PRISCIANO di Cesarea
Grammatico latino della fine del sec. V, nato a Cesarea nella Mauritania. Poco sappiamo della sua vita. Frequentò la scuola di Teoctisto, e insegnò lingua latina a Bisanzio al tempo dell'imperatore Anastasio (491-518). Suoi allievi furono il grammatico Eutiche e quel Teodoro che nel 526 ne trascrisse l'opera maggiore. Ebbe anche rapporti con alti personaggi di Roma, come Aurelio Simmaco e il console e patrizio Giuliano, al quale dedicò l'opera sua principale, l'Institutio de arte grammatica, in 18 libri, vasta e sistematica esposizione della grammatica latina, per cui P. stesso dichiara nella prefazione di aver fatto proprî gl'insegnamenti dei retori greci Erodiano e Apollonio Discolo, ma accresciuti dei risultati dell'indagine dei grammatici latini.
Ogni libro della Institutio ha un titolo suo proprio e svolge una speciale sezione. I primi sedici (Priscianus maior) trattano: 1. delle lettere, 2. delle sillabe e dei nomi, 3. dei comparativi, 4. dei denominativi, 5. dei generi e numeri, 6-7. dei casi, 8-10. del verbo, 11. del participio, 12-13. del pronome, 14. della preposizione, 15. dell'avverbio, 16. della congiunzione; gli ultimi due (Priscianus minor) contengono la sintassi, e terminano in maniera alquanto brusca, forse per la fretta con cui P. volle pubblicare la sua opera, a meno che questa non ci sia pervenuta mutila per la perdita posteriore di qualche parte. Oltre che sui Greci, ai quali ricorse per la sintassi, i fondamenti di quest'opera riposano su tutta la tradizione grammaticale latina da Varrone sino ai contemporanei, soprattutto su Capro, al quale P. va debitore anche di molta dottrina, che non attinse direttamente alle fonti antiche. Merito di P. è l'aver saputo costruire un'opera largamente comprensiva, dove tutta la secolare erudizione grammaticale romana appare rinnovata, distribuita e ordinata in un corpo organico, senza dimenticare i confronti con la lingua greca. La dovizia di citazioni ond'è corredata ha permesso che di autori perduti fossero tramandati preziosi frammenti e di molti rimastici fosse autorevolmente fermato il testo. Se possono essergli rimproverati errori e lacune, come la mancanza di una trattazione sulla stilistica e la metrica, ripetizioni e contraddizioni, etimologie bizzarre e in generale la poca originalità e personalità d'indagini e di concezioni, va notato però che l'opera di P. attesta il vigore di un ingegno che, dominando campi vastissimi e sottraendosi alla tirannia della tradizione, seppe trasferire nella latinità le dottrine grammaticali dei Greci, della cui superiorità egli era convinto, e sostituirvi di necessità un'imponente messe di esempî e di citazioni latine, che rivela indiscutibilmente una straordinaria larghezza di conoscenze. Certa sua terminologia e altre particolarità tecniche sopravvivono tuttora, ma la fortuna di P. fu soprattutto grande nel Medioevo, che ce ne ha tramandato centinaia di manoscritti e numerosi commenti (Albino, Sedulio Scotto); senza dire dell'autorità da lui goduta presso dotti, come Cassiodoro, Alcuino e Rabano Mauro, che ne ricavò anche degli estratti. La stessa lessicografia medievale, con a capo Papia, dipende tutta da lui. Inoltre P. ha dedicato a Simmaco tre scritti: De figuris numerorum dove, attingendo parallelamente a fonti greche e latine, dimostra la derivazione dei numeri romani da quelli greci e chiarisce i rapporti tra pesi e monete romani e greci; De metris fabularum Terentii, nel quale, appoggiandosi su Eliodoro ed Efestione per i Greci, su Asmonio e Terenziano per i Romani, fissa le caratteristiche metriche degli antichi comici ormai quasi obliate; Praeexercitamina, fedele traduzione adattata al latino di uno scritto di Ermogene. Destinata esclusivamente alla scuola è l'operetta Institutio de nomine et pronomine et verbo, riassunto, in parte anche modificato, delle corrispondenti sezioni dell'opera maggiore. Altra tipica compilazione scolastica sono le Partitiones duodecim versuum Aeneidos principalium, che in forma di domanda e risposta svolgono una completa, prolissa analisi prosodica, grammaticale, etimologica dei versi iniziali dei dodici libri dell'Eneide, secondo il modo praticato dai Greci per Omero. Il Liber de accentibus, che talvolta gli viene attribuito, deve appartenergli in minima parte, se pure non si tratta d'una raffazzonatura posteriore. Come espositore P. è di solito chiaro e semplice, ma le prefazioni e le dediche gli offrirono l'occasione di far prova del suo gusto di prosatore, secondo i tempi, ricercato. Privo d'ispirazione e convenzionale si rivela P. nei due poemi da lui composti: un Panegirico sull'imperatore Anastasio, scritto verso il 512, che in 312 senarî giambici di buona fattura ne decanta i meriti di soggiogatore dei popoli ribelli, d'instauratore così della pace e della giustizia come delle arti e del culto; e una traduzione della Periegesis del greco Dionisio, traduzione alquanto piatta e disadorna, in 1100 versi, di quel poema geografico, ma in genere fedele, quando, come cristiano, P. non senta il bisogno di sfatare i miti del paganesimo, o, come erudito, non corregga o aggiunga qualche notizia, attingendo a Solino.
Ediz.: Per le opere grammaticali, ed. principe, Venezia 1470; edizione critica A. Krehl, Lipsia 1819-1820, voll. 2; fondamentale: ed. di M. Hertz, in H. Keil, Grammatici latini, II-III, Lipsia 1855-1859. Per le opere minori, ed. F. Lindemann, Leida 1818; H. Keil, op. cit., III, p. 405-528. Per i carmi: J. Ch. Wernsdorf, Poet. Lat. min., a cura di Lemaire, IV (1822), pp. 213-432 (Periegesis); E. Baehrens, Poet. Lat. min., V (1883), pp. 264-312.
Bibl.: M. Hertz, Praefatio all'ed. cit.; L. Jeep, Zur Geschichte der Lehre von den Redetheilen bei den lat. Grammatikern, Lipsia 1893; M. Manitius, Gesch. d. christl. lat. Poesie, Stoccarda 1891, p. 356; M. Schanz, C. Hosius, G. Krüger, Gesch. der röm. Litter., IV parte 2ª, Monaco 1920, pp. 221-238; G. Mazzini, Il cod. vat. 3313 di Prisciano, in Archiv. lat. med. aevi, 1924, pp. 213-22 e 1925, pagine 5-14.