ragionativa
Definisce per D. una delle potenze dell'anima, conformemente alla dottrina aristotelica, che distingue tre diversi stadi di perfezione, in quello che costituisce il principio formale comune a tutti i corpi viventi, cioè l'anima, ove ognuna delle tre potenze, vegetativa, sensitiva e razionale o r., include in sé, portandola alla perfezione, la potenza che la precede (Anima II 3, 412b ss.): Onde la potenza vegetativa, per la quale si vive, è fondamento sopra 'l quale si sente... e questa vegetativa potenza per sé puote essere anima, sì come vedemo ne le piante tutte. La sensitiva sanza quella essere non puote, e non si truova in alcuna cosa che non viva; e questa sensitiva potenza è fondamento de la intellettiva, cioè de la ragione: e però ne le cose animate mortali la ragionativa potenza sanza la sensitiva non si truova, ma la sensitiva si truova sanza questa... E quella anima che tutte queste potenze comprende, [e] è perfettissima di tutte l'altre, è l'anima umana (Cv III II 12-14: si rinvia a ragione, anche per quanto riguarda l'equivalenza di intellettiva e r.).
R. è, in secondo luogo, una delle vertudi, che tutte insieme costituiscono l'ultima e nobilissima parte de l'anima, cioè l'anima razionale, indifferentemente definita intelletto, mente o ragione. La distinzione delle virtù dell'anima è fondata ancora una volta sul testo aristotelico (Eth. Nic. VI 1, 1138b-1139a), ove si richiama in primo luogo la distinzione fra virtù morali e intellettuali, quindi fra le due parti dell'anima (" rationem habens et irrationale "), per individuare infine, nell'anima razionale, due aspetti, rivolto l'uno alla conoscenza dei principi immutabili e definito ‛ scientificum ', l'altro alla conoscenza del contingente e definito ‛ rationativum ' o anche, nelle interpretazioni, ‛ consiliativum ' (cfr. Alb. Magno In Eth. VI I 2. La distinzione è in realtà fra l'intelletto speculativo e l'intelletto pratico): In questa nobilissima parte de l'anima sono più vertudi, sì come dice lo Filosofo massimamente nel sesto de l'[Etica]; dove dice che in essa è una vertù che si chiama scientifica, e una che si chiama ragionativa, o vero consigliativa (Cv III II 15. Cfr. Arist. loc. cit., nella versio antiqua: " Prius quidem igitur dictum est duas esse partes animae: et rationem habens et irrationale. Nunc autem de rationem habente secundum eundem modum dividendum. Et supponatur duo rationem habentia, unum quidem quo speculamur talia entium quorum principia non contingunt aliter habere, unum autem quo contingentia ... Dicatur autem horum hoc quidem scientificum, hoc autem rationativum; consiliari enim et ratiocinari idem, nullus autem consiliatur de non contingentibus aliter habere; quare ratiocinativum est una quaedam pars rationem habentis "). Il carattere pratico, operativo, di questo secondo aspetto dell'anima razionale è messo particolarmente in evidenza dal commento di Averroè In Eth. VI lect. I, in quanto la distinzione aristotelica è interpretata nel senso che una parte dell'anima razionale apprende le cause ‛ naturali ' delle cose, sottratte alla volontà dell'uomo, mentre l'altra si rivolge agli enti, " quorum causas possibile est esse in nobis: et ita sunt ea, quorum causas possibile est esse praeterquam naturales ". Nel commento allo stesso testo di Tommaso d'Aquino la conoscenza del " verum necessarium " e del " verum contingens " stanno invece fra loro come la conoscenza perfetta alla conoscenza imperfetta: " Rursus, verum necessarium et verum contingens videntur se habere sicut perfectum et imperfectum in genere veri; eadem autem potentia animae cognoscimus perfecta et imperfecta in eodem genere, sicut visus lucida et tenebrosa ". Il che è coerente sia con la nozione, di origine agostiniana, di una " ratio superior " e di una " ratio inferior ", sia con la distinzione fra " intellectus " e " ratio ", come si configura nello stesso autore: si rinvia su questo punto a ragione.