PULZONE, Scipione, detto Scipione da Gaeta o Gaetano
PULZONE, Scipione, detto Scipione da Gaeta o Gaetano. – Nacque a Gaeta in data imprecisata, forse intorno al 1544 (Vannugli, 2016). La sua formazione avvenne a Roma, città in cui ben presto si affermò nel campo della ritrattistica, raggiungendo fama europea.
Pulzone fu allievo di Jacopino del Conte, come attesta Giovanni Baglione (1642, 1995, I, p. 53). Il biografo fu un estimatore dei suoi ritratti, per i quali «non hebbe eguale; e sì vivi li faceva, e con tal diligenza, che vi si sarieno contati fin tutti i capelli, et in particolare li drappi che in quelli ritraheva parevano del loro originale più veri, e davano mirabil gusto» (ibid.).
Del Conte dovette indirizzare Pulzone verso lo studio di Raffaello e Andrea del Sarto; ma il suo rigore formale e la tendenza a recuperare formule semplificate, di ascendenza persino preraffaellesca, potrebbero essere stati favoriti dal contatto con Girolamo Siciolante (Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, p. 27). Nei ritratti, invece, per la minuzia descrittiva e per la «messa in posa rigidamente aulica, quasi ieratica», risentì della fortunata ritrattistica ‘asburgica’, in particolare del fiammingo Antonio Moro (Zeri, 1957, pp. 12-15).
Sin da giovane l’artista intrattenne rapporti con autorevoli esponenti della nobiltà e della Curia romana. Basti ricordare che nel 1567 eseguì ritratti dispersi per il cardinale Marco Sittico Altemps (Lippmann, 1993) e che l’anno successivo Marcantonio II Colonna gli richiese un ritratto di Filippo II (Nicolai, 2006, pp. 297, 307). E non sarà stato casuale che già nel 1567 Scipione facesse parte dell’Accademia di S. Luca (dove avrebbe ricoperto diversi ruoli fino al 1582; Pupillo, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 167 s.).
Il primo ritratto pulzoniano noto è quello di Giovanni Battista Giordani, in collezione privata, su tavola (supporto insolito per il pittore), eseguito nel 1568, in cui è stata ravvisata una vicinanza con Jacopino del Conte (Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, p. 29; scheda n. 1, p. 245). Del 1569 sono invece il Ritratto di dama (New York, collezione Grassi) e il Ritratto del cardinale Giovanni Ricci da Montepulciano (Roma, collezione Ricci-Massimo), quest’ultimo impostato alla maniera dei ritratti di ecclesiastici di estrazione raffaellesca.
Redazioni autografe a mezza figura del medesimo dipinto si conservano nella Galleria nazionale d’arte antica-Palazzo Barberini di Roma e nel Fogg Art Museum di Cambridge (Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, p. 30; De Marchi, ibid., p. 247 s.; Vannugli, ibid., p. 251).
Tra il 1570 e il 1571 il pittore effigiò papa Pio V. Di questo ritratto esistono varie versioni, una delle quali, a figura intera, è nella Galleria Colonna a Roma (Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, p. 31; Nicolai, ibid., pp. 254 s.). Del 1572 è invece il ritratto del cardinale Michele Bonelli nel Museo diocesano di Gaeta (Vannugli, ibid., p. 31; Cola, ibid., pp. 256-259).
Nello stesso anno l’artista realizzò il ritratto di Gregorio XIII (al secolo Ugo Boncompagni), da poco eletto al soglio pontificio. Il dipinto, ora presso villa Sora a Frascati, è uno dei primi ritratti in cui si osserva il motivo del tendaggio sopra un finto telaio, a creare, «con magistrale effetto di trompe-l’oeil, l’illusione di un quadro dentro il quadro». Si tratta di un espediente attraverso il quale, con «immodesta consapevolezza del proprio valore», Pulzone tende a presentarsi come «il nuovo Parrasio», eccellente imitatore antico della natura (Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 34 s.; Catalano, ibid., pp. 260-263).
Un altro capolavoro della ritrattistica pulzoniana è l’accuratissima raffigurazione di Giacomo Boncompagni (1574), in collezione privata, dove il figlio naturale del pontefice è effigiato con un’armatura di manifattura milanese indagata in tutti i dettagli (Vannugli, 1991; Id., in Scipione Pulzone, 2013, p. 35).
Tra il 1569 e il 1571 Marcantonio II Colonna aveva corrisposto a Pulzone uno stipendio mensile e il vitto (Nicolai, 2006, pp. 297, 308 s.). Dai Colonna l’artista ebbe il suo primo incarico pubblico noto, la realizzazione del dittico che decorava il tabernacolo delle reliquie in S. Giovanni in Laterano presso la tomba di Martino V, con l’‘arcaistico’ ritratto del pontefice inginocchiato, in origine congiunto sul retro con la Maddalena (1574-75; Nicolai, 2006, pp. 297-302, 309-316; Id., in Scipione Pulzone, 2013, pp. 266-271).
In quest’opera il pittore perviene a una commistione di modi veneti, in parte mediati da Girolamo Muziano, e di elementi ispirati da Siciolante, Marcello Venusti, Marco Pino e Sebastiano del Piombo (Zeri, 1957, p. 16; Zuccari, in Scipione Pulzone, 2013, p. 66).
Tra il 1572 e il 1575 l’artista soggiornò a Napoli per dipingere un perduto ritratto di don Juan de Austria, comandante della flotta cristiana a Lepanto (Leone de Castris, 1996, pp. 177-183; Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 33 s.). Firmata e datata 1576 è l’effigie su rame del cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, eseguita a Roma, oggi al Courtauld Institute di Londra, di cui esiste una replica al Musée du temps di Besançon (Leone de Castris, 1996; Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 37 s.; Nicolai, ibid., pp. 274-277).
Il porporato, già viceré di Napoli (1571-75), fu un profondo ammiratore di Pulzone, come documenta anche una lettera dell’ambasciatore presso la S. Sede Juan de Zúñiga inviata a Filippo II (1578), in cui si afferma che Granvelle apprezzava Muziano per il disegno, Venusti per il colore e Scipione da Gaeta «para retratar al natural» (Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, p. 38).
Al 1579 risale il ritratto del cardinale Alessandro Farnese della Galleria nazionale d’arte antica-Palazzo Barberini di Roma, del quale esiste una replica di migliore qualità nella Pinacoteca comunale di Macerata (De Marchi, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 284-287).
Negli anni successivi il pittore seppe superare la tipologia rigida e la «convenzionalità araldica» dei ritratti ‘asburgici’ e ‘internazionali’, mostrando un maggiore interesse «non per la psicologia ma più semplicemente per l’umanità e la spontaneità espressiva dei personaggi» (Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, p. 39). Ne è una prova lo straordinario ritratto del cardinale Ferdinando de’ Medici (1580) oggi nella Galleria nazionale di Adelaide in Australia (De Marchi, 1997).
L’artista era in relazione con il futuro granduca sin dal 1567, quando aveva ricevuto un pagamento per ragioni non specificate; altri pagamenti vennero erogati dalla Guardaroba del cardinale Ferdinando a villa Medici di Roma nel 1575-76 per tavole di noce consegnate al pittore e nel 1581-82 e 1584 per diversi dipinti di devozione privata (Cecchi, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 99-101; Goldenberg Stoppato, ibid., pp. 111 s.).
Si colloca agli inizi degli anni Ottanta anche il celebre scontro con Federico Zuccari, motivato, stando a Baglione (1642, 1995, I, p. 124), dal restauro del S. Luca che dipinge la Vergine, allora creduto di Raffaello ed esposto nella chiesa della Compagnia di S. Luca sin dal 1577, sul quale Scipione avrebbe apposto la propria firma (Pupillo, in Scipione Pulzone, 2013, p. 169).
Il nono decennio appare caratterizzato da un progressivo consolidamento del suo prestigio. Sono molti i quadri religiosi di quest’epoca, come la Salita al Calvario che realizzò per il viceré Marcantonio II Colonna e che fu inviata a Palermo nel 1583 (Nicolai, 2006, p. 302), forse identificabile con una tela transitata sul mercato antiquario (Vannugli, 2012; Id., in Scipione Pulzone, 2013, pp. 290-293).
L’Immacolata e i ss. Andrea, Chiara, Francesco e Caterina d’Alessandria per la chiesa romana di S. Bonaventura al Quirinale dei padri cappuccini (1581), nel secolo successivo trasferita a Ronciglione, fu commissionata da Porzia Orsini dell’Anguillara, duchessa di Ceri, che vi fece effigiare il figlio piccolo Andrea Cesi posto sotto la protezione della Vergine (Valone, 2000).
L’artista ancora una volta esprime una cultura diramata, che rielabora stimoli provenienti da Muziano, da allievi di Raffaello, da Marco Pino e, attraverso Venusti, persino da Michelangelo (Zeri, 1957, pp. 16-18).
La sola Immacolata venne replicata nel 1582-83 per la Confraternita dell’Annunziata di Gaeta (Gandolfi, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 298-301), in occasione di un soggiorno dell’artista nella città d’origine (Donò, 1996, p. 14). Il rapporto con l’Ordine dei cappuccini è confermato dalla Madonna degli Angeli nella chiesa dell’Immacolata di Milazzo, inviata da Roma nel 1584, la cui commissione a Scipione fu favorita dai legami tra la comunità religiosa siciliana e il viceré Marcantonio II Colonna (Zuccari, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 67-70; Pupillo, ibid., pp. 294-297; Gandolfi, ibid., pp. 298-301; Acconci, ibid., pp. 306-309; Margiotta - Travagliato, 2013, pp. 94 s., 101).
Nel 1584 Pulzone soggiornò brevemente a Firenze, dove diede inizio al ritratto ufficiale di Francesco I, completato a Roma nel 1586, identificabile con quello ora agli Uffizi. Nella stessa occasione l’artista dipinse anche un disperso ritratto di Bianca Cappello, seconda moglie del granduca, replicato nel 1585-86 per Francesco Bembo e inviato a Venezia, dove riscosse enorme successo (l’opera forse coincide con una tela del Kunsthistorisches Museum di Vienna: Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 40 s.; Goldenberg Stoppato, ibid., pp 103-105, 114-130; Del Torre Scheuch, ibid., pp. 324-327).
Da Firenze nel 1584 il pittore si trasferì a Bracciano per effigiare Marcantonio II Colonna. Il ritratto, a figura intera, conservato nella Galleria Colonna, «è il più alto e programmatico esempio della ritrattistica di rappresentanza laica di Scipione», ispirato al ritratto di Filippo II dipinto da Tiziano nel 1551 ad Augusta (Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, p. 42; Nicolai, ibid., pp. 304 s.).
Sul finire del 1584 l’artista si recò a Napoli per rendere omaggio alla vedova del Colonna, Felice Orsini, alla quale consegnò due versioni del ritratto del defunto marito, una delle quali destinata a Girolama Colonna, sorella di Marcantonio (Nicolai, 2006, pp. 304, 318 s.).
La monumentale Assunzione su ardesia in S. Silvestro al Quirinale fu dipinta tra il 1583 e il 1585 su richiesta di Pier Antonio Bandini, banchiere fiorentino. La realizzazione dell’opera appare preceduta da un interessante scambio epistolare tra Silvio Antoniano, Carlo Sigonio e il cardinale Gabriele Paleotti, al quale i Bandini avevano chiesto un parere, scambio in cui si discuteva dei criteri da adottare nella rappresentazione del tema assai dibattuto dell’Assunzione di Maria (Prodi, 1965).
La scelta cadde su una soluzione tradizionale, rinviante ai modelli di Andrea del Sarto (Zeri, 1957, pp. 18 s.). Pulzone, però, «per la pala Bandini [...] non si sottopose passivamente alle dotte indicazioni ricevute, piuttosto ne fece occasione per formulare un’immagine storicamente più fondata e stilisticamente innovativa», dove è palese il rapporto con Raffaello e Fra Bartolomeo e con i grandi maestri veneti, in particolare Sebastiano del Piombo (Zuccari, in Scipione Pulzone, 2013, p. 74; Ciofetta, ibid., pp. 328-330).
Nel 1588 il pittore realizzò la Madonna degli Angeli destinata alla chiesa dei cappuccini di Mistretta, che, come la pala di Milazzo, per l’impianto compositivo richiama modelli raffaelleschi (Acconci, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 338-341). Sul finire degli anni Ottanta si collocano pure la S. Chiara di Valencia (Real Colegio del Corpus Christi) e il Salvator mundi del Duomo di Mantova, datato 1589 e appartenuto al vescovo Francesco Gonzaga (Tellini Perina, 1992; Gandolfi, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 310-313; Primarosa, ibid., pp. 342 s.).
Caetani è la commissione della Crocifissione di S. Maria in Vallicella a Roma. I filippini chiesero di esporre un cartone dell’opera sull’altare già nel 1583; la pala, però, terminata nel 1586, venne consegnata solo nel 1593, a causa del ritardo del saldo (Parlato, 2009, pp. 144 s.). Si conoscono due disegni relativi alla Vergine, uno agli Uffizi, l’altro presso l’Istituto centrale per la grafica (Chiarini, 1976; Di Giampaolo, 1980). La Crocifissione Caetani sembra inaugurare un nuovo indirizzo nella poetica controriformistica di Pulzone, confermato pure dall’Annunciazione di S. Angelo in Planciano a Gaeta (1587), ora al Museo nazionale di Capodimonte. La rappresentazione diviene spoglia, essenziale, contraddistinta da «forme rigorosamente sterilizzate, polimentate e lucidate», in linea con le istanze di chiarezza espositiva motivate dal clima religioso di quegli anni (Zeri, 1957, p. 59; Zuccari, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 75-78; Calzona, ibid., pp. 318-321; Acconci, ibid., pp. 334-337).
Analoga semplificazione dell’immagine si osserva in altre opere sacre successive, dalla Sacra Famiglia della Galleria Borghese (1588-90) alla S. Prassede del 1590 ora a Castrojeriz, nel Museo de la Colegiata, dalla Madonna della Rosa della Borghese (1592) alla Madonna della Divina Provvidenza in S. Carlo ai Catinari a Roma (1594 ca.) e alla Madonna della Rosa nella cattedrale di Huesca, in Aragona, del 1598 (Ruiz Manero, 1995, pp. 374 s.; Minozzi, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 344-347; Nicolaci, ibid., pp. 348-351, 370-373; Torlontano, ibid., pp. 374-377): tutte opere improntate a una severità religiosa che proietta le immagini in una condizione atemporale, pervenendo così a una «pittura senza tempo, senza luogo» (Zeri, 1957, p. 62).
Tornando alla ritrattistica, tra i massimi esempi di questi anni avanzati possono essere ricordati il ritratto del cardinale Michele Bonelli del 1586, conservato a Cambridge, nel Fogg Art Museum (Cola, 2012, p. 70), il coevo ritratto di Enrico Caetani del palazzetto di Ninfa, presso Sermoneta, a figura stante (Amendola, 2012, pp. 113 s.; Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 314-317), i più tardi ritratti dei cardinali Girolamo Mattei e Francesco Maria Bourbon del Monte, in collezione privata, e quello di Filippo Spinola nel monumento funerario in S. Sabina a Roma, a olio su lavagna (Vannugli, ibid., pp. 43-47).
Tra il 1589 e il 1590 Pulzone soggiornò nuovamente a Firenze, dove eseguì gli smaglianti ritratti del granduca Ferdinando I, che aveva già effigiato come cardinale, e della consorte Cristina di Lorena, ora agli Uffizi e a Palazzo Pitti, nella Galleria Palatina, firmati e datati 1590 (Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, p. 47; Goldenberg Stoppato, ibid., pp. 105-107; 130-135; schede nn. 32-33, pp. 352-359; Cecchi, ibid., pp. 360 s.).
Sul finire degli anni Ottanta e agli inizi degli anni Novanta intervenne a più riprese nella chiesa del Gesù di Roma. Una prima volta, tra il 1586 e il 1588, collaborò con Giuseppe Valeriano alle sette tavole con Storie di Maria della cappella di S. Maria della Strada. Secondo Baglione, «mentre il padre Valeriano andava formando quest’opera, haveva amicitia con Scipione Gaetano, il quale gli fece in quei quadri alcuni drappi dipinti tanto simili al vero che non si possono desiderare fatti con più arte; et il Padre il rimanente di sua mano con gran diligenza finì» (Baglione, 1642, 1995, I, p. 83). L’intervento di Pulzone servì a garantire una migliore riuscita della cappella e a ‘nobilitare’ e impreziosire i dipinti di Valeriano, più abile come architetto (Zuccari, in Scipione Pulzone, 2013, p. 80).
A tali opere sono associati un problematico foglio dell’Albertina di Vienna con la Presentazione di Maria al Tempio (Causa, 1997), forse del solo Valeriano (Zuccari, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 82-84), una sanguigna del Musée du Louvre con l’Annunciazione, di Valeriano, e due disegni relativi all’angelo annunciante passati sul mercato antiquario, uno probabile di Valeriano, l’altro riferibile a Pulzone, il quale, comunque, fu estraneo alla fase ideativa dell’impresa (ibid.).
Poco dopo al maestro vennero altre importanti commissioni per il medesimo tempio: la perduta pala per la cappella degli Angeli nel 1589 e la Pietà nella cappella della Passione, eseguita tra il 1590 e il 1593, ora nel Metropolitan Museum of art di New York (Zeri, 1957, pp. 66 s.; Dern, 2003, pp. 162 s.). La pala dei Sette arcangeli adoranti, tema squisitamente gesuitico, fu rimossa molto presto dall’altare e sostituita nel 1600 da un dipinto di Federico Zuccari. Già nel 1593, durante una visita apostolica, Clemente VIII aveva prescritto che gli angeli fossero più decentemente vestiti. Inoltre, accanto alla ragione addotta da Baglione sulla riconoscibilità di «diverse persone» nelle fattezze degli angeli (1642, 1995, I, p. 54), vi dovette essere una motivazione di natura teologica, essendo state rappresentate, insieme agli angeli biblici (Michele, Gabriele e Raffaele), quattro figure apocrife non accettate dalla Chiesa (Zuccari, in Scipione Pulzone, 2013, p. 85).
La collaborazione tra Pulzone e Valeriano è stata di recente ipotizzata anche per le Sante vergini e per i Dottori della Chiesa della chiesa del Gesù di Palermo, due tele commissionate probabilmente da padre Giovan Domenico Candela agli inizi degli anni Novanta, la seconda delle quali risulta dispersa (Abbate, 1999).
Altra impresa pubblica di questa fase è l’assai danneggiato Martirio di s. Giovanni in S. Domenico Maggiore a Napoli (1593-95 ca.), nella cappella fatta decorare dal cardinale Antonio Carafa (Catalano, 2016).
Molti sono i ritratti risalenti all’ultimo tempo di Scipione. Forse per Odoardo Farnese, al principio dell’ultimo decennio del secolo eseguì non meno di sette ritratti di ‘belle dame’ di Roma, quattro dei quali identificabili con quelli della collezione di lord Exeter a Burghley House, nel Lincolnshire (Vannugli, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 47-49). Vi si osservano forme più spontanee e naturali e «un crescendo di luci e colori saturi e squillanti» derivante da Federico Barocci. Tali opere, insieme a diversi altri ritratti femminili, come la cosiddetta Lucrezia Cenci in collezione privata (1591) e la Dama della Robert Simon Collection a New York (1594), documentano «la svolta matura dell’autore verso un più efficace naturalismo, fondato su una luce più chiara e su una rinuncia alla resa lenticolare “alla fiamminga” dei dettagli a favore di una più sintetica, “italiana” e neorinascimentale rappresentazione delle superfici, elementi che [...] hanno fatto parlare allo stesso tempo di una forma di proto-classicismo parallela a quella dei Carracci» (pp. 51 s.).
Opera estrema di Pulzone è l’Assunzione in S. Caterina dei Funari a Roma, nella cappella appartenuta allo spagnolo Giovanni Solano, a cui, dopo la morte del pittore, nelle figure in secondo piano e nella zona sommitale lavorò Giacomo Pulzone, figlio del maestro e di Camilla di Giulio Cesare Bruschi, che, nato nel 1574, sarebbe morto prematuramente nel 1602 lasciando anch’egli l’opera incompiuta (Capelli, 2011; Pupillo, in Scipione Pulzone, 2013, pp. 380-383).
L’artista, che si era recato a Napoli ancora una volta nel 1596 per curare affari economici, si spense infatti a Roma il 18 o il 19 febbraio 1598 (Vannugli, 2016).
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