Pudore
Il termine pudore (dal latino pudor, derivato di pudere, "aver vergogna") esprime sentimenti di riserbo, ma anche di disagio o avversione, nei confronti di atti, parole, allusioni, comportamenti che riguardano la sfera sessuale.
La storia del pudore, inteso come sentimento e come comportamento, si presenta ricca e multiforme nelle diverse epoche storiche e della vita. Per quanto riguarda l'evoluzione del concetto, basti pensare al dominio della tipologia della pudicizia tra le donne della Roma repubblicana (dove nel 270 a.C. vennero coniate monete con l'effigie della dea Pudicizia) e al suo dissolversi e quasi scomparire, in epoca imperiale, nel modello di vita femminile; all'imperiosità della 'decenza' fra i puritani e alla spregiudicatezza tra i libertini nel secolo dei Lumi; alle svariate curvature tematiche e comportamentali nella cultura tardovittoriana o nelle grandi culture asiatiche; all'impatto omnipervasivo dell'eros ai nostri giorni. Per quel che riguarda le epoche della vita, si ricordino l'emergere del pudore nell'adolescente e le sue eclissi nell'adulto maturo e anziano.
Dalla verecondia più difesa e controllata all'oscenità più manifesta, dalla tenerezza erotica alla pornografia più lubrica, dalla sessuofobia totale al massimo permissivismo: sono questi gli estremi di un discorso che percorre da sempre tutta la vita dell'uomo (de Vaissière 1935) e ne punteggia le anomalie (ma anche le regolarità) comportamentali e sociali, da cui residuano comunque sconfinate distese di reticenza sessuale, conseguenti a schemi, pregiudizi culturali, o convincimenti autentici. Da più parti si evidenzia la rilevanza antropologica del pudore (de Vincentiis-Callieri 1974), se ne sottolineano le varie emergenze e deformazioni, nonché i nodi psicopatologici. Va subito detto che il pudore si oppone sempre allo svelamento di una regione del corpo come a quello di un sentimento, che deve restare nel segreto, nei territori interni. Dice F. Dolto che la pudeur n'a pas d'âge. Con la maggioranza degli autori, da M. Scheler (1933) a D. Vasse (1987), si può ritenere che si tratti di un sentimento ambiguo: pur non essendo intenzionale, rivela tuttavia lo scopo di nascondere. Il pudore sorge dunque alle frontiere del volontario e non si manifesta senza turbamento; ciò è ben evidente in moltissimi adolescenti, ma è anche indizio della verità di una realtà dialogica: il pudore si situa a eguale distanza dalla vergogna e dalla seduzione, e implica un moto di fiducia e, nello stesso tempo, di evitamento. Il pudore non va confuso con la miope recinzione del corpo vissuto, proprio e altrui, è piuttosto domanda discreta di entrare in un processo di simbolizzazione, opponendosi allo scandalo del voyerismo e dell'esibizionismo, pur lasciando presentire il rischio della curiosità oggettivante, dell'effrazione sfacciata, della seduzione raffinata e prevaricante, dell'oscenità (specialmente nell'anziano; v. oltre). Il pudore è dunque una categoria esistenziale di grande importanza, come resistenza allo svelamento e all'oggettivazione del corpo, come rivelatore delle pulsioni autentiche in cui si incarna l'uomo. La nudità dell'uomo e della donna può divenire la metafora visibile sia del loro incontro sia della loro vergogna.
Cercare di inscrivere nuovamente la nudità nel gioco delle mediazioni dell'incontro ha conosciuto e conosce momenti di successo e di innegabile favore e fortuna in alcuni metodi psicoterapeutici, specie nella bioenergetica e negli incontro di gruppo, fondati su un linguaggio anonimo ma vibrato del corpo, in un riduttivismo carnale che non sfugge alla critica. Se Stendhal diceva che "la pudicizia è la madre dell'anima" e se C.L. Musatti ha detto che l'amore trova nel pudore la via migliore per proteggersi e isolarsi, il manifestarsi dell'erotismo, specie pornografico, e delle pubbliche condotte di impudicizia tende a scindere nettamente il sesso dalle componenti affettive della tenerezza. È forse per la perdita della tenerezza che la spinta libidica oggi trapassa facilmente da un'impudicizia 'positiva' a un'oscenità gratuita, quando non addirittura perversa e criminale, intrudendo nell'altrui presenza con egoismo più o meno spietato, tanto da provocare spesso ripulsa e orrore.
Il momento fondante dell'analisi antropologica del pudore resta sempre lo sguardo: il 'guardare e l'essere guardati' (Zutt 1962) come luogo di incontro, appropriazione dell'altro con richiami polisemici, più spesso oggettivanti che dialogici, sovente carichi di valenze aggressive, quasi sempre molto disarmonici: in un cerchio appetitivo sempre più impersonale, vera espressione parafilica di incontro vanificato (Giacchetti 1971). Si potrebbe ben dire che la 'cosa erotica' s'impone nella frequenza della sua densità sensoriale, rendendo molto difficile il transire al livello interpersonale: il corpo è sempre più catturato dall''avere', perdendo in 'essere'. Ma anche in questi ambiti perlopiù si può reperire il mantenimento del polo del pudore, che si manifesta nella delicata apertura al dialogo, nella realizzazione di una compresenza sessuale, implicante partecipazione e appartenenza (von Gebsattel 1954; Merleau-Ponty 1945). La nota concezione di M. Merleau-Ponty dello schema sessuale, strettamente individuale, sottende una fisionomia sessuale irriducibilmente singolare, che non si esaurisce nel biologico, ma è anche un essere-in-situazione. Merleau-Ponty osserva, a questo proposito, che "la stessa ragione che ci impedisce di ridurre l'esistenza a corpo o alla sessualità ci impedisce anche di ridurre la sessualità all'esistenza" (p. 194) e aggiunge che "il pudore, il desiderio, l'amore sono incomprensibili se si tratta l'uomo solo come un fascio d'istinti" (p. 198). Si può dunque dire che il pudore, al pari della sessualità, è costitutivamente antropologico, anche se con ampie componenti naturali. Frequentemente l'ambiguo dialogo fra pudore e sessualità si scompensa nell'esibizionismo, nelle improvvise aggressioni, nelle più smaccate sconvenienze sociali, disinibite e oscene, che spingono a un'appetitività sessuale crudamente impudica, chiaramente decaduta a 'relazione anonima', talora con innegabili componenti sadiche. Non deve essere dimenticato che la scopofilia è massicciamente presente nel mondo di vita impudico, anche con imponenti risvolti economici e aperture inquietanti sulla 'realtà virtuale' (v. anche pornografia). In tutti questi fruitori dell'osceno, che oggi è altamente organizzato, le condotte impudiche sono estremamente polimorfe e si intrecciano con modalità regressive del senso morale, favorite da pressioni di gruppo. A volte, l'impudico sessuale agito può essere banale e quasi sciocco, derivante da un mondo di immagini che il soggetto parafrasa senza nulla esprimere.
Dal punto di vista psicopatologico, un discorso sul pudore comprende i suoi disturbi per eccesso o per difetto, legati alla patologia delle pulsioni e della critica, spesso con perdita della 'distanza' antropologica, con ambivalenze, bizzarrie e sorprendenti dislocazioni, con dissacrazione di ogni intimità, con inadeguatezza, indecenze e inverecondie grossolane (soprattutto nelle sindromi maniacali e schizofreniche) o con barrages inopportuni, evitamenti bislacchi e imprevedibili con ampi risvolti di implicazioni sociali e sociologiche (sindromi autistiche, depressive, borderline e oligofreniche). La riflessione attuale sul pudore mostra che un'ampia parte delle determinanti biologiche e delle componenti motivazionali resta ancora da determinare, malgrado lodevoli sforzi provenienti dalle diverse correnti psicologiche attuali; appare comunque di innegabile importanza costitutiva, per ogni età dell'uomo, la corporeità, il modo di esperire il proprio corpo e il corpo altrui, declinandosi nelle più diverse condotte, dalla sessuomania più sfrenata alla sessuofobia più rigida. In rapporto all'età, merita un discorso particolare il pudore nell'anziano. Il velo che il pudore getta sulla nudità del corpo è paradossale, perché 'esaspera' il desiderio di parlare nella 'perdita della parola' (Vasse 1987), e il suo venire meno si riflette sempre in perdita, scoprendo la riduzione del desiderio alla vanità dell'immagine di un sesso decaduto, di un nudo deformato e osceno (Callieri 1991). Il pudore, non essendo istintuale, non può essere pensato al di fuori dell'incontro; e nell'impudicizia del vecchio, sia agita sia vista, la sessualità diventa scissione oggettivante. È forse per questa ragione che così spesso le persone anziane si accostano alla pornografia, come espressione parafilica di un incontro vanificato, che sottrae alla persona il suo mondo fondante, cioè la coesistenza, l'oblatività. Il pudore autentico è preludio alla donazione di sé; a volte però può essere un travestimento nevrotico che porta a una pudorofilia esagerata, a una censura indignata. Eventuali disibinizioni vengono favorite dall'alcol, non raramente con caduta del senso dell'opportunità e della convenienza, con spunti aggressivi più o meno scoperti. È noto che nell'alcolismo le condotte impudiche, anche solo verbali, sono polimorfe e si intrecciano con modalità regressive, con caduta del senso morale e della responsabilità, risentendo profondamente della disorganizzazione della vita affettiva.
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