PULCINELLA (in dialetto napoletano Pullecenella o Pulleceniello)
Anche di Pulcinella, alla stessa guisa di Arlecchino (v.), si sono fantasticate genealogie favolose; e, come nel "tipo" impersonato da lui s'è voluto vedere una sopravvivenza del Maccus delle antiche atellane e delle fabulae satiricae, così nel suo nome (piccolo pulcino) è piaciuto a qualcuno ravvisare una riproduzione dell'osco cicirrus: parola di cui non s'è nemmeno certi che significhi "gallo". Ma ormai a codeste derivazioni dal teatro antico non crede più nessuno; e l'opinione comune si viene sempre più orientando verso l'ipotesi, ben altrimenti plausibile, che Pulcinella sia un fratello minore di Arlecchino: minore, perché nato quaranta o cinquant'anni dopo; fratello, perché anche lui figlio dell'antico Zani della commedia dell'arte. Si pensi, per non dire altro, che il vestito originario di Pulcinella, identico a quello originario di Arlecchino, era precisamente quello di Zani: camiciotto e calzoni bianchi da facchino, daga di legno alla cintola, cappello biforcuto, maschera nera, baffi e barba. Che se alla fine del Seicento il Pulcinella napoletano aveva perduto i baffi, la barba e la daga (sostituita talora da un corno) e mutato il cappello biforcuto in quello a pan di zucchero, e il Polichinelle francese (importato a Parigi da comici napoletani) aveva preferito indossare un vestito multicolore e arricchirsi di due gobbe, è da riflettere che mutamenti anche più sostanziali erano accaduti fino dai primi anni del Seicento nel vestito di Arlecchino. E, quanto al nome, anche quello di Pulcinella fu originariamente nome specifico assunto da un particolare attore per differenziarsi da altri zani, salvo, poi, con la stessa fortuna toccata al nome di Arlecchino, a diventare, quasi immediatamente, nome generico o tipico. Mentre, tuttavia, il bergamasco Alberto Ganassa, inventore intorno al 1570 dell'Arlecchino, scelse quel nome nel vecchio teatro francese, il napoletano Silvio Fiorillo, inventore intorno al 1620 del Pulcinella, pare che si chiamasse o venisse chiamato così o dalla voce chioccia adoperata nel recitare, o dal naso a foggia di becco della sua maschera. Ma potrebbe anche darsi che il nome Pulcinella preesistesse nel teatro napoletano, così come "Pulcinello" o "Polsinelli" è nome o cognome, che dalla fine del secolo XIII s'incontra in più d'un documento. Notevole altresì che anche Pulcinella, come Arlecchino, finì con l'assumere sul teatro un cognome e una patria costanti: quello, fissatosi in Cetrulo ("citrullo"); questa, in Acerra.
La più antica rappresentazione letteraria oggi nota di Pulcinella è quella che s'incontra nel Viaggio di Parnaso di Giulio Cesare Cortese (1621); la più antica riproduzione grafica, quella data nel 1622 da J. Callot nei Balli di Sfessania (Pulliciniello e la signora Lucrezia); la più antica rappresentazione drammatica, quella esibita da Virgilio Verrucci ne La Colombina (1628); il più antico tentativo di definizione, quello (infelice come tutti gli altri che seguirono) del comico Pier Maria Cecchini detto Frittellino (1628). Altre commedie pulcinellesche della prima metà del Seicento furono: La Lucilla costante con le ridicolose disfide e prodezze di Pulcinella dello stesso inventore della maschera, Silvio Fiorillo (1632); Il servo finto di Giulio Cesare Monti (1634); I cinque carcerati del romano Francesco Guerrini (1634). E tra i pulcinelli famosi di quel tempo vengono ricordati un Francesco o Ciecio Baldo, e segnatamente Andrea Calcese detto Ciuccio, che si recò anche fuori Napoli e morì nella peste del 1656; così come nella seconda metà di quel secolo si segnalarono un Mattia Barria e, ancora più, Michelangelo Fracanzano, recatosi nel 1685 a recitare quella parte a Parigi, ove Pulcinella, oltre che far parte dei comici dell'Hotel de Bourgogne, veniva messo sulle scene anche dal Molière nell'intermezzo del Malade imaginaire.
La grandissima voga teatrale conquistata da Pulcinella alla fine del Seicento si può vedere, tra l'altro, dai ben centottantatre scenarî inediti, i quali, raccolti (almeno in parte) dal comico Antonino Passante detto Orazio il Calabrese e appartenuti già ad Annibale Sersale conte di Casamarciano, si posseggono oggi dalla Biblioteca Nazionale di Napoli. Non ce n'è alcuno in cui non ricorra quella maschera così cara ai Napoletani, e non solo, come per lo più, quale "servo", bensì ancora nelle più varie vesti. Spesso altresì egli fornisce il titolo alla commedia: Policinella inamorato; Policinella burlato; Policinella dama golosa; Policinella ladro spia sbirro giudice e boia; Policinella pazzo per forza; Rivalità tra Policinella e Coviello amanti della propria padrona; Policinella sposo e sposa; Quattro Pollicinelli simili; Disgrazie di Policinella: scenario, quest'ultimo, così fortunato, che, mille volte rimaneggiato, si recitava ancora alla fine dell'Ottocento in qualche teatrino napoletano col titolo Le novantanove disgrazie di Pulcinella.
Numerosissimo inoltre il gruppo di commedie col Pulcinella, che, scritte in gran parte da C. S. Capeci, si recitarono a Roma nei primi anni del Settecento: tempo in cui mentre commedie e parti pulcinellesche venivano raccolte dal benedettino Placido Adriani da Lucca - avevano grande voga a Napoli due "contrasti" con Pulcinella: Annuccia e Tolla (Vittoria) e, con accompagnamento di musica, la famosa Canzone di Zeza (Lucrezia). E pulcinelli quanto mai applauditi furono via via, in quelli e nei decennî successivi, Domenico Antonio di Fiore, Francesco Barese e (dal 1770 circa alla sua morte), V. Cammarano detto Giancola, ai quali tre F. Cerlone, che sovente poneva in iscritto le loro invenzioni, dové parte della voga ch'ebbero le sue commedie.
Dalla fine del Settecento in poi Pulcinella cominciò a essere magna pars di parodie di drammi o di opere musicali, da quella del Werther goethiano, rappresentata a Napoli nel 1797, a quella del Trovatore verdiano, applaudita al teatro San Carlino quasi con lo stesso entusiasmo che nel prossimo teatro San Carlo l'opera originale. Giacché il San Carlino appunto fu, lungo gran parte dell'Ottocento, la roccaforte di Pulcinella, il quale, come interviene quasi sempre nell'abbondante produzione teatrale dell'autore-attore Pasquale Altavilla, così ebbe un interprete insuperato, e talora persino tragico, nell'altro autore-attore Antonio Petito (v.). Dopo la morte di quest'ultimo (accaduta all'improvviso nel 1876, mentre recitava), Pulcinella, non più adatto ai tempi nuovi, fu bandito dal San Carlino e da altri teatri e, dopo aver menato altri trenta o quarant'anni di vita stentatissima nei baracconi o nei teatrucoli di quart'ordine, è divenuto, dalla guerra mondiale in poi, nient'altro che un ricordo del passato.
Rarissimo s'è fatto nelle vie di Napoli persino il Pulcinella delle "guarattelle" (fantoccini): un Pulcinella, il quale, più che al bonario Pulcinella della commedia napoletana, somiglia al Polichinelle francese e che, come costui, sa bastonare e ammazzare la gente per un nonnulla, senza ombra di scrupoli, di paure e di smarrimenti.
Per la fortuna di Pulcinella fuori di Napoli e di Parigi (dove trovò un biografo popolarissimo in O. Feuillet), basti ricordare che fino dal 1649 comparvero a Norimberga taluni Polizenelle italiani; che nel 1657 se ne trova uno (P. Gismondi) a Francoforte, nel 1672 un altro a Berlino, nel 1673 un altro ancora a Dresda, e così via; e che nel secondo Faust durante la festa mascherata data nel palazzo dell'imperatore, s'avanza, "täppisch fast läppisch", una turba di Pulcinelli, che rivolge versi beffardi agli operosi taglialegna. In Inghilterra sembra che Pulcinella pervenisse dai burattini francesi, al tempo di Giacomo II Stuart, prendendo il nome di Punchinello, abbreviato poi in Punch. In Spagna passò dall'Italia come "Pulchinelo" o "Don Cristobal Pulchinelo".
Bibl.: Scritti fondamentali: M. Scherillo, Pulcinella, in La commedia dell'arte in Italia, Studi e profili, Roma 1884; A. Dieterich, Pulcinella, pompejanische Wandbilder und römische Satyrspiele, Lipsia 1897; B. Croce, Teatri di Napoli, 3ª ed., Bari 1926; id., Pulcinella e le relazioni della commedia dell'arte con la commedia popolare romana, in Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, 2ª ed., ivi 1927; S. di Giacomo, Storia del teatro San Carlino, 2ª ed., Palermo 1928. Per il resto, v. arlecchino.