Prato
Posta sullo sbocco in pianura della Val di Bisenzio, la città si sviluppò intorno al sec. X per la fusione di un agglomerato, formatosi nel secolo precedente, con il Borgo al Cornio, edificato in età longobarda, del quale reca la memoria più antica una carta del 774. Le terre circostanti erano di proprietà dei conti Alberti. La presenza dei consoli del comune nel 1142 è attestazione di un'autonomia abbastanza remota, resa tuttavia precaria dalla prossimità di Firenze, cui P. dovette appoggiarsi per resistere ai tentativi di egemonia politica da parte dell'altrettanto vicina Pistoia. Sconfitta Pistoia nel 1306, Firenze cercò di assorbire anche P.; ne fu impedita dapprima dall'opposizione degli Angioini (1326), ma più tardi il tradimento della regina Giovanna (1351) favorì le mire fiorentine: da allora P. restò definitivamente nell'orbita di Firenze.
Se si prescinda da Fiore CXXVI 12 (con riferimento ai Patarini: A Prato ed a Arezzo e a Firenze / n'ho io distrutti molti), e si escluda la congettura Pratenses in luogo di Fractenses, in VE I XI 6, l'unica menzione di P. nell'opera di D. ricorre in If XXVI 9, inclusa nell'apostrofe a Firenze (Ma se presso al mattin del ver si sogna, / tu sentirai, di qua da picciol tempo, / di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna), là dove parrebbe più consona quella di altre città toscane che a Firenze furono avverse per lunga tradizione, ed è stata variamente interpretata dai commentatori.
Gli antichi spiegano genericamente questo passo col desiderio di P., vicina a Firenze e a lei sottomessa, di scuoterne il giogo. Tra i moderni, qualcuno intende che D. evochi la ribellione di P. nell'aprile del 1309, e la conseguente cacciata dei Neri (Parodi); altri, forzando la lettera (ma riprendendo uno spunto che si trova già nel commento del Landino), coglie nel nome della città l'allusione al cardinale Niccolò da P. che nel 1304, come legato del papa Benedetto XI, scomunicò Firenze dopo che ebbe visto fallire i suoi tentativi di mediazione tra questa e i Bianchi esiliati (Bassermann, Orme 610). Pur nell'ambiguità consueta delle profezie dantesche, per cui il senso subisce una certa dilatazione connotativa, la spiegazione più ovvia resta quella delle sventure che a Firenze augurano non solo i suoi nemici, ma gli stessi Pratesi, sudditi di lei.
Episodio non trascurabile di una remota fortuna di D. in P. è il codice della Commedia che il cardinale Niccolò avrebbe lasciato con gli altri suoi libri, morendo nel 1321, al convento pratese di San Domenico, dove il Manni asserisce di averlo consultato intorno alla metà del Settecento, prima che la biblioteca conventuale andasse dispersa; ma il Guasti e il Del Lungo dubitano che sia davvero esistito. A P. sono legati due codici quattrocenteschi della Commedia: il Roncioniano Q1 III 2 che contiene l'Inferno fino a XXXIII 153, e il Laurenziano Plut. XI 24 finito di scrivere da Giovanni Stefano da P. il 2 maggio 1419; di altri perduti rimane notizia.
Ma il culto dantesco in P. è attestato già nel sec. XIV nella Visione sulla morte di D. di Giovanni Guazzalotti e soprattutto nelle lettere di Francesco Datini e del suo corrispondente Lapo Mazzei: per il Datini non è da escludere che D. fosse, oltre che occasione di buone letture, anche una frequente opportunità di rapporti commerciali.
Nel sec. XV ser Domenico da P. scrisse in difesa di D. e del volgare, e il letterato e architetto Giovanni Gherardi tenne pubbliche letture della Commedia e delle canzoni morali di D.; di una ‛ lectura Dantis ' ebbe incarico nel 1474 Bartolomeo Nerucci. Cultori di D. nel sec. XVI furono segnatamente Agnolo Firenzuola che, fiorentino, a P. trascorse gli ultimi anni della sua vita, e Ludovico Beccadelli. Nel 1604 vide la luce a Firenze per il Marescotti un Rimario di tutte le desinenze della Commedia del pratese Giovanni Miniati; del 1718 è una Difesa di D.A. di Giuseppe Bianchini, che otto anni prima aveva pubblicato una lezione sulla prima terzina del Paradiso.
Di studi danteschi furono promotori e autori nel sec. XIX Francesco Pacchiani, Giuseppe Silvestri, Cesare Guasti e i docenti del collegio Cicognini; accanto alle sei edizioni ottocentesche della Commedia e alla stampa del 1845 di tre epistole dantesche annotate e tradotte da Luigi Muzzi, fa spicco la monumentale Bibliografia dantesca del Batines edita a P. per la Tipografia Aldina tra il 1845 e il 1846. Infine vanno ricordati, i contributi apparsi in questo secolo, dei quali si dà notizia nella bibliografia.
Bibl. - Una densa e compiuta rassegna di relazioni storiche, geografiche e culturali tra D. e P., dotata pure di un esauriente corredo bibliografico, è il volume miscellaneo D. e P., Prato 1922 (suppl. I dell'" Arch. Stor. Pratese ") che raccoglie le conferenze tenute nell'Accademia dei Misoduli nel sesto centenario della morte del poeta; contributi notevoli sono: C.A. Lumini, P. e la Val di Bisenzio nel poema dantesco, 27-49; R. Caggese, P. nell'età di D., 51-74; S. Nicastro, Memorie e culto di D. in P., 99-152; e in appendice, a c. dello stesso Nicastro, il Catalogo della Mostra Dantesca in Roncioniana. Poco più che un transunto di alcune parti del precedente è l'opuscolo D. e P. nel VII centenario della nascita del poeta, Prato 1965, a c. di E. Bellandi, M. Bellandi, C. Paoletti. Per la biografia degli Alighieri sono notevoli, di R. Piattoli, Geri e Cione del Bello a P. nel 1280, in " Studi d. " XVI (1931) 127-136, e Gli Alighieri a P. nel secolo XIII. Nuovi documenti, ibid. XVII (1933) 55-96.