Questioni rilevabili d’ufficio e contraddittorio
Il nuovo co. 2, inserito nell’art. 101 c.p.c. (con la rubrica Principio del contraddittorio) dalla l. 18.6.2009, n. 69, si propone di risolvere definitivamente l’annoso problema delle sentenze cd. «a sorpresa» o «della terza via», fecendo sì che, con una testuale sanzione di nullità, venga definitivamente consacrata l’obbligatorietà del previo contraddittorio delle parti su qualsiasi «questione» («di fatto o di diritto»), mai discussa dialetticamente dalle medesime, che il giudice nel momento della decisione abbia rilevato d’ufficio e intenda porre a fondamento della pronunzia finale. La nuova norma – generalizzando un principio già anticipato dalla riforma del 2006 nell’art. 384, co. 3, c.p.c. e quindi ripreso, nel processo amministrativo, dall’art. 73, co. 3, del codice promulgato con d.lgs. 2.7.2010, n. 104 – non va, comunque, esente da esigenze di coordinamento sistematico, da perplessità interpretative e da opportuni adattamenti di ordine pratico, per quanto concerne la sua concreta ricaduta sui giudizi di merito e sullo stesso giudizio di legittimità.
Nel contesto dell’ultima riforma del processo civile1, l’art. 45, co. 13, della l. 18.6.2009, n. 69, rubricata come Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile, ha aggiunto all’art. 101 c.p.c., rubricato ab origine come Principio del contraddittorio, un nuovo co. 2, così letteralmente concepito: «Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione »2. Una norma pressoché identica già era stata inserita nello stesso codice, per il giudizio di legittimità dinanzi alla Corte di cassazione, dall’art. 12 del d.lgs. 2.2.2006, n. 40, con l’aggiunta di un nuovo co. 3 all’art. 384 (rubricato come Enunciazione del principio di diritto e decisione della causa nel merito), così formulato: «Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, la Corte [di cassazione] riserva la decisione, assegnando con ordinanza al pubblico ministero e alle parti un termine non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito in cancalleria di osservazioni sulla medesima questione». Come è facile constatare, in questa precedente disposizione (rimasta tuttora in vigore) – al di là di variazioni e di differenze marginali, concernenti la durata dei termini da assegnare alle parti (ed anche al pubblico ministero)3 – non prevede alcuna sanzione testuale di «nullità», qualificando come «ordinanza» il provvedimento di assegnazione di quei termini e come «osservazioni» gli atti difensivi che le parti (privata e pubblica), entro il termine assegnato, possono depositare in cancelleria. A sua volta, nell’adeguarsi a siffatte indicazioni, l’art. 73, co. 3, del nuovo c.p.a., introdotto nell’ambito della giustizia amministrativa dal d.lgs. 2.7.2010, n. 104, rubricato come Attuazione dell’art. 44 della l. 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo, così prevede: «Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest’ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie ». Qui si nota come, con maggior precisione, al giudice si conferisca principaliter, nel corso del giudizio, il potere-dovere di «indicare» alle parti, con menzione a verbale, la questione contestualmente rilevata d’ufficio, prevedendo in via residuale il dovere di assegnazione di un termine (non superiore a trenta giorni), per il deposito di «memorie», nella sola ipotesi in cui il rilievo d’ufficio della questione avvenga a trattazione e ad istruzione ormai chiuse, nel segreto camerale della fase decisoria. Non vi è, per contro, alcun accenno ad un’eventuale sanzione di «nullità», per le possibili violazioni del precetto normativo. La ratio fondamentale di queste importanti innovazioni – da collocarsi al centro delle ultime riforme processuali, accanto ad altri essenziali principi-guida (quali: la «durata ragionevole», l’«accelerazione » e la «moralizzazione» del processo «giusto», la «pienezza» e l’«effettività» della tutela)4 – si identifica, agevolmente, nell’esigenza di rafforzare il contraddittorio effettivo delle parti dinanzi al giudice, sia nel promovimento iniziale5 e nel corso del giudizio6, sia nel momento finale della decisione, con l’ulteriore rafforzamento delle garanzie di «terzietà» e di «imparzialità» dell’organo giudicante.
1.1 I principali contenuti dell’intervento legislativo
Tralasciando per il momento ogni problema applicativo7, occorre prendere le mosse da una precisa individuazione dei profili tecnici di maggiore impatto della nuova regola, onde sottoporla ad una corretta interpretazione8. Giova, in primis, porre l’accento su di una lineare constatazione, che, malgrado le apparenze, è tutt’altro che banale. A differenza di quanto poc’anzi si è detto per il processo amministrativo, l’art. 101, co. 2, fotografa e disciplina la sola situazione in cui il giudice, nella fase di deliberazione della decisione9, «rilevi » e contestualmente «ritenga» di dover «porre a fondamento della decisione» una questione (come tale, inclusa nell’ampia categoria delle questioni «rilevabili d’ufficio»)10 mai sottoposta prima al contraddittorio delle parti, nel corso del giudizio. Sul punto, di fronte all’inequivoca chiarezza del dato letterale, non pare possa nutrirsi dubbio alcuno11. In secondo luogo, il nuovo precetto, pur se testualmente riferito al solo momento decisorio, appare a tal punto cogente ed imperativo, da configurare (per così dire, a largo raggio) come doveri imprescindibili del giudice sia l’atto del «riservare» la decisione, sia il provvedimento di assegnazione del termine12; e la sanzione di «nullità», enunciata qui per la prima volta13, non fa che rafforzare – al di là di quanto si vedrà fra poco14 – la portata imperativa di quel medesimo precetto. Ovviamente, a fronte dei doveri enunciati a carico del giudice, si contrappongono – come accade con il precetto dell’art. 101, co. 1 – il diritto soggettivo delle parti di pretenderne la piena osservanza ed il derivato diritto di impugnare la decisione che ne risulti conseguentemente viziata. Ci si chiede, però, se quei doveri del giudice trovino un loro «antecedente» logico-cronologico prima della fase decisoria, vale a dire nel corso delle fasi di trattazione e di istruzione. Fermo restando il contraddittorio da instaurarsi prima dell’assunzione delle prove «disposte» d’ufficio dal giudice15, l’unico riferimento – per quel che concerne le «questioni» qui in esame – è dato dall’art. 183, co. 4 (già co. 3), c.p.c., ove, nel corso dell’udienza di prima comparizione e di trattazione (o di quelle successive, menzionate nei co. 2-3), si prevede che il giudice «richieda» alle parti, «sulla base dei fatti allegati», i «chiarimenti necessari» e soprattutto «indichi» loro «le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione». Ma – se si prescinde, per ora, dalle obiezioni mosse, da tempo, in dottrina16 – l’intenzione manifestata dal legislatore del 194017 (e sostanzialmente non modificata dalle riforme successive) fu chiaramente quella di configurare come «poteri» discrezionali (e non già come «obblighi ») del giudice tali attribuzioni «chiarificatorie», avuto specifico riguardo all’apprezzamento circa l’«opportunità» della trattazione di talune (e non di altre) «questioni» da lui «indicate». Il che, con l’avallo giurisprudenziale, ha tradizionalmente contribuito, per decenni, a svalutare di molto la portata potenzialmente garantistica della norma stessa. Quanto alla forma del provvedimento con cui, nel nuovo co. 2 dell’art. 101, il giudice «riserva» la decisione ed «assegna» il termine alle parti, il riferimento all’art. 384, co. 3, non fa che ribadire il principio generale ritraibile da altre norme18, rendendo indiscutibile l’adozione dell’«ordinanza», la cui motivazione sarà tanto meno «succinta», quanto più precisa debba essere, in funzione del contraddittorio e dei diritti di difesa delle parti, l’«indicazione» della questione rilevata d’ufficio19.
1.2 I «precedenti» legislativi di riferimento, nel panorama comparatistico
Di «Überraschungsentscheidung » (o, come da noi si dice, di sentenza «a sorpresa » o «della terza via») si cominciò a parlare, nella dottrina processualistica della Germania occidentale, a partire dagli anni ’60, allorquando si fece strada, con sempre maggior convinzione, l’idea secondo la quale una decisione giurisdizionale, fondata su di una tesi, in fatto o in diritto20, radicalmente diversa da quelle prospettate dalle parti in lite e, così sorprendendole, adottata dal giudice d’ufficio (senza, dunque, mai essere stata sottoposta al loro preventivo contraddittorio), violerebbe irrimediabilmente il «nucleo essenziale» della garanzia costituzionale, in cui si traduce il diritto fondamentale di ogni individuo al «rechtliche Gehör»21. Nel ricollegarsi a tale opinione teorica, la Novella legislativa del 1976 introdusse nella ZPO del 1877 un primo positivo riscontro, disponendo nel § 278, co. 3, che il giudice non potesse fondare la propria decisione su di un determinato «punto di vista giuridico »22, evidentemente (e riconoscibilmente) trascurato o ritenuto irrilevante da una delle parti, se non quando egli avesse previamente dato a quest’ultima un’adeguata opportunità di interloquire in merito23. Tale precetto, pur con qualche semplificazione terminologica, ma con un sostanziale rafforzamento, viene oggi a costituire, dopo le ultime Novelle degli anni 2001-2003, un caposaldo della cd. «direzione materiale » del procedimento, in forza della quale, ai sensi del § 139, co. 2, il giudice deve anzitutto «indicare» ad una parte (o ad entrambe) la questione, assicurando loro un’adeguata opportunità di interloquire, prima della decisione finale24. Una previsione del tutto analoga trovasi pure, dopo la riforma del 2003, nel nuovo § 182a della ZPO austriaca del 189525. Nella medesima prospettiva, ma con ulteriori importanti specificazioni, si è collocato, a suo tempo, anche il c.p.c. francese del 1975. In un processo civile a cognizione ordinaria, entro il quale i corollari più importanti del principio dispositivo in senso stretto26 si armonizzano con il ruolo attivo del giudice sia nella «chiarificazione » dei fatti e delle questioni27, sia nell’ammissione e nell’assunzione delle prove28, il principio del contraddittorio diviene oggetto di un imperativo inderogabile29, gravante non soltanto sulle parti nella loro reciproca contrapposizione30, ma anche, e soprattutto, sul giudice31. Quest’ultimo, dunque, come non può utilizzare, nella sua decisione, fatti e prove che non siano stati oggetto di un preventivo «dibattito» inter partes, così non può fondare la propria pronunzia su questioni di diritto, rilevate d’ufficio32, senza aver previamente «invitato» le parti stesse a formulare le loro «osservazioni » al riguardo33.
1.3 I «precedenti» dottrinali e giurisprudenziali in Italia
Come è stato analiticamente prospettato34, negli anni ’60-’70 anche da noi, sulla scia delle tendenze manifestatesi nella scienza processuale tedesca35, il problema delle sentenze cd. «a sorpresa» venne affrontato con estrema determinazione. Sul presupposto, ampiamente condiviso, di un «giusto processo» già delineato adeguatamente, ad instar del processo «equo» di origine europea36, dalle garanzie (individuali e strutturali)37 della Costituzione repubblicana del 194838, venne a delinearsi anzitutto, in quegli anni, una tesi di stampo «garantista», volta a dare corpo, anche nel nostro sistema, ad un divieto inderogabile di pronunzie giurisdizionali fondate su questioni rilevate per la prima volta dal giudice nel momento della decisione e, perciò, sottratte al preventivo contraddittorio delle parti interessate. Vi fu chi, sulla base di quel medesimo presupposto, ebbe a contestare con rigore l’opinione consolidata, secondo la quale sarebbe meramente «discrezionale» il potere del giudice di «indicare» previamente alle parti le «questioni rilevabili d’ufficio» di cui ritenga «opportuna» la trattazione39, circoscrivendo però la corrispondente configurazione di un vero e proprio «dovere », nei confronti dell’organo giurisdizionale, all’insorgenza di questioni (pregiudiziali o preliminari) di carattere assorbente e/o impediente, idonee da sé sole, se ritenute fondate, a definire anticipatamente il giudizio40. Ci fu anche chi, invece, intese attribuire il più ampio grado di effettività all’azione ed alla difesa in giudizio come «diritti inviolabili dell’uomo»41, proponendo di interpretare come costituzionalmente imperativo e cogente, al di là del dato letterale emerso dal cit. art. 183, co. 2, il potere-dovere del giudice di provocare sempre il preventivo contraddittorio delle parti, mediante il «rilievo» d’ufficio e la conseguente «indicazione», «… in ordine a qualunque ‘questione’ (di fatto o di diritto, preliminare o pregiudiziale, di rito o di merito) la cui soluzione possa comunque incidere sulla decisione giurisdizionale… »42. In tale ottica, quel «dovere» del giudice, nel rendere sempre «costituzionalmente necessaria» (e non mai discrezionalmente «opportuna»)43 la «trattazione» di ogni questione rilevata d’ufficio, si coordinava armonicamente con la concezione, secondo cui le garanzie costituzionali di azione e difesa, nel pieno contraddittorio fra parti in posizioni tendenzialmente paritarie, dovrebbero attribuire ad esse eguali possibilità di influire ex ante, con piena effettività, sul contenuto della decisione giurisdizionale. Né mancò chi – con ulteriori sviluppi e rilievi di ordine sistematico – ebbe a rafforzare la dimensione «garantistica» della soluzione data al problema, non esitando a considerare come radicalmente affette da una nullità «non formale» (od «extraformale »), direttamente desumibile dalle norme costituzionali (anche in assenza di previsioni processuali ad hoc), una pronuncia giurisdizionale cd. «a sorpresa»44. Ma vi si contrappose, con non minore autorevolezza, una tesi di diverso segno, definibile come «antiformalistica» o «sostanzialista»45, la quale, contrastando qualsiasi generalizzata sanzione di «nullità», sottolineò come, di per sé sola, la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo in ordine ad una questione rilevabile d’ufficio dal giudice, ma pur sempre ragionevolmente «conoscibile» ante tempus dai difensori delle parti, non fosse foriera di alcuna rigida (ed automatica) «nullità» della pronunzia giurisdizionale, dovendosi invece verificare, caso per caso, se il rilievo «a sorpresa» di tale questione (e la sua conseguente soluzione) abbiano «effettivamente» compromesso ex ante il diritto di difesa della parte, recandole ex post un reale pregiudizio per tramite della conseguente «ingiustizia » sostanziale del dictum decisorio46. E vi fu anche chi – pur continuando a parlare di «nullità» (e non di «ingiustizia») della decisione – propose di reputare «nulla» la sentenza unicamente laddove, a causa della mancata instaurazione del previo contraddittorio sulla questione rilevata d’ufficio (e rivelatasi poi decisiva), alle parti fosse stato concretamente impedito l’esercizio dei necessari poteri di contestazione e di controprova47. Per quanto concerne, poi, l’atteggiamento della giurisprudenza, occorre dire che, per decenni, si manifestò e si rafforzò la tesi contraria a qualsiasi ipotesi di «nullità» di una sentenza, la quale avesse per la prima volta rilevato e deciso, senza alcun preventivo contraddittorio di parte nel corso della trattazione, taluna delle questioni rilevabili d’ufficio (o, se si preferisce, taluna delle cd. «eccezioni improprie»). Si sottolineava, in particolare, la natura del tutto discrezionale del potere di «indicare » siffatte questioni, attribuito al giudice dall’art. 183, co. 2 (ora co. 4), c.p.c., e quindi si reputava, in proposito, manifestamente infondato qualsiasi dubbio di incostituzionalità48. Solo nel 200149 cominciò a prendere corpo nella giurisprudenza civile50 – e si è via via consolidato con ulteriori conferme in questi ultimi anni51 – un orientamento opposto, secondo il quale emergerebbe dal sistema e dai suoi principi generali la radicale «nullità» della sentenza cd. «a sorpresa», per violazione del contraddittorio; sicché il conseguente vizio, dedotto (o rilevato) e quindi dichiarato in sede di impugnazione, imporrebbe al giudice del gravame, nell’impossibilità di una rimessione o di un rinvio restitutorio al giudice a quo52, l’adozione degli opportuni provvedimenti53, intesi ad assicurare alle parti il pieno ripristino delle loro facoltà di difesa sulla questione rilevata d’ufficio ed, a suo tempo, non sottoposta tempestivamente al loro previo contraddittorio.
I dati emersi dall’evoluzione degli indirizzi dottrinali e giurisprudenziali, unitamente alle indicazioni che scaturiscono dai raffronti comparatistici, permettono, a questo punto, di inquadrare con sufficiente chiarezza sia i quesiti in discussione, sia le risposte possibili, in particolare, quella offerta, nel diritto positivo, dal nuovo art. 101, co. 2, c.p.c.
2.1 Processo «giusto» e questioni rilevate d’ufficio
Se si riconsiderano con attenzione taluni rilievi già svolti in dottrina54, ci si rende conto del fatto che l’unica plausibile «chiave di lettura » della nuova norma (e delle sue ricadute pratiche)55 è quella di una sua interpretazione «costituzionalmente orientata », alla luce delle garanzie fondamentali del processo «giusto »56 (in via integrativa, anche di quelle del processo «equo»)57. Come è noto, la reale novità della riforma costituzionale del 1999 (da cui derivano le importanti integrazioni garantistiche, inserite nell’art. 111, co. 1-2, 3-5, Cost.) non fu tanto di ordine contenutistico58, quanto piuttosto di natura etico-deontologica, avendo costituzionalizzato, con la formula del «giusto processo », quell’insieme di valori di «giustizia procedurale», che, tradizionalmente, ne rappresentano l’essenza e la genesi, per così dire, giusnaturalistica59. Orbene, nella prospettiva del processo «giusto», uno dei suoi fini fondamentali è l’accertamento della «verità» (storica ed ontologica) dei fatti controversi, quale condizione sempre necessaria (seppur non sempre da sé sola sufficiente) per la pronunzia di una decisione sostanzialmente «giusta». Nella medesima prospettiva, è sicuramente funzionale a quel fine il più aperto e pieno contraddittorio fra le parti, cui siano attribuite a priori eguali possibilità di azione e difesa60, nel reciproco sforzo di influire a proprio vantaggio, ed in misura effettiva, sulla formazione del convincimento del giudice. Ed è pure indubbio che esso si ponga quale ulteriore garanzia della «terzietà» e dell’«imparzialità » del giudice procedente, anche (e soprattutto) nell’esercizio dei poteri decisori, in applicazione del principio di legalità e del canone jura novit curia. Ma quel contraddittorio in tanto è capace di esplicare la sua complessa funzione, in quanto, a sua volta, esso si svolga sempre sotto il controllo attivo del giudice, quale supremo garante della «correttezza» del procedimento e della «lealtà» dei comportamenti di tutti i soggetti processuali. Ne derivano questi corollari:
a) l’instaurazione e l’attuazione costante del preventivo contraddittorio fra le parti rientrano nel novero dei doveri inderogabili del giudice;
b) l’esigenza imprescindibile di quel previo contraddittorio è, dal canto suo, condizione di validità dell’esercizio di tutte quelle attribuzioni ed iniziative d’ufficio, che la legge conferisce al giudice stesso61;
c) nell’accertamento «dialettico» della verità dei fatti controversi, per tramite del contraddittorio inter partes, le predette attribuzioni d’ufficio (soprattutto, le iniziative istruttorie rientranti nella cd. «direzione materiale» del procedimento) non si esauriscono in poteri meramente discrezionali ed incensurabili, ma, anche a prescindere dalle formule letterali delle stesse norme che di volta in volta li disciplinano62, assumono la consistenza di poteri-doveri, del cui positivo, mancato o rifiutato esercizio il giudice è tenuto a render conto con una motivazione adeguata, quantomeno nella sua decisione finale, in funzione della loro (sia pur limitata) sindacabilità nei differenti giudizi di impugnazione63;
d) in tale medesimo contesto, dunque, si qualificano inderogabilmente come poteri-doveri le attività ufficiose, con le quali il giudice «rileva» e previamente «indica» alle parti64, facendone oggetto del loro susseguente contraddittorio, qualsiasi «questione» rilevabile d’ufficio (di fatto o di diritto), che sia dotata ex se di piena rilevanza decisoria (e sia, quindi, di per sé «decisiva»), richiedendo come tale il contributo argomentativo (ed eventualmente l’apporto probatorio) delle parti medesime.
2.2 Violazione del contraddittorio e «nullità» della sentenza
Le premesse dianzi esposte rendono ineludibili queste ulteriori conclusioni. Rimane anzitutto confermata nella nuova norma, vista la trasparente portata del dato letterale, la necessità ermeneutica di ribadire il significato omnicomprensivo del termine «questioni», così risultandone definitivamente preclusa ogni possibilità di eventuali suddistinzioni (o differenziazioni) applicative65. In secondo luogo, data la sua collocazione sistematica nel libro I del codice, il nuovo precetto, pur se formalmente riferito alla fase decisoria, è espressione di un principio generale, la cui rilevanza garantistica lo impone quale canone primario di interpretazione «costituzionalmente orientata» di qualsiasi altra disposizione correlata, invocabile nel corso del giudizio (si pensi, soprattutto, a quanto prevede, nel contesto dell’udienza di prima comparizione e trattazione, il cit. art. 183, co. 4). Inoltre, la «nullità» derivante dalla sua violazione non può non continuare a configurarsi geneticamente, per coerenza sistematica, come «non formale» (od «extraformale»)66, attingendo e viziando la decisione come tale, al pari di qualsiasi altra ipotesi di violazione delle regole sul contraddittorio67 (o di altri fondamentali principi di struttura del processo)68. Quindi, la testuale sanzione di «nullità», da riferirsi indubitabilmente alla sentenza, assume tutt’al più una valenza sussidiaria e rafforzativa69.
Come si è già sottolineato in dottrina70, i dati interpretativi ricavabili dalla nuova norma consentono di superare (o di sciogliere) parecchi dubbi emersi dal dibattito scientifico precedente71. Vale la pena di ricordarne brevemente i più significativi.
3.1 I riflessi della nuova disciplina sui giudizi di merito
Se si tiene conto dei principi riconducibili alle garanzie del processo «giusto»72, la nuova norma, nella misura in cui enuncia una regola generale per la fase decisoria, non può non riverberarsi anche sull’interpretazione delle altre norme che disciplinano l’assetto dei poteri spettanti alle parti ed al giudice nel corso dell’intero procedimento. Così, nei giudizi di merito, già lo si diceva, in forza di attribuzioni da intendersi come veri e propri poteri-doveri, il giudice, quando «rileva» d’ufficio una delle questioni (di fatto o di diritto) che esulano dal ristretto novero delle questioni proponibili dalle sole parti con eccezioni in senso proprio, ha l’«obbligo» (e non la mera potestà discrezionale) di «indicarla» tempestivamente (se non, addirittura, contestualmente) alle parti medesime, sì da sottoporla quanto prima alla loro attenzione ed al loro previo contraddittorio73. Nel medesimo tempo, specialmente quando si tratti del rilievo di una questione di fatto rimasta sino a quel momento estranea al dibattito processuale, egli deve porre i litiganti in condizione di esercitare, al riguardo, ogni potere di allegazione, di argomentazione o di prova74, riservandosi a sua volta, ove ne ricorrano i presupposti, l’esercizio di talune sue attribuzioni ufficiose, in funzione dell’accertamento «dialettico» della verità75. Il che, pure nell’ipotesi disciplinata dall’art. 101, co. 2, implica la regressione della causa dalla fase decisoria a quella istruttoria76, ogni qual volta si rendano necessari, a seguito delle «osservazioni » di parte contenute nelle memorie depositate nel termine assegnato, ulteriori attività di trattazione e di istruzione77. Le nullità «extraformali» (od anche «formali», nel co. 2 dell’art. 101), derivanti dalla violazione di queste regole e verificatesi nel giudizio di primo grado, attingendo comunque la sentenza che lo definisce78, sono deducibili in appello come motivi specifici di gravame, secondo le regole generali79. Ma – non potendosi derogare alla tassatività delle ipotesi di rimessione al primo giudice80 – al ripristino del contraddittorio violato, con le declaratorie del caso, provvede direttamente il giudice di secondo grado81. Parimenti, le analoghe nullità da cui sia affetta la pronunzia di quest’ultimo sono deducibili in cassazione, secondo le predette regole generali, conducendo, ove occorrano (a seconda del tipo di questione rilevato) nuovi accertamenti di fatto, ad una cassazione con rinvio prosecutorio82.
3.2 Riflessi eventuali sul giudizio di legittimità
Come si è già accennato83, l’art. 384, co. 3, c.p.c., introdotto dalla riforma del 2006, costituisce – rispetto al successivo art. 101, co. 2, inserito dalla riforma del 2009 – una lex specialis, rimasta tuttora in vigore, la quale prevede e disciplina l’ipotesi specifica in cui la Corte di cassazione, nella deliberazione della sentenza, ritenga di porre a fondamento della propria decisione «una questione rilevata d’ufficio»84 e, quindi, mai sottoposta prima al contraddittorio delle parti. Giovano, al riguardo, due brevi considerazioni. Da un lato, ferma restando la reciproca integrabilità delle modalità di ripristino di quel mancato contraddittorio, è fuori dubbio che il riferimento alla lex generalis sopravvenuta serva, quantomeno, a sottrarre il precetto «speciale» a qualsiasi interpretazione tendenzialmente restrittiva85. Dall’altro, è pure chiaro – ma è, forse, quasi banale ricordarlo – che l’eventuale violazione di quei precetti, da parte della Suprema Corte, si tradurrebbe in una nullità fine a se stessa, in quanto coperta dal giudicato86 e quindi non più deducibile in alcuna sede impugnatoria87.
1 Sulle direttive e sui principi di politica giudiziaria, cui si è uniformata la predetta riforma, cfr., ad es., ex multis, Comoglio, Ideologie consolidate e riforme contingenti del processo civile, in Riv. dir. proc., 2010, 521-543.
2 Eccezion fatta per la durata (minima e massima) del termine da assegnarsi alle parti, nel resto l’attuale versione della norma riproduce quella già proposta dall’art. 14 del d.d.l. (Disposizioni per la razionalizzazione e l’accelerazione del processo civile) presentato alle Camere nel marzo 2007 dal Ministro Guardasigilli dell’epoca (On. Mastella). Si ricordi che una previsione di analogo tenore («Il giudice non può decidere la causa sulla base di una questione che egli abbia rilevato d’ufficio senza aver prima invitato le parti a dedurre in ordine ad essa») già era presente, con la medesima collocazione, nel progetto di riforma del processo, elaborato nel 2005 da Magistratura Democratica. Tale progetto può essere consultato, con l’articolato proposto, nonché con alcuni studi di presentazione e di analisi (Gilardi, Il processo civile, il giudice, le parti. Idee e proposte; Nardin-Pivetti, Un processo civile per il cittadino. Lineamenti di una proposta di riforma della procedura civile), in Questione Giustizia, 2005, fasc. 6, estr., 1-36, spec. 23. Un’anticipazione significativa, sia pur limitata alle questioni di diritto, si trovava pure nell’art. 3.5. della Draft Directory sul processo civile, elaborata per l’Unione Europea nel 1993 da una speciale Commissione presieduta da Storme («le juge ne peut trancher le litige par application d’une règle de droit non invoquée par les parties sans avoir mis ces derniers à même d’en débattre utilement»). Per altri cenni, Comoglio, Etica e tecnica del «giusto processo», Torino, 2004, 177-178, testo e nt. 77.
3 Data l’obbligatorietà del suo intervento, ai sensi degli artt. 70, co. 2, e 379, co. 3, c.p.c., nonché in base all’art. 5 della l. 8.8.1977, n. 532.
4 Significativamente nel nuovo c.p.a., entro il quadro dei «principi generali» (tit. I, capo I), l’art. 1 (rubricato come Effettività) così dispone: «1. La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo». Dal canto suo, l’art. 2 (con la rubrica Giusto processo) statuisce che: «1. Il processo amministrativo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo previsto dall’articolo 111, primo comma, della Costituzione. 2. Il giudice amministrativo e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo».
5 Cfr. l’art. 101, co. 1, c.p.c. (nel testo d’origine).
6 Cfr., ad es., con riguardo all’esercizio del potere-dovere del giudice di disporre mezzi di prova d’ufficio, l’art. 183, co. 8, c.p.c.
7 Cfr. infra §§ 3, 3.1, 3.2.
8 Tenuto conto dei criteri ermeneutici somministrati dall’art. 12 disp. prel. c.c.
9 Si rammenti come l’art. 276, co. 2, c.p.c., nel testo d’origine (rimasto inalterato sino ad oggi), delinei assai schematicamente un fondamentale ordo quaestionum nel corso della deliberazione della decisione (nel «segreto » della camera di consiglio), stabilendo che il giudice (collegiale o monocratico) «… decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa». La lettera della norma lascia, dunque, intendere come teoricamente legittima la possibilità che il giudice «rilevi» per la prima volta, nel «segreto» camerale, una determinata «questione pregiudiziale» non proposta da alcuna parte (e, perciò, rimasta estranea al previo contraddittorio dei litiganti), provvedendo a deciderla con priorità logico-giuridica rispetto al merito della causa. Evidentemente, il legislatore del 1940, con esclusivo riguardo al principio jura novit curia, non poteva avere ancora alcuna peculiare sensibilità per il problema delle cd. «sentenze a sorpresa », insorto e discusso nel secolo XX solo a partire dagli anni ’50, con l’avvento delle convenzioni internazionali postbelliche sui diritti dell’uomo e delle costituzioni moderne (cfr. infra § 1.2).
10 Secondo un’interpretazione ampiamente discussa in dottrina ed avallata dagli orientamenti giurisprudenziali consolidati, cui si contrapponeva un’impostazione addirittura ribaltata nel progetto di riforma di Magistratura Democratica indicato supra (in nt. 2), le «eccezioni » (e le corrispondenti «questioni»), da reputarsi proponibili «soltanto dalle parti», come prescrive l’art. 112, si dovrebbero ricondurre a situazioni tipiche, disciplinate di volta in volta dalla legge con norme speciali; mentre, tutte le volte in cui la legge nulla preveda in proposito, qualsiasi altra «eccezione » (o «questione») si dovrebbe considerare, per effetto di una regola generale presente per implicito nell’ordinamento, come sempre «rilevabile d’ufficio» dal giudice (ed anche eccepibile dalle parti), al di fuori di qualsiasi limite preclusivo o decadenziale. Per ulteriori rilievi, sul tema, cfr., ad es., Carratta, sub art. 112, in Carratta-Taruffo, Dei poteri del giudice, Art. 112-120, in Commentario del c.p.c., a cura di Chiarloni, Bologna, 2011, 212-232 ; Cavallini, Eccezione rilevabile d’ufficio e struttura del processo, Napoli, 2003, 71-131, spec. 105 ss.; Comoglio, Le prove civili, III ed., Torino-Milano, 2010, 277-279.
11 In proposito, cfr., ad es., Buoncristiani, Il nuovo art. 101, comma 2°, c.p.c. Sul contraddittorio e sui rapporti tra parti e giudice, in Riv. dir. proc., 2010, 399- 415, spec. 400; E. Fabiani, Contraddittorio e questioni rilevabili d’ufficio, in Foro it., 2009, V, 264-268, spec. 266-267; nonché, nel quadro di una trattazione particolarmente ampia ed approfondita, Gamba, L’integrazione dell’art. 101 c.p.c., il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio e la «scommessa aperta» dell’ordinamento processuale, in Il processo civile riformato, diretto da Taruffo, Bologna, 2011, 65-179, spec. 65-69, 160-170.
12 Termine che, a rigore, non è perentorio, secondo le regole ricavabili dall’art. 152, co. 1-2, c.p.c.
13 Essa, come si diceva poc’anzi, non figura nell’art. 384, co. 3, così come introdotto dalla riforma del 2006.
14 Cfr. infra § 1.3.
15 Cfr. l’art. 183, co. 8, c.p.c.
16 Cfr. infra § 1.3.
17 Si riveda la Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Re, presentata all’udienza del 28 ottobre 1940, al § 29, 6° cpv., ove, a proposito del potere di chiedere «schiarimenti» alle parti, se ne volle escludere la trasformazione in vero e proprio «dovere», difformemente da quanto aveva invece sancito la legislazione processuale tedesca con la richterliche Fragepflicht (§ 139 ZPO, nel testo allora vigente).
18 Cfr. gli artt. 176, 177, co. 1, 178, co. 1, 187, 279, co. 1, 280, 281, 281 bis c.p.c.
19 Cfr. l’art. 134, co. 1, in relazione all’art. 111, co. 6, Cost.
20 Preferibilmente, però, si parlava di «Überraschungsschutz» e di «Rechtsgespräch», facendo soprattutto riferimento al mancato previo contraddittorio sulle quaestiones juris, rilevate e risolte d’ufficio dal giudice in base al canone jura novit curia. Sul tema, con ampia trattazione, cfr. Trocker, Processo civile e Costituzione, Problemi di diritto tedesco e italiano, Milano, 1974, 499-505, 674-684.
21 Cfr. gli artt. 19, co. 2, e 103, co. 1, della Costituzione federale tedesca del 1949 (GG). Su questo fondamentale diritto di «ciascuno» di farsi «udire» dal giudice prima della decisione (art. 103, co. 1: «vor Gericht hat jedermann Anspruch auf rechtliches Gehör»), si veda ad es., nella risalente dottrina, Dahs Jr, Der Anspruch auf rechtliches Gehör, München und Berlin, 1965, 17-19, 23 ss., 28-31, 35-36; nonché, per ulteriori rilievi, Comoglio, La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova, 1970, 145-146, testo e note ; Etica e tecnica del «giusto processo», cit., 71-74, 176- 178; Trocker, Processo civile e Costituzione, cit., 169-179, 367 ss., 451 ss., 637 ss.
22 Al di là della mera traduzione letterale, se si tiene conto di altre locuzioni dello stesso linguaggio giuridico tedesco (ad es., «streitiges Punkt»), non parrebbe scorretto, ai nostri fini, parlare comunque di «questione ».
23 Il precetto non valeva per la pronunzia su domande aventi ad oggetto mere obbligazioni o prestazioni accessorie («Nebenforderungen»). Il § 278, co. 3, era così formulato: «Auf einen rechtlichen Gesichtspunkt, den eine Partei erkennbar übersehen oder für unerheblich gehalten hat, darf das Gericht, soweit nicht nur eine Nebenforderung betroffen ist, seine Entscheidung nur stützen, wenn es Gelegenheit zur Äußerung dazu gegeben hat» (corsivo aggiunto). In dottrina, si sottolineava soprattutto come: a) il rispetto di tale nuova regola fosse una peculiare espressione dell’«Hinweispflicht» a carico del giudice, ponendosi quale condizione essenziale al fine di giungere ad una decisione «corretta» e «giusta»; b) per «rechtliche Gesichtspunkt» dovesse intendersi ogni questione concernente l’applicabilità di una data fattispecie normativa astratta (legale o negoziale) alla fattispecie concreta controversa; c) la soluzione di siffatta questione fosse ineludibilmente necessaria («entscheidungserheblich ») per la pronunzia sulla domanda principale; d) nel valutare l’atteggiamento della parte (che avesse trascurato di considerare o ritenuto irrilevante la questione decisiva), il giudice non dovesse negare il previo contraddittorio sol perché quella parte (o il suo difensore) «avrebbe dovuto» comunque conoscerne ed apprezzarne anzitempo la piena rilevanza decisoria. In proposito, ad es., cfr. i rilievi di Thomas-Putzo, Zivilprozessordnung15, München, 1987, 563- 567. 24Nella vigente versione della norma, ripresa dal cit. § 278, co. 3, si parla ora semplicemente di «Gesichtspunkt », trascurato o reputato irrilevante da una parte, stabilendosi che il giudice può fondare su di esso la propria decisione unicamente «… wenn es darauf hingewiesen und Gelegenheit zur Äußerung dazu gegeben hat. Dasselbe gilt für eine Gesichtspunkt, den das Gericht anders beurteilt als beide Parteien ...» (corsivo aggiunto).
25 Qui si torna a parlare, però, ancora di «rechtliche Gesichtspunkte», la cui utilizzabilità decisoria – eccezion fatta, come già si è visto nella ZPO tedesca, per la pronunzia in ordine a meri «Nebenansprüchen» – è subordinata alla condizione che il giudice ne abbia previamente discusso con le parti, chiedendo loro i necessari chiarimenti (ex § 182), ed abbia loro assicurato, di conseguenza, un’adeguata opportunità di interloquire.
26 Cfr., sui principi corrispondenti agli artt. 99 e 112 del nostro codice di rito, gli artt. 4-5, nonché, a proposito degli oneri di allegazione e di prova delle parti, gli artt. 6 e 9.
27 Cfr. gli artt. 7-8, 12-13.
28 Cfr., in particolare, l’art. 10 («le juge a le pouvoir d’ordonner d’office toutes les mesures d’instruction légalement admissibles») e l’art. 146.
29 Appartenente all’ordine pubblico processuale (art. 14: «nulle partie ne peut être jugée sans avoir été entendue ou appelée») e, come tale, foriero di nullità processuali assolute, rilevabili d’ufficio.
30 Con riferimento a tutte le allegazioni di fatto («moyens de fait»), nonché a tutti gli elementi di prova ed alle argomentazioni di diritto («moyens de droit»), che ciascuna di esse ponga a fondamento delle proprie pretese: art. 15.
31 Art. 16, co. 1: «le juge doit, en toutes circonstances, faire observer et observer lui-même le principe de la contradiction».
32 Cfr., per i «moyens de pur droit», nell’ambito del canone jura novit curia, l’art. 12, co. 1-2 e 3.
33 Art. 16, co. 3: il giudice «ne peut fonder sa décision sur les moyens de droit qu’il a relevés d’office sans avoir au préalable invité les parties à présenter leurs observations ».
34 Si riveda l’ampio studio di Gamba, L’integrazione dell’art. 101 c.p.c., cit., 65-70, 71-87.
35 Cfr., supra, § 1.2, testo e nt. 19-20.
36 Ex art. 6 della Convenzione europea del 1950.
37 Artt. 2, 3, 24, 25, 101-104, 111, nel testo d’origine, e 113.
38 Sul punto, per altri rilievi, cfr., ad es., Comoglio, La garanzia costituzionale dell’azione, cit., 154-155, 156-157.
39 Ex art. 183, co. 2, c.p.c., nel testo d’origine.
40 Con riguardo agli artt. 187, co. 2-3, e 279, co. 2, nn. 2, 4, 5, c.p.c., cfr. Denti, Questioni rilevabili d’ufficio e contraddittorio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1968, 217 ss., 222 ss.; Denti, Perizie, nullità processuali e contraddittorio, in Riv. dir. proc., 1967, 395-406. Ma si veda pure, per altri spunti, Andrioli, Commento al c.p.c., III ed., II, Napoli, 1960, sub art. 183, 74-82, spec. 81-82.
41 Artt. 2 e 24, co. 2, Cost.
42 Comoglio, La garanzia costituzionale dell’azione, cit., 145-146. Per più ampi sviluppi ed approfondimenti, del medesimo Autore cfr. ancora: Il II comma dell’art. 24: il diritto di difesa nel processo civile, in Comm. Cost. Branca, Art. 24-26, Rapporti civili, Bologna-Roma, 1981, 53-81, spec. 58, 59-60; Contraddittorio (principio del), in Enc. giur., VIII, Roma, 1988, §§ 1-5, 1-11 (e Aggiornamento, Roma, 1997, §§ 1-5); Contraddittorio, in Dig. civ., IV, Torino, 1989, §§ 1-19, 3-64.
43 Sul punto, ancora Comoglio, Le garanzie costituzionali, in Comoglio-Ferri-Taruffo, Lezioni sul processo civile, I, VI ed., Bologna, 2011, 76-77.
44 È la tesi di Ferri, Contraddittorio e poteri decisori del giudice, in Studi urbinati, Rimini, 1980- 1982, 20 ss., 50 ss., 64 ss.; Sull’effettività del contraddittorio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, 780 ss.
45 Si rinvia qui, ancora una volta, all’accurata indagine ed alla classificazione di Gamba, L’integrazione dell’art. 101 c.p.c., cit., 73-87, spec. 81 ss.
46 Si tratta, essenzialmente, della tesi propugnata da Chiarloni, Questioni rilevabili d’ufficio, diritto di difesa e «formalismo delle garanzie», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, 575 ss., ripresa in seguito, con ulteriori sviluppi e sfumature, da E.F. Ricci, La sentenza «della terza via» e il contraddittorio, in Riv. dir. proc., 2006, 750 -754 (cfr. anche infra).
47 Per spunti in tal senso, cfr., ad es., Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, V ed., Napoli, 2006, 99-102; Civinini, Poteri del giudice e poteri delle parti nel processo ordinario di cognizione. Rilievo ufficioso delle questioni e contraddittorio, in Foro it., 1999, V, 1-10.
48 Si rivedano, ad es., ex multis, Cass., 29.4.1982, n. 2712, in Foro it. Rep., 1982, voce «Procedimento civile», n. 136; Cass., 21.5.2001, n. 6890, in Giust. civ., 2001, I, 2641; nel medesimo senso, cfr., da ultimo, Cass., 27.7.2005, n. 15705, in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 820-822, con commento di Ferraris, Obbligo del giudice di sottoporre alle parti le questioni rilevabili d’ufficio?, 822-827, nonché in Foro it., 2006, I, 3174-3186, assieme a Cass., 5.8.2005, n. 16577 (cfr. anche infra), con nota di E. Fabiani, Rilievo d’ufficio di «questioni» da parte del giudice, obbligo di sollevare il contraddittorio e nullità della sentenza, 3176-3182.
49 Cfr. Cass., 21.11.2001, n. 14637, in Giust. civ., 2002, I, 1611, con nota adesiva di Luiso, Questione rilevata d’ufficio e contraddittorio : una sentenza «rivoluzionaria »?, 1612 ss., e in Giur. it., 2002, 1363, con commento contrario di Chiarloni, La sentenza «della terza via» in cassazione: un altro caso di formalismo delle garanzie?, 1362 ss.
50 In quella amministrativa, invece, il problema era già stato perspicuamente impostato e risolto sin dal 2000 (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 24.1.2000, n. 1, in Foro it., 2000, III, 305-308, con nota di Travi, 305-306, nonché, sul punto, Comoglio, Le garanzie costituzionali, cit., 76-77).
51 Cfr. Cass., 5.8.2005, n. 16577, in Riv. dir. proc., 2006, 747-749, assieme a Cass., n. 15705/2005 cit. supra, con commento critico di E.F. Ricci, La sentenza «della terza via» e il contraddittorio, 750-754, e con commento adesivo di Comoglio, «Terza via» e processo «giusto», 755-762.
52 Stante la tassatività delle ipotesi descritte negli artt. 354 e 383, co. 3, c.p.c.
53 In appello, con la rinnovazione degli atti nulli, ai sensi dell’art. 354, co. 4, ed in cassazione, con il rinvio prosecutorio dinanzi al giudice del rinvio, ai sensi degli artt. 384, co. 2, e 394, co. 3, c.p.c. (cfr. anche infra §§ 3.1- 3.2). Sul tema, si veda, pure, Cass., 31.10.2005, n. 21108, in Corr. giur., 2006, 507, con commento di Consolo, Questioni rilevabili d’ufficio e decisioni della terza via: conseguenze, 507.
54 Si pensi a quell’indirizzo interpretativo, definito «intermedio», cui si richiama Gamba, L’integrazione dell’art. 101 c.p.c., cit., 85-87, nonché agli sviluppi ulteriori dell’indagine condotta, motivatamente, dall’Autrice medesima, ivi, 98-179, spec. 134 ss. (in particolare, sulla concezione «aperta» del processo).
55 Certo, come fa ben notare E. Fabiani, Contraddittorio e questioni rilevabili d’ufficio, cit., 267, la nuova norma di per sé non legittima alcuna interpretazione estensiva dei poteri ufficiosi già spettanti al giudice in base alle norme preesistenti.
56 Le cui componenti «minime», da reputarsi sussumibili in termini soggettivi nel contesto dei «diritti inviolabili dell’uomo» (che lo Stato «riconosce» e «garantisce », ai sensi dell’art. 2 Cost.), sono, in base all’art. 111, co. 1 e co. 2, Cost.: la «regolamentazione» per legge del processo, il contraddittorio fra le parti in condizioni di parità, la terzietà e l’imparzialità del giudice, la ragionevole durata del processo.
57 Sulle conformi indicazioni ritraibili, in tema di sentenze «a sorpresa», dalla giurisprudenza più recente della Corte europea di Strasburgo, nell’applicazione dell’art. 6, § 1, della Convenzione del 1950, cfr. ancora Gamba, L’integrazione, cit., pp. 87-92, ove si analizza soprattutto C. eur. dir. uomo, 11.2.2008, Drassich c. Gov. Italia, pubblicata in Foro it., 2008, IV, 241-244, in Giust. pen., 2008, I, 165-m, con nota di Caianiello, Mutamento del nomen iuris e diritto a conoscere la natura e i motivi dell’accusa ex art. 6 Cedu: le possibili ripercussioni sul sistema italiano, 165, nonché in Giur. it., 2008, 2581, con nota di Iacobacci, Riqualificazione giuridica del fatto ad opera della Corte di cassazione : esercizio di una facoltà legittima o violazione del diritto di difesa?, 2584.
58 Se si eccettuano, infatti, alcune significative codificazioni nel linguaggio costituzionale (si pensi alla formale consacrazione del «contraddittorio», della «terzietà » e dell’«imparzialità» del giudice, o della «ragionevole durata» del processo), le più importanti garanzie di giustizia – nel contesto di un processo «giusto» – già si consideravano da tempo recepite, ancorché non tutte in forma esplicita, nelle norme costituzionali d’origine (artt. 2, 3, 24, 25, 101-104, 111-113). Cfr. supra § 1.3.
59 Si pensi, ancora una volta, a quei «diritti inviolabili dell’uomo», che la nostra Repubblica «riconosce » e «garantisce» (art. 2 Cost.). Sul tema, Comoglio, Etica e tecnica del «giusto processo», cit., 1-8, 47 ss., 151-223, 225-280.
60 Si parla, al riguardo, di «eguaglianza delle armi» (o, nella terminologia tedesca, di Waffene di Chancengleichheit).
61 Si riveda l’art. 183, co. 8, c.p.c., per le ipotesi in cui il giudice disponga l’assunzione di prove ex officio.
62 In altre parole, a prescindere dalla eventuale presenza, nelle norme regolatrici, di determinate espressioni («può» anziché «deve») o di determinati tempi verbali («assegna», «dispone», e così via). Si vedano, ad es., in raffronto tra di loro, le previsioni contenute negli artt. 182, co. 2, e 183, co. 1, 2-3, 4, 5, 7, 8, c.p.c.
63 Sui temi trattati, cfr., ad es., Comoglio, Etica e tecnica, cit., 327-377.
64 In tal senso, quindi, occorre reinterpretare anche l’art. 183, co. 4, c.p.c.
65 Siano esse semplici o pregiudiziali e/o preliminari, di fatto o di diritto, di rito o di merito: quel che unicamente rileva è, come si è detto, la loro decisorietà. Si ricordi, in proposito, il tradizionale brocardo «ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus». Fra le questioni di fatto rilevabili d’ufficio potrebbero ascriversi anche quelle riguardanti i cd. «fatti avventizi», cioè quei fatti che risultino ex actis, ma non siano stati ancora esplicitamente allegati e dedotti da alcuna delle parti a fondamento delle rispettive domande od eccezioni (sul punto, ad es., cfr. Buoncristiani, Il nuovo art. 101, comma 2°, c.p.c., cit., 404-405).
66 Si dovrebbe trattare, in sostanza, di nullità direttamente derivanti, per implicito, dalla violazione di norme costituzionali e perciò sottratte a taluni principi (in particolare, a quello della «tassatività»: art. 156, co. 1-2, c.p.c.), che invece disciplinano in generale le nullità «formali», proprie degli atti del processo (artt. 157-162). Nel senso che, invece, nell’art. 101 si tratti pur sempre di nullità «formale», del tutto riconducibili entro la disciplina delle predette regole generali, cfr., con ampia trattazione, Chizzini, Legitimation durch Verfahren. Il nuovo secondo comma dell’art. 101 c.p.c., in Giusto proc. civ., 2011, 43-69.
67 Cfr. l’art. 101, co. 1, o l’art. 183, co. 8, c.p.c.
68 Cfr., nel contesto dei corollari del principio della domanda, la regola di cui all’art. 112 c.p.c.
69 Sarebbe altrimenti paradossale (e fonte di confusio ne concettuale) il dover constatare come nel contesto della medesima norma (art. 101) vengano a coesistere profili di nullità «extraformale», nel co. 1, e profili di nullità «forma le», nel co. 2.
70 Si rivedano in particolare: Buoncristiani, Il nuovo art. 101, comma 2°, c.p.c., cit., 411-415; E. Fabiani, Contraddittorio e questioni rilevabili d’ufficio, cit., 266-268 ; Gamba, L’integrazione dell’art. 101, cit., 166-179.
71 Si riveda, supra, il § 1.3.
72 Cfr., supra, il § 2.1.
73 La previsione del cit. art. 183, co. 4, va dunque estesa anche al di là dell’udienza di prima comparizione e di trattazione e la sua violazione non potrà non configurare, a sua volta, una «nullità» (certo, «extraformale») della decisione finale.
74 Anche, ove ne sia il caso, a preclusioni ormai maturate, con un’opportuna rimessione in termini (ex art. 153, co. 2).
75 In tale prospettiva, ne esce rafforzato il coordinamento fra il co. 4 e il co. 8 del cit. art. 183 c.p.c.
76 Arg. ex artt. 279, co. 4, 280, 281 c.p.c.
77 Si consideri, analogicamente, quanto prevede in proposito, con maggior precisione, l’art. 73, co. 3, del nuovo c.p.a. (supra § 1.).
78 Anche in via derivata (art. 159, co. 1).
79 Cfr. gli artt. 161, co. 1, 342, co.1, e 343 c.p.c. Si risolve in base a tali regole, naturalmente, la sussistenza dell’interesse concreto ad impugnare, nel necessario rapporto fra la «causalità» del vizio, la soccombenza della parte impugnante e l’utilità concreta ritraibile dall’eventuale riforma dell’impugnata sentenza (sul punto, ad es., cfr. Cass., 1°.7.2008, n. 17957, in Foro it. Rep., 2008, voce «Impugnazioni civili», n. 34 ; Cass., 25.6.2010, n. 15353, ivi, 2010, voce cit., n. 44).
80 Artt. 353-354 c.p.c.
81 Artt. 354, co. 4, e 356, co. 1, c.p.c.
82 Ai sensi degli artt. 360, co. 1, n. 4, 360 bis, n. 2, 384, co. 2, e 394, co. 3, c.p.c.
83 Supra, nel § 1.
84 Anche qui, naturalmente, il termine «questioni» va inteso, in assenza di testuali aggettivazioni differenziate, come omnicomprensivo.
85 Così Buoncristiani, Il nuovo art. 101, comma 2°, c.p.c., cit., 414-415, con cenni critici alla tesi (propugnata da Cass., 7.7.2009, n. 15901, in Corr. giur., 2010, 354, con nota di Consolo), secondo cui il cit. art. 384, co. 3, sarebbe invocabile soltanto quando la Cassazione decida anche il merito della causa, ex art. 384, co. 2.
86 Ex artt. 161, co. 1, e 324 c.p.c.
87 Tranne laddove, teoricamente, essa venga ad integrare (oppure presupponga) un «errore di fatto» revocatorio (ex art. 391 bis c.p.c.). Sul punto, anche con riguardo ad ipotesi residuali di ricorso dinanzi alla C. eur. dir. uomo, Gamba, L’integrazione, cit., 178-179. 1.2.1