Presupposti e motivazione del sequestro probatorio
Il sequestro probatorio, tipico mezzo di ricerca della prova nel processo penale, sin dagli albori dell’entrata in vigore del vigente codice di rito ha sempre costituito un fondamentale banco di prova della tenuta dei principi del giusto processo. Solo attraverso un’adeguata giustificazione giudiziale della “necessità” dell’apposizione del vincolo sulla res, infatti, è possibile ritenere salvaguardato il diritto dell’individuo – sia esso persona fisica che persona giuridica – che ne ha la disponibilità a vedersi sacrificato il diritto di proprietà, il quale viene inevitabilmente ad essere compresso dalla adozione del provvedimento di sequestro. E, trattandosi di un diritto fondamentale, che gode di una tutela multilivello sia in ambito nazionale (art. 42 Cost.; art. 832 c.c.) che in ambito europeo (art. 295 TUE; art. 17 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; art. 1, protocollo n. 1 alla CEDU), la necessità di un adeguato apparato argomentativo si rende ancora più stringente soprattutto al fine di consentire il rispetto dei principi del “giusto processo”, che infatti richiedono al giudice di fornire una puntuale illustrazione delle ragioni impositive del vincolo (art. 11 Cost.; art. 6 CEDU).
Il sequestro probatorio, quale mezzo di ricerca della prova disciplinato dagli artt. 253 ss. c.p.p., puí avere ad oggetto il corpo del reato e/o le cose ad esso pertinenti. Fondamentale importanza svolge la motivazione del decreto di sequestro, costituendo il principale strumento attraverso cui valutare la sussistenza dei requisiti di legge e, dunque, la legittimità del decreto. È proprio su quest’ultimo requisito che si sono incentrate le principali problematiche interpretative. Tre sono essenzialmente gli snodi problematici che hanno interessato la dottrina e la giurisprudenza sul punto. Da una parte, ci si è chiesto in che cosa consista l’obbligo di motivazione in ordine al legame tra la res sequestrata e l’ipotesi di reato, in particolare, sotto il profilo della “relazione di immediatezza” che deve intercorrere tra le due. Dall’altra, nell’ipotesi di sequestro avente ad oggetto il corpus delicti, ci si è chiesto se l’onere di motivazione debba coinvolgere anche le specifiche e concrete finalità probatorie perseguite dall’organo inquirente. Infine, ci si è interrogati sull’ammissibilità di un’efficacia “sanante” del deficit motivazionale del decreto di sequestro da parte del tribunale del riesame. Mentre sul primo e sul terzo punto, le questioni problematiche sembrerebbero essersi ormai sopite sia a livello dottrinario che giurisprudenziale, diversamente, sulla questione della “autoevidenza” o meno della finalità probatoria del sequestro del corpus delicti, oggetto del secondo punto, residuano – nonostante i reiterati interventi della giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite – alcuni dubbi.
È opportuno esaminare esclusivamente la seconda delle questioni problematiche oggetto della ricognizione, soprattutto per i particolari spunti problematici ed i nodi irrisolti che neppure il reiterato intervento giurisprudenziale delle Sezioni Unite ha contribuito a sciogliere sul profilo della “necessità” della motivazione del decreto di sequestro probatorio del corpus delicti.
Ed infatti, sull’obbligo di motivare anche in ordine alla concreta finalità probatoria perseguita nel caso di sequestro avente ad oggetto il corpo del reato, la giurisprudenza – nonostante, come infra si vedrà, reiterati interventi anche a Sezioni Unite da parte della Cassazione – sembra ancora oggi non aver definitivamente risolto in maniera assoluta la questione.
Il tema è stato per la prima volta affrontato dal massimo Collegio, seppure incidentalmente1, con una decisione che, sul punto specifico della motivazione del sequestro probatorio, ha osservato come la formula dell’art. 253, co. 1, c.p.p. («L’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti») per la sola considerazione che è stato usato l’aggettivo “necessarie”, di genere femminile, non giustifica la conclusione che quando il sequestro concerne il corpo del reato non occorre che le esigenze probatorie siano indicate nel provvedimento e siano controllate in sede di riesame. L’argomento letterale non venne considerato decisivo dato che – si osservò – «per ragioni di immediata contiguità sintattica è possibile la concordanza dell’aggettivo con l’ultimo nome femminile, quando questo è plurale, anche se viene preceduto da nomi maschili, mentre resta decisiva la considerazione che in ogni caso il decreto deve essere motivato e che, potendo il sequestro (anche quello del corpo del reato) avvenire sia per finalità probatorie, sia per finalità preventive, soggette a regole diverse, l’autorità che lo dispone non può non indicare le finalità che con il provvedimento intende perseguire, così come il giudice del riesame non può non controllare queste finalità per verificare, anche sotto l’aspetto procedimentale, la legittimità del decreto». In particolare, con questa prima decisione, i Supremi Giudici osservarono come non può ritenersi che il corpo del reato sia sempre necessario per l’accertamento dei fatti, e che quindi debba in ogni caso formare oggetto di un sequestro probatorio, sia perché certamente nella realtà così non è (si pensi alle cose oggetto di un furto, che non devono essere necessariamente sequestrate, ad esempio quando c’è stato l’arresto in flagranza), sia perché lo stesso legislatore mostra di ritenere imprescindibile il nesso tra la misura e le esigenze probatorie imponendo, ai sensi dell’art. 262, co. 1, c.p.p., la restituzione delle cose «quando non è necessario mantenere il sequestro ai fini di prova», senza distinzioni di sorta, quindi anche di quelle che costituiscono corpo del reato (a meno che non sia disposto il sequestro a norma dell’art. 321 c.p.p.). Perciò, secondo la Corte, non si può logicamente sostenere che deve disporsi il sequestro del corpo del reato senza accertare la sua necessità ai fini probatori, dato che se questa necessità mancasse occorrerebbe restituire immediatamente la cosa sequestrata. La questione venne nuovamente esaminata pochi anni dopo da altra sentenza del Massimo Consesso2, giustificando l’opportunità del nuovo intervento in considerazione del fatto che sul tema specifico le Sezioni Unite si erano espresse incidenter tantum, vertendo il contrasto da risolvere nel 1991 principalmente su altra questione giuridica. La sentenza, mutando l’orientamento precedente, affermò l’opposto principio secondo cui, in tema di sequestro probatorio, in relazione alle cose che assumono la qualifica di “corpo di reato” non è necessario offrire la dimostrazione della necessità del sequestro in funzione dell’accertamento dei fatti, atteso che l’esigenza probatoria del “corpus delicti” è “in re ipsa”. A sostegno delle suddette conclusioni le Sezioni Unite svolsero diverse considerazioni. In motivazione, in primo luogo, si trova l’argomento formale tratto dalla lettera della norma, con cui si è evidenziato che l’indicazione nell’art. 253 c.p.p. dell’aggettivo “necessario”, declinato al plurale femminile, sembrerebbe riferito solo alle cose pertinenti al reato e non anche al corpo di reato. Infatti, secondo la regola classica della grammatica, rispettata dai compilatori del codice in altre norme (ad es. negli artt. 48, co. 3, 64, co. 2, e 95, co. 4, c.p.p.), aggettivi o predicati riferiti a sostantivi di genere diverso (l’ultimo dei quali, femminile), dovrebbero essere concordati al plurale maschile. In secondo luogo l’argomento di tipo sostanziale che fa perno sul concetto di “ corpo di reato” che in linea di principio, implicherebbe un vincolo necessario con la prova del reato e postulerebbe l’esistenza di un rapporto di immediatezza tra la cosa e l’illecito penale, con conseguente necessaria efficacia probatoria diretta, in ordine all’avvenuta commissione di un reato ed alla sua attribuibilità ad un soggetto determinato: nel “corpo di reato”, dovrebbero perciò sempre considerarsi intrinseche una destinazione ed un’efficacia probatoria. Attraverso l’uso del femminile plurale dell’aggettivo “necessario”, dunque, ne discenderebbe che soltanto per le “cose pertinenti al reato” (evidentemente, diverse da quelle suscettibili di assumere la qualifica di corpo di reato), si pone la necessità di individuare ed esplicitare gli scopi proba-tori, per i quali si rende legittima la compressione del diritto di libera disponibilità di tali cose. È interessante notare come proprio in quest’ultimo passaggio la Suprema Corte sembrò aver, da un lato, valorizzato l’astratta idoneità del corpo di reato ai fini di prova derivante dalla sua essenza, ma dall’altro, precisato che da cií non consegua la necessità concreta di sequestrare il corpo di reato in ogni caso. Il Massimo Collegio infine ebbe ad argomentare su un piano sistematico-normativo, dando una lettura comparata della disciplina del sequestro probatorio ex art. 253 c.p.p., che lo prevede con riguardo al “corpo di reato” ed alle “cose pertinenti al reato”, e del sequestro preventivo che, ai sensi dell’art. 321, co. 1, c.p.p., puí essere disposto in relazione ad « ... una cosa pertinente al reato», senza alcun riferimento invece al “corpo di reato”; a rigore percií ne conseguirebbe, in forza di una interpretazione strettamente letterale, che si potrebbe disporre il sequestro preventivo del corpo di reato solo in ragione della sua confiscabilità, ai sensi del comma 2, del citato art. 321, circostanza da escludere ad esempio nel caso di beni appartenenti a terze persone. Fatta questa premessa le Sezioni Unite sostennero quindi che: «sol ammettendo che il “corpo di reato” sia sequestrabile indipendentemente dalla dimostrazione di necessità probatorie, può escludersi l’assurda conseguenza che lo stesso possa rimanere nella disponibilità dell’imputato, o di altri, anche in presenza degli specifici presupposti indicati dalla norma, giacché, sembra evidente che l’assoggettabilità a sequestro preventivo delle cose delle quali è consentita la confisca non comprende tutte le cose, qualificabili come corpo di reato, essendovene di quelle che non sono confiscabili, come, ad esempio, un’auto oggetto di furto, per la quale non può essere dimostrata una specifica, concreta funzione probatoria e che, però, ove lasciata nella disponibilità del ladro, conduce sicuramente all’aggravamento delle conseguenze del reato. Deve, quindi, concludersi, affermando che il provvedimento di sequestro adottato dall’autorità giudiziaria sia sempre legittimo quando abbia ad oggetto cose qualificabili come “corpo di reato”, essendo necessario e sufficiente, a tal fine, che risulti giustificata tale qualificazione, senza che occorra specifica motivazione sulla sussistenza, nel concreto, delle finalità proprie del sequestro probatorio». Detta sentenza trovò poi conferma in altra decisione delle Sezioni Unite3, massimata su altro principio. In questa pronuncia la Corte ebbe a sottolineare in particolare che il controllo del giudice del riesame debba limitarsi al vaglio dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato ed al controllo dell’esatta qualificazione della cosa come “corpus delicti”4. Permanendo i contrasti tra le Sezioni Semplici la questione venne nuovamente portata al vaglio delle Sezioni Unite5, la quale invece, ritornando sui propri passi, affermò il principio per cui anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti. Quest’ultima decisione innanzi tutto sottolineò che il vigente codice di rito non prevede affatto, accanto alle tre forme tipiche di sequestro – probatorio, preventivo e conservativo – la figura autonoma del sequestro del corpo di reato come “quartum genus” suscettibile di automatica e obbligatoria applicazione in virtù della sola qualità della cosa, essendo invece necessario che ogni provvedimento diretto all’apprensione della res ed alla conseguente imposizione del vincolo temporaneo di indisponibilità su di essa rientri, per le specifiche finalità di volta in volta perseguite, in uno dei tre menzionati modelli legali. Le Sezioni Unite, in particolare, accantonano le dispute circa la rilevanza grammaticale dell’aggettivo “necessarie” e il suo collegamento apparente con le cose pertinenti al reato, valorizzando invece la lettura coordinata della norma dell’art. 253, co. 1, c.p.p., con quella dell’art. 262, co. 1, c.p.p., la quale, senza operare alcuna differenziazione tra corpo di reato e cose pertinenti al reato, prevede la restituzione delle “cose sequestrate”. Il Supremo Collegio osservò che le norme codicistiche (artt. 103, co. 2, 235 e 240 c.p.p.) che sembrano imporre il sequestro del corpo di reato ex lege, anche in assenza di un onere argomentativo per l’accusa, riguardano ipotesi speciali dettate dalla necessità di non disperdere peculiari mezzi di prova, dalle quali non appare lecito inferire la sussistenza di una regola generale circa la rilevanza probatoria tout court del corpo del reato. Né è stata condivisa l’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite Carella, in ordine al fatto che il sequestro preventivo sarebbe limitato solo alle cose pertinenti al reato e non anche al corpo di reato, non essendo in dubbio, almeno secondo il diritto vivente, che la disciplina contenuta nell’art. 321, co. 1, c.p.p., riguardi anche il corpo del reato, che «… a ben vedere, pertiene alla ‘fisica del reato’ ancor più delle cose pertinenti, quando lo stesso non sia confiscabile ai sensi del secondo comma»6. Ma al di là dell’esegesi codicistica la sentenza delle Sezioni Unite svolse delle considerazioni sistemiche sul rapporto tra provvedimenti coercitivi e diritti individuali, e, richiamando anche i principi di ragionevolezza e di proporzionalità di matrice sovranazionale (in particolare della CEDU), affermò che la soluzione interpretativa prescelta «fosse l’unica compatibile con i limiti dettati all’intervento penale sul terreno delle libertà fondamentali e dei diritti costituzionalmente garantiti dell’individuo, qual è certamente il diritto alla ‘protezione della proprietà’ riconosciuto dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Il giusto equilibrio tra i motivi di interesse generale e il sacrificio del diritto del singolo al rispetto dei suoi beni, che il canone costituzionale e quello convenzionale pretendono, sarebbe per i Supremi Giudici altrimenti messo in irrimediabile crisi dall’opposta regola, in tal modo autorizzandosi un vincolo di temporanea indisponibilità della cosa che, al di fuori dell’indicazione dei motivi di interesse pubblico collegati all’accertamento dei fatti di reato, viene arbitrariamente e irragionevolmente ancorato alla circostanza del tutto accidentale di essere questa cosa oggetto sul quale o mediante il quale il reato è stato commesso o che ne costituisce il prodotto, il profitto o il prezzo. E, concludono le Sezioni Unite «la lesione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della misura sarebbe tanto più grave laddove si tratti di cose configurabili come corpo del reato, ma di proprietà della vittima o di terzi estranei alla condotta criminosa».
Malgrado la decisione delle Sezioni Unite il contrasto giurisprudenziale non venne per nulla risolto. A fronte di decisioni che ritennero di uniformarsi al principio affermato dal Supremo Collegio7, anche con riguardo al sequestro probatorio di bene particolare, data la sua fungibilità, come il denaro8, si registrarono, da un lato, alcune decisioni che optarono per un’attenuazione motivazionale o comunque una necessaria modulazione della motivazione stessa con riguardo all’oggetto in concreto da sottoporre al sequestro probatorio9 e, dall’altro, un numero non esiguo di decisioni, espressione di un orientamento minoritario, che invece continuarono ad affermare che nel caso di sequestro probatorio del corpo di reato, non fosse necessaria una specifica motivazione sulla funzionalità ai fini dell’accertamento dei fatti10 (si tratta prevalentemente di decisioni in materia di sequestro di sostanza stupefacente11, o relative al sequestro di mezzi coinvolti in incidenti stradali12, o concernenti fatti di estorsione in danno di lavoratori dipendenti, in cui venivano sottoposti a sequestro probatorio, quali corpo del reato, mezzi e documenti, riguardanti le attività lavorative delle persone offese13 o, infine, in materia di contraffazione di marchi, nelle quali la Corte ha ritenuto “pacifico” il rapporto di immediatezza tra i beni sequestrati e i reati in contestazione attesa l’inseparabilità dei marchi contraffatti dai prodotti14). Nel tentativo di superare, peraltro, l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite nel 2004, la giurisprudenza più recente15 era giunta a sostenere che, già dal testo letterale della legge, risulta, anche da un punto di vista grammaticale, che, in tema di sequestro probatorio, «necessarie per l’accertamento dei fatti», sono solo le cose pertinenti al reato; in tal caso, solo se ed in quanto necessarie a fini probatori, determinate cose potranno essere qualificate come «pertinenti al reato» e, dunque, essere oggetto del procedimento di sequestro. Dette valutazioni non sarebbero, al contrario, richieste per il “corpo del reato” e, quindi, per le cose individuate dal legislatore, nell’art. 253, co. 2, c.p.p.; per esse, invero, il rapporto con il reato non è mediato dalla finalità della prova, ma è immediato, tant’è che in via generale ne è prevista la confisca. Ne consegue, secondo il ragionamento in questione, che, in tema di misure cautelari reali, è obbligatorio il sequestro penale del corpo del reato che mira a sottrarre all’indagato tutte le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto e il prezzo. Di contro, è facoltativo e presuppone la tutela delle esigenze probatorie il sequestro delle cose pertinenti al reato16. Si precisa, pur tuttavia, nella sentenza da ultimo richiamata che, se è vero che nel provvedimento di sequestro del corpo di reato, non è necessario offrire la dimostrazione della necessità del sequestro in funzione dell’accertamento dei fatti, atteso che l’esigenza probatoria del corpus delicti è in re ipsa, è altrettanto vero che, ai fini della qualificazione come corpo di reato delle cose in sequestro, il provvedimento deve dare concretamente conto della relazione di immediatezza descritta nel comma secondo dell’art. 253 c.p.p. tra la res e l’illecito penale. Ne consegue che nel provvedimento di sequestro probatorio del corpo di reato non è sufficiente la mera indicazione delle norme di legge violate, ma occorre anche che sia individuato il rapporto diretto tra cosa sequestrata e delitto ipotizzato e che, quindi, siano descritti gli estremi essenziali di tempo, di luogo e di azione del fatto, in modo che siano specificati gli episodi in relazione ai quali si individuano le cose da sequestrare.
Premesso che sia l’art. 253 sia l’art. 355, co. 2, c.p.p., prevedono espressamente che il provvedimento di sequestro o di convalida del sequestro operato dalla polizia giudiziaria deve essere motivato, in dottrina si è discusso in particolare se nel caso di sequestro probatorio del corpo del reato sia necessario motivare non solo in ordine alla natura del bene oggetto del provvedimento, ossia se si tratta effettivamente di corpo del reato, ma anche relativamente alla necessità nel caso concreto di sottoporre a vincolo reale quello specifico bene per l’accertamento dei fatti oggetto del procedimento. A differenza della giurisprudenza in cui il contrasto, come visto, è molto diffuso, si può affermare che in dottrina17 la posizione nettamente dominante è nel senso di ritenere necessaria una motivazione puntale sulle esigenze probatorie anche nell’ipotesi di sequestro del corpo del reato, oltre che delle cose pertinenti al reato. In primo luogo si osserva che il provvedimento di sequestro, istituendo un vincolo di indisponibilità sulla cosa, incide sui diritti costituzionalmente garantiti «sia perché priva il soggetto del potere di esprimere liberamente la propria persona attraverso l’uso o il semplice possesso del bene, sia perché non consente l’esercizio di altri diritti che presuppongono strumentalmente l’utilizzazione della cosa, fra i quali l’iniziativa economica. In considerazione di ciò – ed in analogia con l’art. 13 Cost. – deve affermarsi esistere un dovere di motivazione che non può concernere soltanto la qualifica giuridica da attribuirsi al corpo del reato, ma deve riguardare anche le specifiche ragioni probatorie che si intendono perseguire con l’emanazione del provvedimento di sequestro»18. Di conseguenza le esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona impongono l’obbligo di una motivazione puntuale, sia per consentire il controllo da parte del destinatario, sia del giudice dell’impugnazione. Diversamente opinando «ne risulterebbe svilita sia la funzione del giudice – degradato a mero controllore della riconducibilità della cosa appresa alla categoria di cui all’art. 253, comma 2, cod. proc. pen., sia quella della motivazione, frustrandone le finalità di garanzia e di tutela dei beni costituzionalmente protetti sui quali incide il vincolo di indisponibilità»19. Si osserva poi che non assume rilievo la circostanza che in materia di sequestro non vi sia una disposizione analoga a quella di cui all’art. 292 c.p.p.: «essa, è, in effetti, meramente esplicativa e nulla aggiunge alla portata dell’obbligo motivazionale rispetto all’applicazione delle misure cautelari personali». Secondo questi Autori tale interpretazione trova fondamento nella complessiva architettura del nuovo codice di rito che ha previsto il carattere polifunzionale dell’istituto del sequestro, che, come è noto, si distingue in probatorio, preventivo e conservativo, ognuno con una disciplina specifica e con la possibilità di passaggio dall’una all’altra ipotesi di sequestro anch’essa espressamente regolamentata (art. 262, co. 2 e 3, c.p.p.). In questo quadro normativo, l’indicazione delle finalità che devono sorreggere il provvedimento cautelare assume un’indubbia valenza di legalità del potere coercitivo. Per cui si è affermato che «tollerare un’automatica apprensione del corpo del reato, affrancata da finalità probatorie, preventive e conservative e suscettibile di applicazione obbligatoria in virtù della sola qualità della cosa, equivarrebbe ad introdurre una nuova figura di sequestro: un quartum genus rispetto ai tre menzionati modelli legali, del tutto avulso dall’impianto sistematico tracciato dal legislatore delegato, appare perciò dirimente la rilevanza che assume, nell’attuale architettura codicistica, una precisa finalità piuttosto che un’altra»20. A conferma della tesi che vuole una motivazione puntuale circa le finalità probatorie vi sarebbe in particolare l’art. 262, co. 1, c.p.p., il quale stabilisce che le cose sequestrate, siano esse corpo del reato o cose pertinenti al reato, devono essere restituite quando non è più necessario mantenere il sequestro ai fini di prova. Se quindi dopo il sequestro occorre una valutazione del giudice circa la necessità di mantenere tale vincolo, a maggior ragione, si afferma, una tale valutazione deve essere operata quando viene adottato il provvedimento di sequestro. Del resto, appare incontrovertibile che il corpo di reato è, tendenzialmente, necessario per l’accertamento del fatto, ma non è detto che lo sia sempre; a riprova di ciò si fa l’esempio del conto corrente bancario come corpo del reato, ove però per soddisfare le esigenze probatorie può essere sufficiente sequestrare la relativa documentazione, senza creare un gravoso vincolo di indisponibilità sulla stesso conto corrente (analogamente nel caso di furto per il quale è stato operato l’arresto in flagranza; è evidente che la prova dei fatti non necessita, nella maggior parte dei casi, del sequestro del bene appartenente alla vittima)21. Ulteriore riprova della sussistenza, in capo all’autorità procedente, di un margine di discrezionalità nell’apprensione del corpo del reato a fini probatori, viene individuata nell’art. 354, co. 2, c.p.p., in forza del quale gli ufficiali di polizia giudiziaria, in situazione di necessità e urgenza, «se del caso, sequestrano il corpo del reato e le cose pertinenti a questo». Si rileva che l’inciso «se del caso» rende facoltativo l’operato della polizia giudiziaria che deve valutare, prima facie, se il potere coercitivo d’urgenza è funzionale per l’accertamento dei fatti, nei limiti quindi previsti dall’art. 253 c.p.p., senza peraltro porre alcuna distinzione circa la natura dei beni da sequestrare. Si afferma perciò che «tale requisito (la finalità probatoria n.d.r.), seppure non dettato ex professo dalla norma, traspare dalla ratio che pervade il compimento di tali atti, la cui valenza, non meramente investigativa, impone una serie di accorgimenti volti ad evitare che il sequestro si trasformi in un’indiscriminata compressione dei diritti costituzionali, quali la proprietà o l’iniziativa privata. Solo in questo senso, l’art. 354 c.p.p. può efficacemente assolvere la sua funzione principale, cioè, di preservare le fonti suscettibili di dispersione od alterazione, nell’attesa che il pubblico ministero assuma la direzione delle indagini»22. Anche l’argomentazione utilizzata dalle Sezioni Unite Carella, secondo cui l’ambito di applicabilità del sequestro preventivo sarebbe limitato alle sole cose pertinenti al reato e non anche al corpo del reato, con la conseguenza che il sequestro probatorio del corpo del reato sarebbe obbligatorio e in quanto tale privo di motivazione, ha trovato in dottrina quasi unanimi dissensi, ritenendo che la nozione di cose pertinenti al reato di cui all’art. 321, co. 1, c.p.p., abbia un significato ampio, idoneo a comprendere pure il corpo del reato, in ragione del rapporto di genus ad species intercorrente tra i due concetti23. Del resto ciò trova conferma nell’art. 262, co. 3, c.p.p. in cui, senza distinzioni tra corpo del reato e cose ad esso pertinenti, è previsto espressamente che, qualora sia venuta meno l’esigenza probatoria, il sequestro possa essere mantenuto per finalità preventive. Ne consegue, secondo questa interpretazione, che poiché il corpo del reato può essere oggetto sia di sequestro probatorio sia di quello preventivo, è necessario che la motivazione indichi sempre la finalità perseguita.
Infine, la dottrina prevalente ha rilevato che il dato letterale della declinazione al plurale femminile dell’aggettivo “necessarie” di seguito alle parole «cose pertinenti al reato» non appare di per sé argomento idoneo a superare i vari motivi molto più pregnanti fin qui evidenziati, sia perché ragioni di semplice contiguità con il sostantivo che lo precede potrebbe spiegare la declinazione dell’aggettivo al plurale femminile, sia perché non tutti i linguisti concordano sulla rigidità della regola secondo cui l’aggettivo che qualifica più nomi di genere e di numeri diversi debba essere posto per lo più al maschile. Una parte del tutto minoritaria della dottrina ritiene invece che il sequestro probatorio del corpo di reato sia obbligatorio24 o comunque che la sua rilevanza probatoria sia sempre presunta. A tal fine si rileva che l’esigenza investigativa a cui è finalizzato il sequestro ex art. 253 c.p.p. appare essere “in re ipsa”25, poiché il corpo del reato è inscindibilmente legato all’illecito penale, tant’è, è stato osservato, che numerose norme (artt. 103, co. 2, 235, 240 c.p.p.) ne imporrebbero comunque l’acquisizione. A sostegno di questa tesi, a parte l’argomento lessicale dell’aggettivo “necessarie” concordato con il plurale femminile di «cose pertinenti al reato», si evidenzia altresì l’esigenza di semplificazione ed economia di forme ed attività processuale, fondata sul criterio dell’id quod plerumque accidit, rilevando che per evitare il rischio che il predetto automatismo possa condurre a risultati aberranti o ingiusti vi è comunque la disciplina dell’art. 262, c.p.p., la quale consente di ottenere il dissequestro del bene, qualora, ad una valutazione più ponderata, appaia l’inutilità del mantenimento del provvedimento coercitivo ai fini probatori. Vi è poi chi pur negando la natura obbligatoria del sequestro del corpo di reato, sostiene che la motivazione del provvedimento coercitivo «potrà essere, per cosi dire, quasi apodittica, potendo essere limitata alla indicazione della predetta qualità (salvo poi, necessariamente arricchirsi nel caso di rigetto dell’eventuale istanza di restituzione), quando si tratti, invece, di cosa pertinente al reato, essa dovrà essere puntuale e diffusa circa il nesso strumentale con riferimento alla finalità probatoria»26.
La questione è stata nuovamente sottoposta all’esame delle Sezioni Unite27, avendo ravvisato la permanenza di un contrasto giurisprudenziale malgrado le precedenti decisioni del Massimo Consesso. In particolare, la peculiarità del reato contestato agli indagati (quello edilizio) e l’evidente funzionalità probatoria degli immobili sottoposti a vincolo ex art. 253 c.p.p., aveva consentito di proporre la questione controversa relativa al contenuto della motivazione del sequestro probatorio, non nei suoi termini assoluti circa la necessità o superfluità di una specifica motivazione, ma piuttosto di limitare il quesito ai casi in cui il “corpo del reato” appare ontologicamente, per sua natura, idoneo a svolgere la funzione probatoria propria del sequestro operato ai sensi del citato art. 253. Orbene, ritengono le Sezioni Unite28 che una corretta lettura dell’art. 253, co. 1, c.p.p. non possa consentire, nell’ambito dell’onere motivazionale chiaramente espresso dalla norma, differenziazioni di sorta tra corpo del reato da una parte e cose pertinenti al reato dall’altra. In sostanza, è proprio il dato normativo, del tutto sottovalutato nelle impostazioni giurisprudenziali che esentano il provvedimento di sequestro del corpo del reato da un onere motivazionale, ad indicare che il decreto di sequestro debba essere “motivato”, essendo tale connotato, la cui necessità si collega alla previsione generale di cui all’art. 125, co. 1, c.p.p., espresso in termini assoluti nell’incipit della disposizione e, dunque, indipendentemente dalla natura delle cose da apprendere a fini di prova, solo successivamente indicate dalla disposizione. Già sotto un primo profilo essenzialmente logico, per il Supremo Collegio, una volta ritenuto che anche il decreto di sequestro del corpo di reato debba essere motivato, ci si dovrebbe chiedere, attesa la tipologia del sequestro in oggetto, che è sequestro vocato per legge ad apprendere cose “necessarie per l’accertamento dei fatti”, su quale aspetto, se non sulla finalizzazione probatoria, precipuamente caratterizzante l’atto, distinto così dalle altre tipologie di apprensione di beni, la motivazione dovrebbe intervenire. Dovendosi, anzi, aggiungere che anche l’aspetto di relazione di immediatezza tra bene sequestrato e reato per il quale si procede, sul quale, per alcune decisioni già riassunte supra, residuerebbe, come visto, lo spazio motivazionale del decreto, null’altro è, in realtà, che la descrizione, effettuata in termini differenti, del necessario requisito di finalizzazione probatoria del bene appreso: esigere che il decreto dia conto del reato per cui si procede, sia pure attraverso estremi essenziali di tempo, luogo e fatto, è evidentemente elemento-presupposto richiesto proprio in funzione della valutazione del collegamento tra bene e accertamento del fatto stesso. Si che la artificiosa distinzione in oggetto appare in realtà per le Sezioni Unite confermativa proprio dell’esigenza che la motivazione del decreto non possa non investire la funzione probatoria del bene da apprendere. Tale dato logico trova poi conferma in ulteriori elementi, tutti convergenti nel senso appena indicato: a) anzitutto, il riferimento è alla norma dell’art. 262, co. 1, c.p.p., osservandosi come la valenza generale della disposizione, certamente applicabile anche al corpo del reato, consente di ribadirne la inconciliabilità con l’assunto secondo cui il fine probatorio sarebbe automaticamente e connaturalmente insito al corpo del reato giacché, se così fosse, nessuna possibile restituzione potrebbe prospettarsi; b) in secondo luogo, si richiama l’art. 354, co. 2, c.p.p., che, proprio facendo riferimento al momento genetico, attribuisce alla polizia giudiziaria il potere di procedere, «se del caso», al sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti, locuzione, questa, che nessun senso logico avrebbe ove il corpo del reato, recando in sé la matrice probatoria, dovesse, come conseguenza dell’impostazione di esenzione dall’obbligo motivazionale, sempre ed automaticamente essere sequestrato; c) ancora, un ulteriore profilo è significativamente rinvenibile per le Sezioni Unite nella ineludibile necessità di un’interpretazione della norma che tenga conto del requisito della proporzionalità della misura adottata rispetto all’esigenza perseguita, in un corretto bilanciamento dei diversi interessi coinvolti. In sostanza, solo valorizzando l’onere motivazionale è possibile per la S.C. tenere “sotto controllo” l’intervento penale quanto al rapporto con le libertà fondamentali ed i beni costituzionalmente protetti quali la proprietà e la libera iniziativa economica privata, riconosciuti dall’art. 42 Cost. e dall’art.1 del Primo protocollo addizionale alla CEDU, come interpretato dalla C. eur. dir. uomo29; d) da ultimo, si è aggiunto che il requisito della proporzionalità della misura, che, nell’ambito dei valori costituzionali, è espressione del principio di ragionevolezza, contiene in sé, inoltre, quello della “residualità” della misura: proprio la necessaria componente della misura di “incisione” sul diritto della persona di disporre liberamente dei propri beni senza limitazioni che non derivino da interessi di altro segno maggiormente meritevoli di tutela (come quelli pubblici, connessi al processo penale, di accertamento dei fatti) contiene necessariamente in sé l’esigenza che al sequestro possa farsi ricorso solo quando allo stesso risultato (nella specie l’accertamento dei fatti appunto) non possa pervenirsi con modalità “meno afflittive”30. I giudici del Supremo Collegio, poi, ritengono, non solo, che proprio quelle norme (art. 103, co. 2, c.p.p., in tema di sequestro presso i difensori; art. 235 c.p.p. in tema di sequestro di documenti; art. 240 c.p.p. in tema di acquisizione di documenti contenenti dichiarazioni anonime), al contrario, non avrebbero ragion d’essere qualora, già sulla base dell’art. 253 c.p.p., il sequestro fosse obbligatorio, ma anche che non rilevante appare il riferimento a ragioni di celerità o di “economia processuale” che dovrebbero consentire la sottrazione all’onere di motivazione anche attraverso il ricorso a formule di mera apparenza, essendo evidentemente l’obbligo motivazionale di natura cogente e, dunque, non suscettibile di limitazioni di sorta. Né, infine, vi sarebbero elementi per condividere quelle pronunce che hanno introdotto una distinzione tra cose che recherebbero in sé l’evidenza probatoria e cose che, invece, tale autoevidenza non conterrebbero sicché, per le prime, sarebbe inesigibile un onere di motivazione sulle finalità di apprensione del bene: per i Supremi Giudici, infatti, è lo stesso legislatore che, contemplando all’art. 262 c.p.p. casi di non necessità di mantenimento in sequestro del corpo del reato, impone, nella esegesi dell’art. 253 c.p.p., di dovere tenere separati due aspetti che l’indirizzo in oggetto, invece, inevitabilmente confonde fino a farli coincidere, ovvero la finalizzazione probatoria del bene, da un lato, e la automatica apprensione dello stesso bene al processo, dall’altro.
Dalla ricostruzione tematica supra effettuata emerge dunque l’abbandono definitivo da parte della giurisprudenza di legittimità della tesi, sostenuta da una parte del tutto minoritaria della dottrina e della stessa giurisprudenza, che ritenevano che il sequestro probatorio dei beni individuati come corpo del reato fosse obbligatorio o comunque che la sua rilevanza-probatoria fosse sempre presunta. È dunque prevalsa la tesi maggioritaria sia in dottrina sia in giurisprudenza secondo cui il sequestro probatorio anche del corpo del reato ha natura discrezionale, considerando che non sempre è necessario ai fini d’indagine il relativo sequestro, e che esso si giustifica perciò solo in ragione delle concrete esigenze probatorie, le quali devono essere quindi adeguatamente esplicitate nel provvedimento, in modo da evitare la compressione immotivata di diritti individuali che trovano tutela anche nella Costituzione e nella CEDU. Le argomentazioni spese dalla Suprema Corte, tuttavia, non appaiono del tutto condivisibili ove rapportate a quelle decisioni che, all’interno di questa maggioritaria opzione interpretativa, avevano ritenuto che il contenuto effettivo dell’onere motivazione potesse ritenersi attenuato o comunque modulato in ragione della fase procedimentale (nel senso che lo stesso sarebbe minore all’inizio delle indagini, quando il quadro probatorio non è ancora chiaro), oppure in considerazione del fatto che in alcuni casi la funzione probatoria del corpo del reato si presenta d’immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono in relazione al reato per cui si procede (ad esempio paradigmaticamente nel sequestro dello stupefacente). Del resto, la stessa ordinanza di rimessione si interrogava proprio sul quantum di motivazione ove la funzione probatoria del corpo del reato costituisca connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, facendo proprie, implicitamente, esigenze di semplificazione degli atti processuali ove non sussistano in concreto ragioni di segno contrario. Non convince, in particolare il non liquet della Suprema Corte laddove ritiene (§ 7) che non fosse quella la sede per indicare, in linea puramente astratta, quale sia il grado od il “quantum” del compendio argomentativo del provvedimento idoneo a far ritenere adempiuto un siffatto obbligo, ritenendo parimenti impossibile stabilire, sempre a priori, il grado di idoneità di una motivazione con “formula sintetica” (peraltro indicata in alcune delle decisioni richiamate e nella stessa ordinanza di rimessione come appropriata in special modo con riguardo ai casi di funzione probatoria quale ritenuto connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato nel senso già ricordato sopra) in luogo di altra più diffusa (esprimendo le Sezioni Unite financo il dubbio che una tale differenza possa essere teorizzata), in una ricordando che «già per le sentenze, la cui componente motivazionale avrebbe in sé connotati di maggior diffusività da rapportare, se non altro, al diverso momento processuale, è lo stesso legislatore ad avere stabilito come idonea ad integrare il requisito una ‘concisa’ esposizione dei motivi». Affermazione questa, sicuramente corretta, ma che non appare del tutto calzante se riferita ad un provvedimento, come quello di cui si discute (ed a differenza della sentenza) soggetto a termini ristrettissimi (art. 355, co. 2, c.p.p.), con il rischio – in caso di ritardi dovuti alla necessità di sviluppare una seppure concisa motivazione, in relazione a situazioni in cui la finalità probatoria in re ipsa – di una fatale caducazione del provvedimento di sequestro, con conseguenze di dirompente portata in termini di assicurazione della prova31 Ed allora, in una tale prospettiva, avrebbe potuto essere valorizzata l’argomentazione secondo cui la tutela dei diritti del singolo verrebbe comunque assicurata in maniera piena in un secondo momento rispetto a quello del provvedimento di sequestro, quando l’indagato presenterà istanza di dissequestro ex art. 262 c.p.p. oppure impugnerà davanti al tribunale per il riesame eccependo che i beni sequestrati non offrirebbero in concreto alcuna utilità per l’accertamento dei fatti pur rientrando nella nozione di corpo del reato, così non imponendo già dall’inizio del procedimento puntuali oneri motivazionali che a volte appaiono incompatibili con le esigenze di celerità che le indagini impongono.
1 Cass. pen., S.U., 18.6.1991, n. 10, in CED rv. n. 187861.
2 Cass. pen., S.U., 18.6.1991, n. 10, in CED rv. n. 187861.
3 Cass. pen., S.U., 11.11.1994, n. 20, in CED rv. n. 191972.
4 In pari prospettiva anche Cass. pen., S.U., 26.11.1996, n.23, in CED rv. n. 206657.
5 Cass. pen., S.U., 28.1.2004, n. 5876, in CED rv. 226711.
6 Sul punto in senso conforme, Cass. pen., 23.4.2009, n. 17372, in CED rv. n. 244342.
7 In senso conforme, tra le tante: Cass. pen., 7.10.2011, n. 1769, in CED rv. n. 249740; 13.7.2012, n. 32941, in CED rv. n. 235658; 6.3.2013, n. 13044, in CED rv. n. 255116; 15.3.2013, n. 46788, in CED rv. n. 257537; 24.9.2015, n. 45034, in CED rv. n. 265391; 10.10.2016, n. 11935, in CED rv. n. 270698; 11.3.2014, n. 19615, in CED rv. n. 259647; 6.5.2014, n. 37187, in CED rv. n. 260241.
8 Cass. pen., 20.1.2015, n. 4155, in CED rv. n. 262379; 15.3.2017, n. 33943, in CED rv. n. 270520; 4.4.2017, n. 23046, in CED rv. n. 270487; 29.3.2017, n. 21122, in CED rv. n. 270785; 26.1.2017, n. 11817, in CED rv. n. 269664.
9 Cass. pen., 27.2.2015, n.13594, in CED rv. n. 262898; 11.2.2015, n. 11325, in CED rv. n. 263130, quest’ultima relativa ad una fattispecie in materia di ricettazione, nella quale la Corte ritenne adeguatamente motivato il sequestro probatorio di tre sacchetti di coppella di argento e un lingotto di metallo giallo giustificato dalla necessità di verificare se fossero di provenienza furtiva; Cass. pen., 16.9.2016, n. 44416, in CED rv. n. 268724; 11.1.2017, n. 145, inedita, che distingue la consistenza della motivazione a secondo del bene individuato come corpo del reato.
10 Cass. pen., 9.2.2016, n. 6149, in CED rv. n. 266072; 20.7.2016, n. 46357, in CED rv. n. 268510; 28.10.2016, n. 52259, in CED rv. n. 268734.
11 Cass. pen., sez. IV, 15.1.2010, n. 8662, in CED rv. n. 246850.
12 Cass. pen., 2.3.2010, n. 11843, in CED rv. n. 247039.
13 Cass. pen., 2.7.2013, n. 43444, in CED rv. n. 257302.
14 Cass. pen., sez. II, 9.4.2014, n. 23212, in CED rv. n. 259579; 11.11.2014, n. 52619, in CED rv. n. 261614; 26.1.2015, n. 3600, in CED rv. n. 262673.
15 Cass. pen., 3.7.2013, n. 31950, in CED rv. n. 255556.
16 Sul punto circa l’obbligatorietà del sequestro, v. anche Cass. pen., 25.11.2015, n. 50175, in CED rv. n. 265525.
17 Per una compiuta ricostruzione delle posizioni della dottrina si v. Montagna, M., I sequestri nel sistema delle cautele penali, Padova, 2005, 180 ss.
18 Rigo, F., Sequestro probatorio del corpo di reato e principio della motivazione, in Cass. pen., 1994, 2920 ss.
19 Sul punto: Massari, F., La necessità ai fini dell’accertamento come presupposto del sequestro del corpo del reato, in Cass. pen., 2004, 1925 ss. Anche Vessichelli, M., Brevi considerazioni sul sequestro probatorio disposto dal P.M.: oggetto, motivazione e riesame, in Cass. pen., 2003, 968 ss., pone dubbi di conformità ai principi costituzionali del sequestro probatorio privo di motivazione sulla necessità per l’accertamento dei fatti, soprattutto nel caso in cui il bene appartenga a terzi estranei al reato. In generale sul carattere essenziale, nell’ambito della decisione giudiziale, della motivazione, perché tramite essa si completa il percorso di legittimazione della pronuncia giurisdizionale si veda Santoriello, C., Motivazione (controlli sulla), in Dig. pen., XI, 2008.
20 Così Fiorelli, G., Automatismi legati al corpus delicti. Un nodo “immotivatamente” insoluto, in Cass. pen., 2014, 1743 ss.; si veda anche in linea con questa interpretazione Macchia, A., I mille significati del “corpo di reato” ai fini del sequestro probatorio. Definizioni conformi ma esiti decisionali contrastanti, in Dir. giust., 2003, 25 ss.
21 Filippi, L., Sull’obbligo di motivare il sequestro del corpo del reato, in Cass. pen., 1999, 1221 ss.
22 Così Fiorelli, G., Automatismi, cit., 1741.
23 Si veda Filippi, L., Sull’obbligo di motivare, cit., 1224; Montagna, M., I sequestri, cit., 110; Rigo, F., Sequestro probatorio, cit., 2919; Selvaggi, E., L’oggetto nel sequestro probatorio e nel sequestro preventivo, in Cass. pen., 1991, 936 ss.
24 Tafi, F., In tema di oggetto del sequestro probatorio, in Arch. nuova proc. pen., 1992, 180 ss.
25 In tal senso: Nappi, A., Guida al codice di procedura penale, 1997, 248 ss.; nonché Aprile, E-D’Arcangelo, F., Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2017, 863 ss.
26 Così Selvaggi, E., L’oggetto nel sequestro, cit., 936 ss.
27 Cass. pen., 25.1.2018, n. 3677, inedita.
28 Cass. pen., S.U., 27.7.2018, n. 36072, in CED rv. n. 273549.
29 Il riferimento, in sentenza, è a C. eur. dir. uomo, 24.10.1986, Agosi c. U.K; C. eur. dir. uomo, 3.10.2015, Unsped Paket Servisi SaN. Ve TIC. A. S. c. Bulgaria.
30 Sul punto, si richiama quella giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto applicabili anche alle misure cautelari reali i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 c.p.p., per le misure cautelari personali, i quali devono costituire oggetto di valutazione preventiva e non eludibile da parte del giudice nell’applicazione delle cautele reali, al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata (Cass. pen., 21.10.2010, n. 8152, in CED rv. n. 246103; Cass. pen., 16.01.2013, n. 8382, in CED rv. n. 254712; Cass. pen., 7.5.2014, n. 21271, in CED rv. n. 261509), osservandosi come non vi sia ragione, tuttavia, che una analoga affermazione, formulata con riferimento alle “misure” cautelari reali, non possa valere anche con riguardo al sequestro probatorio quale mezzo, invece, di ricerca della prova.
31 Basti pensare, ad esempio, oltre al già citato sequestro quale corpus delicti della sostanza stupefacente, all’ipotesi, altrettanto paradigmatica, dell’arma con cui è stato commesso un delitto o, infine, richiamando proprio il caso esaminato dalle Sezioni Unite, al sequestro dell’immobile abusivo, magari realizzato in zona sismica e senza osservanza delle disposizioni sulla disciplina in materia di conglomerato cementizio armato. Tutte ipotesi, queste, nelle quali un obbligo motivazionale “rafforzato” rispetto a cose che recano in sé l’evidenza probatoria non appare certamente imposto dalla necessità di garantire una corretta difesa per il soggetto destinatario, quanto piuttosto dovuto ad un superfluo formalismo processuale, non essendovi in consimili ipotesi alcuna «difficolta nel rinvenire una linea di demarcazione tra le due ‘categorie’ fondata su un elemento di variabile lettura», come invece ritenuto dalle Sezioni Unite.