PRIVATIZZAZIONE
Aspetti generali. - A partire dagli anni Ottanta in alcuni paesi occidentali e, successivamente, dagli anni Novanta, nei paesi ex socialisti, ha ricevuto grande attenzione la questione della ridefinizione del ruolo e della dimensione del settore pubblico dell'economia e, più in particolare, del ruolo dell'impresa privata rispetto ai problemi dell'efficienza e della crescita. Nel corso degli anni precedenti, in gran parte delle economie occidentali, era sistematicamente aumentato il peso del settore pubblico in relazione a esigenze sia specifiche che generali. Un esempio delle prime sono quelle che negli anni Trenta portarono in Italia alla creazione dell'IRI, come risposta alla crisi finanziaria e alla grande depressione di quel periodo. Le seconde trovarono origine nei cosiddetti ''fallimenti del mercato'' che condussero a una visione interventista dello stato nell'economia e a un ampliamento del peso dell'impresa pubblica anche attraverso il riconoscimento a essa di una generica ''funzione sociale''. L'esigenza, avvertita in questi ultimi anni, di ridurre il settore pubblico dell'economia, sia a causa del grande aumento dei deficit che risultano, in generale, associati alla dimensione del settore pubblico, sia per la convinzione che fosse necessaria una differente regolamentazione del rapporto pubblico e privato con una riduzione dell'intervento diretto dello stato nell'economia, ha portato all'emergere di importanti processi di p., in parte già realizzati e in parte solo progettati.
Il termine p. si può intendere nella sua accezione ''debole'' come riduzione del peso della mano pubblica nella proprietà delle imprese e nella sua accezione ''forte'' come spostamento a favore dei privati del potere di gestione e controllo di imprese pubbliche. Comune a queste differenti definizioni, come anche alle diverse maniere di intendere i processi di p., è l'idea che attraverso questi ultimi si realizzi un rafforzamento del mercato e un aumento dell'esposizione del settore pubblico alle forze di mercato. In questa prospettiva privatizzare comporta una riduzione dei sussidi pubblici destinati sia alle imprese che ai pubblici servizi. Gli operatori privati sono infatti costretti a pagare una più ampia quota del costo dei servizi, nel momento in cui alcuni di essi vengono, in tutto o in parte, sottratti alla competenza dello stato.
Privatizzare non significa necessariamente ridurre l'attività di ''regolamentazione'' da parte dello stato, se con questo termine s'intende l'insieme delle regole del gioco posto a fondamento del funzionamento del mercato e delle interazioni tra operatori privati e pubblici; e con il suo opposto, ''deregolamentazione'', si intende la tendenza a ridurre le restrizioni indesiderate alla condotta privata che si collega all'azione delle agenzie amministrative. P. e deregolamentazione procedono assieme quando la prima è accompagnata dall'esigenza di aumentare la concorrenza.
Gli aspetti politici e ideologici dei processi di p. risultano legati alla redistribuzione di potere che si realizza attraverso di essi. Le decisioni in materia di prezzi, investimenti e tecnologia che per quanto riguarda l'impresa pubblica sono prese o, comunque, condizionate da burocrati, gruppi di potere e apparato politico diventano con la p. esclusiva pertinenza dei sottoscrittori del capitale delle imprese. Questa circostanza spiega le resistenze ai processi di p. a seconda di come essi realizzano la redistribuzione del potere tra i diversi gruppi organizzati e tra interessi contrapposti. (Nel caso, per es., della p. in Gran Bretagna dell'azienda per l'elettricità, che ha comportato una riduzione dell'importanza dell'industria nazionale del carbone e l'importazione del carbone a più bassi prezzi dall'estero, si è verificata una rilevante riduzione del potere contrattuale del sindacato dei minatori).
Un altro aspetto rilevante è la redistribuzione potenziale di potere di mercato a livello internazionale, che si apre quando la p. riguarda imprese di grandi dimensioni detentrici di larghe quote del mercato nazionale che possono essere acquisite da imprese multinazionali straniere. In questo caso l'interesse nazionale alla leadership in particolari settori può essere di ostacolo alla privatizzazione. Una soluzione qualche volta adottata, come è avvenuto in Francia e Gran Bretagna, è il mantenimento da parte del governo nazionale di un potere di veto sui mutamenti del gruppo di controllo, dopo che l'impresa pubblica è stata venduta e trasferita ai privati (golden share).
I servizi di pubblica utilità. - Oltre alle attività produttive, i processi di p. possono riguardare anche i servizi di pubblica utilità e i servizi pubblici gratuiti (sanità, scuola) di cui lo stato, per lo meno in Europa, è, in generale, il riconosciuto gestore.
I servizi di pubblica utilità rappresentano, in generale, un caso in cui la presenza di costi fissi elevati, legati all'esigenza di realizzare una rete di distribuzione sul territorio nazionale, definisce una situazione di monopolio naturale. L'idea che, in questa situazione, una singola impresa produca in maniera più efficiente rispetto a quello che realizzerebbero due o più imprese, ha portato in Europa alla creazione di imprese pubbliche monopoliste nel settore del gas, dell'elettricità, dell'acqua, delle poste, delle ferrovie e delle telecomunicazioni. Negli USA la risposta al monopolio naturale è stata invece la regolamentazione dell'attività svolta dalle imprese erogatrici di servizi di pubblica utilità. La natura transitoria del monopolio naturale è legata alla dinamica della tecnologia e della domanda, perché per es. il cambiamento tecnologico può consentire, come in effetti è avvenuto, l'utilizzazione delle reti di comunicazione da parte di più imprese in concorrenza (common carrier), consentendo l'erogazione dei servizi in concorrenza e relegando perciò il monopolio al solo possesso della rete, gestibile peraltro in regime di concessione.
I processi di p. nel settore dei servizi pubblici gratuiti hanno determinato una spinta all'impegno dei redditi familiari e personali del cittadino per la soddisfazione di esigenze che nel tempo erano state assicurate ed estese dalle istituzioni pubbliche e dai meccanismi dello stato sociale. In Gran Bretagna ciò ha significato una notevole estensione dell'assicurazione privata a seguito della riduzione della copertura offerta dal servizio sanitario nazionale, dal sistema pensionistico e, in generale, dal sistema di sicurezza sociale. Anche i servizi si sono mossi − seppure in modo meno significativo − in Gran Bretagna nell'ottica della p., con l'Assisted Place System e l'Education Reform Act del 1988.
Nel complesso, si può dire che nei servizi pubblici le p. rappresentano un fenomeno che, seppur estremamente articolato, esprime una generale revisione e un ripensamento del rapporto pubblico-privato, connesso alla constatazione del frequente uso improprio e inefficiente dei poteri delegati ai soggetti pubblici nella produzione e prestazione di servizi. A questa circostanza si aggiunge, nella produzione di beni, la constatazione del peso imposto alla collettività con i trasferimenti di risorse pubbliche alle imprese private e pubbliche, queste ultime spesso operanti nel mercato insieme alle prime, con conseguente distorsione dell'allocazione delle risorse e della concorrenza. La convinzione che sia necessario che l'obiettivo della produzione e distribuzione di beni e servizi, realizzato attraverso meccanismi di mercato che pongono in essere condizioni di efficiente allocazione delle risorse, sia ben distinto dagli obiettivi di redistribuzione ed equità porta a un nuovo modello del rapporto pubblico-privato. L'esigenza della produzione di beni e servizi in cui sia realizzato l'obiettivo dell'efficienza porta a spostamenti di parti dell'attività produttiva dal settore pubblico verso quello privato, in base all'argomento che quest'ultimo sarebbe capace di realizzare un migliore utilizzo delle risorse. Quest'argomento, che viene analizzato di seguito nei suoi specifici aspetti, si congiunge necessariamente con quello delle forme di regolamentazione che è necessario porre a vincolo dell'attività dei privati affinché funzioni di comportamento, dirette alla massimizzazione di preferenze soggettive, realizzino gli obiettivi di benessere collettivi, connessi alla miglior allocazione delle risorse. In questo contesto il ruolo del governo è quello di predisporre regole adeguate a tali esigenze, e istituzioni e meccanismi capaci di assicurarne il rispetto. Esempi di questi ultimi sono le cosiddette ''autorità garanti'', quali l'Autorità garante della Concorrenza, o quella responsabile del controllo della Borsa.
Considerate in questa prospettiva le p. rappresentano non tanto e non solo un semplice accrescimento dell'area privata dell'economia, quanto piuttosto una parte importante di un nuovo rapporto tra pubblico e privato. Pubblici servizi come telefoni, trasporti, gas, possono essere forniti da gestori privati non solo in maniera potenzialmente più efficiente ma anche a tariffe che riflettano più da vicino i costi sostenuti per la prestazione del servizio.
In conseguenza di ciò è destinato a modificarsi anche il rapporto tra bilancio pubblico e attività di redistribuzione del reddito. L'applicazione di ''tariffe sociali'' per l'erogazione di molti servizi pubblici, quali gas, elettricità e trasporti, ha comportato nel passato per un verso il determinarsi di deficit strutturali delle aziende erogatrici di servizi, cui viene imposto il conseguimento dei fini sociali che lo stato intende realizzare, e per altro verso una difficoltà e anche una scarsa propensione al controllo dei costi sostenuti per la produzione dei servizi. La differenza tra entrate e uscite ha comportato deficit ripianati dallo stato con lo strumento fiscale o con il debito pubblico, senza che ciò consentisse una concreta possibilità di controllo dei costi e dell'attività con cui il fine sociale di tipo redistributivo era realizzato.
La p. dei servizi di pubblica utilità ha un fondamento che ne giustifica l'adozione quando essa venga a conseguire una più efficiente e dunque meno costosa produzione dei servizi e sia accompagnata da un sistema di tariffe che consente ai consumatori di godere del relativo vantaggio. Allo stesso tempo lo stato regolatore può comunque realizzare, attraverso lo strumento fiscale, l'azione redistributiva attuata in precedenza con lo strumento tariffario, introducendo specifici sgravi fiscali a favore dei meno abbienti. Altrettanto, seppure con modalità differenti, vale per la produzione di beni, nel qual caso l'erogazione di sussidi e conferimenti ad aziende a capitale parzialmente o interamente pubblico si risolve in un'alterazione dei meccanismi della concorrenza e nell'uso inefficiente delle risorse, che vengono indirizzate in attività che senza quei sussidi sarebbero in perdita.
Va sottolineata a questo riguardo la centralità del settore creditizio e finanziario dell'economia, in quanto esso, raccogliendo il risparmio delle famiglie, lo convoglia per un verso direttamente nell'attività produttiva e per altro verso ne intermedia l'impiego rispetto all'uso finale di istituzioni pubbliche e private. L'esistenza di condizioni di concorrenza nel mercato del credito, attraverso una molteplicità di operatori e di regole che assicurino il miglior utilizzo delle risorse finanziarie, è di grande rilevanza rispetto al funzionamento dell'intera economia. Solo se le condizioni del mercato e gli obiettivi delle istituzioni che vi operano sono congruenti rispetto a un'allocazione delle risorse finanziarie disponibili tale che esse si dirigano verso gli impieghi in cui il loro rendimento è maggiore, l'economia nel suo complesso può realizzare i risultati migliori. In quest'ottica le p. nel settore finanziario dell'economia possono avere grande importanza e rilievo, sempre che esse vengano realizzate in un contesto in cui siano assicurate le condizioni per un accrescimento della concorrenza del mercato e dell'efficiente erogazione del credito.
Aree economiche e processi di privatizzazione. - Anche se le politiche di p. si collocano in questo quadro generale, il loro dimensionamento e la velocità della loro realizzazione risultano legati a una serie di condizioni molto diverse da paese a paese sia in Occidente che nell'Est europeo. In quest'ultima area i grandi cambiamenti politici intervenuti di recente si sono accompagnati a una scelta rivolta ad attribuire al mercato un ruolo che prima non aveva, posto che il precedente sistema economico era gestito attraverso una pianificazione centralizzata dell'uso delle risorse.
Pur con alcune differenze fra i diversi paesi dell'area dell'Est europeo, gli organi della pianificazione centrale erano i detentori della responsabilità principale dell'allocazione delle risorse tra i diversi impieghi produttivi e della distribuzione dei beni e servizi prodotti agli utilizzatori finali. Il sistema creditizio e finanziario non aveva il ruolo di allocatore delle risorse che esso ha nell'economia di mercato, e il sistema dei prezzi era il risultato delle scelte degli organi centrali di pianificazione, piuttosto che delle scelte di produttori e consumatori confrontate sul mercato. Anche se in alcuni casi esistevano forme di maggior decentramento delle scelte di pianificazione, come quelle realizzate a partire dagli anni Settanta in Ungheria, proprietà pubblica delle attività di produzione, pianificazione centrale, accentramento delle decisioni di allocazione delle risorse e, dunque, scarso rilievo del mercato come espressione di un meccanismo decentrato delle scelte allocative sono rimasti, fino alle recenti trasformazioni politiche, le caratteristiche di fondo dell'organizzazione economica dei paesi ex socialisti.
I processi di p. in programma e in corso in tali paesi, anche se molto differenti nelle loro caratteristiche e tempi di realizzazione, rappresentano un cambiamento che esige modifiche profonde e riformulazioni, prima ancora che dell'organizzazione economica, dell'impalcatura giuridica che regola i rapporti fra i soggetti privati e quelli pubblici. La stessa liberalizzazione dei prezzi e l'adozione del sistema decentrato di decisioni necessario al funzionamento, in una qualche misura, del mercato, esige oltre a profonde riforme organizzative, modifiche radicali dell'apparato normativo che attribuisca certezza di diritti ai titolari di proprietà e definisca le modalità attraverso le quali tale diritto può essere acquisito e da chi. P., dunque, è termine che in un contesto siffatto assume significato ben diverso e più ampio di quello prevalente in Occidente e legato al trasferimento di quote di attività dall'operatore pubblico a quello privato. È l'intero sistema delle regole di comportamento degli operatori e il ruolo delle istituzioni che vanno ridefiniti in quanto, per un verso, vanno raccordate prestazioni e retribuzioni e, per altro verso, definiti i compiti delle istituzioni preposte al funzionamento e alla regolamentazione dell'economia e all'ampliamento dell'area attribuita ai privati operatori. Il processo di p. nell'Europa dell'Est è stato finora abbastanza rapido nel settore del commercio al dettaglio e dei servizi, molto più lento nel settore della produzione, in particolare in quello delle grandi imprese.
Nei paesi occidentali, anche se il fenomeno dell'allargamento dell'area privata dell'economia ha caratteri fondamentalmente legati alla ridefinizione dei rapporti tra pubblico e privato e manifestazioni che si traducono in specifiche leggi di p., esso si presenta con motivazioni, dimensioni e aspetti molto differenti per paesi e settori d'intervento. Anche se in tutti i casi l'obiettivo dell'accrescimento dell'efficienza delle imprese e dell'economia è considerato essenziale, sono presenti, assieme a esso, ragioni ulteriori come quella della riduzione del fabbisogno finanziario del settore pubblico, della diffusione della proprietà azionaria, dell'accrescimento della concorrenza, della riduzione della discrezionalità e dei poteri della burocrazia, della realizzazione di un disegno di politica industriale in un quadro di globalizzazione dei mercati e internazionalizzazione produttiva in cui dismissioni di settori strategici pubblici, come nel caso delle telecomunicazioni, possono aprire la strada a forme d'integrazione produttiva e commerciale di grande importanza.
Per i paesi aderenti all'Unione europea un ruolo rilevante è certamente esercitato dalle regole del Trattato che, pur prevedendo che le imprese possano essere possedute da operatori pubblici e privati, non consente tuttavia differenze di trattamento tra le une e le altre ed esige per entrambi i tipi di impresa il rispetto delle regole del mercato e della concorrenza. Ciò ha portato a considerare come aiuto di stato e contrario alle regole della concorrenza qualunque intervento sul patrimonio delle aziende pubbliche che non fosse effettuato da un operatore privato che agisca sulla base della sua stretta convenienza, in normali condizioni di mercato. Inoltre le commesse pubbliche sono state sottoposte a un regime di apertura e trasparenza che, prevedendo la partecipazione alle gare di aggiudicazione delle commesse di tutte le imprese comunitarie interessate, nel rispetto di regole di concorrenza e pubblicità prestabilite, tende a eliminare la presenza di nicchie di mercato per i produttori nazionali.
L'orientamento dell'Unione, favorevole a separare la gestione della rete da quella del relativo servizio e a liberalizzare l'offerta dei servizi di pubblica utilità per consentire anche in questo settore l'operare della concorrenza, sta producendo profondi cambiamenti nei settori delle telecomunicazioni, dei trasporti, dell'energia, ecc., dove si sta riducendo la presenza delle imprese pubbliche, a partire dall'esperienza della Gran Bretagna. La distinzione fra titolarità della rete e fornitura dei servizi che utilizzano la rete è essenziale per la trasformazione di un mercato di monopolio naturale come è quello dei servizi di pubblica utilità, in un mercato ''contenibile'', dove cioè è assicurata la libertà d'ingresso e uscita dei concorrenti, senza costi. Il caso del monopolio naturale è infatti quello di un mercato che è molto difficile ''contendere'' perché caratterizzato da elevati costi fissi, non recuperabili. Solo chi possiede le reti di distribuzione del gas, dell'energia, dei servizi telefonici o via etere, è in principio in grado di offrire i relativi servizi. La realizzazione di una rete impone costi elevati e non recuperabili per chi arrivi come secondo sul mercato. Una regolamentazione come quella europea, che è orientata a prevedere un unico detentore delle reti e più utilizzatori delle medesime in concorrenza tra di loro, produce processi di p. in cui l'allargamento dell'area privata dell'economia si accompagna all'accrescimento delle pressioni competitive sui mercati, con la realizzazione di aree in cui è possibile ''contendere'' perché è possibile l'entrata e l'uscita dal mercato con poco o nessun costo.
La conclusione è, in generale, che la ridefinizione dei rapporti tra pubblico e privato che si realizza con i processi di p. apre senz'altro la strada a una maggiore efficienza potenziale, che si può realizzare attraverso un'attività d'impresa gestita dall'operatore privato, sempre però che essa si accompagni a un accrescimento delle condizioni di concorrenzialità dei mercati in cui l'impresa si colloca.
Funzioni di comportamento degli operatori e privatizzazioni. - Gli argomenti a favore della maggiore efficienza delle attività gestite da operatori privati sono in effetti sempre connessi con quelli a favore della concorrenza. La concorrenza è importante non solo per i suoi effetti sull'efficiente allocazione delle risorse, ma anche perché stimola processi produttivi efficienti. Inoltre i processi di p. e quelli di regolamentazione dell'economia, in particolare per quel che attiene il settore dei servizi di pubblica utilità, vanno considerati come parti della stessa questione. Naturalmente la regolamentazione non risolve tutti i problemi, perché permangono rischi di collusione tra operatori privati e autorità di regolamentazione e può accadere che il desiderio di quest'ultima di mantenere bassi le tariffe e i prezzi induca l'impresa privatizzata al sottoinvestimento, nella preoccupazione di non essere altrimenti in grado di ripagarne l'onere. Va detto che le analisi empiriche non danno una risposta certa al tema della maggiore efficienza relativa degli operatori privati rispetto a quelli pubblici.
In linea di principio, l'operatore pubblico può essere efficiente come quello privato se non gode di condizioni di particolare privilegio. Soltanto alcuni studi mettono in evidenza la maggiore capacità di fare profitti ed essere efficiente mostrata dall'operatore privato rispetto a quello pubblico, mentre tutte le analisi mettono in evidenza che la concorrenza è essenziale e, comunque, più importante della proprietà nel determinare condizioni di efficienza. Inoltre le p. non risolvono problemi come quello dei sussidi alle imprese che possono continuare a sussistere anche dopo le p., ma è evidente che i sussidi più facilmente vengono in essere quando la proprietà è pubblica, perché in questo caso i prezzi sono fissati in modo da conseguire obiettivi politici e distribuitivi. Ciò comporta che la funzione obiettiva del manager pubblico è legata a una funzione di benessere sociale in cui hanno rilievo gli interessi della burocrazia, che a loro volta incorporano le preferenze dei gruppi di interesse dominanti. Questo non significa che l'operatore nel perseguire la massimizzazione del profitto contribuisca sempre alla realizzazione del benessere sociale, perché ciò non accade quando egli nella sua azione riduce la rendita del consumatore o esercita un potere rilevante sul mercato dei fattori produttivi. La condizione essenziale perché obiettivo del profitto e benessere sociale tendano a convergere sta, ancora una volta, nell'operare della concorrenza, in modo che i mercati siano funzionanti e contendibili.
A favore della p. delle imprese pubbliche sta la circostanza che, a parità di condizioni, il manager pubblico è ritenuto meno soggetto a controllo di quello privato. Se si considera il rapporto tra controllante e controllato, nell'ottica del rapporto principale-agente, si constata che lo stato (principale) ha a sua disposizione un quadro d'informazioni piuttosto limitato per valutare la condotta del manager (agente). D'altronde, non esistendo un sistema automatico capace di produrre le informazioni che sono necessarie al ''principale'' per valutare l'attività del suo ''agente'', i costi per realizzare un'attività di monitoraggio sono in generale troppo alti. In questo contesto il manager può, in misura più o meno ampia, perseguire obiettivi personali perché è consapevole che il suo ''principale'' non è in grado di stimare con precisione costi e benefici dei progetti intrapresi. Egli può essere indotto a evitare iniziative innovative nei metodi di produzione o nella strategia di conduzione dell'azienda e di penetrazione dei mercati, proprio perché la sua consapevolezza dell'inadeguatezza degli strumenti di valutazione del ''principale'' lo induce a evitare scelte e prospettive d'azione di cui sono evidenti i costi, ma incerti e rischiosi i benefici. Il manager di un'impresa privata ha invece un diretto interesse a intraprendere attività innovative, a cercare di minimizzare i costi e far crescere i ricavi, soprattutto se è anche proprietario dell'impresa. Se, invece, come spesso accade nella grande impresa, c'è separazione tra proprietà e controllo, si riproducono le condizioni per l'esercizio di un'ampia discrezionalità, perché anche in questo caso l'insieme delle informazioni necessarie a valutare l'azione dei managers non è sempre e continuamente disponibile per i proprietari, specie per quelli che non rappresentano il gruppo di controllo dell'impresa. I titolari della parte frazionata della proprietà spesso non sono particolarmente attivi nella ricerca e acquisizione delle informazioni, anche perché sono consapevoli della difficoltà di far valere le proprie valutazioni, non essendo parte del gruppo di controllo dell'impresa. Anche in questo caso esiste dunque un problema legato al rapporto principale-agente, che peraltro − diversamente da quanto accade per l'operatore pubblico − viene risolto o comunque regolato dai meccanismi previsti nel settore privato, che limitano la discrezionalità dei managers. Innanzitutto la presenza di un gruppo di controllo crea un punto di riferimento e valutazione dell'azione dei managers. Inoltre le valutazioni di banche e intermediari finanziari, relative alla redditività attuale e in prospettiva dell'azienda, esercitano notevole influenza sui comportamenti degli amministratori. Infine il rischio di sostituzione in caso di risultati insoddisfacenti e quello di scalate da parte di gruppi esterni per la conquista del controllo dell'impresa e la conseguente possibilità di sostituzione degli amministratori sono un forte disincentivo a una gestione inefficiente.
I costi-benefici delle privatizzazioni. - La p. delle aziende pubbliche ha dunque argomenti a suo favore per quanto attiene sia al profilo complessivo dell'allocazione delle risorse sia a quello della gestione d'impresa. Non ne segue peraltro che la scelta di questa via sia automatica, perché si è già osservato nel caso dei servizi di pubblica utilità che la convenienza alla p. è legata alle forme di regolamentazione adottate. Anche se non c'è un criterio generale per le scelte di p., un aiuto sulla valutazione della sua convenienza è certamente costituito dall'analisi costi-benefici. Con questa tecnica si possono esaminare gli effetti di ipotetiche proposte di p. rispetto agli interessi sia dei potenziali acquirenti che dei consumatori, al prezzo di realizzo, all'ampliamento del mercato azionario, alla riduzione del deficit pubblico, al controllo da parte del governo di settori strategici, all'evoluzione della pressione competitiva e, in generale, rispetto alle principali variabili che possono essere rilevanti nella decisione da prendere. Se, come è indubitabile, il fine ultimo del funzionamento del sistema economico è quello di rendere disponibili al consumatore beni e servizi al minimo costo, la valutazione dei processi di p. dovrebbe fondarsi sull'esigenza di misurare il beneficio netto per il consumatore, legato all'abbassamento dei prezzi e al miglioramento della qualità dei beni e servizi prodotti che ci si attende dalla privatizzazione. L'aumento della concorrenza è una condizione essenziale perché si realizzino benefici per il consumatore e può essere conseguita sia con la rimozione di restrizioni artificiali all'ingresso sui mercati, sia con il rendere disponibili le risorse necessarie alla produzione in ugual misura per tutti gli operatori che entrano sul mercato. Va ricordato che la p. implica, oltre a un trasferimento di profitti dal settore pubblico a quello privato, che va valutato in termini di benessere sociale, anche cambiamenti nei livelli e nelle tecniche di produzione, che possono essere misurati nei loro riflessi sui prezzi con una tecnica tipica dell'analisi costi-benefici, quella dei prezzi-ombra.
L'asimmetria informativa che caratterizza numerosi mercati determina difficoltà nel valutare la variazione di benessere sociale conseguente ai processi di privatizzazione. In effetti per alcuni prodotti e per numerosi servizi, come quelli sanitari, il consumatore è in grado di valutare ciò che ottiene soltanto dopo averne pagato il prezzo. Il prezzo è perciò un elemento importante nella valutazione dei costi-benefici, ma non unico, perché non si può, in generale, dire che il benessere sociale aumenti ogni volta che i prezzi diminuiscono. La valutazione delle politiche di p. esige dunque grande attenzione e considerazione di tutte le potenziali variabili che possono determinare un giudizio positivo o negativo circa il rapporto costi-benefici. Anche le modalità attraverso le quali la p. viene realizzata sono importanti, perché scelte differenti possono determinare effetti distributivi favorevoli per categorie di reddito diverse. Ciò può accadere per es. se, intendendo favorire l'azionariato diffuso, si usa una procedura in cui gli acquisti sono più facilmente realizzabili dalla classe media rispetto a quella a minor reddito.
Le tecniche di privatizzazione. - Le tecniche utilizzate per realizzare le p. sono numerose e variano da quella dell'offerta pubblica d'acquisto a prezzo fisso e unico, a quella dell'offerta pubblica con asta, a quella della vendita diretta a un gruppo di investitori istituzionali o ai managers/dipendenti. Nel caso dell'asta le vendite vengono effettuate sulla base del prezzo che si forma in relazione alle domande d'acquisto che si raccolgono, con il vincolo del rispetto di un prezzo minimo prefissato. Ci sono varianti che prevedono: a) un'asta marginale fondata su un prezzo minimo, aperta ai soli investitori istituzionali e, contemporaneamente, un'offerta a prezzo fisso per i risparmiatori, limitata a ciò che residua dalla sottoscrizione degli investitori istituzionali; b) un'offerta a prezzo fisso per gli investitori istituzionali, con la condizione che la quota ad essi offerta viene ridotta se la domanda dei risparmiatori supera un certo ammontare.
Le vendite delle imprese pubbliche possono avvenire in un'unica soluzione, come è avvenuto in Francia e Gran Bretagna per le imprese di medie dimensioni, o in più soluzioni, come è avvenuto in Gran Bretagna per le imprese di pubblica utilità.
La Gran Bretagna, che è stata il primo paese in Europa ad affrontare la questione delle p., è stato anche quello che l'ha realizzata su più larga scala. In circa dieci anni un milione di lavoratori è passato dal settore pubblico a quello privato. Il corrispettivo di circa 100.000 miliardi di lire è entrato nelle casse dello stato e il numero dei risparmiatori in possesso di azioni è passato da 3 milioni a circa 10 milioni. Sono state cedute ai privati imprese di grande importanza, come British Telecom, Cable & Wireless, British Petroleum, British Airways, Rolls-Royce, Jaguar e, nel settore dei pubblici servizi, le industrie di settori della gestione delle acque (Water Holding), del gas (British Gas), della gestione dei porti (Associated British Ports), dell'elettricità (Regional Electricity, Power Gen., National Power). A queste vanno aggiunte oltre 40 imprese di minori dimensioni, ma spesso di notevole rilevanza, operanti nei più diversi settori, come ICI (computers), Busways e National Bus (trasporto passeggeri), General Practice Finance (finanza), Royal Ordinance (armi), Ferranti (elettronica), Vickers (costruzioni navali) e Rover (automobile). La p. delle imprese di pubblica utilità ha suscitato il problema dell'esercizio di una qualche forma di controllo e regolamentazione da parte dell'autorità pubblica: il problema del controllo sui cambiamenti della proprietà e delle scelte aziendali è stato risolto con lo strumento della golden share, attraverso la quale lo stato si riserva la proprietà di una quota che gode del diritto di veto sulle scelte aziendali cruciali; la regolamentazione è stata assicurata da speciali agenzie statali e da meccanismi di controllo sui prezzi.
In Francia, tra il 1986 e il 1988, sono state privatizzate una trentina di imprese, con il passaggio di 3.500.000 dipendenti dal settore pubblico a quello privato, con un introito per il governo francese di circa 70 miliardi di franchi, la maggior parte dei quali destinati al riacquisto di titoli pubblici. La legge che regolamentava il processo di p. considerava prioritaria l'esigenza di sviluppare il mercato azionario con vendita del 70% del capitale ai risparmiatori, mentre ai dipendenti era riservato il 10% e agli investitori esteri il 20%. Essa considerava altresì la presenza di un ''nocciolo duro'', costituito da un ristretto numero di azionisti che, detenendo tra il 20 e il 30% del capitale, fossero in grado di assicurare stabilità di conduzione all'azienda. I settori maggiormente interessati alle p. sono stati il petrolifero (ELF-Aquitaine), la difesa e le telecomunicazioni (Matra e Havas), i materiali elettrici (CGE), le costruzioni e le vetrerie (Saint-Gobain), la banca e gli intermediari finanziari (Paribas, Société Generale, Suez), ecc.).
In Italia le principali finalità delle p., secondo la Commissione per il riassetto del patrimonio mobiliare pubblico, creata dal ministro del Tesoro G. Carli nel 1990, sono: a) concorrere, mediante i proventi dei collocamenti, al risanamento della finanza pubblica; b) allargare, mediante un'offerta aggiuntiva di titoli, le dimensioni del mercato azionario nazionale; c) favorire l'afflusso di capitali esteri; d) rimuovere gli ostacoli di natura istituzionale e proprietaria che si frappongono al conseguimento di una maggiore efficienza nella gestione delle imprese pubbliche e all'estensione degli stimoli derivanti dalla concorrenza. Dopo un dibattito sulle modalità da utilizzare per le p., in particolare delle aziende del settore creditizio, oscillante tra la scelta della public company, e dunque l'azionariato diffuso, e quella del ''nocciolo duro'', è stata adottata una soluzione che fissa un limite del 3% per ciascun operatore all'acquisto di azioni delle società da privatizzare, il che non implica ma anche non esclude la formazione di un ''nocciolo duro'' di controllo.
L'Est e le privatizzazioni. - Le p. nell'Europa dell'Est, oltre a essere collocate in un quadro istituzionale ed economico ben più complesso di quello occidentale, hanno carattere e sviluppo molto differenziato per paese e settore di attività. Con l'eccezione della Bulgaria, tutti i paesi dell'Europa orientale hanno iniziato i processi di riforma con la p. delle imprese di piccole dimensioni, in particolare nel settore del commercio al dettaglio e dei servizi. Rispetto alle p. su larga scala, l'ex Cecoslovacchia è forse il paese che ha realizzato maggiormente i suoi programmi, sia restituendo ai legittimi proprietari i beni confiscati, sia vendendo i beni pubblici all'asta o direttamente a investitori nazionali e stranieri. Circa il 50÷60% delle attività produttive e non è stato trasferito mediante l'attribuzione di vouchers ai cittadini. Ogni cecoslovacco di oltre 18 anni è stato autorizzato ad acquistare vouchers per un ammontare massimo di 1000 punti, pari a un valore simbolico di 1000 CSK (35 dollari circa). Circa 8,5 milioni di Cecoslovacchi (77% degli aventi diritto e 437 fondi di investimento) hanno partecipato al processo di p. realizzato con i vouchers, che ha portato all'asta 1500 imprese per un valore di 300 miliardi di CSK. Il processo di p. in Polonia è fondato sull'azione dei fondi d'investimento. Delle 600 imprese identificate nel 1993 come oggetto di p., 200 dovrebbero essere trasferite a 5÷8 fondi d'investimento che distribuiranno le quote tra pensionati e dipendenti pubblici. Le altre 400 saranno attribuite a 15 fondi che provvederanno a vendere le quote al pubblico. L'Ungheria è stato il primo paese dell'Europa dell'Est che ha dato avvio negli anni Ottanta a processi di p., ma finora solo il 18% delle aziende pubbliche è stato privatizzato, sulla base di valutazioni assunte caso per caso. Anche la Russia ha iniziato un programma di p. basato sullo schema dei vouchers la cui distribuzione è stata completata nell'estate del 1993. Circa 1260 medio-grandi imprese sono state privatizzate in 54 regioni della Russia, sul totale di 6000 che erano state previste dal programma iniziale. Per le imprese di medie dimensioni è stato avviato nel 1994 un nuovo programma di privatizzazione. La maggior parte degli altri paesi dell'ex Unione Sovietica non ha ancora realizzato significativi programmi di privatizzazione. Solo Bielorussia, Estonia e Lituania hanno dato un primo avvio alla p. con la vendita di circa il 10% delle imprese.
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Programmi di privatizzazione in Italia. - I programmi di p. studiati, discussi e intrapresi in Italia a partire dal 1990 sono stati caratterizzati, almeno inizialmente, da un'accentuata motivazione finanziaria, cioè quella di diminuire l'indebitamento dello stato. In un primo tempo, assieme al disegno di legge sull'alienazione dei beni immobili dello stato, e in analogia a quanto era stato realizzato dalla l. 30 luglio 1990, n. 218, con la trasformazione in forma societaria degli istituti di credito di diritto pubblico, l'obiettivo che il governo si prospettò, con il D.L. 3 ottobre 1991 n. 309 (non convertito), fu quello di trasformare gli enti pubblici economici statali (che avevano avuto origine, come l'IRI e l'IMI, dai salvataggi degli anni Trenta o, come l'ENI e l'ENEL, dalle pubblicizzazioni degli anni della ricostruzione) in società per azioni da cedere, in parte, ai privati. Ma questo proposito venne modificato dalla circostanza che alle iniziative referendarie del 1991 per la riforma del sistema elettorale si aggiunse − con l'obiettivo politico di intaccare l'egemonia partitica nell'industria pubblica − un referendum diretto ad abolire il ministero delle Partecipazioni statali e, quindi, a limitare l'intervento pubblico nell'economia unicamente alla ''regolazione'' del mercato (cioè con lo stato arbitro e garante della concorrenza). Il governo fu, quindi, costretto a insistere sulle p., recependo anche le motivazioni liberistiche.
Le procedure per la trasformazione in società per azioni degli enti di gestione delle partecipazioni statali (IRI, ENI, EFIM), degli altri enti pubblici economici, nonché delle aziende autonome statali, fissate nel conseguente D.L. 5 dicembre 1991 n. 386, convertito in l. 29 gennaio 1992 n. 35, sono state, peraltro, rese assai complesse: i ''programmi'' di societarizzazione devono essere formulati da commissioni di esperti, deliberati dal governo ed elaborati in ''progetti'' dagli stessi enti privatizzandi. Del pari, l'individuazione dei beni patrimoniali dello stato suscettibili di alienazione e la futura gestione della vendita sono state, dal D.L. n. 386, regolamentate e affidate a un'apposita società con capitale misto. Ma la programmata ''p. parziale'' delle imprese pubbliche e la svendita di aree e di immobili dello stato non utilizzati − entrambe demandate, per l'attuazione, a provvedimenti amministrativi di fatto non adottati − avevano soprattutto lo scopo di giustificare l'iscrizione, tra le entrate del bilancio statale, di poste fittizie, destinate a fronteggiare il crescente costo degli interessi del debito pubblico. Soltanto con il successivo governo Amato, nel pieno della crisi finanziaria e monetaria dell'estate del 1992, la trasformazione in società per azioni degli enti pubblici economici è stata esecutivamente disposta con D.L. 11 luglio 1992 n. 333, insieme ad altre misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica. Nello stesso tempo è stato soppresso e posto in liquidazione (D.L. 18 luglio 1992 n. 340) uno degli enti di gestione delle partecipazioni statali, l'EFIM, irrimediabilmente sommerso dai debiti, molti dei quali contratti all'estero.
Il ''programma di riordino di IRI, ENI, IMI, BNL e INA'' − predisposto dal governo nel novembre 1992 e accompagnato da un Libro verde sulle partecipazioni dello Stato con il quale veniva radiografata la situazione reddituale e patrimoniale e venivano definite le condizioni e tecniche di dismissione e le priorità da osservare − è stato approvato dal Parlamento nel dicembre dello stesso anno. Ma la procedura, i dibattiti sul ''se'' e il ''perché'' della p., e le resistenze di vario genere non si sono ancora esauriti. Il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha deliberato, così, sempre nel dicembre 1992, alcune Direttive concernenti le modalità e le procedure di cessione delle partecipazioni dello Stato nelle società per azioni derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici e delle aziende autonome, allo scopo, tra l'altro, di imporre alle dismissioni anche l'obiettivo della "diffusione massima dell'azionariato". Da ultimo, un Documento del ministro del Tesoro, presentato al Parlamento nell'aprile 1993, ha fornito l'elenco delle imprese pubbliche da privatizzare e i tempi di offerta sul mercato delle rispettive quote azionarie (il ''chi'' e il ''quando'' delle p. italiane). Si trattava: delle due maggiori banche dell'IRI, il Credito Italiano e la Banca Commerciale Italiana (che, da sempre, avevano natura di società per azioni); di due holding dell'IRI, la SME, operante nel settore alimentare, e la STET, gestore delle telecomunicazioni; dell'ENEL, impresa monopolistica della produzione e della distribuzione dell'energia elettrica, istituita dalla nazionalizzazione del 1962; dell'INA, impresa pubblica delle assicurazioni, creata nel primo decennio del secolo 20° dal governo Giolitti; della società Nuovo Pignone e di altre minori del settore energetico dell'ENI.
Prima ancora che tale programma abbia avuto attuazione, è intervenuto il referendum popolare del maggio 1993 che ha abrogato la l. 22 dicembre 1956 n. 1589, istitutiva del ministero delle Partecipazioni statali. La successiva l. 23 giugno 1993 n. 202, di conversione con modificazioni del D.L. n. 118 del 1993, ha affidato al ministero del Tesoro l'esercizio dei diritti azionari dello stato e ha trasformato in società per azioni anche l'Ente autonomo di gestione per il cinema, da tempo in liquidazione. Il sopravvenuto governo Ciampi ha emanato, nello stesso mese di giugno 1993, una propria Direttiva di "accelerazione delle procedure di cessione delle partecipazioni dello Stato nella società per azioni", che ha messo capo alla costituzione di un comitato di esperti, presieduto dal direttore generale del Tesoro, con compiti di assistenza tecnica e di "garanzia della trasparenza" delle procedure di dismissione.
Un ultimo dibattito politico e tecnico sul ''come'' privatizzare (cioè sulla struttura proprietaria che devono assumere le società da vendere) ha preceduto, nell'autunno del 1993, la prima fase attuativa del più volte annunziato smantellamento del sistema delle partecipazioni statali: si è discusso, anche in seno alla stessa compagine ministeriale, se favorire, come in Francia, l'acquisto di quote azionarie di controllo da parte di un ''nocciolo duro'' di azionisti privati (anche stranieri) legati tra loro da un patto sociale; ovvero, se privilegiare, con l'azionariato diffuso al massimo (sistema anglosassone della public company), il ruolo e i poteri gestionali della dirigenza aziendale, che per ora è stata soltanto quella ex pubblica (in senso dispregiativo: i cosiddetti ''boiardi'' di Stato). Le p. hanno, quindi, avuto concreto inizio nel dicembre 1993 con l'offerta pubblica di azioni del Credito Italiano. Sono proseguite, nel marzo 1994, con l'offerta pubblica di azioni della Banca Commerciale Italiana. Entrambe le offerte hanno riscosso notevole successo sul mercato azionario: 4800 miliardi di lire sono stati incassati dall'IRI. L'ENI, per parte sua, ha incassato 1100 miliardi di lire dalla vendita del Nuovo Pignone e altri 400 miliardi di lire da altre dismissioni nel settore energetico e della chimica.
Superato lo spartiacque delle elezioni politiche del marzo 1994, le p. italiane sembrano così avviate senza alcuna possibilità di ritorno; con la probabilità, anzi, di una successiva loro estensione ad altre imprese e servizi pubblici, precedentemente non previsti.
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