psicopatologia
Nel corso del Novecento diversi sono stati gli approcci con cui è stata affrontata la sofferenza mentale. A partire dal vertice fenomenologico di Karl T. Jaspers, la psicopatologia si è evoluta verso la ricerca di quelle esperienze interne proprie della proposta freudiana che rivoluziona la disciplina, fondata sul rilievo dei segni, sostituendola con quella psicodinamica legata alle leggi dell’inconscio. Sigmund Freud fonda una teoria metapsicologica, stabilisce un metodo di indagine del funzionamento della mente e indica la via della psicoanalisi come modello terapeutico psicodinamico da applicare alle varie organizzazioni psicopatologiche. In questo contesto verrà trattata essenzialmente la psicopatologia psicoanalitica, lasciando al margine altri vertici teorici (psicopatologia cognitiva, evolutiva, gestaltica, ecc.). [➔ processo di sviluppo in psicoanalisi; psicoanalisi; psicosi; psicoterapia; pulsioni] La p. studia le malattie, le anomalie psichiche e la loro classificazione. Il termine rimanda al metodo con cui si affrontano i fenomeni della vita mentale patologica, derivato dalla Psicopatologia generale di Jaspers del 1913. Nell’uso corrente, il termine ha perso il suo significato originario e viene usato in modo generico per indicare le varie forme in cui si manifesta la patologia della vita psichica.In tal senso la p. può essere definita come lo studio della patologia psichica considerata nel suo complesso e, in quanto tale, coincide con l’oggetto della psichiatria.
La disciplina tratteggiata da Karl T. Jaspers ha una caratteristica fenomenologica: si tratta di un modello di orientamento antropologico che prende in considerazione i vissuti psicopatologici e gli eventi significativi delle storie di vita. Di questi privilegia l’aspetto della continuità e della discontinuità, orientandosi verso la individuazione di entità nosografiche isolate e puntiformi non considerate nel loro contesto, storico, familiare e sociale. Per Jaspers, filosofo e psichiatra, «il campo della psicopatologia si estende a tutto lo psichico che possa essere colto in concetti di valore immutabile e comunicabile. L’oggetto della psicopatologa è l’accadere psichico reale e cosciente» (Psicopatologia generale, 1913). Lo psichiatra si trova quindi sempre più a confrontarsi con l’individuo nella sua totalità e nella sua irripetibile singolarità. La p. generale ha una propria evoluzione storica: a partire da una descrizione clinica del contenuto psichiatrico si è mossa verso una più attenta analisi che ha per oggetto lo studio sistematico delle esperienze vissute dall’individuo all’interno della propria persona. Dalle manifestazioni morbose l’attenzione si è spostata verso i vissuti che le sottendono, dei quali le prime sono una sorta di punta dell’iceberg. Lo psicopatologo rivolge il proprio interesse su che cosa gli uomini provano, vivono e soprattutto come lo vivono: cioè i ‘modi’ con i quali il dato di coscienza si manifesta, si articola e si sussegue ad altri. In questo senso la p. mette in essere una propria tendenza a volgere lo sguardo al di là del semplice aspetto descrittivo e nosografico, anche se comunque privo di ogni aspetto interpretativo. Lo psicopatologo è di continuo esposto a una sorta di gioco gestaltico fra figura e sfondo che fa intuire o sentire o capire la singolarità e assieme la inafferrabile unicità di un determinato individuo, ne coglie la forma dei modi patologici dell’esperire senza elaborare i loro contenuti profondi di tipo conscio e, soprattutto, inconscio. La p. si pone come il contrario di un sapere interpretativo ermeneutico e non pretende di ricondurre la conoscenza dell’esperienza psichica a una forza altra e inversa, che soggiace a qualche potere interno e inconscio della persona.
La p. generale rappresenta storicamente il passaggio dalla descrizione clinica dei sintomi e dall’interpretazione psichiatrica, all’attenzione, all’analisi e allo studio sistematico delle ‘esperienze interne’ che si presentano alla coscienza umana, come tali sperimentate e vissute dall’individuo. Fausto Petrella (2010), psichiatra e psicoanalista freudiano, osserva che il ruolo della p. sta andando incontro a «un suo deperimento, da considerarsi negativo e preoccupante » e dunque si chiede: «abbiamo ancora bisogno di una psicopatologia? E se così fosse, di quale psicopatologia? » (Ancora la psicopatologia? in ATQUE, 1996). Gli psichiatri Gisela Gross e Gerard Huber sostengono cha la loro impostazione fenomenologica, direttamente derivante da Jaspers, tende a utilizzare l’introspezione e l’empatia del paziente, per meglio evidenziare il rapporto esistente tra vita psichica e fenomenologia non solo nel campo della nevrosi ma anche in quello della psicosi. La p. moderna guarda al sintomo come a un segno che indica un differente modo di elaborare le esperienze. Normalità e patologia non rappresentano più, in tale contesto psicodinamico, norma e devianza, ma esprimono due diversi modi di fare esperienza che forniscono risposte diverse pur obbedendo alle medesime leggi della vita psichica. E uno studio psicopatologico è la premessa indispensabile per un eventuale psicoterapia. Una psichiatria attenta non solo ai fattori psichici, che giocano un ruolo nella malattia mentale, ma anche ai fattori psicologici e psicosociali non può fare a meno della psicoanalisi poiché questa si pone come la principale via per la conoscenza psicologica dell’uomo in quanto è atta a fornire i fondamenti di una p. che guarda alla totalità della persona.
La proposta freudiana appare rivoluzionaria nella storia della psichiatria. Con Sigmund Freud ha inizio la p. psicodinamica. Lo psichiatra di orientamento psicodinamico non rinuncia a formulare un quadro nosografico e psicopatologico, tuttavia si avvicina ai propri pazienti cercando di determinare che cosa è unico in ciascuno di essi, in che modo un certo paziente sia diverso da ciascuno degli altri a causa di una storia personale eredofamiliare e sociale che, per sua natura, è strettamente soggettiva. Esiste infatti una stretta interrelazione tra teorie del processo di sviluppo e funzionamento della mente, tra fattori innati e acquisiti, biologici e relazionali e il modo in cui si configurano norma e patologia. Ne derivano criteri nosografici, di classificazione delle malattie per classi, ordini ed eziopatogenesi. Tale prospettiva psicopatologica fa riferimento al costrutto concettuale ideato da Freud che è al tempo stesso una teoria metapsicologica, un metodo di indagine sul funzionamento della mente normale e patologica e, soprattutto, una prassi terapeutica. Scrive Simona Argentieri in Psicoanalisi oggi (2008): «La particolarità della psicoanalisi è che questi tre livelli sono legati da una circolarità intrinseca: ogni concetto astratto nasce dall’esperienza clinica, a partire dalla quale si costruisce la teoria, dalla quale deriva lo specifico metodo ». Freud propone per primo una teoria dello sviluppo, del funzionamento psichico e della psicopatologia. Secondo la prospettiva pulsionale, la p. è provocata da due processi che comportano l’arresto dello sviluppo psicosessuale (➔ processo di sviluppo in psicoanalisi). Il primo processo è la fissazione, che provoca un blocco nello sviluppo pulsionale (➔ pulsioni), per cui la libido non raggiunge il primato genitale (il livello più maturo) e rimane legata a modalità parziali e immature di soddisfazione. Il secondo processo è la regressione, ossia il passaggio a piani d’espressione e di comportamento di livello inferiore dal punto di vista della complessità della strutturazione e della differenziazione. Questo modello psicopatologico è molto lineare: lo sviluppo normale avviene secondo una progressione sancita dall’acquisizione di nuove fasi dello sviluppo pulsionale; nel caso della p. si verifica un’alterazione del substrato biologico delle pulsioni per cui si determinano un blocco e una regressione pulsionale. Il processo di sviluppo normale e patologico non va inteso come un procedere o regredire lineare, poiché nello psichismo sempre coesistono e si alternano diversi livelli di funzionamento; inoltre tale linearità è comunque temperata dal cosiddetto effetto retroattivo o risignificazione a posteriori (➔), secondo il quale se il passato determina il presente, le esperienze presenti a loro volta risignificano e ricostruiscono il senso del passato. Freud ha formulato una concezione psicopatologica complessa, le cui formulazioni teoriche, nel corso del tempo, sono state oggetto di una continua revisione, senza mai raggiungere una sistematizzazione definitiva. Freud inizialmente distingue le nevrosi (➔) attuali (legate a disfunzioni e frustrazioni dell’abituale vita sessuale con un conseguente blocco) dalle psiconevrosi o nevrosi da difesa (causate da un conflitto prevalentemente inconscio e al conseguente fallimento della scarica dell’affetto). Inoltre Freud introduce il concetto di meccanismi di difesa (➔) – in partic., rimozione, scissione, identificazione proiettiva, diniego, sublimazione e formazione reattiva – che, in quanto tali, sono capaci di attivare le forze psichiche al fine di reprimere le pulsioni. Nei contributi successivi l’autore inserisce nel quadro delle nevrosi la nevrosi ansiosa e la nevrastenia. Secondo Freud la differenza tra la nevrosi e la psicosi è nella relazione tra l’Io, l’Es e la realtà: nella nevrosi l’Io risponde alle richieste della realtà rinnegando i bisogni dell’Es attraverso il meccanismo della rimozione. Nella psicosi (➔) l’Io rinnega la realtà e si lascia dirigere dall’Es e oppone pertanto tramite il diniego una difesa contro le percezioni che provengono dalla realtà esterna.
Nei lavori degli anni 1894-96 (Minute teoriche per Wilhelm Fliess, Studi sull’isteria, Le neuropsicosi da difesa, ecc.), Freud distingue due grandi classi di disturbi: le neuropsicosi da difesa (isteria, fobie, ossessioni, talune psicosi), in cui evidenzia il ruolo, scoperto nell’isteria, del conflitto difensivo, e la nevrastenia e le nevrosi d’angoscia, la cui eziologia risiede per lui, all’epoca, in «una serie di pratiche nocive e turbamenti provenienti dalla vita sessuale » (Opere, 1894). La classificazione degli anni 1914- 15 (Introduzione al narcisismo, Caso clinico dell’Uomo dei lupi, Metapsicologia) rimane concettualmente invariata, mutando solo i nomi delle classi: psiconevrosi, distinte in nevrosi di transfert (isteria di conversione, nevrosi ossessiva e isteria d’angoscia, altrimenti detta nevrosi fobica), nevrosi narcisistiche (equivalenti alle psicosi, che egli chiama anche parafrenie, caratterizzate da un ritiro della libido sull’Io) e nevrosi attuali (comprendenti nevrastenia, nevrosi d’angoscia e ipocondria). Infine, a partire dal 1923 (negli scritti Nevrosi e psicosi, La perdita della realtà nella nevrosi e nella psicosi), egli si adegua alla classificazione psichiatrica tradizionale, adottando la classica opposizione tra nevrosi e psicosi. Però, in alcuni scritti degli ultimi anni (Feticismo, Compendio di psicoanalisi, La scissione dell’Io nel processo di difesa) Freud sviluppa i concetti di Verleugnung (ossia il diniego) e di Spaltung (scissione), e nel Compendio accenna ad «altri stati che assomigliano piuttosto alle nevrosi» esemplificati dal feticismo, «che può essere annoverato tra le perversioni » in cui si è prodotto «il dato di fatto di una scissione dell’Io».
Gli sviluppi teorici e clinici della psicoanalisi (➔) dopo Freud conducono verso un ampliamento del campo di indagine, poiché dalla concezione classica della dinamica delle pulsioni si arriva a indagare i livelli precoci dello sviluppo, detti preedipici. Si tende inoltre a dare maggior risalto alle vicissitudini delle relazioni e – in diversa misura a seconda dei vari autori – alle influenze dell’ambiente e della cultura circostante. Tra coloro che danno particolare importanza alla relazione primaria del bambino con la madre, John Bowlby, esponente della cosiddetta psicoanalisi etologica (che fa riferimento anche alla teoria dell’evoluzione di Darwin), sostiene, con la teoria dell’attaccamento e della necessità della base sicura, che la deprivazione materna o una inadeguata relazione madre-bambino si costituisce come importante fattore psicopatogeno. Molti sono gli autori che, in tutto il mondo, offrono significativi contributi al corpo teorico della psicoanalisi postfreudiana: Melanie Klein, William R.D. Fairbairn, Harry Guntrip, Donald W. Winnicott, John Bowlby nel Regno Unito; Erich Fromm, Harry Stack Sullivan, Frieda Fromm-Reichmann negli Stati Uniti; Willy e Madeleine Baranger, José Bleger, Ángel Garma, Enrique Pichon-Rivière in America Meridionale; Jacques Lacan, Jean Laplanche, André Green in Europa. Gli ulteriori approfondimenti della teoria psicoanalitica freudiana proposti da Wilfred R. Bion e da Ignacio Matte Blanco sulla struttura della mente e il funzionamento dell’inconscio aprono importanti prospettive sulla p. e sul trattamento della schizofrenia e delle sofferenze precoci della mente proposto da Herbert Rosenfeld, Otto Kernberg, Salomon Resnik, Harold Searles. Un ulteriore contributo della psicoanalisi allo studio della p. deriva dagli studi condotti nel Regno Unito dallo stesso Bion, da Siegfried H. Foulkes e da Malcolm Pines che applicano i principi teorici della psicoanalisi allo studio delle dinamiche psicologiche e delle terapie di gruppo.
La traduzione delle Opere di Freud in varie lingue e la diffusione della psicoanalisi avvengono nell’ultimo dopoguerra, in Italia a partire dagli anni Sessanta. Ma a quell’epoca la p. tradizionale godeva ancora buona salute a seguito della traduzione italiana della Psicopatologia generale di Jaspers, della Psicopatologia clinica di Kurt Schneider e della correlazione interdisciplinare operata da Henri Ey, Paul Bernard e Charles Brisset con il contributo del loro Manuale di psichiatria. Tuttavia, pochi anni dopo inizia a diffondersi nella letteratura psicopatologica, soprattutto americana, la proposta di un’ampia ibridazione tra psicoanalisi e psichiatria, come è testimoniato dal Manuale di psichiatria (1969), opera in tre volumi di Silvano Arieti, nel quale si propone una attenta lettura psicoanalitica dei più importanti quadri di psicopatologia.
Fin dal suo costituirsi come disciplina autonoma, la psichiatria si è posta infatti il problema di che cosa esista nella mente dell’individuo al di là di ciò che appare. Conseguentemente si ricercano eventi retrostanti al disturbo mentale, ai quali si possa ricondurre l’insorgere di ciò che compare alla superficie. Adolfo Pazzagli e Mario Rossi Monti (2001) sostengono che, se la Psicopatologia generale di Jaspers aveva posto con grande rigore l’esigenza ineludibile di indagare il piano dei vissuti che sottendono i comportamenti e di passare – in altri termini – dai sintomi dell’espressione ai sintomi dell’esperienza, la psicoanalisi freudiana, attraverso la valorizzazione del mondo inconscio e della realtà psichica, aveva indicato come fosse diventato necessario estendere l’analisi della vita psichica oltre la dimensione cosciente, per spostarsi lungo un vettore temporale, oltrepassando il presente per valutare in quali modi il passato individuale influisca su di esso portando un po’ di luce nel grande cono d’ombra che si estende dietro ogni etichetta diagnostica con la quale la psichiatria ha più volte rincorso entità che sono apparse sempre più simili a fantasmi. Eugen Bleuler (1911) vedeva nel disturbo delle associazioni il sintomo primario della schizofrenia e da questo riteneva che si potessero far discendere tutti gli altri sintomi. La scuola di Bonn, negli anni successivi, si costituisce come ulteriore evoluzione della teoria di Bleuler. Sulla base dei contributi di Gross e Huber, Joachim Klosterkötter (1997) valuta i sintomi di base attraverso l’applicazione dei criteri contenuti nella scala di Bonn, ben nota agli psichiatri degli ultimi decenni: la scala viene applicata per la valutazione dei sintomi di base attraverso l’utiliz zazione di un questionario compilato dal paziente. Negli anni successivi, l’autore considera tali sintomi come uno sviluppo della teoria di Bleuler, individuandone l’origine in un substrato organico. Certamente le osservazioni cliniche sulle manifestazioni della p. sollecitano nel tempo la ricerca nel campo delle neuroscienze. In tale ambito si indaga il rapporto tra comportamenti semplici e connessioni sinaptiche, così come è stato proposto da Eric R. Kandel e da Jeffrey Schwartz (1985). Nel contempo, gli studi sulle vicissitudini dell’attaccamento tra madre e cucciolo compiuti nei primati non umani mostrano quanto le esperienze di vita e di ambiente influiscano in maniera determinante sullo sviluppo delle strutture cerebrali. Kandel sostiene che si potrebbe cominciare a pensare agli interventi psicoterapeutici come vere terapie biologiche. La ricerca neuroscientifica, con lo studio delle correlazioni biologiche dei fenomeni psicopatologici, orienta la scelta della terapia farmacologica e della possibile premessa a un intervento psicoterapeutico integrato. Nel contesto della neuropatologia non si può prescindere dallo studio della personalità e delle interazioni esistenti tra personalità e disturbo, nell’ambito del quale ogni individuo costruisce un suo personale equilibrio tra parti sane e parti malate.
A partire dagli anni Trenta del 20° sec., nella comunità psichiatrica internazionale è emersa la necessità di costruire una cornice di riferimento ampiamente condivisibile da tutti, a prescindere dal proprio modello di riferimento mediconosografico e psicopatologico; un approccio descrittivo, basato sulla classificazione dei diversi disturbi mentali a partire dai sintomi e dai gruppi di sintomi, con l’intento di osservare una certa neutralità, rinunciando a priori alle diverse ipotesi patogenetiche, da alcuni ritenute confusive e non conclusive ai fini terapeutici. Le varie edizioni del DSM (➔) prediligono un approccio descrittivo, non interpretativo, e quindi senza inferenze soggettive. All’inizio, il DSM fa riferimento a un ristretto gruppo di sintomi (106 forme cliniche); ma, a fronte della complessità della realtà clinica e delle continue trasformazioni della patologia che non rientrano più nelle classiche categorie nosografiche, nella edizione originale americana del DSM-IV-TR del 2001 l’elenco si estende a 305 differenti disturbi. La classificazione delle forme cliniche che ne derivano si trasforma così in una lista di eventi la cui reciproca interazione deve essere interpretata dallo psichiatra, dando luogo a una inferenza soggettiva anziché alla pretesa neutralità e alla evidenziazione di un dato oggettivo inconfutabile. Tuttavia l’aspetto nosografico proposto dal DSM è certamente di rilievo per stabilire i termini di un linguaggio psichiatrico facilmente intellegibile e condiviso, che consenta la descrizione, la elaborazione e la comunicazione dei dati, purché si abbandoni la pretesa di una posizione di scientificità super partes. È un sistema diagnostico che cerca di caratterizzare l’intera gamma di comportamenti e sintomi di un individuo sia negli aspetti superficiali sia nei suoi pattern emotivi, cognitivi e sociali, al fine di favorire approcci terapeutici.