briefe der Markgrafin Mathilde von Tuszien, a cura di E. Goez - W. Goez, in MGH, Diplomata. Laienfürsten- und Dynaste-nurkunden der Kaiserzeit, II, Hannover 1998, n. 52, 58 s., pp. 158-161, 181-184; Donizone, Vita di Matilde di Canossa, a cura di P. Golinelli, Milano 2008, ad ind.; G. Concioni - C. Ferri - G. Ghilarducci, Lucensis Ecclesiae Monumenta. A saeculo VII usque ad annum MCCLX, III, Cattedrale di San Martino, I, 685-1204, Lucca 2013, pp. 196-233.
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