PSICOFISIOLOGIA
. Una profonda trasformazione di contenuti e metodi ha caratterizzato il progresso della p. in questo dopoguerra, sicché oggi essa appare ritagliata entro un quadro di cui, salvo la cornice generale, ben poco è riconoscibile rispetto al disegno originariamente delineatosi nella seconda metà del secolo scorso.
Le origini della p. si confondono con quelle della psicologia scientifica; nel pensiero dello stesso W. Wundt (al quale come noto si deve la fondazione del primo laboratorio di psicologia sperimentale) la p. non risulta come una branca della psicologia, bensì ne costituisce l'intero ambito, includendone teoria, metodo e fondamenti metafisici.
Nello sforzo di emergere come disciplina scientifica autonoma, ragioni teoriche e opportunità sperimentali rendevano il viraggio della psicologia da "filosofica" a "fisiologica" del tutto comprensibile o in un certo senso obbligato. Ragioni teoriche, legate al bisogno di ancorare i fatti mentali a un substrato oggettivabile al fine di piegarli alla sperimentazione, e occasioni concrete per la medesima, offerte dallo sviluppo imponente della neurofisiologia nel secolo scorso.
Nel solco della fiorente tradizione fisiologica dell'Ottocento si collocano pertanto i primi importanti passi della p. ad opera di studiosi tedeschi quali H. von Helmholtz, che con la scoperta della velocità relativa dell'impulso nervoso (prima si pensava che essa fosse addirittura superiore a quella della luce) apriva prospettive di misura della durata dei fatti psichici; H. E. Hering, studioso di problemi connessi alla percezione visiva e promotore in opposizione all'empirismo di Helmholtz di un punto di vista nativista che avrà importanti conseguenze nello sviluppo del pensiero psicofisiologico; S. Exner, convinto sostenitore della possibilità di spiegare i fenomeni psichici a partire dalla fisiologia.
Molte sarebbero le personalità da annoverarsi a buon diritto fra i pionieri di questa disciplina, il cui impeto iniziale si è avvalso anche di contributi emergenti dai settori culturalmente disparati ed eterogenei fra di loro ma convergenti nell'additare nuove vie e suggestioni d'indagine. Fra questi contributi si può ricordare la pubblicazione illuminante di Darwin del 1872 sull'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, comparsa solo 14 anni dopo L'origine delle specie; il Thierische Electricität (1885) di E. du Bois Reymond, che contiene probabilmente il primo schema di registrazione del cosiddetto riflesso psicogalvanico; i lavori di L. Couty e A. Carpentier del 1871, di A. Vigouroux del 1879, di J. R. Tarchanov del 1890. Altri nomi come quelli di A. Mosso, M. E. E. Gley, S. Stricker, J. Müller, F. Kiesow e E. H. Weber meritano di essere ricordati - nell'espressione di un altro noto psicofisiologo, lo statunitense C. W. Darrow - "come veri esploratori nei corpora incognita della funzione psicofisiologica". Nello stesso periodo comparivano anche le pubblicazioni di W. James e C. G. Lange, che tanto stimolarono gli studiosi successivi a centrare l'attenzione sui meccanismi psicofisiologici delle emozioni.
In questo breve excursus storico sugl'inizi della p., una menzione a parte meritano gli psicofisiologi della scuola sovietica con J. M. Sečenov e I. Pavlov in prima linea. Emerso al di fuori del solco tradizionale della p. europea e nordamericana, tutta assorbita nella problematica della percezione e dell'emozione, il contributo di Pavlov richiamava prepotentemente l'attenzione sui meccanismi dell'apprendimento facendo perno su di una sistematizzazione ampia e talvolta geniale dei processi basilari del condizionamento animale.
I primi lavori di Pavlov, pubblicati solo in lingua russa, erano poco conosciuti nelle altre nazioni. Non appena furono resi disponibili, gli studiosi statunitensi se ne impadronirono con avidità; specie ai non pochi insoddisfatti della psicologia introspettiva, largamente diffusa a quel tempo, l'approccio di Pavlov sembrava offrire una solida via naturalistica per lo studio del comportamento umano. Di fatto con l'analisi sistematica del riflesso condizionato e la puntigliosa sperimentazione sua e degli allievi, Pavlov poneva le basi per l'imponente sviluppo della psicologia cosiddetta obiettiva o del comportamento.
Se agl'inizi il processo di autonomizzazione dalla filosofia sembrava spingere la psicologia a definirsi nell'ambito delle prospettive fisiologiche, saldando mente e corpo in una visione naturalistica coerente con il contemporaneo organizzarsi delle scienze, lo sviluppo successivo della nuova disciplina psicologica sembrava orientarsi verso un progressivo superamento della stessa matrice fisiologica. Nella ricerca di spazi più decisivi di autonomia per la propria scienza, gli psicologi concentravano sempre più la loro attenzione sui meccanismi psichici, nella loro duplice espressione soggettiva e comportamentale, indipendentemente dal referente, o substrato, fisiologico. Se si considerano le scuole o le prospettive teoriche più influenti nell'arco di tempo compreso all'incirca fra le due guerre mondiali, ben poco rilievo vi assume l'orientamento psicofisiologico. Si fa strada l'idea, suggerita inizialmente da E. C. Tolman, di un'analisi "molare", cioè globale, del comportamento - per es. l'apprendimento di una certa abilità - indipendentemente da ogni approfondimento analitico o "molecolare" circa gli eventi fisiologici che mediano il comportamento stesso a livello intraorganismico. L'interesse si rivolge allo studio dei principi e delle relazioni che legano stimolo e risposta tra di loro, mentre l'organismo - variabile interveniente - può rimanere per così dire come una "scatola nera", i cui complicati congegni interni possono interessare il fisiologo ma non hanno una particolare rilevanza per lo psicologo.
In questo clima culturale pertanto la p., pur non scomparendo del tutto, finiva per perdere la sua posizione di preminenza per ritrovarsi relegata in una posizione più modesta, come uno dei settori, e nemmeno fra i più prestigiosi, della scienza psicologica. Il suo scarso rilievo, anche come branca della psicologia, si spiega inoltre con quella diffidenza, assai incisiva nel fulgore del behaviorismo, verso tutto ciò che allude, o sembra riproporre il dualismo mente-corpo.
Nonostante quindi la diffidenza più o meno esplicita di cui venivano circondati (lo psicologo di questo periodo, - dirà R. C. Davis - è un "non psicofisiologo" per definizione), gli psicofisiologi portavano avanti con pazienza il loro meticoloso lavoro centrato principalmente intorno al glorioso poligrafo. Verso gli anni Trenta, questo apparecchio trovò la sua consacrazione come strumento principe della psicofisiologia. Il vecchio galvanometro della prima sperimentazione si era trasformato in un apparecchio sensibile e preciso, in grado di rappresentare graficamente e contemporaneamente le variazioni di importanti funzioni fisiologiche. Per ogni dato momento dell'osservazione di eventi psichici era così possibile fissare sulla carta in scorrimento - e più tardi sui nastri magnetici - una traccia obiettiva e permanente dell'attività fisiologica globale dell'organismo. Per quanto importanti, i contributi, favoriti da questo e altri artifici metodologici, nascevano e si esaurivano in un clima culturale poco propenso a recepirli e a fecondarli. La tendenza dominante era fondamentalmente "separatista", per così dire, nei confronti di ogni influenza, da parte sia delle discipline filosofiche che di quelle fisiologiche.
Ma da vari segni si può capire come questa tendenza riflettesse più un'esigenza storica che non un rifiuto pregiudiziale nei confronti della psicofisiologia.
Del resto lo stesso C. L. Hull, pur affermando che "ogni teoria del comportamento è al presente e dev'essere per un certo tempo, una teoria molare", aggiungeva che "questo è perché la neuroanatomia e la fisiologia non si sono ancora sviluppate al punto di offrire principi da potersi utilizzare come postulati in un sistema di teorie del comportamento". Piano piano - osserva Davis - anche studiosi educati alla devozione per la "scatola nera" - come per es. P. E. Meehl e K. Mac Corquodale - cominciavano ad ammettere che certe discussioni fra psicologi "molari", in assenza dei termini di riferimento fisiologici, perdevano di significato; c'è il rischio, come osserva ancora Davis, che la psicologia molare "separata possa finire col distruggersi presto con la sua stessa logica".
Se pertanto la definizione "molare" del comportamento ha predominato e si è estesa rapidamente, è apparso poco a poco impossibile separare il molecolare dal "molare" e si è capito che bisogna considerare differenti piani o livelli di analisi e la loro interdipendenza. Ed è proprio nello studio delle correlazioni e delle interazioni fra i diversi livelli in cui la necessaria analisi dei fenomeni scompone l'unitarietà dell'organismo, che si ritaglia l'ambito precipuo della moderna ricerca psicofisiologica.
Nel solco di una forte tendenza all'interdisciplinarietà e nel superamento di antiche pregiudiziali ideologiche che ha contraddistinto il movimento scientifico generale di questo dopoguerra, la p. è finita per ritornare alla ribalta, sensibilmente trasformata rispetto agl'inizi, e con grosse ambizioni culturali e metodologiche. Una più sofisticata elaborazione teorica del vecchio problema mente-corpo e soprattutto l'imponente sviluppo delle discipline biologiche collaterali con l'addizionale progresso delle tecnologie biomediche, hanno offerto spazi fecondi per questa ripresa della psicofisiologia.
Per quanto sia difficile - non foss'altro per il forte condizionamento semantico - liberarsi dello schematismo dualistico, si è fatta sempre più strada la convinzione che l'organismo funziona in modo globale, unitario; la divisione fra mente e corpo ha luogo nella nostra descrizione del comportamento e assolve un obiettivo di comodo e di economia nell'analisi dei fenomeni comportamentali. Anziché considerare i processi mentali come separati da quelli fisici - con le inenarrabili complicazioni epistemologiche relative alle interazioni fra i due versanti - sembra più consono ammettere che tutto il funzionamento umano è contrassegnato o accompagnato da aspetti biologici, sia quando la connessione appaia ovvia, per es. nel caso di una funzione digestiva, sia laddove tale connessione non appaia così evidente, per es. nella dinamica dei processi cognitivi e di pensiero.
In questa nuova visione della complessità psicosomatica dell'organismo e nella contemporanea tendenza all'integrazione dei concetti fra discipline tradizionalmente separate, si allarga notevolmente la piattaforma di convergenza delle indagini psicofisiologiche con la confluenza su problematiche tradizionalmente "psicologiche" di biologi di più disparata provenienza.
Ciascuno di questi partecipa con la ricchezza delle metodologie che gli sono congeniali. E la p. moderna, più che un settore delimitato, si delinea oggi come un ampio spazio d'incontro fra tutti gli studiosi che da diverse angolature mostrano interesse all'interazione fra il comportamento "molare" dell'organismo vivente e la molteplicità degli eventi che lo caratterizzano a livelli più "molecolari". In questo senso il perimetro della p. si allarga e viene a interagire strettamente con le emergenti branche delle cosiddette discipline biopsicologiche, quali la psicosomatica, la psicofarmacologia, la neuropsicologia, la psicoendocrinologia, la sessuologia medica, ecc.
Se non vi è dubbio che questi settori tenderanno a differenziarsi e specializzarsi nell'elaborazione delle rispettive metodiche, una linea di tendenza probabile, e in certo senso auspicabile, è una loro progressiva riunificazione e integrazione entro lo spazio di una p. coerentemente esplicativa. Ciò sarà possibile quando questa disciplina avrà maturato un sufficiente raccordo fra teoria e metodo. A tutt'oggi troppi esperimenti, pur confortati da risultati statisticamente probanti, sono alla ricerca di un costrutto teorico che dia loro un qualche senso e troppe teorie interessanti sono alla ricerca di esperimenti che possano dar loro un supporto di validazione.
Per il momento quindi la p. si caratterizza ancora e si delimita entro lo studio di tematiche più o meno tradizionali, anche se enormemente reinvestite e vivificate da interessi e metodologie nuove.
Al primo posto fra queste tematiche si pone lo studio delle prerogative funzionali specifiche del sistema nervoso rispetto all'emergenza del processo psichico. È a fuoco in questa area la comprensione del cosiddetto "linguaggio dei nervi", dal processo dell'informazione all'elaborazione della risposta, in cui la vecchia p. degli organi di senso e della motricità si è profondamente trasformata nella diversificazione e perfezionamento delle metodologie d'indagine da una parte, e nel sempre più frequente riferimento a modelli teorici di tipo matematico-cibernetico dall'altra.
Nella comprensione delle proprietà funzionali del sistema nervoso, come base biologica dei processi psichici e del comportamento, le tecniche di ablazione (rimozione di parti del sistema nervoso, distruzione di connessione tra aree differenti, lesioni chirurgiche elettriche e chimiche) hanno avuto da sempre un largo peso.
Basta pensare all'influenza che ha avuto sulla prassi e la teorizzazione psicofisiologica la classica sperimentazione di S. J. Franz e K. Lashley prima e di Lashley e coll. poi, mediante appunto ablazione e quantificazione accurata del rapporto tra danno cerebrale e danno comportamentale.
Con tali esperimenti gli autori misero in evidenza che il deficit nell'apprendimento dei topi non era tanto da porsi in relazione con la particolare localizzazione della zona cerebrale lesionata quanto con l'estensione della zona interessata; da questo derivano i due ben noti principi dell'"azione di massa" (la quantità di corteccia è determinante) e dell'"equipotenzialità" (la localizzazione dell'area non è cruciale).
Più recentemente la p. si è potuta avvalere con maggiore efficacia e precisione di queste metodologie in virtù dei notevoli progressi verificatisi nella chirurgia e nell'anestesia generale. Fra i contributi in certo senso più clamorosi si possono ricordare quelli dovuti alla sperimentazione di R. W. Sperry e coll. con la tecnica di separazione dei due emisferi cerebrali. Mediante la resezione chirurgica del corpo calloso, sia nell'animale che nell'uomo (laddove esigenze terapeutiche lo hanno richiesto) questi autori hanno messo a fuoco una serie d'informazioni suggestive circa la specializzazione differenziale dei due emisferi. Nei tipici destrimani, per es., le funzioni linguistiche e aritmetiche dipenderebbero primariamente dall'emisfero sinistro, mentre l'emisfero destro sarebbe particolarmente specializzato nelle relazioni spaziali e in alcune funzioni musicali.
Per quanto anche oggi largamente diffusa, la tecnica dell'ablazione - apparentemente semplice ed efficace - presenta limiti notevoli. Oltre alla difficoltà d'intervenire selettivamente su certe vie funzionalmente definite, l'ablazione o rimozione di certe zone cerebrali può dare informazioni circa la capacità dell'organismo di funzionare senza la struttura distrutta o rimossa, ma non circa la sua funzione quando è presente.
In certo senso si può apprezzare la rozzezza di questa tecnica immaginando - per analogia - quanto avverrebbe se al fine di conoscere i delicati meccanismi di funzionamento di un computer si procedesse coll'affondare uno scalpello nell'apparecchio per asportare o sezionare indiscriminatamente alcune parti di esso.
Lo studio dell'organizzazione funzionale del cervello come base dei processi psichici ha trovato un forte impulso dall'analisi sistematica delle lesioni cerebrali. In particolare gli autori della scuola russa si sono ampiamente avvalsi di questa metodologia.
Di grande rilievo per le sue ripercussioni su tutta la teoria psicofisiologica, l'indagine di A. R. Luria e coll. sulla natura sistemica della funzione corticale. Il vasto materiale raccolto da questi autori, principalmente con lo studio delle lesioni cerebrali locali, ha condotto al definitivo superamento delle nozioni "psicomorfologiche" degli orientamenti strettamente localizzatori, dimostrando come il disturbo di ogni attività psicologica compaia in lesioni più vaste di quelle indicate dai sostenitori della localizzazione stretta e come le lesioni di parti strettamente limitate del cervello non diano mai luogo alla perdita di una sola funzione. Inoltre il recupero di funzioni più o meno complesse verrebbe raggiunto non semplicemente attraverso l'utilizzazione di strutture vicarianti, bensì attraverso la ricostruzione funzionale dell'attività disturbata.
Tutta tesa verso una comprensione degli aspetti "olistici" e "flessibili" dell'attività nervosa, il carattere squisitamente moderno della p. sovietica si manifesta per es. nell'importante concetto di "afferenza di ritorno" (P. K. Anochin) che anticipò di qualche anno l'avvento del modello cibernetico fondato sul feed-back; ancora nel concetto di "anello riflesso" o "interazione circolare" con cui A. N. Bernstein mostra di voler superare il classico schema dell'arco riflesso, introducendo il principio della correzione sensoriale delle azioni sulla base dei segnali sensoriali di ritorno dai meccanismi effettori.
Di recente anche la scuola psicofisiologica nordamericana, sebbene condizionata dall'influenza behaviorista, sembra fortemente attratta da motivi cognitivisti, entro un quadro di riferimento cibernetico. (Esemplare al riguardo è il concetto di piani e strutture del comportamento avanzato da K. H. Pribram e coll.).
A questa visione più "attiva" e programmata del funzionamento del sistema nervoso, non poco ha contribuito il progresso di un'altra metodologia classica, la registrazione dei potenziali nervosi.
Mediante appositi sistemi di amplificazione è possibile infatti svelare e registrare nel cervello la presenza di attività elettrica cosiddetta spontanea (elettroencefalografia), nonché le modificazioni di questa attività in concomitanza di eventi (indotti o spontanei) sperirnentalmente controllabili. Di recente tuttavia le tecniche di registrazione si sono particolarmente perfezionate con la possibilità di raccogliere informazioni non da ampie zone ma da piccole unità funzionali di cellule o, addirittura, da una singola cellula nervosa. Oltre a mettere in evidenza la caratteristica di attività e di autoregolazione di queste unità neurali - il che pone problemi nuovi alle varie teorie psicologiche appoggiate a un modello passivo del sistema nervoso - queste accurate metodologie di registrazione hanno prodotto dei contributi specifici di conoscenza con cui la cosiddetta psicologia "molare" è, sempre più, chiamata a confrontarsi.
Solo a titolo di esempio si possono ricordare le indagini di D. H. Hubel e T. N. Wiesel, i quali hanno dimostrato come le cellule della corteccia visiva sono sensibili e "codificano" singolarmente, o a gruppi, lineamenti specifici (linee, margini, angoli retti, ecc.) dell'immagine retinica.
Questi dati sono emersi in contrasto con i modelli che interpretavano la discriminazione dei patterns percettivi sulla base di un ipotetico meccanismo di trasformazione spazio-temporale dei medesimi: e questo, si noti bene, anche se i suddetti modelli possedevano una loro efficacia predittiva. Di fatto il modello di funzionamento reale del sistema nervoso quale emerge col progredire delle tecniche di registrazione non sembra in accordo con nessuno dei modelli precedentemente avanzati, e questo non può non riflettersi in un'ulteriore rielaborazione delle teorizzazioni e delle esperimentazioni che da tali modelli traevano in qualche modo ispirazione.
Nello studio funzionale del sistema nervoso si colloca una metodica tradizionale che prevede la stimolazione elettrica (treni di impulsi brevi, da 0,1 a 10,0 millisecondi, dell'intensità di circa 10-100 microvolts) o chimica di zone più o meno circoscritte dell'encefalo.
Secondo una modalità tecnica, che peraltro ha contribuito largamente alla costruzione delle cosiddette "mappe cerebrali", la stimolazione viene effettuata mediante un'esposizione chirurgica della zona interessata. Le ovvie limitazioni di questa modalità sono oggi in larga misura superate dall'uso della stimolazione effettuata mediante elettrodi cronicamente impiantati in profondità. I progressi nell'elettronica, in particolare la miniaturizzazione degli elettrodi e la possibilità di applicare dei microricevitori alla cute con controllo radio a distanza, senza bisogno di prolunghe elettriche fisse, hanno reso questa sperimentazione precisa e flessibile insieme. Certi effetti non desiderati di diffusione dell'impulso dalla zona bersaglio verso zone limitrofe possono essere eliminati con la microiniezione di sostanze chimiche in grado di attivare selettivamente certi gruppi definiti di cellule funzionalmente affini. Infine, dal momento che l'attività del soggetto non è ristretta, è possibile studiare il comportamento negli ambienti più vari, mettendo a frutto anche i suggerimenti metodologici che vengono alla p. dalla moderna disciplina etologica.
Le indagini effettuate con queste metodiche di stimolazione hanno aperto larghi spiragli di conoscenza sui meccanismi neurofisiologi alla base dei processi emozionali e motivazionali. L'area dell'emozione e della motivazione in realtà ha occupato da sempre un posto centrale nella sperimentazione e nella teorizzazione della psicofisiologia.
Oltre al classico contributo teorico di James e Lange per i quali l'esperienza emozionale risulterebbe dalla percezione delle modificazioni corporee periferiche, si deve far menzione delle indagini fondamentali di W. B. Cannon che già fin dal 1915, nel suo Bodily changes in pain, hunger, fear and rage, illustrava quel noto principio della "funzione di emergenza" del sistema nervoso simpatico che tanta parte avrà nell'orientare, da F. Alexander in poi, il moderno pensiero psicosomatico. Ancora è da sottolineare il contributo di Selye con la formulazione della "sindrome generale di adattamento", una reazione fisiologica in tre stadi allo stress prolungato, consistente in una prima fase di allarme, una seconda di resistenza e una di esaurimento.
Fra le linee di sperimentazione più recenti può essere indicativo ricordare le indagini di J. M. Delgado e coll., in grado di controllare attacchi di "falsa" o "vera" rabbia, o similmente alleviare uno stato di ansietà, inibire un impulso aggressivo, e persino modificare la dinamica delle relazioni gerarchiche in un gruppo di scimmie, mediante stimolazione a distanza di zone particolari dell'encefalo. Un'altra recente linea di sperimentazione che ha aperto prospettive circa la comprensione di delicati meccanismi motivazionali è quella avviata da J. Olds e P. Milner che poterono dimostrare nel lobo limbico la presenza di zone, cosiddette "del piacere", che sottoposte a stimolazione provocavano una risposta particolarmente intensa di attrazione, testimoniata da una tendenza parossistica dell'animale ad autostimolarsi premendo un'apposita leva (posta alla sua portata). Tendenze diametralmente opposte di repulsione sono state viceversa evocate mediante la stimolazione di zone limitrofe definite appunto "del dolore".
Soprattutto per merito di Miller, una prospettiva nuova, non priva di risvolti applicativi, si è aperta negli anni Sessanta, nell'area delle funzioni vegetative e delle emozioni da esse mediate.
Argomentazioni pregiudiziali, radicate da lunga data, facevano ritenere che le risposte collegate al sistema nervoso vegetativo - come la frequenza cardiaca, la pressione del sangue, la temperatura corporea, ecc. - fossero automatiche e involontarie, suscettibili di essere influenzate solo dal condizionamento cosiddetto "inferiore" di tipo classico o pavloviano e non da quello "superiore", di tipo strumentale o skinneriano. N. E. Miller e altri studiosi hanno potuto dimostrare invece in modo inequivocabile che è possibile per es. allenare dei ratti a controllare la frequenza cardiaca - fino al 20% - mediante l'uso di tecniche di condizionamento operante. Trasportata in campo umano, la nuova acquisizione di principio si è espressa mediante il fiorire di una serie di modalità tecniche note sotto la dizione di biofeedback. Come dice il termine, mediante il feedback dell'informazione biologica convertita in segnali acustici o visivi da certi apparecchi elettronici, anche il soggetto umano si dimostra in grado di apprendere a modificare certe funzioni fisiologiche ordinariamente non sotto controllo o a normalizzarne altre viziate da pregressa patologia. L'utilizzazione di queste metodiche in campo terapeutico specie nell'arco delle sindromi psicosomatiche, per quanto ancora in una fase che potremmo definire di rodaggio, appare incoraggiante.
Tutta questa mole di contributi nell'area dell'emozione, centrata come appare sui meccanismi funzionali del sistema nervoso autonomo, indica una strada importante di saldatura fra terreno psicofisiologico e terreno psicopatologico. Non a caso la medicina psicosomatica viene definita da alcuni con l'etichetta di area dei "disturbi psicofisiologici". Prendendo lo spunto da questa linea esemplare, per cui la p. si configura come disciplina di base della medicina psicosomatica, si può apprezzare l'importanza, in prospettiva più ampia, dell'emergenza di una nuova branca della p. stessa, definita appropriatamente come "psicofisiologia clinica". È a questo livello che s'intravvede un'articolazione di continuità fra basi biopsicologiche e dimensioni psichiatriche, in virtù della quale la p. viene a colmare uno hiatus che ha reso fra loro per lo più incomunicabili le acquisizioni pur rilevanti della biologia e della psicologia da una parte, con il discorso psicopatologico dall'altra.
Capitolo centrale nella moderna p. è quello dell'apprendimento. Ciò non sorprende se si pensa all'importanza che questa funzione, intesa nella sua accezione più ampia di disponibilità al cambiamento, riveste ai fini dell'adattamento dell'organismo con l'ambiente. Nell'approfondimento di questa tematica, alle metodologie descritte si è aggiunto di recente il grosso contributo dell'indagine biochimica.
Per un lungo periodo di tempo, i soli meccanismi biologici che venivano presi in una certa considerazione come base dei processi di memoria e di apprendimento erano di tipo strutturale o prevedevano l'aumento e l'ingrandimento degli assoni convergenti in certe sinapsi o la riduzione della stessa fessura sinaptica, nel presupposto che queste modificazioni strutturali rendessero più viabile la sinapsi stessa e quindi più probabile il passaggio dell'informazione da un neurone all'altro.
Successivamente D. Krech e coll. hanno richiamato l'attenzione sull'importanza di un appropriato livello di attività di quelle sostanze (mediatori chimici) che consentono il passaggio dell'informazione da un neurone all'altro. In entrambi i casi, modificazioni strutturali o modificazioni biochimiche, i meccanismi biologici collegati ai processi di memoria e di apprendimento venivano individuati a livello delle sinapsi. Più di recente si è fatta strada un'ipotesi di grande suggestione che assegna un'importanza determinante a ciò che avviene dentro i neuroni, anziché a ciò che avviene fra un neurone e l'altro. L'ipotesi, emersa sulla scia delle scoperte sugli acidi nucleici come basi del codice genetico, prevede che l'attività neurale (che accompagna un'esperienza di apprendimento) possa modificare la specifica struttura chimica dell'RNA, entro quei neuroni implicati in una certa esperienza di apprendimento. L'esperienza individuale si rifletterebbe pertanto nella chimica dell'RNA, così come l'esperienza degli antenati s'iscrive nella chimica del DNA. (Dal momento che l'RNA controlla la sintesi proteica entro il corpo cellulare del neurone, una modificazione nell'RNA potrebbe per es. determinare la quantità di sostanza trasmettitrice che il neurone stesso può rilasciare a livello della sinapsi con altre cellule. Il risultato sarebbe appunto l'apprendimento).
A supporto di questo modello teorico si pone una serie di ricerche (che hanno fatto un certo clamore) tendenti a dimostrare la possibilità di trasferire la memoria da un animale all'altro mediante la semplice iniezione, in un animale non addestrato, dell'RNA estratto dal cervello di un animale addestrato. Anche se queste ricerche e il modello teorico cui si riferiscono sono tutt'altro che convincenti, resta comunque assai probabile che i processi fondamentali dell'apprendimento e del pensiero siano in qualche modo strettamente collegati all'attività di sintesi proteica che si svolge entro il neurone. Come si vede quindi anche il progresso della neuroanatomia e della biochimica genetica sta portando un grosso contributo allo sviluppo delle conoscenze psicofisiologiche.
Tra i settori in cui la p. ha registrato per così dire un vero scatto di qualità sotto l'impulso di ampie convergenze interdisciplinari, certamente è da annoverarsi quello che si occupa dei meccanismi di vigilanza. Già un passo decisivo si era verificato alla fine degli anni Quaranta quando G. Moruzzi e H. W. Magoun poterono dimostrare i meccanismi responsabili dei processi di attivazione corticale e della veglia, riportando in auge il problema dell'attenzione, della coscienza e delle sue modificazioni, da lungo tempo purtroppo in discredito nella psicologia sperimentale. Successivamente la scoperta di E. Aserinsky e N. Kleitman sulle caratteristiche biologiche di quel tipo di sonno (sonno REM), su cui si ritaglia l'esperienza soggettiva del sogno, hanno chiamato a raccolta ricercatori di competenze assai differenziate, dal neurofisiologo al biochimico, dallo psicologo allo psicoanalista. Ne è risultata una piattaforma d'incontro assai fertile in cui, pur nel rispetto degli specifici momenti di analisi del fenomeno, la funzione integrativa del discorso psicofisiologico sembra assumere un valore paradigmatico.
Gli obiettivi sono apparsi, fin dall'inizio, di essenziale rilievo. Un fenomeno così suggestivo e pur così elusivo - quello onirico - che per millenni aveva destato un'appassionata attenzione sia presso il popolo che presso gli uomini di scienza, trovava finalmente una solida chiave biologica d'indagine scientifica. Le ricerche, che in misura rapidamente crescente dal 1953 si sono succedute, hanno messo in evidenza alcuni lineamenti essenziali della biologia del sogno, vivificando l'ipotesi, già indicata da J. H. Jackson e da C. G. Jung, che attraverso la comprensione di quella sorta di "follia notturna" (il processo onirico) si possa arrivare a una maggiore comprensione della "follia diurna" (il processo psicotico).
È emersa quindi, a estensione della p. della veglia, una p. del sonno di cui è ancora prematuro indicare tutte le potenzialità. La notevole ricchezza e variabilità dei parametri fisiologici misurabili nel corso del sonno (rispetto alla relativa piattezza degl'indicatori elettrofisiologici della vita di veglia); il loro carattere di "spontaneità", dovuto alla riduzione della sensibilità agli stimoli esterni; la continua emergenza di fenomeni nuovi, non anticipabili sulla base delle conoscenze della p. di veglia; la significatività di certe acquisizioni per la comprensione dei disturbi del sonno, sono tutte caratteristiche che contribuiscono a rendere il sonno e il sogno una delle aree in maggiore espansione nella ricerca e nella teoria psicofisiologica.
Come osservato in precedenza, l'imponente sviluppo delle conoscenze biologiche da un lato e la profonda rielaborazione epistemologica del vecchio dualismo mente-corpo dall'altra, giustificano l'evoluzione della p. da disciplina settoriale e specialistica a disciplina integrativa di base, funzionale al superamento delle tentazioni riduzionistiche di entrambe le sponde. Troppo spesso in passato - come rileva J. Le Magnen - si sono fatte ricerche sul comportamento ignorando il cervello e il corpo; sul corpo, ignorando il cervello e il comportamento; sul cervello, trascurando il fatto che il cervello comanda e regola sia l'ambiente interno che quello esterno. Quando ciò accade, il risultato è una "fisiologia decapitata e una psicologia senza corpo".
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