Vedi POZZUOLI dell'anno: 1965 - 1996
POZZUOLI (Puteoli)
Fondata nell'insenatura occidentale del Golfo di Napoli e nel cuore della regione flegrèa, da profughi greci di Samo (528 a. C.) sfuggiti alla tirannide di Policrate, ebbe il nome politicamente augurale di Dicearchia (Δικαιάρχεια = luogo ove regna la giustizia). Sorta nel territorio dell'impero marittimo di Cuma (v.), non poté svolgere per alcun tempo che un'azione sussidiaria e sottomessa all'egemonia della potente metropoli vicina; ma, decaduta Cuma e trasferito il centro marittimo della Campania nel Golfo di Napoli, la greca Dicearchia, collegata alla più ricca zona del retroterra campano e con porto e una rada d'approdo, poté cominciare a svolgere una sua propria vita politica e commerciale. La conquista sannitica della Campania la staccò e ne accentuò il carattere di opposizione a Napoli; e a questo periodo di piena autonomia si vuole da alcuni studiosi attribuirle la monetazione con la leggenda Phistluis e di conseguenza il nome che avrebbe assunto di Fistelia. La conquista romana (338 a. C.), il regime giurisdizionale di prefettura in cui dové essere compresa al pari di Capua e Cuma (318 a. C.), segnarono la graduale romanizzazione della città greca e sannitica con il suo nuovo nome latino di Puteoli. E, con Roma, Puteoli cominciò ad assolvere una sua importante funzione militare e marittima durante la seconda punica, quando fu posto di presidio contro la temuta occupazione dei porti della costa da parte di Annibale. Vinto Annibale, Roma che aveva sperimentato l'alto valore strategico del porto puteolano, vi dedusse nel 195 a. C. una colonia marittima al pari di Sinuessa, Volturnum, Liternum, Buxentum, Vibo sul litorale tirreno. Ma non furono le esigenze militari a segnare la nuova fortuna della colonia; furono invece la conquista dell'Oriente e la necessità di avere un porto aperto per lunga consuetudine ai maggiori scali della Grecia, della costa anatolica, della Siria e dell'Egitto, a fare di P. il porto mediterraneo di Roma.
Le possibilità che offriva il retroterra campano di scambio di prodotti agricoli e industriali con le mercanzie d'oltremare e speciali tariffe doganali assicurarono al porto puteolano un regime di preferenza rispetto a quello di Napoli e di concorrenza al porto di Delo. Una moltitudine varia e poliglotta vi affollava il quartiere del suo emporio marittimo, vi stabiliva aziende (stationes) di commercio e di trasporto; vi formava corporazioni professionali di arti e mestieri e associazioni religiose professanti i culti della loro patria d'origine e della loro fede: Greci delle isole e della costa d'Asia, Tiri ed Eliopolitani, Ebrei e Cristiani con la loro prima comunità, legata al ricordo dello sbarco dell'Apostolo Paolo nel febbraio dell'anno 61. Nabatei ed Etiopile dettero presto il carattere, il colore, il costume di un porto greco-orientale, sicché Lucilio (Satur., iii, fragm. 89) poteva chiamarla fin dal 126 a. C. Delus minor e Stazio (Silv., iii, 5, 74), all'età di Domiziano, litora mundi hospita. Dopo un certo periodo d'irrequieta vita municipale (89 a. C.-63 d. C.) fu Nerone a ridarle carattere e nome di colonia (Colonia Claudia Neronensis Puteolana) e successivamente Vespasiano (Colonia Flavia Augusta Puteolana), che volle premiarla con concessioni territoriali, a spese di Capua, d'aver seguito il suo partito contro Vitellio.
E per coloro che, restando fedeli alla tesi tradizionale, attribuiscono il Satiricon di Petronio all'età di Nerone e identificano Puteoli, nella sua duplice natura di graeca urbs e di colonia, con il luogo della fortuna e della cena di Trimalchione, il quadro che offre la Cena con il suo ricco e plebeo anfitrione è uno degli aspetti più vivi e fedeli della vita sociale ed economica della P. del I secolo.
Ma la fortuna di Puteoli doveva declinare lentamente con la costruzione dei porti traianei ad Ostia e a Centumcellae che resero Roma indipendente dal vettovagliamento dei porti della Campania. Né a salvare le sorti di P. giovarono il grandioso progetto concepito, ma non attuato, da Nerone di un canale navigabile interno fra l'Averno e il Tevere, e, ultimo e concreto tentativo, l'apertura della Via Domitiana (95 d. C.) che, eliminando lo sbocco delle merci a Capua, immetteva le mercanzie di transito per Roma alla sua confluenza con l'Appia a Sinuessa. Mantenne comunque ancora P. il suo ruolo di porto principale della Campania; ebbe riparato il molo danneggiato da una mareggiata ad opera di Antonino Pio (139 d. C.), e due consolari del IV sec. Valerius Herennius Maximus e Fabius Pasphilus furono gli ultimi restauratori della ripa puteolana (C.I.L., x, 1690-1692), mentre la città doveva implorare dalla generosità degli imperatori, da Costantino a Giuliano, la concessione di più o meno larghe elargizioni di grano per il suo vettovagliamento (Simm., Epist., x, 6o). Ma più delle invasioni barbariche fu il bradisismo, con il lento sprofondamento del litorale che costrinse gli ultimi superstiti ad abbandonare il quartiere del porto e addensarsi intorno all'altura del Castello, là dove era sorto il primo nucleo della colonia greca.
Topografia e monumenti. - La topografia antica della città è illustrata da alcuni monumenti di singolare interesse. Prescindendo da un dipinto di Stabia e da un disegno del Bellori di una pittura antica il cui riferimento a P. è per lo meno poco fedele, è un gruppo di vasetti vitrei incisi con la veduta del mare della costa baiana e puteolana ad offrire una documentazione quasi cartografica della navigazione antica in quei luoghi. Di essi quelli che particolarmente si riferiscono a Puteoli sono il cosiddetto vaso di Odemira (dalle miniere di Odemira in Portogallo) e il vaso del museo di Praga che, immaginando l'osservatore navigante da occidente verso oriente, presentano, schematicamente delineati in due piani, la veduta non perfettamente concorde dei principali edifici della città, accompagnati da leggende. Nel vaso di Odemira sono da un lato i due anfiteatri, contrassegnati probabilmente dagli emblemi disegnati nell'arena nella loro diversa funzione di anfiteatro gladiatorio e anfiteatro venatorio; in basso, intramezzato da un tempio con all'interno la figura del Genio di un imperatore in veste di Genio della colonia sacrificante, e da un teatro (theatrum), un porticato cui è da riferire la leggenda ripa; e infine, preceduta da un arco quadrifronte (iani) la banchina del molo (pilae) poggiata su archi, ornata da due alte colonne sormontate da statue, forse i Dioscuri, e terminante all'estremità con archi sormontati a loro volta da una quadriga tirata da cavalli o ippocampi. Nel ripiano superiore è indicata un'altra linea di portici sostenenti una terrazza (solarium) e, al centro, un edificio termale (thermae). Nel vaso di Praga oltre all'indicazione della città (Puteoli) a denominazioni non sicuramente identificabili, sono indicati uno stadio (stadiu), un Iseo (Isiu) nei quartieri alti, e l'emporio (Inpuriu) nel quartiere portuale. Edifici tutti che, ad eccezione del teatro, non ancora scoperto, si ritrovano più o meno ben conservati o in tutto o in parte sommersi dal bradisismo, fra i monumenti ancora superstiti.
La situazione di Puteoli al centro dell'insenatura fra il promontorio di Posillipo e Miseno, è assai simile a quella di Neapolis: entro un arco più ristretto si distende anche essa su una cerchia di colli chiusi a levante dall'altura dell'acropoli, aperti a ponente sulla fascia litoranea che si prolunga fin verso il Lucrino. Benché la città fosse, al pari di Roma, divisa in regiones (ci resta fra gli altri i nomi di una Regio Portae Triumphalis = C.I.L., x, 1695, d'una Regio Portae Palatinae = C.I.L., x, 1700, d'una Regio Thermensium C.I.L., 1680), può più comodamente dividersi in 4 settori: l'acropoli, il porto e il quartiere marittimo (emporion); i quartieri superiori ove, insieme con il quartiere residenziale delle abitazioni più ricche e delle ville, trovansi i monumenti principali: terme, anfiteatri, stadio e le grandi riserve d'acqua. Densamente popolate erano le pendici dell'altura e una rete di divi a rampe e a gradinate, oltre a una più comoda via di circonvallazione, serviva a collegare l'emporion con la terrazza superiore dell'anfiteatro. La rete stradale extraurbana seguiva la naturale configurazione dei luoghi e le particolari esigenze del traffico marittimo: la via Herculea litoranea, oggi completamente sommersa nel tratto fra Baia e P., e che ebbe il suo diretto collegamento con Napoli con la perforazione della collina di Posillipo (crypta neapolitana); la via Antiniana sboccante lungo la cornice superiore dei colli sul versante del Golfo di Napoli; e al quadrivio superiore tra l'anfiteatro flavio e lo stadio (quadrivio dell'Annunziata), ove sembra funzionasse un ufficio di controllo per le merci di transito (pondera), l'incrocio di quelle che furono le vere arterie del traffico marittimo con il retroterra: la via Consularis Puteolis Capuam che, a traverso la conca di Quarto, conduceva a Capua (Vetere) e da Capua per l'Appia a Roma, e la via Domitiana, aperta nel 95 d. C. che, per la Campania marittima e la foce del Volturno, incontrava più direttamente l'Appia a Sinuessa (presso Mondragone).
L'antica colonia greca ebbe il suo naturale centro sull'acropoli, ma delle antiche fortificazioni e delle ulteriori difese che i Romani dovettero apportarvi durante i drammatici eventi della seconda punica, è appena riconoscibile qualche blocco tra le posteriori costruzioni del Castello e degli edifici secenteschi; ma, verosimilmente, sulla spianata dell'arce dove sorgeva il tempio greco dedicato, a somiglianza di Cuma, ad Apollo, restano le tracce del sontuoso tempio che un ricco puteolano, Lucio Calpurnio, eresse ad Augusto con l'opera dell'architetto Lucius Cocceius. Il tempio occupa la stessa area del duomo di S. Procolo; rispettato dalla più antica basilica venne, nei rifacimenti e ampliamenti del sec. XVI-XVII, quasi completamente distrutto, restandone solo visibili sul lato orientale la parte superiore di 6 colonne con fregio architrave e, preziosa testimonianza, l'iscrizione dedicatoria in bei caratteri dell'età augustea (C.I.L., x, 1613).
Del quartiere portuale rimane la linea del molo che, fino a qualche decennio fa, conservava ancora i pilastri intervallati così come appare in una stampa del sec. XVIII. Del tutto sommersa è invece la ripa puteolana che allungava i suoi bracci a destra e a sinistra del macellum e che essendo, come appare dal vaso di Odemira, porticata, prendeva il nome nei tratti più frequentati dell'emporion di Porticus Neptuni (Cic., Acad. pr., ii, 25, 80); ma la ripa, allungandosi verso il litorale libero di ponente, fin verso Punta Caruso, accoglieva la lunga fila degli horrea, dei magazzini di deposito del porto, e se ne scorge ancora l'allineamento in qualche veduta aerea sotto il velo d'acqua a 6-7 m di profondità. Ed è da supporre inoltre che si giovasse Puteoli delle opere portuali fatte costruire da Agrippa alla foce del Lago Lucrino e dell'Averno, perché dall'Averno si progettò l'inizio del canale navigabile (fossa Neronis) che doveva collegare il porto puteolano al porto di Roma sul Tevere. Conservato entro terra a contatto del porto e dell'emporion, e solo in parte sommerso, è il Macellum, noto comunemente come Tempio di Serapide, celebrato e famoso non solo perché è il più tipico esempio del mercato d'una città antica, ma perché documenta con i fori che hanno scavato i foraminiferi sul fusto delle colonne durante il lento graduale abbassarsi e rialzarsi del livello delle acque, l'alterna vicenda del fenomeno bradisismico. In fase di emersione fra il 1750 e il 1816, tanto da poter essere parzialmente scavato rilevato e disegnato dall'architetto francese Caristie, trovasi oggi, in fase d'immersione, col suo pavimento a oltre 2 m al disotto del livello d'acqua. L'edificio a pianta quadrata (larghezza m 58, lunghezza massima m 75) con il suo ingresso principale aperto dal lato della banchina del porto, racchiude una corte centrale porticata intorno alla quale è disposta una fila eguale di tabernae sui lati lunghi (aprentisi alternativamente sul cortile centrale e su un corridoio esterno perimetrale, con un piano superiore accessibile da scale), e di ambienti più vasti sul lato di fondo dove, preceduta da un grandioso pròpylon di 4 gigantesche colonne di cipollino, si apre una profonda abside a tre nicchie di cui quella centrale più profonda conteneva la statua della divinità o più verosimilmente il simulacro dell'imperatore a cui con gli attributi del Genius Coloniae (così com'è raffigurato nel vaso di Odemira) era dedicato il Macellum. Il centro dell'area porticata è occupato da una costruzione circolare elevata su podio (m 1,17), accessibile da 4 scalee, con parapetti foggiati a corpo di delfino, contornata da 16 colonne di marmo africano che, a guisa di monòpteron, sostenevano la trabeazione circolare: è la thòlos che con carattere più o meno decorativo, ma non senza pratico uso occupa il centro dei grandi e piccoli macella. Lasciando ai minori ambienti la funzione di vere e proprie tabernae, si può supporre che gli ambienti più profondi ai lati dell'emiciclo fossero destinati, come a Pompei, alla vendita di carni e di pesce, mentre le due spaziose sale alle opposte estremità, bene arieggiate e munite di banchi marmorei forati da canali di scolo e di un vestibolo d'ingresso che ne occultava la vista dall'esterno, erano sontuose ed igieniche latrine. Il nucleo dell'edificio sembra ancora di età fiavia, ma alcune parti, come la rotonda centrale e l'abside al fondo, dovettero essere rimaneggiate nell'età adrianea o antoniniana; verosimilmente esso dové essere sopraelevato al disopra di un precedente Macellum di forme eguali, anche se meno sontuoso, come sembra attestare la presenza di un pavimento al di sotto dell'ultima platea.
Riservata alla vita portuale e marittima la lunga ma non ampia fascia litoranea, esclusa l'affollata e ripida pendice dell'altura alla quale poteva tutt'al più addossarsi il teatro, restava la terrazza superiore del colle per l'impianto dei maggiori edifici pubblici della città: terme, stadio, anfiteatro. Delle terme non restano che pochi alti tronconi di muro e i pilastri di sostegno d'una grande sala absidata; dello stadio le poche strutture visibili ad andamento rettilineo escludono la vecchia ipotesi che si trattasse di un circo; superstiti i due anfiteatri non sovrapposti (come nel vaso d'Odemira), ma a quota altimetricamente diversa e a breve distanza l'uno dall'altro lungo la via Antiniana in prossimità dello sbocco della via Campana e della via Domitiana.
Il più antico e minore anfiteatro, più verso oriente, è chiaramente riconoscibile dalle arcate che ne sostengono la cavea a valle dal lato di mezzogiorno, dalla crypta che corona in alto la summa cavea con porticine arcuate di discesa ai varî cunei, e infine dalla forma ellittica dell'arena priva peraltro di sotterranei: tipo e forme che si ricollegano agli anfiteatri dell'ultima età repubblicana o alla prima età imperiale. Nonostante la sua vetustà ha l'onore di più testimonianze letterarie: nell'età di Augusto per una contestazione e un editto emanato dall'imperatore circa l'assegnazione dei posti a pubblici magistrati e dignitari (Suet., Vita Aug., 44); nell'età di Nerone per i solenni ludi dati in onore di Tiridate re d'Armenia (66 d. C.: Dio Cass., 63, 3), e, infine, per il cenno entusiasta che ne fa un commensale alla cena di Trimalchione (Petr., Cøna, 45, 4-8). Ma la città beneficata da Vespasiano con l'aggregazione di un nuovo territorio e l'immissione d'una nuova colonia, non poteva appagarsi più del vecchio anfiteatro e costruì a proprie spese (pecunia sua come dice l'iscrizione solennemente apposta sui varî fornici d'ingresso), un altro e più grandioso anfiteatro, in più diretto collegamento con i divi che vi sboccavano dai quartieri della città e che per le sue misure (m 149 lungo l'asse longitudinale, m 116 lungo l'asse trasversale) dev'essere considerato, dopo quello di Capua e il Colosseo, il terzo dei grandi anfiteatri d'Italia. Spogliato della decorazione architettonica esterna, superstite solo nei pilastri delle arcate del portico inferiore, demolita o crollata la grande galleria porticata con cui terminava la summa cavea, ridotto senza più marmi e stucchi al solo paramento delle strutture o alle nude masse cementizie, l'anfiteatro flavio ci si presenta ancora nella sua imponente monumentalità, e di particolare interesse nei sotterranei dell'arena che, perfettamente conservati dalle alluvioni fangose della vicina Solfatara, offrono, con la distribuzione dei carceres delle fiere in corrispondenza dei pozzi di montacarico dell'arena, dei corridoi d'attesa delle varie fazioni dei gladiatori e dei venatores e, infine, del periodico lavaggio delle acque (assai dubbio è l'impiego dei sotterranei per naumachie), la più perfetta e completa documentazione della regia d'un grande spettacolo d'arena. Ma, nonostante la saldezza e l'omogeneità delle sue strutture, dissesti statici, provocati o da moto sismico o da cedimento del terreno, indussero a poderose opere di rafforzamento quali si ebbero, nell'età antoniniana o più tardi, lungo l'ambulacro esterno con l'aggiunta di massicci pilastri in cotto e di un arco che ridusse di molto l'ampiezza di quell'ambulacro e rialzò il piano dell'ordine superiore se si dové modificare, rialzandone il livello e le pedate, le scale d'accesso alla media cavea. Singolare è che la vita corporativa della città si rispecchi anche nel suo anfiteatro, perché varî ambienti dell'ambulacro esterno recano iscrizioni e installazioni di sedi di associazioni professionali e religiose. Infine all'alimentazione idrica della città e del porto provvedevano grandiosi apprestamenti idraulici allinentati parte dall'acquedotto campano che raccoglieva le polle della conca di Quarto, parte dell'acquedotto augusteo del Serino, parte dalle piovane: il più importante di essi era la Piscina Cardito formata da due cisterne di cui la maggiore (m 55 × 16) a 4 navate era di raccolta, la minore a piccoli compartimenti sembra destinata a bacino di sedimentazione per la maggior purezza e chiarificazione dell'acqua.
Privi di resti monumentali sono altri edifici civili e religiosi di cui si ha notizia da fonti topografiche e letterarie: una Basilica Augusti Anniana con relativa Curia (C., x, 1782-3; 1786-7) a cui si riferisce anche il passo della Cena Trimakhionis (57,9); una Basilica Alexandrina attribuita ad Alessandro Severo; una aedes Serapidis ricordata in quella lex parieti faciundo (C., x, 1781) del 95-94 a. C. relativa all'appalto di opere pubbliche con le norme che ne regolavano la buona esecuzione e le modalità della consegna e del pagamento. Meno ancora informati siamo dell'edilizia privata che in una città così densamente popolata dové assumere presto le forme del caseggiato a più piani e per più famiglie, ma nella quale non dovevano mancare le abitazioni ricche del ceto mercantile, quale è possibile idealmente ricostruire nella casa della Cena Trimalchionis.
La natura del suolo vulcanico con le colline formate generalmente da conglomerati tufacei facili ad essere lavorati e perforati, favorì l'attività edilizia oltreché a P., anche nel suo territorio, soprattutto nell'ingegneria militare e civile delle strade e dei porti. Puteolano era verosimilmente quell'architetto Cocceius che scavò la crypta cumana fra l'Averno e Cuma, illuminandola con pozzi verticali e obliqui di luce naturale; costruì il navale di Agrippa e il porto Giulio sull'Averno e forò la collina di Posillipo con una galleria (crypta neapolitana) che servì a mettere in diretta comunicazione P. con Napoli; un magistero di tecnica e di maestranze locali grazie al quale si deve se Puteoli ebbe serbatoi e ricettacoli d'acqua capaci di alimentare la sua popolazione e il porto, e se nella costruzione dell'anfiteatro flavio, poté scavare un bacino atto a contenere i grandiosi sotterranei dell'arena. Inoltre la pozzolana, il pulvis puteolanus decantato da Plinio per le sue eccellenti qualità di coesione e di resistenza nella miscela con la calce, diventò l'elemento essenziale delle strutture murarie tanto da consentire le grandi costruzioni a cupola delle terme baiane e dell'Averno e da imprimere un carattere profondamente diverso all'edilizia flegrea rispetto a quella di altre zone della Campania. Infine le stesse forze insidiose del sottosuolo acuirono la ricerca e l'esperienza dei costruttori locali e ad essi si deve se Sergio Orata, con l'ingegnoso espediente delle suspensurae, poté addivenire alla conduzione sottorranea e intramurale del calore da una fonte naturale o artificiale.
Necropoli. - Ma se assai scarsi sono gli avanzi delle abitazioni, la vita della romana Puteoli si rispecchia nelle sue necropoli dove il sepolcro, in forma generalmente di colombario, raccoglie i componenti di una corporazione, di un collegio di mercanti, di artigiani, di battellieri, di correligionari uniti nella morte come furono in vita dai comuni interessi e da una comune fede. Sepolcri a camera in parte sopraelevati con il loro prospetto architettonico sul fronte stradale, in parte sotterranei con le pareti tutte incavate da nicchie per le osteoteche cinerarie e un'edicola con l'ara per le offerte e le periodiche libazioni funebri: la decorazione, quand'è conservata, è generalmente a stucco con pannelli e riquadri riempiti di motivi figurati e ornamentali sulle vòlte e nelle lunette delle pareti. Il gruppo più numeroso dei sepolcri è lungo la Via Campana, la via più percorsa dal traffico dei commerci tra P. e Capua: è una serie ininterrotta di sepolcri addossati l'uno all'altro, fronteggianti talvolta l'uno e l'altro lato della strada che va dal quadrivio dell'Annunziata fino a S. Vito e più oltre nella conca di Quarto (ad quartum lapidem) dove il sepolcro è associato a ville e a masserie. È uno dei complessi più monumentali e più suggestivi d'una necropoli antica dove i mausolei, nella loro tipica forma a due piani con basamento cubico e tamburo circolare superiore decorato di lesene e colonne (mausoleo di S. Vito), si distaccano dal più comune ma non meno grandioso colombario conservato ancora con la sua fresca decorazione a stucco (colombari di Caiazzo), e dove spesso la camera sepolcrale è diventata moderno e pittoresco cellaio di masseria. Altri mausolei ancora seminterrati e meno appariscenti, fiancheggiavano la Via Antiniana lungo sovrattutto il divo di Via delle Vigne, e altri affiorano lungo la Via Domitiana, nel tratto fra P. e l'Averno, che nel II sec. si sostituì in parte al traffico della Via Campana.
Arte e artigianato. - Una città così ricca di pubblici monumenti e di cittadini influenti e danarosi, avrebbe dovuto darci un copioso corredo di statue e rivelarci la particolare influenza che dové determinare nell'arte della Campania con le sue scuole e maestranze di artisti; ma le vicende geofisiche a cui fu esposta tutta la fascia litoranea e le vicende edilizie degli altri quartieri, hanno contribuito a rendere piuttosto scarso il numero delle opere d'arte. Tra i monumenti onorari è la Base di Tiberio riproduzione del monumento che 14 città d'Asia Minore, danneggiate dal terremoto del 17 d. C. raffigurate sulla base, eressero all'imperatore in segno di gratitudine per i soccorsi ricevuti (Museo Nazionale di Napoli: Ruesch, n. 14); un rilievo di arte adrianea, raffigurante una provincia debellata fra due Cariatidi (Ruesch, n. 149: le iscrizioni sono falsificate); le statue di Serapis e di Anubis connesse ai fiorenti culti egiziani della colonia alessandrina (Ruesch, n. 705-6); e, conservati nell'Antiquario Flegrèo con pregevoli rilievi e minori sculture, un gruppo di statue imperiali sfuggite al fuoco d'una calcara dell'anfiteatro flavio, e una statua-ritratto di Vino Audenzio Emiliano consolare della Campania nella seconda metà del IV sec. d. C., scoperta nel quartiere sud-orientale della città e che, insieme con la statua di Mavortius Q. Flavius Meosius Egnatius Lollianus, console nel 335 d. C., documenta l'ultima produzione della scultura onoraria puteolana.
Se non molto ricca è la messe delle sculture, assai attiva fu la produzione dell'artigianato che trovò favorevoli condizioni di sviluppo e di mercato nell'organizzazione industriale di arditi imprenditori o di più o meno numerose e potenti corporazioni: nell'industria anzitutto del vasellame fittile che attingeva l'argilla dall'ottima creta dell'Epomeo dell'isola d'Ischia e resse per alcun tempo la concorrenza con gli altri centri produttori della ceramica aretina; e sovrattutto nell'industria vetraria che, importata da artigiani e negotiatores dall'Oriente mediterraneo, e giovandosi delle sabbie silicee del litorale cumano e dell'arenile del Volturno (Plin., Nat. hist., xxxii, 194), giunse a tale sviluppo di produzione e di mercato da dare il nome a tutto un quartiere: Regio vici vitrarii (Not. Sc., 1885, p. 393): prodotto speciale dell'arte vetraria puteolana furono i vetri incisi che per la loro stessa provenienza (vaso di Odemira, di Piombino, Borgia e di Praga a cui si ricollegano anche i vasi incisi trovati in Inghilterra), attestano la larga diffusione che ebbero nelle province dell'Impero. Né minore importanza ebbero dal lato industriale e nei rapporti con la tecnica delle arti, l'industria puteolana dei colori: del coeruleum che, importato da Alessandria dal banchiere industriale Vestorius e fabbricato a P. con lo speciale procedimento di cui parlano Vitruvio (vii, ii, 1) e Plinio (Nat. hist., xxxiii, 162), riuscì a prosperare così felicemente da dare il nome anch'esso ad un intero quartiere (Regio vici Vestoriani); e, infine, della porpora che, importata dalla Siria, superò presto per bontà e perfezione di lavorazione tutti gli altri centri di produzione.
Bibl.: L. Ferrante, Antichità di Pozzuolo e luoghi circonvicini, Napoli 1580; P. A. Paoli, Antiquitatum Puteolis, Cumis, Baiis existentium reliquiae, Napoli 1768 (Atlante con 68 tavole); J. Beloch, Campanien, Breslavia 1890, p. 88 ss., tav. III; V. Spinazzola, La base puteolana di Pozzuoli, in Atti Accad. Napoli, 1903; Ch. Dubois, Pouzzoles antique; histoire et topographie, Parigi 1907; A. Maiuri, I Campi Flegrei, 3a ed., Roma 1958, pp. 19-61; G. Spano, La ripa puteolana, in Mem. dell'Accad. Arch. Lett. e B. A. di Napoli, 1930-31, pp. 295-387; A. Parascandola, I fenomeni bradisismici del Serapeo di Pozzuoli, Napoli 1947; A. Maiuri, L'anfiteatro flavio puteolano, in Mem. dell'Accad. Arch. Lett. e B. A. di Napoli, 1955; M. Napoli, La statua ritratto di Virio Audenzio Emiliano consolare della Campania, in Boll. d'Arte, 1959, p. 107 ss.
(† A. Maiuri)