Tobin, q di
Rapporto fra la somma dei valori di mercato di azioni e obbligazioni di un’impresa e il valore di rimpiazzo (o ricostituzione) degli attivi necessari al funzionamento dell’impresa stessa. Fu proposto dal premio Nobel per l’economia J. Tobin in un lavoro del 1969 (A general equilibrium approach to monetary theory, «Journal of Money, Credit and Banking», 1969, 1, 1), ed è da allora noto come indice q, uno degli indicatori più utilizzati nelle analisi dei mercati finanziari e nelle previsioni economiche. Secondo l’autore, un valore di q>1 indica da un lato la vantaggiosità di effettuare investimenti nell’impresa, dall’altro una potenziale sopravvalutazione rispetto al valore equilibrato q=1. Il contrario accade per valori dell’indice inferiori all’unità.
L’indice può essere riferito sia a una singola azienda o a un settore economico, aggregando i dati individuali di tutte le imprese (o almeno di una parte significativa) dello stesso comparto, sia all’economia di un intero Paese, mediante un’opportuna proxy, per es. il rapporto fra i valori aggregati di mercato (azioni e obbligazioni) e di libro (dell’attivo) di tutte le imprese quotate in borsa.
L’affidabilità della q di T. è condizionata dal problema della valutazione del valore di ricostituzione dell’attivo, soprattutto nella parte delle sue componenti intangibili (marchi, brevetti, reputazione, conoscenze derivanti dalla ricerca e sviluppo, capitale umano dei dipendenti e collaboratori), alcune delle quali non compaiono nei bilanci, ma sembrano assumere, a partire dall’ultima parte del 20° sec., un’importanza sempre maggiore nel posizionamento competitivo dell’impresa e dunque nella valutazione delle sue prospettive future. Gli indici settoriali sono molto usati per l’analisi comparata del grado di competizione vigente nei vari campi: in assenza di barriere all’entrata (➔ barriera), si sostiene che la spinta all’ingresso nel settore, derivante dalla percezione delle opportunità segnalate da valori dell’indice significativamente superiori a 1, dovrebbe generare pressione competitiva ed erosione dei margini di profitto, riportando q verso il valore di equilibrio. Alternativamente, la persistenza storica di valori superiori a 1 costituirebbe un segnale di barriere all’entrata o, nei monopoli naturali (➔ monopolio naturale), di un settore mal regolamentato dalle autorità di controllo del mercato.