probabilita
probabilità valutazione numerica attribuita al possibile verificarsi di un evento aleatorio, cioè casuale (il termine «aleatorio» deriva dal latino alea, dado, strumento di uno dei più comuni giochi d’azzardo, cioè legati al caso, sin dall’antichità, quando si giocava anche con l’astragalo, un piccolo osso del piede di forma approssimativamente cubica). La probabilità di un evento E, indicata con P(E), è un numero reale p tale che 0 ≤ p ≤ 1. Il concetto di probabilità è andato precisandosi nel tempo e, a tutt’oggi, ve ne sono diverse interpretazioni. Una sua definizione formale e assiomatica è dovuta ad A.N. Kolmogorov (1933).
I primi studi su eventi aleatori riguardano l’analisi di giochi d’azzardo e il problema di quali siano le poste “giuste” relative ai diversi possibili eventi su cui scommettere. Uno dei primi testi che analizzano le giuste poste in relazione a giochi d’azzardo (e anche i modi per barare) è il Liber de ludo aleae (1560) di G. Cardano, ma la nascita del moderno concetto di probabilità si fa risalire al xvii secolo e, in particolare, alla corrispondenza tra B. Pascal e P. de Fermat su un problema legato al gioco dei dadi. In particolare, essi discutevano su una questione sottoposta a Pascal, attorno al 1654, da un giocatore d’azzardo, Antoine Gombaud, cavaliere di Méré, sul fatto se dovesse essere più alta la posta per scommettere di ottenere almeno un 6 lanciando quattro volte un dado oppure ottenere un doppio 6 lanciando 24 volte due dadi. La valutazione della probabilità via via si rese indipendente dalla questione della determinazione della giusta “posta” e già Pascal si mostra consapevole della portata generale del concetto. Nei suoi Pensieri scrive: «Ordunque quando lavoriamo per il domani e per l’incerto ci comportiamo ragionevolmente; perché si deve agire per l’incerto in base al calcolo delle probabilità». Questo pensiero, tra l’altro, precede immediatamente l’altro celeberrimo, relativo alla convenienza di scommettere sull’esistenza di Dio. Infatti, afferma Pascal, «pesate il guadagno e la perdita nel caso scommettiate in favore dell’esistenza di Dio. Valutiamo questi due casi: se vincete, guadagnate tutto; se perdete non perdete nulla. Scommettete dunque, senza esitare, che egli esiste».
Ispirandosi a Pascal e Fermat, il fisico olandese Ch. Huygens in De ratiociniis in ludo aleae (1657) introdusse il concetto di valore medio atteso e analizzò la differenza tra campionamento con e senza reimbussolamento. Oltre ai giochi d’azzardo, un altro campo problematico contribuì a sviluppare gli studi di calcolo delle probabilità: le assicurazioni sulla vita, che nel Seicento cominciarono a essere sviluppate da intraprendenti compagnie. Nel 1662 l’inglese John Graunt (1620-74), basandosi sulle tabelle di mortalità della città di Londra, pubblicò le prime tavole di probabilità di vita che, fatti uguali a 100 i nati, stabilivano quanti sarebbero stati i sopravvissuti nelle età successive, fornendo quindi una base statistica per la determinazione dei premi assicurativi. La prima opera sistematica sulla probabilità fu tuttavia Ars conjectandi, dovuta a Jakob Bernoulli e pubblicata postuma nel 1713, in cui vengono esposti una sistematica presentazione delle permutazioni e delle combinazioni, lo sviluppo della potenza ennesima di un binomio e la cosiddetta legge dei → grandi numeri. A de Moivre si deve poi una sostanziale generalizzazione del concetto con l’opera Doctrine of chances (La dottrina dei casi) pubblicata nel 1718. In essa sono esposti numerosi problemi e nella seconda edizione si presenta la distribuzione binomiale come approssimazione di quella normale. A partire dal 1774 P.-S. de Laplace pubblicò numerosi articoli, trattando la teoria sotto molti punti di vista e raccolse i diversi risultati nel sistematico trattato Théorie analytique des probabilités (Teoria analitica delle probabilità, pubblicato nel 1812) cui seguì nel 1814 Essai philosophique des probabilités (Saggio filosofico sulle probabilità), destinato a un pubblico non specialistico e in cui è utilizzato il principio di indifferenza (→ Laplace, principio di indifferenza di).
A differenza di altri concetti della matematica, la probabilità è spesso presentata attraverso diverse “definizioni”, che in realtà ne costituiscono modelli interpretativi applicabili a differenti situazioni problematiche tra loro non del tutto conciliabili. Esse rappresentano quindi interpretazioni e modelli di calcolo più che definizioni, anche se come tali sono spesso citate.
Secondo la definizione classica, la probabilità di un evento è il rapporto fra il numero dei casi favorevoli al verificarsi dell’evento e il numero dei casi possibili, purché siano tutti ugualmente possibili (per esempio, la probabilità di ottenere 2 nel lancio di un dado perfetto è 1/6 perché 6 sono i possibili eventi e di questi 1 solo è favorevole, mentre quella di ottenere 8 è 0 perché nessun evento è favorevole). La definizione ora data si basa sul principio di indifferenza di Laplace, secondo il quale, in mancanza di ragioni che consentano di assegnare probabilità diverse a eventi alternativi, questi devono essere considerati ugualmente possibili. La probabilità così definita è anche detta probabilità a priori perché discende da un esame preventivo delle condizioni della prova da cui scaturisce l’evento; per esempio, nel caso del dado, occorre postulare la sua perfetta simmetria e l’omogeneità del materiale di cui esso è costituito (dado non truccato). La definizione classica presenta diversi inconvenienti. In primo luogo, il principio di indifferenza sembra non convincente e, comunque, il ritenere ugualmente possibili dei casi significa in realtà supporli ugualmente probabili per cui la definizione risulta circolare. Secondariamente, la definizione classica non è esauriente, perché non consente, per esempio, di stabilire qual è la probabilità di un uomo di quarant’anni di morire entro l’anno, non potendosi individuare i casi favorevoli e quelli possibili.
Dalla critica alla concezione classica è nata la definizione frequentista secondo cui la probabilità di un evento E è il limite cui tende la frequenza relativa dell’evento E quando il numero delle prove tende all’infinito. In tale contesto, la probabilità è anche detta probabilità a posteriori perché deduce la valutazione su un evento futuro a partire dall’osservazione delle frequenze di eventi passati. Basandosi sull’osservazione empirica secondo la quale la frequenza relativa di un evento tende a stabilizzarsi all’aumentare del numero delle prove, tale definizione assume il valore limite come probabilità dell’evento. Tuttavia, l’impossibilità della ripetizione delle prove nelle medesime condizioni in molte situazioni costituisce un forte limite per l’accettazione della concezione frequentista.
Il tentativo di superare questa inadeguatezza ha portato alla definizione soggettivista (formulata nel modo più completo da B. De Finetti): la probabilità di un evento E non è interpretata come la misura di un dato oggettivo, ma piuttosto come il grado di fiducia che un “individuo coerente”, sulla base delle conoscenze di cui dispone in un determinato momento, nutre nel verificarsi dell’evento in questione. Operativamente, in questa concezione, la probabilità è così definita: dato un esperimento di cui E è uno dei possibili risultati, la probabilità dell’evento E è la somma p che un individuo coerente è disposto a scommettere per ricevere un importo unitario nel caso in cui E si verifichi. Anche questa definizione è suscettibile di obiezioni sia per la nozione primitiva di “individuo coerente” sia per la diversa disponibilità degli individui a scommettere.
Tutte e tre le precedenti “definizioni” presentano dei limiti epistemologici e pur permettendo lo sviluppo di un apparato teorematico sostanzialmente analogo, non si inseriscono nel quadro di concetti matematici definito nel corso del xx secolo e sulla base del quale sono costruite o ricostruite altre teorie matematiche, quali per esempio l’aritmetica, la geometria, la topologia o altre ancora. A tale quadro concettuale si aggancia invece la definizione assiomatica della probabilità formulata nel 1933 da A.N. Kolmogorov (→ probabilità, assiomi della). Essa, espressa in termini di insiemi e come parte di una più generale teoria della → misura, consente la costruzione formale della teoria della probabilità, prescindendo dal significato da attribuire al termine. Quando invece si parla di calcolo della probabilità si vuole sottolineare l’attenzione all’insieme dei metodi e delle procedure atti a stabilire la probabilità di un evento. Come per altri settori della matematica (calcolo letterale, calcolo integrale ecc.), il termine «calcolo» pone l’accento sui singoli problemi di quel particolare settore e sulle proprietà e i teoremi che permettono di risolverli piuttosto che sull’impianto assiomatico e teorico all’interno del quale essi si collocano.