quercia
Forza e solidità
Alcune sempreverdi, altre caducifoglie, le querce sono alberi impollinati dal vento e producono ghiande, i loro tipici frutti. Leccio, sughera, farnia, rovere, roverella e cerro sono solamente alcune specie di querce che in epoche passate formavano ampie foreste. Attualmente costituiscono boscaglie sempre più ristrette e marginali poiché l’uomo ha abbattuto gran parte delle foreste per favorire le proprie attività
Le querce sono quegli alberi noti a tutti, spesso grandi e maestosi, diffusi in Italia e in Europa. Tutti pensano di riconoscerle soprattutto perché hanno foglie con margini provvisti di lobi più o meno grossi; questa classificazione è però imprecisa perché alcune querce portano foglie ellittiche prive di lobi: sono in particolare quelle sempreverdi, che nel corso dell’anno non perdono mai completamente le foglie. Le querce con foglie dai bordi lobati, invece, sono per lo più caducifoglie, perché si spogliano completamente in autunno.
Non esiste perciò soltanto una specie di querce ma numerose, ognuna con caratteristiche specifiche, nonostante a volte siano così simili tra loro da trarre in inganno anche i botanici più esperti. Le informazioni necessarie per sapere se ci si trova di fronte a una quercia e di quale quercia si tratta si ottengono non soltanto raccogliendo qualche foglia ma anche i frutti che produce. È noto che la quercia produce una noce secca e indeiscente – ossia che non si apre a maturità – comunemente chiamata ghianda. Tutte le ghiande sono sorrette sul ramo da una cupola simile a una piccola scodella che le avvolge parzialmente e le protegge. Se si volesse riconoscere a quale quercia si è di fronte, perciò, sarebbe utile raccogliere anche la ghianda e la sua cupola, la cui forma e la cui superficie sono caratteri molto importanti per distinguere le diverse specie tra loro.
Basta osservare con un po’ di attenzione quei filamenti penduli che si sviluppano sulla chioma delle querce a primavera per intuire che tali alberi sono impollinati dal vento. I piccolissimi fiori maschili di queste piante, infatti, sono riuniti in infiorescenze pendule, dette amenti, che anche un leggero soffio di vento riesce a scuotere fino a liberare e a trasportare il polline lontano. I fiori femminili sono poco evidenti, simili a piccole gemme, e si sviluppano sulla stessa pianta che porta i fiori maschili, che per questo è detta monoica.
È perciò il vento l’agente impollinatore che, portando lontano il polline, permette la fecondazione dei fiori femminili di un’altra pianta e, quindi, lo sviluppo successivo del frutto, cioè della ghianda.
Una ghianda, invece, essendo alquanto pesante, non può essere diffusa dal vento. A differenza di altri frutti più leggeri e provvisti di strutture simili ad ali, la ghianda matura cade in prossimità della quercia che la produce. Se si prova a contare il numero di ghiande sotto la chioma di una quercia, o il numero di giovani plantule presenti, se ne avrà la conferma. Le querce, perciò, sicuramente non sono piante pioniere che colonizzano facilmente nuovi ambienti privi di vegetazione, ma al contrario si riproducono soprattutto negli ambienti a loro congeniali.
Durante il Quaternario antico, a causa del clima particolarmente freddo, le querce si sono localizzate lungo le coste del Mediterraneo per poi diffondersi verso Settentrione non appena le condizioni ambientali lo hanno consentito. I ritrovamenti fossili di pollini e ghiande che risalgono al Neolitico indicano che allora c’è stata la massima diffusione, protrattasi a lungo, delle querce.
Fino a circa 5000 anni fa le querce formavano estese foreste che ricoprivano ampie pianure e pendii dell’intera Europa; sono state poi distrutte progressivamente dall’uomo che le ha limitate in aree sempre più ristrette e marginali. Le zone che ospitavano tali foreste in tempi preistorici, infatti, successivamente sono state adibite dall’uomo al pascolo, alle coltivazioni e agli insediamenti umani, nonostante le ghiande fossero uno dei primi alimenti dell’uomo. Ma non è sempre stato così: i Romani, malgrado l’apertura di strade e gli interventi di bonifica, erano abituati a conservare e a tutelare tali foreste, soprattutto perché le consideravano un bene pubblico dal quale tutti potevano ricavare legno e ghiande. Consideravano sacri i loro boschi e custodivano in essi fonti, sepolcri e templi.
Lungo le coste e i pendii delle regioni mediterranee, dove le temperature sono elevate e le precipitazioni scarse, soprattutto in quelli orientati a sud, crescono spontaneamente il leccio e la sughera, due querce sempreverdi adattate a vivere in ambienti caldi e aridi. Sotto forma di alberi o arbusti vivono isolate, associate insieme ad altre specie oppure associate tra loro per formare gli arbusteti che prendono il nome di macchia mediterranea, boscaglie e – anche se più raramente – vere foreste.
Quali caratteri consentono di riconoscerle dalle altre querce? Questi alberi hanno foglie dure, ellittiche, con la pagina superiore di colore verde scuro e lucente, mentre quella inferiore è biancastra e ricoperta di peli: un esempio di adattamento.
Sia il leccio sia la sughera, infatti, si sono adattati a vivere in ambienti aridi proprio grazie ai peli che ostacolano la perdita eccessiva di vapore acqueo attraverso gli stomi, localizzati sulla superficie inferiore della foglia. I margini delle foglie di leccio (Quercus ilex), situate nelle parti più basse della chioma, inoltre, sono facilmente riconoscibili perché spinosi: ciò costituisce un altro esempio di adattamento. È così, infatti, che la pianta si difende dagli animali, che altrimenti la mangerebbero.
Leccio e sughera hanno ghiande con cupole rivestite da piccole squame che nella sughera sono di colore grigio e rivestite di peli. Il tronco della sughera (Quercus suber), inoltre, produce strati di sughero molto spessi formati da cellule morte. Queste ultime sono rivestite di suberina, una sostanza impermeabile all’acqua. Gli strati di sughero che avvolgono il tronco, inoltre, lo rendono ignifugo cioè lo proteggono dal fuoco. Il sughero che avvolge il loro tronco è infatti un esempio di adattamento al fuoco, un evento naturale che nelle regioni aride e calde avviene spontaneamente, come testimoniano gli incendi spontanei in Australia e nell’Africa meridionale.
Negli ambienti dove il clima è temperato e gli inverni sono più rigidi vivono spontaneamente farnia, rovere, roverella e cerro, alcuni esempi di querce caducifoglie. Tutte hanno foglie con margini incisi a formare lobi più o meno arrotondati.
La farnia (Quercus robur), anche detta quercia comune, è un albero maestoso, alto fino a 30 m, diffuso in tutta Europa. Formava ampie foreste nell’Italia settentrionale e centrale soprattutto in pianura e nei terreni alluvionali. Insieme ad altre querce a lei simili è considerata simbolo della forza e della solidità. Ha un legno duro, forte e resistente, ottimo combustibile, utilizzato in tempi antichi per costruire navi e attualmente per costruzioni di vario tipo, tra cui il mobilio. Simile alla farnia è la rovere (Quercus petreae), la cui diffusione è più limitata; forma boschi in collina o sui monti ad altezze inferiori ai 1.000 m.
La roverella (Quercus pubescens), come suggerisce il nome, è un piccolo albero, alto non più di 15 m. Comune nei pendii caldi, asciutti e ben illuminati, forma boschi misti insieme a farnia, rovere, cerro e altri alberi o alberelli, quali nocciolo e carpino. È anche detta quercia lanuginosa: un utile indizio per riconoscerla è quello di verificare se germogli, giovani rami, piccioli e superficie inferiore delle foglie sono ricoperti di peli.
Un’altra quercia, originaria dell’Europa centrale e meridionale, dove forma cerrete o boschi misti, è il cerro (Quercus cerris), dal tronco slanciato, alto fino a 35 m, con foglie incise molto in profondità verso il centro. Le sue ghiande sono sorrette e protette per metà della loro lunghezza da una cupola inconfondibile, perché porta peduncoli dritti e lunghi fino a circa 1 cm che la rendono simile a un riccio. Il legno del cerro, poco pregiato, è utilizzato soprattutto come combustibile.