Pulp Fiction
(USA 1994, colore, 154m); regia: Quentin Tarantino; produzione: Lawrence Bender per A Band Apart; soggetto: Quentin Tarantino, Roger Avary; sceneggiatura: Quentin Tarantino; fotografia: Andrzej Sekula; montaggio: Sally Menke; scenografia: David Wasco; costumi: Betsy Heimann.
Los Angeles, mattina presto. Pumpkin e Honey Bunny stanno per rapinare un caffè.
Vince e Jules lavorano per Marsellus. Stamane, tocca recuperare una valigetta rubata, dal misterioso contenuto. Vince è tornato dall'Europa, dove ha visto cose incredibili. Per esempio, nei McDonald's francesi, le patatine sono immerse nella maionese. Jules è un afro-americano cool, tipo Samuel L. Jackson. Nell'appartamento dei tre ladri, Vince recupera la valigetta, Jules uccide un giovane e si lancia in una recita di Ezechiele, poi i due sforacchiano il secondo balordo.
Vincent Vega e la moglie di Marsellus Wallace. Vince restituisce la valigetta a Marsellus. Il capo sta spiegando a Butch Coolidge ‒ un pugile dalla corporatura massiccia e dalla testa pelata alla Bruce Willis ‒ che il suo momento di gloria è finito. Stasera, alla quinta ripresa, dovrà finire al tappeto. Marsellus deve andare fuori città, e vuole che Vince faccia da cavaliere alla moglie, Mia. Vince passa a casa di Lance per comprare un po' di eroina. Poi va a prendere Mia, che lo porta al Jackrabbit Slim's, un ristorante 'macchina del tempo', dove tutto è all'insegna degli anni Cinquanta, e i tavolini sono ricavati all'interno della carrozzeria di automobili. C'è anche un concorso di twist, ovviamente vinto da Vince ‒ che balla meglio di John Travolta ‒ e Mia ‒ bella da far impallidire Uma Thurman. A casa di Mia, mentre Vince va al bagno, Mia trova la busta di polvere bianca nell'impermeabile di Vince e, convinta si tratti di cocaina, si fa un'overdose. Via da Lance, che possiede una fiala di adrenalina pura. Vince pianta la siringa nel cuore di Mia, che riparte come se nulla fosse.
L'orologio d'oro. Butch non è andato al tappeto. Anzi, ha ucciso di botte l'avversario. Vuole riscuotere il denaro incassato con le scommesse e scappare, ma si accorge di aver lasciato l'orologio di famiglia nel suo appartamento. Butch recupera l'orologio, ma sul banco della cucina trova un mitragliatore Uzi M61. Sente lo scroscio dello sciacquone. Dal bagno esce Vince. Butch scarica l'Uzi. Quel che resta di Vince torna nel bagno. Butch scappa in automobile, ma a un semaforo si trova davanti Marsellus. Segue una colluttazione sanguinolenta. Inseguito da Marsellus, Butch scappa e si intrufola in uno strano emporio, dove incappa in Zed e nei suoi due amici, psicopatici sadomasochisti. Marsellus e Butch finiscono in una stanza degli orrori. Mentre Marsellus viene sodomizzato, Butch trova una katana, e agisce da vero samurai. Marsellus considera che il debito di Butch sia saldato, e gli concede la possibilità di partire libero insieme a Fabienne, la tenera fidanzatina.
Il problema Bonnie. Vince e Jules sforacchiano il secondo balordo. Il terzo, Marvin, è una talpa di Marsellus. Ma improvvisamente sbuca un quarto ragazzo, che scarica la pistola su di loro. A tre metri di distanza, non fa centro neppure una volta. Peggio per lui. In automobile, Jules è folgorato: quello che è appena successo è un miracolo. È ora di cambiar vita. Ma Vince è scettico, e si volta verso il sedile posteriore per chiedere a Marvin che ne pensa. Non si è accorto di avere ancora la pistola in mano, e quando l'auto sobbalza Marvin è ancora seduto, ma il suo cervello è finito un po' ovunque, sui sedili e sui finestrini, sui vestiti di Jules e Vince. I due vanno da Jimmie, per meditare sul da farsi. Ma Jimmie si è sistemato; Bonnie, sua moglie, fa l'infermiera notturna, fra meno di un'ora sarà di ritorno, e se scopre il macello apriti cielo. Dieci minuti dopo arriva Wolf, signore tracagnotto in smoking e baffetti, una via di mezzo tra il capocameriere di un ristorante di lusso e Harvey Keitel. In quattro e quattr'otto, ecco l'auto ripulita, Jules e Vince lavati dalla testa ai piedi, e Jimmie ringraziato con la promessa di un arredamento interamente rifatto, che Bonnie ci teneva tanto.
Mattina presto. Jules e Vince fanno colazione. Jules continua a misticheggiare, ma il caffè dove si trovano è quello preso di mira da Pumpkin e Honey Bunny. Potrebbe degenerare in carneficina, ma Jules ormai è un altro uomo, e tutto finirà bene.
Palma d'oro al festival di Cannes, Pulp Fiction riservò al regista appena trentunenne l'onore di vedere il suo nome produrre un aggettivo, tarantiniano, atto a definire, non senza malintesi, il cinema che durante la seconda metà degli anni Novanta tentò con scarsi risultati di imitarne il meritato successo. Come lo stesso film spiega in esergo, pulp è "una materia umidiccia, morbida e informe", ma anche il termine generico che negli anni Trenta e Quaranta indicava le riviste sulla cui carta grezza venivano stampate storie poliziesche di sesso e sangue, sordide e spregevoli: in altri termini, le opere di alcuni tra i più grandi scrittori del secolo, da Dashiell Hammett a Raymond Chandler. Pulp Fiction rende loro omaggio, e la sua arborescenza narrativa frulla la storia del cinema e della sottocultura in un frappé di citazionismo esasperato. Quentin Tarantino ha appreso la storia del cinema dentro il videoclub che gestiva con gli amici, e nel caos dei VHS ha ricostruito gerarchie private, allegre coerenze, accostamenti singolari ma mai incongrui. In tal senso, il suo film è l'esempio più felice della mutazione antropologica che segna la fine del cinefilo e l'avvento del cinefago, divoratore senza pregiudizi accademici o morali di pellicola in quanto tale, sprezzante nei confronti di qualsiasi ordine estetico precostituito (non ultimo quello temporale). Come in un hamburger a strati multipli (non a caso, il cibo è una delle costanti del film), o in uno "spaghetti-western rock and roll" (è una definizione dello stesso regista), il cuoco Tarantino infila di tutto, da Hawks a De Palma, da Melville a Fuller, da Scorsese a Cimino, da Godard a Leone, da Woo a Besson, da Aldrich a Warhol, dal cinema di kung fu alla soap opera, dai cartoni animati alla pubblicità, dai fumetti al trash. Killer, criminali, ladri, drogati e balordi di ogni tipo vengono immersi in una spazzatura di citazioni visive e verbali che dovrebbe intrappolarli, condannandoli all'atarassia del cliché. Eppure il mondo di Pulp Fiction ne esce più libero che mai, orbitante in un vuoto divertente e divertito, dove il gusto della battuta fa premio su un'irrisoria sostanza, e il motore narrativo sul senso e la direzione del racconto. Non sapremo mai cosa contenga la valigetta di Marsellus; quel che conta è che dentro ci sia il cinema, ossia ‒ rubando l'espressione a Douglas Sirk ‒ lacrime e velocità. Perché giunto al capolinea del postmoderno, Tarantino si è reso conto di avere ancora una storia da raccontare. E un'altra. E così via, all'infinito.
Interpreti e personaggi: John Travolta (Vincent Vega), Samuel L. Jackson (Jules Winnfield), Uma Thurman (Mia Wallace), Harvey Keitel (Wolf), Tim Roth (Pumpkin), Amanda Plummer (Honey Bunny), Maria de Medeiros (Fabienne), Ving Rhames (Marsellus Wallace), Eric Stoltz (Lance), Rosanna Arquette (Jody), Christopher Walken (capitano Koons), Bruce Willis (Butch Coolidge), Chandler Lindauer (Butch bambino), Quentin Tarantino (Jimmie), Peter Greene (Zed), Steve Buscemi (Buddy Holly), Phil La Marr (Marvin).
Sh. Willis, The Father Watches the Boys' Room, in "Camera Obscura", n. 32, September 1993-January 1994.
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V. Ostria, Junk fiction, in "Cahiers du cinéma", n. 485, novembre 1994.
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D. Polan, Pulp Fiction, London 2000.
Sceneggiatura: Pulp Fiction, Milano 1997; Pulp Fiction, London 1999.