Premessa generale e chiarimenti sistematici
La l. n. 103/2017 interviene su vari profili della giustizia penale: diritto penale, diritto processuale penale, diritto penitenziario. La legge è entrata in vigore il 3 agosto 2017. Alcune norme sono applicabili da questa data; per altre sono previsti tempi diversi al di là del regime transitorio per alcune di esse; altre dovranno attendere l’attuazione delle leggi delega.
La legge, oltre alle materie di diritto penale sostanziale, affronta molte tematiche legate al processo penale, nonché – attraverso un’ampia delega – anche la generale riforma dell’ordinamento penitenziario. Con specifico riferimento al processo penale, sono riformati vari aspetti della disciplina delle indagini preliminari, dei riti speciali, delle impugnazioni, dei dibattimenti a distanza ed è prevista una delega per la riforma della disciplina delle intercettazioni telefoniche.
La l. 23.6.2017, n. 103 interviene su vari aspetti del processo penale al fine di correggere alcune discrasie così da assicurare efficienza al sistema giudiziario. Non si tratta di un intervento organico e strutturale ma piuttosto di un restylig dell’esistente. È possibile accorpare gli interventi sulla base della loro omogeneità tematica.
Il primo profilo dell’intervento riformatore ha riguardato la disciplina dei cd. eterni giudicabili. Com’è noto, nel caso in cui a seguito di accertamenti peritali sia accertato che l’imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, questo viene sospeso per la durata di sei mesi. Possono essere compiuti gli atti urgenti, viene nominato un curatore. Alla scadenza della sospensione, e così successivamente ogni sei mesi, si accerta il permanere o il venir meno della patologia. Prendendo consapevolezza che la condizione dell’imputato potrebbe essere irreversibile e che quindi i successivi accertamenti sarebbero inutili, il legislatore stabilisce che, in questo caso, fatta salva l’ipotesi che il soggetto sia pericoloso e gli possa essere applicata una misura di sicurezza, che sia emessa una sentenza di improcedibilità. Nell’eventualità in cui, dopo questa pronuncia, la situazione si modificasse, il processo potrebbe riprendere (artt. 71, co. 1 e 72 bis c.p.p.).
Un secondo aspetto considerato riguarda i colloqui del difensore con l’imputato in vinculis. È previsto dall’art. 104 c.p.p. che il legale abbia diritto di contattare il suo assistito sin dal momento dell’esecuzione del provvedimento restrittivo. È tuttavia previsto che in presenza di eccezionali esigenze cautelari, su richiesta del pubblico ministero, il giudice possa differire questo contatto. Nel caso del fermo o dell’arresto il differimento è disposto dallo stesso pubblico ministero.
Con la riforma si prevede di circoscrivere l’operatività della norma ai reati di cui all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, c.p.p. cioè, ai reati di criminalità organizzata o di terrorismo (art. 104, co. 4-bis, c.p.p.).
Un ulteriore aspetto interessato dalla l. n. 103/2017 ha interessato il rafforzamento delle informazioni di cui la persona offesa può venire in possesso. Si è così previsto che la vittima del reato, sei mesi dopo la presentazione della denuncia o della querela possa ottenere informazioni sullo stato del procedimento, cioè, sull’aggiornamento delle iscrizioni nel registro delle notizie di reato (artt. 90 bis, co. 1, lett. b) e 335, co. 3-ter, c.p.p.).
Al tema qui considerato, inoltre, può essere ricondotta anche la tematica dell’elezione e della dichiarazione di domicilio dell’imputato presso il difensore d’ufficio. Si prevede, infatti, che il difensore d’ufficio contestualmente a questa indicazione possa dichiarare di non accettarla (art. 162, co. 4-bis, c.p.p.).
Infine, evidenziato a più riprese dai commentatori, viene colmato un vuoto normativo nella procedura degli accertamenti tecnici non ripetibili. Si prevede, infatti, che dopo la riserva di proporre incidente probatorio, spetti all’opponente l’onere di richiedere entro dieci giorni, così da permettere – in caso di omissione – al p.m. di procedere agli accertamenti senza il rischio di dimostrare – pena l’inutilizzabilità patologica – che non era possibile differire lo svolgimento delle attività tecniche (art. 360, co. 4-bis e 5, c.p.p.). I profili più significativi di questa parte della riforma hanno riguardato la fase di chiusura delle indagini e la procedura di archiviazione.
Sotto il primo profilo la legge prevede che una volta esauriti i termini delle indagini preliminari, anche in seguito all’eventuale attività conseguente al deposito degli atti ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p., il p.m. abbia tre mesi di tempo per richiedere l’archiviazione ovvero esercitare l’azione penale. Nell’eventualità in cui si tratti di indagini complesse per numero di reati o di imputati, a richiesta del p.m., il procuratore generale può concedere una proroga di altri tre mesi. Per i reati di criminalità organizzata il tempo assegnato all’ufficio di procura è di quindici mesi. Nell’eventualità in cui il p.m. non assuma le sue determinazioni entro questi termini, dovrà informare il procuratore generale che, disposta l’avocazione e, sviluppate le attività necessarie, provvederà nel termine di trenta giorni (artt. 407, co. 3-bis e 412 c.p.p.). Quanto alle modifiche della procedura archiviativa, queste si articolano su due piani. In primo luogo, sono ampliati i termini entro i quali la persona offesa può presentare opposizione: sono ora fissati in venti giorni, rispetto agli originari dieci e sono trenta, rispetto agli originari venti per i reati commessi con violenza alla persona.
In secondo luogo, sono fissati in tre mesi i termini entro i quali il giudice deve fissare l’udienza a seguito di opposizione e sempre in tre mesi quelli nei quali deve determinarsi all’esito dell’udienza (art. 409, co. 2 e 4, c.p.p.).
Il secondo piano riguarda l’attribuzione al Tribunale monocratico e non più alla Cassazione della competenza a valutare la legittimità del provvedimento archiviativo. A tal fine sono specificate le ragioni dell’invalidità dell’atto. Entro quindici giorni dalla conoscenza del provvedimento, la parte interessata può proporre un reclamo evidenziando le situazioni di invalidità. Il Tribunale fisserà un’udienza che si celebrerà senza la partecipazione delle parti, che potranno presentare delle memorie. Se il reclamo sarà accolto gli atti saranno restituiti al giudice delle indagini preliminari. Il provvedimento di rigetto o di inammissibilità è inoppugnabile (art. 420 bis c.p.p.).
Alcuni aggiustamenti riguardano anche la disciplina dei riti speciali. In particolare, con riferimento al procedimento per decreto viene adeguato – rendendolo meno oneroso – il criterio di computo della conversione da pena detentiva in pena pecuniaria. Fissato prima della riforma in euro 250 a frazione di euro 250 per ogni giorno di pena detentiva, è ora fissato in misura non inferiore a euro 75 per ogni giorno di pena detentiva e non superiore al triplo di questo importo (art. 459, co. 1-bis, c.p.p.).
Per quanto attiene all’applicazione della pena a richiesta, l’intervento riformatore è teso soprattutto a trarre le conseguenze, in relazione alla successiva possibile attività di impugnazione, dall’intervenuto accordo tra le parti. Si prevede così che in relazione agli errori di specie e quantità della pena per errore si proceda con la procedura della correzione degli errori materiali ovvero in caso di ricorso con la rettificazione di denominazione e di computo (art. 130, co. 1-bis, c.p.p.), e che l’intervento del Supremo Collegio possa riguardare soltanto motivi attinenti alla volontà dell’imputato; al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza (art. 448, co. 2-bis, c.p.p.).
Più articolati si prospettano gli interventi in tema di giudizio abbreviato. In primo luogo si prevede che per le contravvenzioni la pena sia dimezzata e non più ridotta di un terzo come per i delitti (art. 442, co. 2, c.p.p.).
In secondo luogo, si stabilisce che la richiesta del rito impedisca all’imputato di dedurre le nullità, escluse quelle assolute, l’incompetenza per territorio e l’inutilizzabilità non connessa a divieti probatori. Queste previsioni opereranno anche nel caso di trasformazione nel rito abbreviato dalla procedura per decreto da direttissimo e da giudizio immediato esclusa in questo caso l’incompetenza territoriale (art. 438, co. 4-bis, c.p.p.).
Inoltre, nell’eventualità in cui con la richiesta del rito contratto la difesa depositi atti frutto di investigazioni difensive, si stabilisce che il p.m. può chiedere immediatamente al giudice dell’udienza preliminare un termine per acquisire materiale probatorio, al cui esito l’imputato potrà eventualmente recedere dal rito (art. 438, co. 4, c.p.p.).
Il nucleo essenziale della riforma è tuttavia costituito dalla disciplina delle impugnazioni. A tale proposito è possibile individuare delle linee lungo le quali la riforma si sviluppa.
La premessa di fondo è sicuramente quella di rendere maggiormente funzionale la disciplina dei gravami alla sua funzione di controllo.
A tal fine si richiede al giudice un impegno nella articolazione strutturale della sentenza dalla quale possano emergere gli elementi legati agli sviluppi processuali, l’esternazione delle premesse fattuali della decisione, la motivazione sulla stessa con l’indicazione dei criteri giustificativi delle conclusioni alle quali è pervenuto (art. 546, co. 1, lett. e), c.p.p.).
In relazione agli elementi della sentenza i soggetti legittimati ad impugnare devono formulare la domanda di gravame, a pena di inammissibilità. Si tratta dell’indicazione dei capi e dei punti della decisione, dei motivi specifici di critica alla decisione, con le indicazioni degli elementi in fatto e in diritto che sostengono le richieste (art. 581 c.p.p.).
Alla richiesta al giudice di un impegno strutturale e giustificativo, altrettanto impegno è richiesto al soggetto che propone impugnazione.
A questo onere, gravante sulla parte, si correla un adeguato regime sanzionatorio a favore della Cassa delle ammende ed una procedura semplificata della declaratoria di alcune cause di inammissibilità – quelle che sembrerebbero escludere profili valutativi – del ricorso in cassazione. Analoga procedura è prevista per i ricorsi contro le sentenze di applicazione della pena e di concordato in appello; considerata la ritenuta ridotta area di ricorribilità contro il provvedimento è ammesso il ricorso a norma dell’art. 625 bis c.p.p. (ricorso straordinario per errore di fatto).
Sempre nella prospettiva di rendere più funzionale ai suoi scopi il ricorso all’impugnazione sono predisposti ulteriori strumenti: eliminata la possibilità per l’imputato di produrre personalmente il ricorso per cassazione (artt. 571, co. 1 e 613, co. 1, c.p.p.); come già visto, sono ridimensionati i motivi di ricorso nei confronti della sentenza di applicazione della pena (art. 448, co. 2-bis, c.p.p.); si prevede che sia nel caso di doppia conforme di proscioglimento, sia nel caso di doppia conforme di non luogo, il ricorso sia consentito solo per violazione di legge (art. 698, co. 1-bis, c.p.p.).
Nell’intento di decongestionare i ricorsi, davanti al Supremo Collegio, al di là di quanto sinora affermato, in modo più diretto è conferito al Tribunale in composizione monocratica e non più alla Cassazione il potere di verificare – attraverso un reclamo degli interessati – la validità dei provvedimenti archiviativi.
In questa logica va inquadrata la reintrodotta appellabilità della sentenza di non luogo (art. 428 c.p.p.) nonché la competenza della Corte d’appello e non più della Cassazione alle decisioni in tema di rescissione del giudicato (art. 629 bis c.p.p.).
Sempre nella logica della semplificazione si privilegiano le decisioni sui ricorsi attraverso le udienze camerali non partecipate. Si ripristina, in controtendenza sul punto, il ricorso contro le decisioni di riesame dei provvedimenti riguardanti misure cautelari reali (art. 325, co. 3, c.p.p.).
In attesa di ulteriori novità connesse all’attuazione di alcune previsioni contenute in una legge delega, per l’appello, oltre alla ricordata appellabilità della sentenza di non luogo (art. 428 c.p.p.) va ricordato il recepimento della giurisprudenza europea in caso di rinnovazione dell’istruzione probatoria in caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di condanna (art. 603, co. 3-bis, c.p.p.) e la reintroduzione del concordato sui motivi, ancorché escluso per reati di cui all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, c.p.p. (artt. 599 bis e 602 c.p.p.).
Nel dichiarato intento di rafforzare direttamente la funzione nomofilattica del Supremo Collegio – obiettivo al quale tendono anche le modifiche appena analizzate – si prevede un ampliato potere d’ufficio teso al riconoscimento dell’errore di fatto (art. 625 bis, co. 3, c.p.p.), la possibilità per il Collegio riunito di decidere la questione di diritto nonostante la sopravvenuta rinuncia al ricorso e l’obbligo della sezione singola che voglia pronunciarsi in senso contrario il decisum delle Sezioni Unite di rimettere alle stesse motivatamente la questione (art. 618, co. 1-bis e 1-ter, c.p.p.).
Motivato da ragioni di sicurezza, dai costi dei trasferimenti degli istituti penitenziari, dal pregiudizio per l’attendibilità delle prove, la riforma amplia molto significativamente gli attuali ambiti soggettivi della partecipazione a distanza (art. 146 bis disp. att. c.p.p.), ritenendone l’operatività anche al procedimento di prevenzione.
Si prevede, infatti, che l’imputato in stato di detenzione, per i reati di cui agli artt. 51, co. 3-bis e 407, co. 2, lett. a), n. 4, c.p.p., partecipi a distanza alle udienze dibattimentali dei processi di cui è imputato, nonché alle udienze penali o civili nelle quali è testimone; partecipa a distanza anche ai procedimenti nei quali è imputato il soggetto ammesso a programmi a misure di protezione (art. 146 bis, co. 1 e 1-bis, disp. att. c.p.p.).
Il giudice può, tuttavia, con esclusione dei soggetti sottoposti al regime di cui all’art. 41 bis ord. penit., disporre – se necessario – la presenza degli imputati ai quali si è appena fatto riferimento (art. 146 bis, co. 1-ter, disp. att. c.p.p.).
Sono confermate le precedenti disposizioni sulle modalità dello svolgimento del dibattimento a distanza: presenza dell’ausiliario, modalità del collegamento, partecipazione del difensore, avviso alle parti, possibilità di disporre la presenza dell’imputato, se è necessario procedere a confronto o a ricognizione ad altro atto che richieda la sua presenza (art. 146 bis, co. 2, 3, 4, 5, 6 e 7, disp. att. c.p.p.).
L’unica novità è costituita dalla previsione per la quale se un’altra parte o un suo difensore vuole essere presente nell’aula remota, il giudice può dare il consenso, ma i costi del collegamento gravano sul richiedente (art. 146 bis, co. 4-bis, disp. att. c.p.p.).
Indubbiamente a fronte di una nuova disciplina i dubbi interpretativi, le possibili discrasie di sistema, le possibili eccezioni di costituzionalità sono sempre presenti ed anche in questo caso non mancano e non mancheranno di manifestarsi. Tuttavia, ci sono profili di criticità, più che di problematicità, delle scelte legislative che si sono evidenziati già prima del varo della riforma.
In primo luogo, da parte della magistratura, si sono evidenziate le difficoltà di poter rispettare le scansioni temporali fissate per l’esercizio dell’azione penale e la conseguente inadeguatezza di organico da parte della procura generale nel farsi carico della questione in caso di avocazione.
In secondo luogo, da parte dell’avvocatura, si sono manifestate decise riserve sulla disciplina della partecipazione a distanza, ancorché questa sia destinata ad essere di fatto operativa solo dopo un anno dall’entrata in vigore della riforma, dovendo essere predisposte le necessarie strutture per rendere il sistema operativo: difficoltà di un pieno esercizio del diritto di difesa, pregiudizio per l’oralità, l’immediatezza e l’effettività del contraddittorio, i costi sono solo alcuni dei risvolti pratici cui sono sottesi anche segnalati profili di incostituzionalità e lamentate violazioni delle tutele sovranazionali.
Infine, molte preoccupazioni sono state evidenziate in ordine alle implicazioni della nuova disciplina dell’inammissibilità delle impugnazioni, soprattutto in ordine alla richiesta specificata da motivi d’appello, soprattutto dopo la pronuncia in materia da parte delle Sezioni Unite (Cass. pen., S.U., 27.10.2016, n. 8825, in CED rv. n. 268822, Galtelli). Invero, il timore che la specificità richiesta, soprattutto se messa in relazione con il contenuto della decisione appellata, a parte il fondamento della ricostruzione effettuata da Cassazione, nasconde il timore per una giurisprudenza troppo formalmente rigorosa, con il rischio di rendere inammissibile l’appello, con declaratoria de plano, ed esecutività della sentenza di primo grado fatto salvo il ricorso contro l’ordinanza).