COLONNA, Prospero
Nacque da Lorenzo Onofrio e da Sveva Caetani all'inizio del XV secolo. Scelse la carriera ecclesiastica che, essendo nipote di Martino V, percorse di un balzo. Protonotario apostolico, fu creato cardinale il 24 maggio 1426 dallo zio, che però non ne pubblicò la nomina. L'anno precedente al C. e ai fratelli, Antonio e Odoardo, erano stati concessi Paliano e Serrone, dietro richiesta dei cittadini stessi. Nel 1426, insieme con i fratelli, il C. acquistò Rocca di Papa e permutò Sarno e Palma, appena comperate, con Nettuno e Astura.
Il 10 giugno 1427 il papa volle che i beni della famiglia fossero spartiti fra i nipoti. Rimasero proprietà indivisa Capranica, Cave, Ciciliano, Genazzano, Olevano, Paliano, Pisciano, Rocca di Cave, San Vito, Serrone. Sotto il diretto dominio del C. pervennero Ardea, Frascati, Marino, Molara, Rocca di Papa, Montecompatri e Lavinio.
Nel medesimo anno al C. veniva concessa, insieme con i fratelli, per un atto di omaggio al pontefice, la cittadinanza fiorentina, con l'esenzione dall'obbligo di costruire case nella città. Intanto l'opera di accrescimento di beni della famiglia continuava.
Il 12 febbr. 1427 il C. e i fratelli avevano acquistato parte della mola di Morlupo e il castello del Monte della Guardia; il 5 giugno acquistarono i due terzi dei castelli diruti di Fusignano, Verposa e San Lorenzo; il 9 ottobre la terza parte del casale La Magione; il 28 ottobre la città di Nepi, il castello di Monterosi, quello di Filacciano e quello diruto di Isola Conversina; il 9 dicembre due terzi del castello di Scorano; il 14 marzo 1428 comprarono il castello diruto di Malaffitto ed altre tenute; il 4 luglio ancora una parte del casale La Magione; l'8 ottobre infine i castelli di Nemi, di Genoano e il casale Montagnano; nel 1430 una tenuta fra Montecompatri e Montecelone.
L'8 novembre di quell'anno fu pubblicata l'assunzione del C. al cardinalato ed egli ebbe il titolo di S. Giorgio al Velabro. Alla morte di Martino V (20 febbr. 1431) i nipoti di lui furono chiamati a rendere ragione della strapotenza cui erano arrivati. Eugenio IV richiese loro le fortezze pontificie, che occupavano militarmente, e denari appartenenti alla Chiesa, che sarebbero stati lasciati da Martino V nel palazzo ai SS. Apostoli, ove soleva abitare. Quando il pontefice negò la legittimità di alcune concessioni del papa Colonna ai nipoti, questi si ribellarono e il 23 aprile i due fratelli del C. assaltarono porta Appia. Il C. era già fuggito da Roma e appoggiava senza combattere l'azione dei congiunti. Fallita l'azione dei Colonna contro Roma, anche la casa del C. fu saccheggiata ed egli fu compreso nella bolla di scomunica del 15 maggio emanata dal papa contro i Colonna. Quando il 22 settembre si giunse alla pace, anch'egli contribuì al versamento dei 75.000 ducati di risarcimento, che il papa impose ai Colonna e con ogni probabilità anche alla seconda imposizione di 35.000 scudi, per cui Antonio Colonna protestò nel febbraio del 1432, tanto è vero che il C., con il fratello, il 17 di quel mese vendeva Ardea e Frascati. Il 12 settembre del medesimo anno, insieme con i fratelli, veniva assolto dal pontefice da ogni colpa imputatagli. Quando però l'anno dopo i consorti si unirono a Niccolò Fortebraccio contro il pontefice, anch'egli fu di nuovo scomunicato il 9 ott. 1433. Il C. si rifugiò allora presso il concilio riunito a Basilea, ove giunse il 17 nov. 1434. Rimase in questa città almeno un anno e non mancò di appellarsi ai padri contro il pontefice, denunciandone la persecuzione anticolonnese. Certo però ad un dato momento deve essere intervenuto un riavvicinamento fra i due uomini, perché il C. era con il pontefice nel marzo del 1438 a Ferrara ove era stato trasferito il concilio.
Alla morte di Eugenio IV, nel febbraio del 1447, la cattiva stella del C. parve cessare di colpo; egli infatti fu il candidato al papato di Alfonso d'Aragona. La sua elezione non parve improbabile, ma egli aveva contro irrevocabilmente il cardinale Giovanni Orsini.
Tuttavia il C. ottenne al primo scrutinio dieci voti, non raggiungendo il quorum per soli due punti; al secondo raggiunse il medesimo numero di voti, quindi la sua candidatura cadde e il 6 marzo fu eletto Niccolò V. Un curioso episodio accadde in quella circostanza. Fu il C. infatti ad annunziare l'elezione del papa. La sua apparizione in pubblico per quest'annunzio fece spargere la voce che fosse lui l'eletto. Ciò provocò, secondo la consuetudine, il saccheggio della sua casa, cui non si poté rimediare quando fu chiarito l'equivoco.
Il 13 ag. 1448 il C. tornò in possesso del castello di Lariano, di cui i Velletrani si erano impadroniti, quando il C. era stato scomunicato da Eugenio IV. L'anno successivo egli accompagnò il papa nelle sue peregrinazioni per fuggire la peste, prima nei dintorni di Rieti, poi a Spoleto, a Montefalco, a Fabriano. Quando Federico III fu incoronato da Niccolò V a Roma il 19 marzo 1452, il C. assistette il pontefice durante la messa solenne, anzi fu lui a raccogliere la mitra, caduta al papa, riponendogliela sul capo. Alla partenza dell'imperatore per Napoli il giorno 24 il C. con il vicecamerlengo accompagnò l'illustre ospite fino ai confini dello Stato pontificio.
Gli interessi del C. non erano comunque soltanto politici; infatti egli rivolgeva la sua attenzione all'ambiente dei letterati che ruotavano intorno alla Curia ed era sensibile al fascino che sprigionavano le antichità romane.
Era in relazione con Poggio Bracciolini, che gli dedicò i suoi discorsi conviviali De avaritia e con Lapo da Castiglionchio iunior, che gli dedicò versioni in latino di opere di Plutarco e di Isocrate. Era inoltre possessore, pare, di una importante biblioteca, su cui però le notizie sono scarse e indirette. Si sa che gli apparteneva un codice del IX sec. di Ammiano Marcellino, reperito dal Bracciolini e già appartenente al monastero di Fulda (capostipite della tradizione, ora Vat. lat. 1873). Curioso e affascinante è un episodio sintomatico della sua passione antiquaria. Egli, che già aveva fatto eseguire lavori ai piedi del tempio del Sole, patrocinò e organizzò il recupero dal lago di Nemi di due navi romane. Furono fatti venire palombari genovesi e fu costruita una macchina, secondo le indicazioni di Leon Battista Alberti, con la quale furono recuperate le navi, che però non resistettero all'operazione e al cambiamento di ambiente.
Anche alla morte di Niccolò V si rinnovò per il C. la speranza di essere fatto papa e anzi qualcuno sostenne che, se la malattia del pontefice morente non si fosse protratta, l'opposizione al C. avrebbe avuto minor agio di organizzarsi. Comunque egli, come aveva già fatto per il predecessore, incoronò Callisto III davanti alla basilica di S. Pietro.
Poco dopo l'elezione il nuovo papa nominò il C. vicario di Paliano; questa cittadina infatti era tornata sotto Niccolò V alle dirette dipendenze della S. Sede, dopo che, mentre durava la scomunica del C., se ne erano impadroniti i Conti; costoro anzi nel 1451 avevano dovuto dichiarare che l'accusa di alcuni loro vassalli contro il C., di aver voluto avvelenare Andrea e Grato Conti e i loro figli, era infondata.
Durante il pontificato di Callisto III il C. fu inserito dal papa nella contesa fra gli eredi di Giovanni Orsini e il conte Everso dell'Anguillara. A lui fu affidata infatti per un certo periodo Palombara. Alla morte di Callisto III il C. fu uno dei cardinali a cui fu affidato il governo della Chiesa, deputato dal papa morente o forse dal Sacro Collegio durante la vacanza.
Anche in questo conclave si parlò della sua elezione, ma precisatesi due candidature contrapposte, egli prese dapprima posizione per il favorito francese, ma dette poi il suo voto determinante a Enea Silvio Piccolomini, pronunziando, pare, le parole: "Anch'io accedo al cardinale di Siena e lo faccio papa". Il 3 sett. 1458 il C. incoronava anche Pio II davanti a S. Pietro.
Con i cardinali Alain de Coëtivy e Bessarione il C. costituì una commissione incaricata dell'inchiesta preparatoria alla canonizzazione di s. Caterina da Siena, che si concluse nel 1461. Quando il 22 genn. 1459 il papa partì da Roma per recarsi a Mantova, dove aveva convocato la Dieta, il C., che pure non si era mostrato favorevole all'iniziativa, lo accompagnava; pare peraltro che il suo impegno nei confronti della Dieta non fosse molto intenso e che egli piuttosto si dilettasse di gite in barca.
Due giorni dopo la conclusiva bolla papale del 14 genn. 1460 il C. lasciò Mantova, con Alessandro Gonzaga, e, accompagnato il pontefice a Ferrara, si recò a Venezia. Qui fu accolto onorevolmente e il Senato gli conferì, insieme con i due fratelli, il patriziato veneto. Nello stesso anno, mentre era in atto nel Regno la guerra di successione, Pio Il da Siena diede al C. l'incarico di impedire la defezione di Tivoli. Il C. ottemperò all'ordine, dopo aver sottomesso anche Spoleto, che si era sollevata. Nel marzo del 1463 ricevette dal papa l'ingiunzione di smantellare le fortificazioni di Lariano, che egli stava rimunendo, senza averne ottenuto il permesso.
Il C. morì il 24 del medesimo mese, di podagra, e fu seppellito nella basilica dei SS. Apostoli, nella cappella di S. Francesco.
Il giorno della sua morte, il papa inviò a casa sua cinquecento armati, ufficialmente per cercare ancora i denari di Martino V, ma forse per impadronirsi del fratello Antonio.
Al C., che era stato arciprete della basilica lateranense, aveva dedicato la sua tragedia Hiempsal Leonardo Dati e una traduzione di Aristotele Giorgio di Trebisonda, alcuni versi G. A. Campano e il Porcellio. Per la sua morte il vescovo Niccolò Palmeri compose un poema in versi e un'orazione in prosa.
Pio II nei suoi Commentari (Francofurti 1614, p. 300) lo aveva definito "miti vir ingenio, literarum cultor, quem nemo potuisset non amare" e in una lettera al cardinal Carvajal del 1453 circa (R. Wolkan, Der Briefwechsel des Eneas Silvius Piccolomini, III, 1, Wien 1918, p. 115): "vir honesti atque ameni ingenii ac verus elegantiarum cultor".
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