Poeta latino (n. Napoli 45 d. C. circa - m. forse 96); figlio di un grammatico e maestro di retorica, partecipò presto alle gare poetiche in voga al suo tempo; venuto a Roma, alla corte di Domiziano, fu tra i più attivi poeti cortigiani. Vittorioso nell'agone albano (forse 90), con un carme sulle vittorie germaniche e daciche di Domiziano, fu invece vinto nel certame capitolino (forse 94). Tornato a Napoli, probabilmente per ragioni di salute oltre che per l'amarezza dell'insuccesso, vi si trattenne fino alla morte, salvo brevi ritorni a Roma. n S. fu, con Silio Italico e Valerio Flacco, uno dei principali poeti epici dell'età imperiale. Il poema maggiore di S. è la Tebaide (già compiuta forse nel 92, e dedicata a Domiziano), nella quale la materia poetica, interamente greca, è elaborata secondo il modello virgiliano dell'Eneide: dodici libri, dei quali solo negli ultimi sei si narrano gli eventi bellici della guerra fra Eteocle e Polinice per il possesso di Tebe. Poco legato nell'insieme, il poema si sviluppa in una serie di episodî, nei quali si rivelano le caratteristiche proprie dell'arte epica di S., la sovrabbondanza del linguaggio e la sostanziale artificiosità dell'invenzione. Alla Tebaide S. dovette la sua grande fama nell'antichità e nel Medioevo. L'altro poema epico, l'Achilleide, nel quale S. intendeva trattare tutta la materia mitica concernente l'eroe, fu iniziato nel 95 e restò interrotto per la morte dell'autore, che poté comporne solo un libro e mezzo. Maggiore è l'interesse dei moderni per la produzione secondaria di S., in realtà la più spontanea e fresca: le Silvae, cinque libri di liriche d'occasione (silva nel linguaggio letterario significava appunto abbozzo, improvvisazione). Sono 32 componimenti in vario metro, dall'esametro ai metri lirici oraziani.