PORTA
. Antichità. - L'uso di ornare le porte delle città e dei grandi edifici con un certo lusso è molto antico, e ne abbiamo testimonianze letterarie e grafiche presso gli Egizi, gli Assiri e i Persiani. I primi esempî giunti sino a noi sono quelli dell'antico Egitto, cui seguono quelli recentemente scoperti in Mesopotamia, a Troia, a Creta, a Micene, in Persia. In Egitto le porte di edifici di una qualche importanza sono costituite da un vano rettangolare abbastanza alto e aperto direttamente sulla linea del muro, con architrave, abitualmente decorato da un toro e da un'ampia gola, aggettante all'infuori, scolpito e colorito spesso col motivo degli urei. I templi del Nuovo Impero sono circondati da grandi recinti nei quali si apre il propylon, grandiosa porta fiancheggiata di solito da due torri o avancorpi, e con pianta svasata in dentro (Karnak, Luxor, Medinet Habu, ecc.; v. pilone). Ai due tipi descritti corrispondono due particolari segni della scrittura geroglifica. Nei recinti dei templi, l'architettura della porta sorpassava il muro perimetrale e così pure sporgeva dalla linea del muro stesso, formando una specie di camera o dromos interno; alte aste di legno, destinate a sorreggere bandiere, ornavano gli stipiti, come sappiamo dalla pittura di una tomba in Tebe, mentre le fronti delle torri fiancheggianti erano ornate con rilievi figurati e iscrizioni. Nella unione della porta col muro regna grande libertà, e le differenze si accentuano fra il Basso e il Medio Egitto; talvolta la porta si trova leggermente in fuori, talaltra al pari stesso del muro.
Nella Babilonia e in Assiria, il concetto della porta di una città, o di un'area sacra, non è molto differente da quello egizio: anche qui più che di una vera porta di difesa si tratta di un ingresso monumentale, presso il quale si adunavano coloro che venivano dalle campagne per tenere mercato, oppure, nei grandi santuarî, per sostare presso la divinità a ridosso del muro di cinta e al riparo dai venti o dal sole. Le porte sono in genere di grandi dimensioni, alte da 3 a 5 metri, anche nei palazzi signorili, come, ad esempio, in quello di Khorsābād, per permettere un'abbondante illuminazione e aerazione degli ambienti, supplendo con ciò alla mancanza quasi totale di finestre.
A differenza delle porte egizie, quelle assire sono talora coperte con un grande arco, la cui costruzione è resa più facile dal materiale fittile usato; spesso l'armilla esterna dell'arco è decorata con mattonelle smaltate a vivaci colori e poste ad aggetto sul muro di fondo (palazzi di Ninive, Dūr-Sharru-kīn, ecc.). Soprattutto degna di ricordo, per la superba decorazione a mattoni smaltati con figure di animali, è la porta di Ishtar a Babilonia, ora ricomposta nel Museo di Pergamo a Berlino.
In Persia prevale il tipo di porta architravata, ispirata alla costruzione lignea: si ritorna all'imitazione dell'architettura in legno, che prevale specialmente nelle tombe rupestri e nei templi. Importante è sotto questo punto di vista la porta del grande sepolcro detto di Ciro o del Qabr-i Mādar-i Sulaimān a Pasargade, eretto sotto il regno di Dario: stipiti e architravi sono decorati con fasce leggermente aggettanti, come nella porta di una tomba reale a Persepoli, con gronda a foglia d'acqua ripiegata in fuori. Lo stesso tipo di porta si riscontra in molte tombe rupestri dell'Etruria, ad esempio a Norchia, a S. Giuliano, e a Castel d'Asso presso Viterbo.
L'arte egeo-micenea adotta, forse per influenza egizia, la porta rastremata in alto e di grandi proporzioni, senza tuttavia una decorazione speciale, se non in qualche tomba di singolare riguardo, come il cosiddetto Tesoro di Atreo, dove sembra che vi fossero anche placche o rosette in bronzo applicate all'esterno. Fa eccezione la Porta dei leoni a Micene, che sul possente architrave monolitico sostiene un grande rilievo di forma triangolare, in cui sono scolpiti due leoni rampanti ai lati della colonna sacra. Si presenta a Tirinto e a Micene il pronao a colonne, che, anteponendosi alla vera porta, toglie a questa l'importanza monumentale, e quindi la riduce a un semplice vano, appena sagomato da una fascia piana. È la forma del megaron che preannuncia il tempio ellenico.
Pochi esempî integri di porte abbiamo nella Grecia classica. In Grecia la porta è caratterizzata dalla copertura piana e dal taglio rettangolare e uniforme; non ha decorazioni se non geometriche, con gli elementi fondamentali della decorazione architettonica greca, cioè fasce, gole, listelli, kymatia; assai semplice nelle recinzioni delle città, si abbellisce negl'ingressi delle agorai e dei temenoi, pur conservando la stessa linea sobria e severa.
Fin dall'età omerica, si riscontra in Grecia un tipo di porta, detta scea, cioè "sinistra", perché situata in un angolo delle mura e un po' indentro, in modo da esporre ai colpi dei difensori il fianco destro dell'attaccante, quello non protetto dallo scudo. Negli strati più antichi di Ilio si hanno i primi esempî di porte così fatte, che si ritrovano poi in Tirinto, in Orcomeno e in Micene.
Nel Tesoro di Atreo, per alleggerire il peso del muro, al di sopra dell'esile architrave monolitico, fu lasciato un vano triangolare, formato di strati aggettanti, che aveva anche lo scopo di dar luce alla cella sepolcrale; in altri casi il muro resta invece interrotto sopra l'architrave della porta, sempre per lo stesso motivo, e la difesa è affidata alle torri laterali che sovrastano di circa il doppio l'altezza della porta.
Nel 437 l'architetto Mnesicle cominciava il monumentale ingresso dell'Acropoli di Atene, noto col nome di Propilei.
Il vero concetto della porta monumentale isolata, con architettura a sé, comincia soltanto nell'Oriente ellenistico dopo Alessandro Magno: la porta della Strada Sacra di Kekropoúli (Pálairos) e la porta della città antica di Paleomanina, in Acarnania, costituiscono i precedenti delle porte romane ad arco, sebbene in quest'ultima si tratti piuttosto di uno pseudoarco, incavato in due monoliti quasi combacianti e coperti da un terzo blocco in piano. Avanzi trovati a Pergamo, a Priene, a Delo e in altre città dell'Asia Minore e della penisola greca ci mostrano l'esistenza di ricche porte agl'ingressi delle città, dei fori, dei porticati, che provano l'addentellato, sotto certi aspetti, fra l'arte greca e l'arte romana.
In Italia, le prime porte con carattere architettonico si trovano nelle cinte costruite con sistema poligonale, dove le coperture erano quasi sempre in piano, composte di colossali architravi monolitici, impostati su piedritti, anch'essi formati da grossi blocchi di pietra. Tra le più antiche si possono citare quelle di Arpino e di Segni (P. Saracena), mentre più recenti sono quelle di Ferentino (P. Sanguinaria e P. di Casamari), di Aquino, di Priverno, di Norma. Le due porte di Arpino e di Segni sono costruite ancora col sistema ogivale, come quelle di Tirinto, sistema che più si prestava a una salda difesa. Abbiamo poi la grande porta di Alatri, all'ingresso dell'acropoli, che è seguita da una lunga rampa coperta che, chiusa agli estremi, costituiva una ulteriore difesa in caso di un primo successo del nemico. La porta Sanguinaria di Ferentino, con la vòlta a sesto pieno che la ricopre, ci riporta già alla età di Silla e fa parte di tutta una nuova tecnica architettonica, di cui troviamo mirabili esempî a Tivoli, a Palestrina e a Terracina.
Anche in Etruria, si conservano notevoli porte di età antica, tra cui va ricordata per prima quella di Volterra (del sec. IV a. C.), che è forse la più antica porta ad arco che si conosca, poi quelle del mirabile muro di cinta di S. Maria di Falleri (Falerii Novi), eretto nel 241 a. C., e quelle di Perugia, la Porta Marzia e la Porta Urbica o di Augusto, fiancheggiata da due massicce torri quadrate; con queste ultime siamo già in età romana. L'arco si presenta a conci regolarissimi e bene squadrati, mentre con cura è studiata la difesa interna, simile a quella di alcune porte di Alatri e di Norma.
Come sistema di difesa, già la parte delle mura di Pompei eretta nel periodo sannitico mostra una assai avanzata perfezione di tecnica. Al fornice d'ingresso fa seguito una specie di atrio o vano intermedio, scoperto, e quindi viene una seconda porta sul filo interno delle mura. Questo sistema appresero i Pompeiani, e in genere i popoli dell'Italia centrale, dalla Magna Grecia e dalla Sicilia. Gli scavi di Paestum ci hanno fornito insegnamenti molto istruttivi con la completa liberazione della Porta Marina, aperta presso un angolo delle mura; essa è difesa da due robuste torri, una circolare più antica, forse del sec. V a. C., e l'altra quadrata del periodo lucano (sec. III a. C.). Anche la Porta Sirena della stessa città presenta una difesa razionale, raggiunta mediante alcune torri disposte in modo da dominare un largo spazio intorno.
Non sappiamo come fossero fatte le porte del recinto Serviano di Roma, nessuna essendo rimasta in piedi, poiché quella creduta tale nel palazzo Antonelli a Magnanapoli non è probabilmente una porta, ma un arco per macchina da guerra. Tuttavia è facile supporre che fossero molto simili a quelle di Pompei e di Paestum. Nessuna decorazione superflua all'esterno: solo talvolta l'armilla dell'arco è segnata da una cornice leggermente sporgente: la difesa preoccupa più dell'estetica, e gli operai conoscono bene le leggi della statica, ma non sanno incidere le immagini né scolpire il marmo. Solo per eccezione, si trovano in Volterra alcune protomi murate all'esterno a scopo religioso o semplicemente apotropaico, e così nelle porte di Giove e del Bove di Falerii Novi; la sola Porta Marzia di Perugia presenta una decorazione particolarmente ricca: essa è sormontata da un loggiato, cui si affacciano tre figure maschili (Giove e i Dioscuri?) e due teste di cavalli. Ai lati sono anche qui due protomi e nella chiave dell'arco un animale, forse una civetta.
Verso la fine della repubblica, comincia a essere usato in molte città italiche e provinciali un tipo di arco-porta, il quale non è più in relazione con la difesa delle mura, bensì ha lo scopo di dare alla città un ingresso monumentale.
Si possono citare gli esempî degli archi di Fano, di Rimini, di Aosta, dei Gavi in Verona, dei Sergi a Pola, "di Riccardo" a Trieste, ecc., i quali erroneamente sono chiamati archi di trionfo, perché si debbono considerare piuttosto come archi commemorativi di un avvenimento di particolare importanza per la città. Tali archi infatti si trovano all'inizio dell'abitato, cioè al passaggio della linea pomeriale, come era la porta Triumphalis in Roma, situata nel punto in cui il generale vittorioso deponeva i fasci e l'imperium, entrando nell'Urbe.
Nobili esempî si hanno anche nelle provincie: si ricordino l'arco di Adriano ad Atene, all'ingresso della città nuova, sorta per iniziativa di questo imperatore; la monumentale porta di Adalia a tre fornici fiancheggiati da svelte colonne e racchiusi fra due massicce torri quadrate, a imitazione dei propilei egizî; l'elegante porta a tre fornici, di cui il centrale alto e slanciato, situata attraverso la strada porticata di Palmira; la porta d'ingresso all'area sacra di Baalbek (Eliopoli), come pure le porte del grande e piccolo tempio, ornate con ricchi fregi in rilievo e con cornice fortemente modinata.
Questo desiderio di ornare le porte degli edifici di carattere monumentale con particolare fasto si ritrova un po' per tutto l'impero; un'idea ce la dà il palazzo-città edificato da Diocleziano sulla costa dalmata.
Particolarmente degna di nota è la Porta Aurea, fornita di una camera interna e fiancheggiata da due torri ottagonali tangenti per un solo lato. Al disopra dell'architrave si trova una cornice sporgente e riccamente scolpita con mensole laterali.
È celebre anche la Porta Nigra a Treveri, grande costruzione concepita fra il 258 e il 267 come la fronte di un colossale palazzo, con due ingressi arcuati in basso e due ordini di finestre al disopra, decorate con semicolonne. Le torri sono semicircolari e presentano tre ordini di finestre dello stesso tipo, ispirati alle pareti esterne delle cavee dei teatri e degli anfiteatri; nell'interno si trova un piccolo cortile scoperto, come nella Porta Pretoria di Aosta, che si deve considerare come il prototipo di questo motivo architettonico, fatto non tanto per offrire una difesa agli attacchi del nemico, quanto piuttosto per dare un nobile ingresso alla città in un periodo in cui ancora la minaccia delle invasioni nel territorio dell'impero era, se non lontana, almeno non soverchiamente sentita.
Simili a questa sono le porte di Verona, del Wardar a Salonicco e, sebbene notevolmente anteriore, anche la Porta Palatina di Torino. La Porta dei Borsari in Verona si potrebbe dire un palazzo del primo Rinascimento: essa è a due fornicì e due ordini di finestre, sormontate da timpani e incorniciate da prospetti architettonici. Un' iscrizione incisa sull'architrave ricorda la dedica della porta e la costruzione di tutte le mura della Colonia Augusta Verona Nova Gallienana, avvenuta fra il 3 aprile e il 4 dicembre del 265, cioè alcuni anni prima di quelle di Roma.
Queste con le loro porte furono infatti iniziate dall'imperatore Aureliano verso il 270; dell'opera di Aureliano resta però oggi molto poco, mura e porte essendo state più volte restaurate nei secoli seguenti, e in special modo sotto Massenzio e Costantino, sotto il regno di Arcadio e Onorio, e sotto Belisario. Al tempo di Aureliano le porte erano di tre tipi differenti. 1. a due archi gemelli, con cortina di travertino e torri rotonde all'esterno (porte Appia, Ostiense, Portuense e Flaminia, siiuate sulle grandi vie di comunicazione col nord e col sud della penisola e coi porti annonari della città); 2. a un solo arco di pietra ed egualmente difeso da due torri rotonde o quadrangolari (porte Salaria, Nomentana, Latina, sulle vie maestre di minore importanza); 3. a un solo arco, di laterizio, senza torri particolari, ma collocato a metà dello spazio fra due torri comuni (porte Metronia, Asinaria, Pinciana, ecc., sulle vie vicinali). Non si deve dimenticare che alcune porte, come la Tiburtina e la Maggiore, esistevano già e servivano per il passaggio degli acquedotti.
Nelle mura furono lasciate, inoltre, posterule, o porte secondarie, sopra i diverticoli d'interesse locale; esse erano sempre a una sola apertura, di solito coperta a piattabanda, con un arco di scarico per sostegno della cortina superiore; alcune avevano i bordi di travertino, altre di materiale laterizio con un'apertura di circa due metri e mezzo. Non si aprivano sulla linea del muro, ma in una rientranza eseguita appositamente per essere meglio difese, secondo gli antichi criterî delle porte scee in Grecia.
Durante l'impero di Arcadio e di Onorio, per opera di Stilicone, quasi tutte le porte furono ridotte a un solo fornice, per essere meglio difese, e fornite di una camera interna di manovra; l'attico superiore fu rialzato in relazione con un sopraelevamento totale delle mura, e così pure furono rialzate le torri laterali fino all'altezza di quasi venti metri, con due o tre piani di finestre per gli arcieri e per le balliste; infine furono sostituiti i battenti ruotanti su un bilico con pesanti saracinesche che venivano calate dell'alto.
Medioevo ed età moderna. - Fino almeno al sec. IV, il motivo classico della porta attorniata da una fascia, sormontata da un alto fregio e da una cimasa sorretta da mensoloni si riscontra sovente. Le porte del S. Salvatore di Spoleto, modello agli architetti del Rinascimento, sono appunto di quel periodo.
Con il progredire dei tempi, l'architettura si allontana però vieppiù dalla tradizione classica e ciò in specie nel periodo bizantino. Le porte in quel tempo presentano scarso interesse data l'estrema povertà dei prospetti e il prevalere, negl'interni, della decorazione musiva piuttosto che architettonica. Le porte sono allora ricavate a mezzo di semplici risalti della cortina, talvolta inserite nell'arco.
A Ravenna sono caratteristiche, per l'influsso che potranno avere in seguito sull'elemento porta, le finestre del mausoleo di Galla Placidia nelle quali il vano rettangolare è sormontato da un arco di scarico in vista. A Spalato nel palazzo di Diocleziano l'imposta dell'arco, voltato su forti piedritti, è marcata da una robusta cornice.
Allontanandosi dalle provincie dell'Esarcato più viva e la tradizione romana. Nel Battistero fiorentino, ad esempio, sussistono nella trabeazione i motivi classici, e le colonne serrano lateralmente la mostra della porta. In Roma la tradizione è naturalmente ancor più vitale sia per il perpetuarsi dei modelli, sia per l'uso invalso di riutilizzare nelle nuove costruzioni elementi decorativi dei monumenti classici. Così avviene per le porte della chiesa di S. Giorgio in Velabro, così per la porta della Casa dei Margani sulla piazza omonima. Del resto la riquadratura è generalmente semplice, una trabeazione con aggetto fortemente sentito è spesso sorretta da colonne, ma nella sagomatura della trabeazione, si ricerca invano lo spirito degli artefici romani. Si veda, ad es., la porta dell'oratorio di S. Giovanni Battista eretto durante il pontificato di papa Ilaro (461-468) nel Battistero Lateranense.
Anche fuori di Roma sopravvivono talvolta vecchi schemi caratteristici del periodo imperiale, così le lunette e gli archi di scarico; vedi la porta nell'interno di S. M. in Valle a Cividale, o la porta sul fianco destro della chiesa di S. Pietro presso Ferentillo, dal Toesca ritenuta del sec. VIII, o l'altra della pieve di Arliano. Il Cattaneo data al sec. VIII la porta della chiesa di S. Felice presso Nola nella quale però si riscontrano già le caratteristiche del protiro.
Dalla fine del sec. VIII al sec. XI le porte sono generalmente semplicissime, talvolta arcuate, come quella nell'abside di S. Benedetto al Monte a Civate, ma più spesso architravate; spesso l'architrave è alleggerito dall'arco di scarico: così a S. Vincenzo in Prato e a S. Elia di Nepi. Lo sguancio ancora non compare.
Nella Pieve di Arliano (sec. VIII) riscontriamo invece per la prima volta la lunetta in ritiro inscritta nell'arco di scarico semicircolare più ampio della luce stessa della porta. Rammentiamo come assai remota sia l'origine di un siffatto tipo di porta esistendone un esemplare fino nel Foro di Augusto a Roma e derivazioni nella Porta Aurea (Yedi Qulleh Qapusu) e nella Porta Rhegium (Mevlevikhāneh Qapusu) delle mura teodosiane di Costantinopoli, ritenute entrambe dal Van Millingen costruite sotto il regno di Teodosio II (408-450). Questo tipo si diffonderà in seguito in una moltitudine di esemplari fra cui rammentiamo le tre porte del S. Frediano di Lucca (sec. XII) e quella della cattedrale di Troia (sec. XII).
Nella pienezza del sec. IX, giunge ancora talvolta l'eco se pur affievolita delle forme romane, come dimostra, per non citare che un esempio, la porta dell'oratorio di S. Zenone in S. Prassede così direttamente derivata da quella del Battistero Lateranense di cui abbiamo già fatto cenno. Questa porta è il risultato di un lavoro di ricomposizione di elementi classici: romani sono infatti sia le colonne sia l'architrave, mentre i capitelli e i piedritti, con le caratteristiche decorazioni a treccia, sono originali del sec. IX. Similmente ricostruite con classici frammenti sono le porte di S. Elia presso Nepi.
Nel sec. XI, sulla cornice che circonda il vano della porta si svolge sovente l'arco; la lunetta che ne deriva è talvolta decorata, talaltra il suo sfondo è costituito dalla cortina stessa del muro frontale. In questo periodo fanno la loro apparizione i primi archi concentrici che si differenziano dai più tardi giacché il loro sistema aggetta anziché affondarsi nel vivo del muro. Vedi, ad es., la porta maggiore della Basilica Ambrosiana firmata dall'Adam Magister ritenuta dal Rivoira la prima del genere in Italia, non considerando l'altro esemplare, troppo manomesso, di S. Andrea di Montefiascone (1032).
Fuori d'Italia il primo esemplare, se pure non così chiaramente definito come quello ambrosiano, lo troveremo in S. Stefano di Caen (1066-1086), da taluni ritenuto del monaco pavese Lanfranco. Approssimativamente dello stesso periodo deve considerarsi il portale del duomo di Modena; certamente di poco più tardi quelli di S. Michele Maggiore e di S. Pietro in Ciel d'Oro in Pavia, rifatti entrambi dopo il terremoto del 1117. Nell'esemplare di S. Michele Maggiore la teoria degli anelli concentrici riccamente decorati, sorretti da colonne e pilastri si affonda nel muro; l'altro ha uno spartito più pacato, definito dalle due esili colonne scolpite che salgono a sostegno del timpano, inscritto a sua volta in un rettangolo.
Non v'ha dubbio quindi come il tipo della porta, che si addentra a imbuto nel muro, costituita da una serie di archivolti e cordoni concentrici sostenuti da pilastri e colonne e delimitanti la lunetta, sia posteriore al 1000 e come il tipo abbia origine e definizione per opera dei maestri lombardi. In Occidente siffatto tipo non appare infatti che in fabbriche lombarde, mentre in Oriente esso non appare che col sec. XII.
Secondo una foggia che si diffonde dalla Francia, siffatto tipo di porta assume caratteristiche speciali; ivi sovente il vano della porta acquista larghezza maggiore ed è sostenuto al centro da un piedritto istoriato come nella tipica porta della chiesa abbaziale della Maddalena a Vézelay (1096-1132) ricchissima di decorazioni.
In Italia ricchezza di sculture è profusa nelle porte del duomo di Ferrara (precedute dal protiro) la cui data, incisa nell'arco interno, è del 1135, e in quelle della chiesa di S. Zeno Maggiore di Verona completata soltanto nel 1138; entrambe di maestro Niccolò. Dello stesso tipo e della stessa epoca rammenteremo il ricchissimo portale della cattedrale di Lincoln in Gran Bretagna.
Riteniamo ora opportuno far cenno a un elemento che sarà tipico dei portali del sec. XIII e cioè alla figura di belva accovacciata posta a sostegno dapprima dei piedritti delle porte e quindi delle colonne dei protiri. Un prototipo del genere può ritenersi il leoncino notato dal Rivoira nella chiesa di S. Flaviano a Montefiascone e da lui ritenuto del sec. XI. L'origine di queste belve stilofore va però ricercata in Oriente, basti qui rammentare a questo proposito le sfingi stilofore conservate nel Museo di antichità di Istanbul. Di siffatti animali posti a sostegno diretto della porta avremo esempî in Roma nel sec. XIII in S. Lorenzo al Verano, nei Ss. Giovanni e Paolo e, fuori Roma, quelli più importanti delle maggiori porte delle cattedrali di Ancona e di Parma.
Il gotico non conduce a una trasformazione radicale degli elementi decorativi delle chiese romaniche. Le porte si affondano sempre con la strombatura più o meno sentita nel vivo del muro. Piedritti o colonne sostengono sempre la teoria degli archi concentrici ma acuti. Una cuspide dai lati quasi tangenti all'arco periferico viene sovente a serrare l'insieme, mentre la decorazione dei cordoni, dei piedritti delle colonne acquista nuovo rilievo. Una moltitudine di figure umane viene a occultare il sistema architettonico dei portali; vedi, ad es., i portali della cattedrale di Chartres, della cattedrale di Reims, della cattedrale di Bourges, della cattedrale di Rouen (Porta dei Librai), esempî legati da un'altra caratteristica comune, del notevole aggetto del sistema che rende la cuspide terminale quasi la profilatura delle falde del tetto, sicché in essa gli elementi porta e protiro quasi si fondono in un unico complesso.
In Italia, vediamo le cuspidi gotiche sovrapporsi a porte preesistenti, così nella cattedrale di Siena; ma generalmente il gotico italiano assume espressioni più pacate. Nel sec. XII si afferma nell'Italia centro-meridionale la corrente artistica dei Cosmati più ligia agli esemplari classici. Le porte cosmatesche sono per lo più a semplice riquadratura ma ravvivate da zone fulgide per la smagliante policromia delle tessule musive che si snodano sui pilastri e sulle colonne per irrompere spesso nella decorazione della soprastante lunetta come, per opera dei marmorari Lorenzo e Iacopo, nelle due porte dell'atrio del duomo di Civita Castellana.
Caratteristico della Toscana è il tipo semplicissimo di porta costituita da una semplice riquadratura con soprastante lunetta archiacuta a fondo piano e decorato o aperto a giomo. Vedine numerosi esemplari nel Palazzo del Podestà a Firenze (sec. XIII-XIV). Nel palazzo Tolomei a Siena sul fondo piano della lunetta si apre la finestra rettangolare.
Mentre il gotico in Francia si esalta nella minuta fioritura del flamboyant, in Inghilterra acquista speciali caratteristiche sì da essere distinto con la speciale denominazione di stile perpendicolare. Porte e finestre in questo periodo rispondono a un tipo autonomo, ché compare l'arco quadricentrico o Tudor e tutto il sistema viene racchiuso entro un rettangolo. Forme simili ritroviamo nell'architettura veneta e nell'Italia centro-meridionale, ad esempio, nelle porte e finestre del Palazzo baronale di Fondi, nelle quali si è voluta riconoscere l'influenza arabo-normanna.
Né possiamo chiudere questo periodo senza rammentare le particolari caratteristiche del portale maggiore di Castel del Monte in Puglia, nel cui chiaro spartito a orizzontali e verticali, nel ritorno alla parasta architettonica, nella decorazione dei capitelli, già vedi i segni del Rinascimento.
Con il Rinascimento l'elemento porta riacquista quasi tutte le caratteristiche del periodo classico; il timpano che in timida forma abbiamo visto perpetuarsi a Pavia e che nel portale di Castel del Monte, abbiamo già messo in rilievo, preannunzia il Rinascimento, riacquista le sue caratteristiche essenziali. Esso sarà a volta a volta o schiacciato come nella porta della Cappella de' Pazzi del Brunelleschi, o tendente all'isoscele come in tutta l'architettura di Francesco di Giorgio Martini.
Un altro tipo di porta, che il Rinascimento trae dagl'insegnamenti classici, è quello a tutto sesto ma con il vano inserito tra le colonne e la trabeazione che su quelle sovrasta. In questo tipo l'arco è spesso sostenuto da lesene e negli angoli che l'arco genera nell'ossatura squadrata dell'ordine, trovano posto elementi di decorazione plastica. Un altro tipo ancora di porta tipico della Toscana è quello che si potrebbe dire rustico. L'esempio più noto è nel brunelleschiano palazzo Pitti. Le bugne vengono a invadere fino agli stipiti del portale che è sormontato da un sesto anch'esso bugnato. Non aggetti quindi di sorta, ma soltanto nella cupa pienezza del basamento la luminosa ferita del vano. Nell'altro palazzo fiorentino del Rinascimento, il Rucellai, la porta comincia invece ad assumere tutte le caratteristiche del '400. Una cornice riquadra il vano e su di essa nell'alto poggia la cimasa direttamente, così anche nel palazzo Piccolomini di Pienza; mentre talaltra al di sopra della riquadratura compare il fregio.
Più tarda, più vicina al '500, è la porta sormontata dal timpano curvilineo più o meno accentuato. ll tipo della porta con trabeazione sorretta da colonne e sormontata da timpani si ritrova con altra funzione fino a tutto il Settecento riprodotto negli altari.
Talvolta questo tipo, che diremmo architettonico per la presenza in esso dell'ordine, si arricchisce. Il vano a sesto è fiancheggiato da due colonne per lato, al disopra di esse la trabeazione si spezza e si profila, così, per es., nell'arco di Alfonso di Aragona a Napoli così simile all'arco romano di Pola.
A caratteristiche speciali risponde l'elegantissima porta del Palazzo Venezia in Roma sormontata com'è dall'alta finestra di cui con facile movenza è risolto il collegamento con la sottostante cornice.
A questi tipi, gli artefici del Rinascimento portano continue varianti parziali dovute più all'abile giuoco della decorazione che a trasformazioni architettoniche. Varieranno essi le sagomature di riquadro, affonderanno nelle lesene gl'incavi delle strigilature, varieranno la forma decorativa dei capitelli, e arricchiranno il fregio della trabeazione con targhe e festoni, volteranno al disopra della trabeazione stessa una fascia arcuata scolpita che attornia un motivo circolare, e sopra la cimasa alzeranno figure o snoderanno una duplice voluta legata al centro e variamente adorna. Altra volta la lunetta sarà occupata da una conchiglia, come nella porta della chiesa del Corpus Domini di Bologna attribuita allo Sperandio (circa 1478-81).
Il primo Cinquecento conserva i tipi caratteristici delle porte quattrocentesche apportandovi qualche variante, così, p. es., nel tipo che abbiamo detto rustico, in cui l'arco periferico che delimita le bugne non è più concentrico con quello del vano; vedi, ad es., il palazzo Caffarelli oggi del Littorio in Roma (1515 c.), o il palazzo Pandolfini in Firenze (1516-20). Quindi alla porta viene a sovrapporsi il balcone come nel palazzo Farnese, originando così un motivo, che, dal Cinquecento in poi, si svilupperà vieppiù.
Innovazioni notevoli nella forma delle porte saranno dovute a Michelangelo. Egli sente il muro come una materia più duttile che non gli architetti della fine del '400 e l'inizio del '500; comincia quindi con lui una tendenza maggiormente pittorica in continua ricerca di contrasti tra luce e ombra. Questo per le masse, ma anche per i particolari architettonici e fra questi la porta.
Tra le porte michelangiolesche rammenteremo quindi come una delle più caratteristiche quella della Biblioteca Laurenziana di cui ci rimangono numerosi disegni originali. La ricerca del chiaroscuro ha condotto Michelangelo a spostare la mostra della porta verso l'interno della sala in maniera da lasciare tra quella e il muro un notevole risalto al quale egli ha addossato tre quarti di colonna. In questo campo, le innovazioni di Michelangelo non hanno del resto sosta fino alla sua più tarda età e la Porta Pia di Roma ce lo dimostra. Qui molti fra gli elementi costitutivi del Barocco sono in atto: dalla violenza degli aggetti, al doppio timpano, al timpano inscritto curvilineo e spezzato. Il Vignola, dopo di lui, si dimostrerà forse ancor meno energico, sicché di suo, circa questo particolare architettonico, non ci rimane di veramente notevole che la porta maggiore della chiesa del Gesù come ci risulta da un progetto da lui disegnato. Nella porta in questione il timpano è spezzato e ricade con due volute pensili simili a quelle dei sarcofagi michelangioleschi nella Cappella Medicea di Firenze.
Con il progredire dei tempi si marcherà vieppiù l'aggetto dei portali dalle pareti degli edifici. Alle lesene di sostegno alla trabeazione si sostituiranno dapprima le mezze colonne, quindi la colonna appena aderente alla parete e infine la colonna libera. Siffatto processo evolutivo è documentato da una grandissima quantità di esempî. Gli architetti del Seicento daranno vieppiù importanza all'elemento porta che amplieranno in un irradiare del motivo che interesserà tutto l'ordine inferiore della facciata. Si veda per questo nel loro successivo sviluppo il Gesù, S. Susanna, lo stesso S. Pietro, S. Agnese a Piazza Navona, S. Maria in Vallicella, S. Ignazio e S. Maria in Campitelli; ancor più caratteristica la chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio di Martino Longhi il Giovane. Ovvero il barocco stesso adagerà il motivo della porta sulla convessità o concavità dei prospetti, così nel S. Andrea al Quirinale del Bernini, nel S. Carlo alle Quattro Fontane, o nel Collegio dei Filippini del Borromini e S. Marcello al Corso di Carlo Fontana; o affonderà le porte nell'ombra delle nicchie.
Il settecento seguirà, come nell'organismo architettonico, anche negli elementi minori il barocco, sostituendo però agli effetti robusti di questo un più accurato studio della decorazione. Caratteristica del periodo saranno i legamenti del portale con un'eventuale finestra sovrapposta, già studiati del resto dal Borromini, e i legamenti di quella col balcone e inoltre i pilastri con rastremazione rovescia già adottati da Michelangelo per le finestre della Laurenziana e dal Borromini nel portone del palazzo di Propaganda Fide.
La decorazione si farà inoltre più minuta, elementi caratteristici decorativi verranno a ingentilire anche i portali; così teste umane, intrecci di rami, conchiglie e festoni e spesso, a sostegno della trabeazione, anche figure umane: cariatidi o talamoni.
Nel neoclassico i particolari seguiranno le direttive generali dell'architettura, sicché, anche nei singoli elementi, gli architetti seguiranno talora gli esemplari del Rinascimento, talaltra quelli romani, talaltra risaliranno direttamente agli esemplari greci.
Le porte nelle fortificazioni medievali e moderne. - Nelle fortificazioni sorte nei primi secoli del Medioevo, la porta non ha molta importanza. Nei secoli XI e XII la porta è posta talora in una rientranza delle mura; ma presto andarono sorgendo, specialmente nei luoghi dove più profonda era la tradizione romana, opere difensive improntate agli antichi sistemi, dove le porte erano aperte o al piede dì una torre, o nella cortina tra due torri, o presso una torre che potesse battere l'assalitore sul lato destro.
La porta rappresenta sempre il punto debole di ogni fortificazione: e verso di essa si rivolgevano di conseguenza le mire dell'assalitore per impadronirsene di viva forza o per sorpresa, maggiormente quando più difficile si presentava di battere le mura in breccia o di tentarne la scalata.
Con il vasto rinnovamento nella poliorcetica europea che s'inizia dal sec. XII e si sviluppa nel XIII, l'ordinamento difensivo delle porte assurse a grande importanza, onde costituirne spesso un fortilizio a sé atto a difendersi anche se il resto della piazza era caduto in potere del nemico.
Agli antichi sistemi delle porte sormontate da una torre che permetteva di dominare l'accesso dall'alto a più ordini di difesa e di fornire l'andito di una seconda porta alla gola; a quello delle torri laterali fiancheggianti; ai fortilizî che sorgevano sulle porte di molte città antiche provvisti di un cortile interno tra la prima e la seconda porta dove il difensore poteva riordinarsi per le sortite o battere l'invasore che avesse oltrepassata la prima porta, altri se ne aggiunsero meno usati per l'addietro, o migliorati, o nuovi affatto, nei quali a un'accurata ricerca dei più minuti particolari difensivi, faceva riscontro lo studio dell'insieme.
Sono degni di nota: l'importanza data al reciproco comandamento delle numerose parti accessorie tra loro e rispetto al corpo principale, spesso imponente, della porta propriamente detta, in relazione anche con le vicine cortine, dalle quali poteva all'occasione venire isolato: l'efficacia del tiro sopra le opere sottoposte e su tutta la zona circostante, e la sua facile sorveglianza; gli ostacoli frapposti all'accesso e la facilità di rimuoverli prontamente in modo da permettere un'attiva e valida difesa; le disposizioni per far fronte anche verso l'interno in caso di occupazione o di ribellione della città o della piazza, e per premunirsi contro possibili tradimenti del presidio stesso.
A queste norme vennero improntate le porte dei numerosi fortilizî sorti nell'Oriente latino e in Europa dalla fine del sec. XII, dopo che le crociate avevano dato campo di apprezzare le opere analoghe esistenti nell'Impero d'Oriente e presso gl'infedeli.
Per sventare le sorprese, si costruirono, all'esterno, barbacani e altre opere avanzate che obbligavano l'assalitore a lunghi giri, esponendo più volte il fianco all'offesa. Tali erano, nel 1211, le porte di Tiro, vero labirinto di barbacani, quella di Tripoli e, nel Lazio, la porta Maddalena di Corneto. S'innalzarono vicino alla porta le "antiporte" o "rivellini" che, immediatamente soggetti, sbarravano il passo e restringevano la via d'accesso attraverso il fossato piegandola sotto il tiro del difensore.
Nelle terre murate e nei castelli di minor conto, queste opere erano sostituite da palizzate o bastite, chiuse da porte che s'alzavano a bilico o da cancello girante detto "tornafolle", o da semplici barre o catene, che erano mosse dal custode alloggiato nel casotto presso l'ingresso del "chiuso", o "chiostro", come si vede in molte stampe tedesche del sec. XV.
Per una più diretta ed efficace difesa della porta propriamente detta, fino dal principio del sec. XII, come offre un bell'esempio Carcassonne, le torri laterali si ravvicinarono talmente da formare con essa tutto un corpo difensivo, mentre archi, impostati esternamente da un fianco all'altro delle torri, sostenevano un piano in aggetto dal quale si completava il tiro dall'alto sui fianchi e a tergo dell'assalitore. (Esempî di pone fra due torri ravvicinate, con arco o piombatoi al coronamento, sono frequenti ovunque nei secoli XIII, XIV e XV. Così nel Castel Nuovo di Napoli, come nella cittadella di Avignone, a Villeneuve-sur-Yonne, a La Ferté Milon, nella porta di Neuss, nel Marschierthor di Aquisgrana, nel Wienerthor in Haimburg sul Danubio, nello Spalenthor di Basilea, ecc. Uso che continuò nella nuova maniera con porte tra due fianchi di baluardi, come nella Porta S. Spirito a Roma, nelle fortezze di Alicata e di Augusta in Sicilia, a Mondovì in Piemonte e nei castelli di S. Giovanni e di Belem presso Lisbona).
La difesa piombante è una delle caratteristiche della difesa medievale dopo il sec. XII, cosicché le porte si fornirono di bertesche con piombatoi a uno o più ordini, dapprima di legname (sec. XII-XIII), poi di muratura (sec. XIV-XV). Di più si praticarono caditoie nelle vòlte di copertura degli androni per colpire dall'alto il nemico che, forzata la prima, si disponeva ad assalire le porte successive, ostacolato nel suo avanzare lungo il ristretto passaggio a risvolta, oltre che dal tiro di numerose feritoie sul fronte, ai fianchi e alle spalle, anche da botole o da piani mobili che interrompevano a più riprese il pavimento.
Alle alte torri sovrapposte alle porte, delle quali restano molti esempî nelle cinte comunali di città italiane, generalmente a pianta quadrata, come a Como e a Viterbo, talora rotonda, si andarono sostituendo nel sec. XIV torri robuste e tozze (come la Porta S. Frediano di Firenze), che preludono al sistema di sormontare le porte con mastî di grande mole e imponenza. (Tra i molti esempî di porte aperte attraverso torri, comuni specialmente in Austria, in Germania, in Svizzera e nei paesi del Nord fino agli ultimi tempi dell'età moderna, sono da ricordare l'Eschenheimerthor di Francoforte sul Meno, rotonda, il Severinsthor e la Rheinpforte di Colonia, il Rheinthor a Linz, la porta meridionale di Marienburg, ecc.
Altro sistema che si usò in seguito è quello delle torri-porte a sopralzi con più ordini di coronamento, come nella torre del Filarete a Milano, in quella di Vigevano e nell'altra di Cusago, e del recinto di Tolentino. Fuori d' Italia un bell'esempio si ha nell'Unglingerthor a Stendal in Prussia.
In varie rocche del sec. XV si praticò la porta al piede di una torre o avancorpo fiancheggiato e dominato dappresso da una o due torri più forti: caratteristica la rocca malatestiana di Rimini.
Alla chiusura delle porte si provvedeva con battenti, con saracinesche, con rastrelli, e, meno spesso, con imposte a bilico. I battenti, generalmente di grosse tavole con fasciature o rivestimenti di ferro, giravano su perni infissi dentro anelli o incavi di pietra. Gangheri di ferro, di cui uno centrale rovescio per impedirne lo scardinamento, sostituirono in seguito, nell'età moderna, gli anelli in pietra. Travi di legno o stanghe incassate con le testate nei muri laterali assicuravano, oltre a serrature e catenacci, i battenti chiusi. La saracinesca, cadendo dall'alto dentro apposite scanalature, presentava il vantaggio d'interrompere istantaneamente l'accesso. Era perciò disposta esternamente come prima chiusura per dare tempo di asserragliare la porta. Il rastrello è chiusura fatta a stecconi distanti l'uno dall'altro onde permettere, come la saracinesca a grata, di colpire il nemico attraverso aperture. Allo stesso intento, si usarono anche i cancelli di ferro. La chiusura a bilico poi, girante dal basso in alto e viceversa su perno orizzontale, si usò specie in Francia nei secoli XII-XIV.
Notevole importanza tra i particolari difensivi delle porte, ebbe dal sec. XIII in poi il ponte levatoio (v. ponte), che, sollevato, interrompeva la strada e provvedeva insieme alla chiusura della porta stessa.
Allo scopo poi d'impedire le sorprese, e ancor più per sventare possibili tradimenti della guarnigione, assai frequenti in quei tempi, oltre che a raddoppiare gli anditi d'accesso, si ebbe cura di tenere ben distinti e separati i varî congegni di chiusura, in modo che le persone addette alla manovra, disposte in ambienti e piani differenti, non potessero accordarsi tra loro e agissero costantemente sotto il controllo del comandante.
Tali precauzioni che già si riscontrano in castelli francesi del sec. XII e che si andarono propagando nei secoli seguenti, vennero consigliate come essenziali, nella costruzione delle rocche e fortezze, dai trattatisti del sec. XV e messe in pratica nelle opere di questo secolo e del successivo. Eguale misura si adottò anche per le città, facendo in modo che una delle porte rimanesse immediatamente soggetta alla rocca o ridotto dove risiedeva il comando della difesa.
Nelle città e castelli, dove per necessità di transito era indispensabile una grande porta carrabile, accanto a essa se ne apriva una minore detta "portella" o "postierla" della larghezza di circa m. o,80 per m. 1,90 di altezza, che veniva usata quando la maggiore doveva, per precauzione, restare chiusa. Era anch'essa preceduta da ponte levatoio e chiusa, di solito, da un solo battente.
Di piccole porte, spesso di dimensioni anche minori (talune solo di m. 0,45 × 1,50), erano spesso provvisti i fianchi delle torri e dei rivellini, per permettere le sortite lungo il piede delle cortine e nei fossati; ed erano situate alte dalla campagna, praticabili con scale a pioli. Eguali caratteristiche avevano le "porte o postierle di soccorso" destinate a introdurre rifornimenti e armati nella piazza in caso d'assedio o di pericolo. In queste postierle, nella cura d'occultarne gli accessi e d'assicurarle contro ogni violenza o insidia esterna e interna, si manifesta tutta l'astuzia e la diffidenza propria dell'epoca, come ci offre uno dei più notevoli esempî, in Francia, il castello di Pierrefonds.
Anche nelle torri isolate, nelle torri maestre e nei ridotti, la porta era aperta nei piani superiori, talora molto elevata dal terreno, con accesso esterno per scala mobile o per ponte volante dalle vicine cortine o da apposita rampa, sotto l'azione difensiva di feritoie e piombatoi che su di essa convergeva. Del primo sistema, che è il più antico, restano tracce in quasi tutte le torri con fori o canali esterni per travi, o con modiglioni in pietra sotto la soglia della porta, destinati a reggere un ripiano di legname chiuso a casotto per copertura della porta e per sostegno della scala che a esso faceva capo. Il secondo noto nei secoli XIII e XIV, divenne il sistema usuale d'accesso nei mastî o ridotti dei secoli XV e XVI.
Dalla seconda metà del sec. XV, con le opere di transizione e con quelle di nuova maniera, grande sviluppo venne dato alla fortificazione esteriore delle porte principali delle piazzeforti. L'elemento che la compendia è il rivellino, del quale, sulle tracce di Vegezio, trattano i più antichi scrittori d'arte militare come Egidio Colonna e Christine de Pizan. Per esso stabilirono le norme gli architetti del sec. XV dal Filarete a Francesco di Giorgio Martini, come ne fissarono l'impiego nelle loro opere magistrali, Baccio Pontelli a Ostia, A. da Sangallo a Civita Castellana e i loro continuatori nelle forme moderne di fortificazione.
Con questi grandi architetti, le porte di città e fortezze, pur conservando la sobria severità richiesta dal loro carattere militare, si abbellirono di riquadrature e cornici di pietra e di altre decorazioni architettoniche con stemmi e targhe.
Alla decorazione delle porte di castelli e fortilizî importanti, si era provveduto già nei secoli anteriori, come ci attestano Castel del Monte e, sebbene di solito più modestamente, varî altri castelli dell'Italia meridionale. In altre regioni, come nell'Italia settentrionale e a nord delle Alpi, prevalsero le decorazioni pittoriche sulle facciate delle porte.
Con i santi protettori e con gli stemmi dei signori, s'univano talora, in scultura o pittura, figure di eroi o rappresentazioni di tradizioni locali, come quella frequente dell'uomo selvaggio che con la grande clava alzata stava a guardia dell'entrata. Alle figure si accompagnavano motti e leggende che poi nelle decorazioni di pietra in uso in Italia nei secoli XV e XVI, ricorrevano incise sull'architrave o sugli stipiti, con sentenze incitanti alla vigilanza della porta, o rivolte alla lealtà dell'ospite o a diminuire la baldanza nemica.
Ed è naturale che questa parte della costruzione che, per essere destinata al transito, si presentava per prima allo sguardo, non dovesse rimanere trascurata con il rifiorire delle arti; ma che, a seconda dei paesi e del gusto dei tempi, venisse più o meno ornata e abbellita anche in relazione con la destinazione dell'edificio, se per rude fortezza, o per fastosa entrata di città o di ricca dimora signorile.
Nel sec. XVI hanno speciale importanza architettonica e imponenza le porte costruite dal Sanmicheli a Verona, a Venezia e in molti luoghi della repubblica veneta. Opere che trovano degno riscontro per merito di Antonio da Sangallo, nell'incompiuta Porta di S. Spirito in Roma.
Successivamente nei secoli XVII e XVIII le porte di città, pur conservando il loro ufficio difensivo di completamento del recinto fortificato, vanno assumendo carattere eminentemente decorativo e monumentale, spesso protette perciò esteriormente da vaste opere sussidiarie di fortificazione. Al contrario nelle piazzeforti e fortezze, le porte, al riparo di bastioni e terrapieni, tendono ad avere sempre minore importanza artistica fino a quelle delle più recenti fortezze, che semplici e incassate nel terreno si studiano di rimanere nascoste il più possibile all'osservazione e all'offesa nemica.
I battenti delle porte.
Arte antica. - Le porte egizie, che nei grandi templi costituivano quel grande complesso architettonico designato col nome di pilone (v.), avevano battenti di legno di sicomoro ruotanti su un bilico, o di bronzo. Le porte delle case e delle tombe erano di legno a uno o due battenti, che in generale non giungevano fino a terra, ma lasciavano al di sopra della soglia un piccolo spazio vuoto; esse erano fermate internamente con una o due spranghe di legno. Le porte dei palazzi assiri ci appaiono in generale molto ampie, ciò che si spiega facilmente pensando che esse non servivano solo al passaggio, ma anche spesso all'illuminazione come all'aerazione degli ambienti. Esse erano di solito riccamente decorate nei varî loro elementi: architrave, soglia, battenti. I primi erano generalmente di pietra, ma talvolta anche di bronzo, gli altri di legno, rivestiti di bronzo: tale rivestimento, fatto da principio a semplice scopo di protezione e di rafforzamento, prese poi carattere decorativo: notevoli sono le fasce di bronzo ornate di rilievi e portanti il nome del re Salmanassar III, scoperte a Balawāt. I battenti giravano su un perno di legno rivestito da una specie di cappuccio di bronzo, il quale s'innestava in alto e in basso in un cavo praticato in un piccolo dado di pietra dura e levigata. Poiché si ritrovano anche soglie prive di qualsiasi foro o intaglio per il perno dei battenti, è da credere che alcune porte fossero chiuse solo da tende o stuoie.
Nei palazzi di Creta e di Tirinto abbiamo i più antichi esempî di porte del mondo greco: ai dati archeologici fanno riscontro le testimonianze del testo omerico, per cui, lasciando da parte quanto può essere frutto d'invenzione poetica, quale la descrizione delle porte del palazzo di Alcinoo, in oro, argento e rame, possiamo dire che queste porte, in generale di forma trapezoidale, e cioè rastremate in alto, avevano soglia e stipiti di legno o di pietra, battenti di legno formati da assi tenute insieme da traverse: le teste dei chiodi che fermavano queste alle assi, ne costituirono una prima decorazione, cui si aggiungeva talvolta quella dipinta sulle assi stesse. I battenti giravano su un cardine infisso in un foro praticato nella soglia, ed erano fermati internamente con una o due spranghe trasversali infisse in fori aperti negli stipiti. Non era raro il caso che la porta della casa fosse preceduta da una specie di protiro sostenuto da colonne, o protetta da una piccola tettoia, soprattutto per costituire avanti alla porta una piccola zona di rispetto, specie quando i battenti si aprivano all'esterno.
La decorazione delle file di chiodi sulle traverse continua anche nei secoli seguenti, come rileviamo dalle rappresentazioni figurate; a essa si aggiungono il batocchio in forma di anello o di palmetta, il foro della serratura, anch'esso talvolta decorato con ricercatezza, la linguetta di cuoio che serviva per richiudere la porta, tirandola e azionando mediante essa un meccanismo interno. Con il sec. IV s'introduce l'uso di lasciare, nella parte superiore dei hattenti, aperture, a guisa di finestre.
Le porte delle tombe avevano sostanzialmente la stessa disposizione delle porte delle case, ma erano di solito di bronzo o di pietra; su questa si riportava la stessa decorazione dei battenti di legno, quando addirittura tutta la porta non era lavorata in maniera da imitare una porta di legno, come nelle tombe rupestri della Licia. Più riccamente decorate erano le porte dei templi; al legno, intarsiato con specie diverse, dipinto e ravvivato da elementi di metallo, si sostituiva talvolta il bronzo.
La stessa decorazione di traverse orlate di chiodi metallici doveva riscontrarsi sulle porte più ricche degli edifici etruschi, a giudicare da quelle che vediamo rappresentate in pitture funerarie: particolare elemento della porta etrusca, di forma sempre accentuatamente trapezoidale, era l'incorniciatura dell'architrave e degli stipiti mediante una fascia sagomata, leggermente aggettante; tale fascia, ai lati dell'architrave, si ripiegava in basso a formare come due orecchiette. Le porte delle tombe erano chiuse di solito molto semplicemente con una o più pietre rozze sovrapposte.
In ambiente romano si hanno nelle case porte a uno o due battenti di legno, ma anche, in alcune botteghe di Pompei o di Ostia, porte formate da più tavole, scorrenti in incassi longitudinali praticati nella soglia e nell'architrave, l'una dietro l'altra; l'ultima aveva il cardine su cui girava ed era il battente vero e proprio: le assi si fermavano con una lunga spranga orizzontale. Più ricche erano naturalmente le porte dei sepolcrí, e specie quelle dei templi, quali vediamo sia in quelle superstiti, sia nelle riproduzioni figurate: in esse ricorrevano i consueti motivi decorativi. Conservate ci sono a Roma le porte della Curia dioclezianea, di bronzo, portate da Alessandro VII alla Basilica Lateranense, e quelle del piccolo tempio detto di Romolo, figlio di Massenzio, al Foro Romano, che mostrano un interessante dispositivo per la chiusura. Conservati pure ci sono varî esemplari di batocchi, ornati di protomi di leone, di Medusa o con altri motivi. Le porte dei bagni e delle latrine erano fatte in modo da richiudersi da sé. Dai poeti abbiamo ricordo di porte ornate di rilievi di materiali rari e preziosi.
Arte medievale e m0derna. - Dei due principali gruppi di porte (lavorate di legno e di bronzo) più esiguo è naturalmente il numero di quelle lignee, maggiormente esposte all'azione deleteria del tempo e all'incuria degli uomini. La più antica porta lignea che si conservi in Occidente è quella maggiore della Basilica ambrosiana di Milano, del sec. IV, coperta di ornati a foglie di elica, con 10 rilievi illustranti fatti della vita di David, profondamente incavati nel legno e incorniciati da fogliami e palmette. Un'iscrizione avverte che la porta, danneggiata dalla devozione dei pellegrini, fu restaurata nel 1750. Da quel poco che rimane di genuino traspare, specie nei panneggi e negli atteggiamenti, vivissimo lo spirito classico, con frequenti richiami ai sarcofagi coevi.
Leggermente posteriori - del sec. V - sono le imposte di Santa Sabina a Roma, assai meglio conservate sebbene anch'esse non immuni da rifacimenti e restauri che alterarono la successione originaria dei bassorilievi rappresentanti storie dell'Antico e Nuovo Testamento e scolpiti da due artisti differenti: il primo usa un comporre arioso e pittorico, una tecnica sicura e precisa, forme e atteggiamenti eleganti; l'altro, più maldestro, affolla con figure corte e atticciate le composizioni sovrapposte, prive di unità prospettica. Entrambe le porte, di S. Ambrogio e di Santa Sabina, collegate da affinità reciproche nella disposizione generale dei rilievi e da particolari, quale la forte accentuazione delle cormici che inquadrano le scene, si ricongiungono alla tradizione ellenistico-orientale; e questo ci viene chiaramente confermato dalla porta lignea siriaca di Deir Mār-Elyān, pubblicata recentemente e assegnata al secolo VI, scompartita da riquadri in modo analogo a quanto si osserva nelle porte romana e milanese.
Mancano gli elementi necessarî per tracciare lo sviluppo della porta lignea istoriata dall'età paleocristiana all'epoca romanica, poiché nessuna si è conservata che si possa con qualche verosimiglianza assegnare al periodo che va dal sec. V all'XI. L'opera medievale più importante di questo genere è la porta della chiesa di Santa Maria in Campidoglio a Colonia, della prima metà del sec. XI, che reca, intagliate da due artefici, storie della vita di Cristo. Vi permangono reminiscenze superficiali di opere precedenti classicheggianti: la distribuzione dei rilievi rammenta la porta di S. Sabina, come pure l'inquadratura delle formelle. Le grosse borchie, di cui sono cosparsi i battenti, fanno pensare alle porte antiche del Laterano e il panneggiare delle vesti segue schemi bizantineggianti. Ma lo spirito, ingenuo e popolare, che pervade questi racconti, è ben lontano dalla tradizione classica. Ovunque è manifesto il gusto, schiettamente ottoniano-romanico, per le forme dense di plasticità compatta, animate da un intenso ritmo lineare.
Coeve alla porta di Colonia sono le imposte, frammentarie e corrose, della porta detta di S. Bertoldo, nel museo archeologico di Parma, con ornati piatti, ravvolgenti nelle loro volute figure di animali stilizzati, nei quali si mescolano elementi classici ad altri di derivazione orientale. Arieggiano forme musulmane, diffuse nella scultura romanica abruzzese, specie dei pergami, le imposte di S. Maria in Cellis, ora nel Municipio di Carsoli, datate 1132, con rilievi piatti relativi alla vita della Vergine e la porta del sec. XII della cattedrale di Puy con scene della vita di Cristo, anch'esse scolpite in rilievo bassissimo. Di carattere rustico e arcaizzante sono quelle già a S. Pietro d'Alba, ora presso la R. Sopraintendenza ai monumenti di Aquila. Nel 1214 Andrea Buvina intagliò con perizia non comune i battenti della porta del duomo di Spalato adornandoli con storie della vita di Cristo; nella ricca ornamentazione, nelle cornici robuste delle formelle, nello stile lineare dei rilievi compressi perdurano tenaci i ricordi classico-bizantini. Pure del principio del sec. XIII è la notevole porta lignea del duomo di Gurk, in Carinzia, con rilievi disposti entro tondi rappresentanti a destra scene dell'Antico e Nuovo Testamento, a sinistra soggetti di contenuto simbolico (simboli degli evangelisti; profeti e apostoli; colombe; angeli, ecc.). Tracce dell'originaria coloritura permettono di stabilire che i bassorilievi avevano una policromia vivacissima, che spiccava sul fondo rosso cupo.
L'uso d'intagliare porte di legno istoriate non scomparve mai del tutto, sebbene si facesse più raro in epoche più recenti (es.: porte nel palazzo dei Conservatori, a Roma, del sec. XVII); le porte non istoriate seguirono, nell'ornamentazione e spartizione dei battenti, le tendenze e gli stili delle varie epoche e sono spesso pregevolissime per lavori d'intarsio (Firenze, Palazzo Vecchio; Urbino, Palazzo Ducale) e d'intaglio.
La serie delle porte di bronzo presenta sin dalle origini fino a tempi recenti uno sviluppo più continuo e completo di forme e di monumenti. Provenivano senza dubbio da un edificio antico, al pari della porta ancora esistente del battistero lateranense, le due grandissime porte che Adriano I (772-795) fece trasportare da Perugia destinandole all'atrio di S. Pietro. Leone IV (847-85) fece ricoprire le porte di S. Pietro, private dai Saraceni nell'846 del loro rivestimento argenteo, di numerosi riquadri istoriati in argento, che possiamo fondatamente immaginarci disposti in modo analogo a quello dei rilievi delle porte lignee di S. Ambrogio (Milano) e di Santa Sabina (Roma). Di quest'epoca rimane a Costantinopoli la porta nel nartece di S. Sofia, fusa nell'838, con inquadrature di bronzo (alcune sono antiche) recanti ornati vegetali e geometrici stilizzati in rilievo e a tarsia. Costantinopoli era nel Medioevo un centro attivissimo di lavorazione di porte di bronzo, come attestano alcune porte nell'Italia meridionale, dovute alla munificenza di patrizî amalfitani e importate da Costantinopoli. In esse è abilmente combinata la tecnica del niello e della damaschinatura. Tali sono quella di Amalfi, fusa prima del 1066 da Simeone di Siria, con croci rapportate e le figure di Cristo, della Vergine e degli apostoli Pietro e Andrea incrostate d'argento; un'altra, simile (1087), della chiesa del Redentore ad Atrani; quella della chiesa di Monte Sant'Angelo (1076), con 24 scene dell'Antico e Nuovo Testamento a niello (mani e visi sono rifatti); la porta di Montecassino (1066), ampliata sotto l'abate Oderisio (1123-26), recante l'elenco dei possedimenti dell'abbazia; la porta di S. Paolo fuori le Mura a Roma (1070) - ora nel Museo, danneggiatissima dal fuoco - che era la più grandiosa di tutte queste porte bizantine, divisa in 54 riquadri contenenti storie della vita di Cristo e figure di profeti e apostoli sotto arcate. La porta della cattedrale di Salerno (1099), di cui sono donatori i coniugi salernitani Landolfo Butromile e Gisana Sebaston, ha raffigurazioni con la Fontana della Vita, Cristo, Maria, i santi Pietro, Paolo e Matteo con i donatori, e 46 scomparti adorni di croci rilevate. Provengono da officine bizantine anche le tre porte interne di S. Marco a Venezia: la centrale, dono di Leone da Molino (1112-38), e quella di destra con figure incrostate d'argento, quella di sinistra con croci e vasi in rilievo. E bizantine sono pure le due porte d'una cappella laterale della cattedrale di Santa Sofia a Novgorod, probabilmente trafugate nel 1187 da Sigtuna in Svezia; e la porta della cattedrale della Santa Trinità ad Aleksandrov, fatta fare dal vescovo Vasilij nel 1336 per la Lattedrale di Novgorod, donde proviene, con ageminature d'oro.
Con le porte bizantine, tecnicamente perfette, ma d'uno stile alquanto uniforme, è strettamente collegata una serie di porte lavorate in Italia durante il sec. XII, che si possono chiamare italo-bizantine per la mescolanza di forme bizantine con altre indigene, espresse, queste ultime, soprattutto nella decorazione più decisamente plastica e nelle figurazioni delle formelle quasi sempre a rilievo, raramente incise nella lastra bronzea, come nelle porte bizantine. A questo gruppo di porte italo-bizantine appartengono quelle del mausoleo di Boemondo a Canosa (morto nel 1111), di un Ruggiero probabilmente di Amalfi, che guardò anche ad opere musulmane; la porta principale (1109) della cattedrale di Troia e quella laterale (1127), di Oderisio da Benevento, entrambe ancora ligie alla tecnica bizantina nelle figure ageminate d'argento. Non del tutto affrancato dalla tradizione bizantina Barisano da Trani ornò con bassorilievi a stampo le porte delle cattedrali di Trani, di Ravello (1179) e di Monreale. Di modellato franco e sciolto, veramente romanico, sono le storie delle porte che Bonanno pisano fece per la cattedrale di Pisa (1180) e per il duomo di Monreale (1186); e vivace e drammatico procede il racconto delle storie di Cristo, a forte rilievo, nella porta della cattedrale di Benevento (prima metà del sec. XIII), dovuta ad un artefice meridionale non insensibile agl'insegnamenti che poté trarre dall'opera monrealese di Bonanno. Opera rozza di fonditori abruzzesi sono le porte di S. Clemente a Casauria, della fine del sec. XII, ornate di croci, di figure di abati e monaci, di rosoni e di castelli soggetti all'abbazia. Divise in scomparti di proporzioni classiche sono le porte del chiostro (1196) e dell'oratorio di S. Giovanni Evangelista (circa 1195) in S. Giovanni in Laterano. E penetrate di forme classiche sono anche le porte laterali, traforate a mo' di transenna, della facciata laterale di S. Marco, fuse dall'orafo veneto Bertucio nel 1300.
Anche Oltralpe la fusione di porte di bronzo era largamente diffusa nel Medioevo. Distrutta la porta di Saint-Denis in Francia, ascritta al monaco Eginardo, il biografo di Carlo Magno (ne abbiamo soltanto incisioni del Mabillon), dell'epoca carolingia rimangono ancora 4 porte del duomo di Aquisgrana, armoniosamente spartite da specchi lisci, incorniciati da inquadrature finemente decorate (i battenti della porta maggiore conservano ancora le maschere leonine originarie), alle quali è affine la porta del duomo di Magonza, fatta fondere dall'arcivescovo Willigis (975-1011). Ma il capolavoro della scultura medievale tedesca in bronzo è costituito dalla celebre porta del duomo di Hildesheim (circa 1108-1115; ogni battente è fuso in un solo pezzo), coperta di storie dell'Antico e Nuovo Testamento, d'un potere plastico eccezionale, che rivela un senso acutissimo dell'essenziale negli atteggiamenti rapidi e nelle espressioni vivaci. Rammenta invece le porte italo-bizantine (ad es. di Monreale, Ravello, Trani) per il rilievo piatto delle figurazioni, di complesso significato simbolico, la porta del duomo di Augusta, eseguita tra il 1006 e il 1065, mentre quella della cattedrale di Novgorod (1152-54), anch'essa ricca di rilievi e opera di artisti sassoni, ha la plasticità compatta e forte, simile ai rilievi di Hildesheim. Forse di origine boema è la porta del duomo di Gnezno (1102-1138), dai rilievi molto schiacciati. Con lo stile delle porte di Hildesheim e di Gnezno sono collegati i rilievi della porta di S. Zeno a Verona, scolpiti da due mani nel sec. XII, nei quali si è voluto recentemente negare a torto ogni influsso nordico.
In Spagna abbiamo del sec. XIV alcune porte, come quelle delle cattedrali di Toledo, Cordova e Siviglia, che hanno fissate su imposte lignee placche di bronzo recanti soltanto ornati geometrici, stemmi e iscrizioni.
Nei paesi d'Oltralpe l'impiego di porte istoriate, siano esse di legno o di bronzo, termina, si può dire, nel Trecento, salvo alcune eccezioni tarde e isolate (porte lignee del duomo di Costanza del 1470 quelle di Saint-Maclou a Rouen, terminate dopo il 1560 con richiami allo stile di Jean Goujon). Il programma iconografico, affidato nel Medioevo ai battenti istoriati delle porte delle chiese, illustrante la vittoria di Cristo sul diavolo, del bene sul male, vittoria che si ottiene non con la violenza, ma ascoltando la parola di Dio e contemplando la vita di Cristo, sembra completamente assorbito ed esaurirsi nella ricca decorazione scultorea dei portali gotici d'Oltralpe (ed è sintomatico, a questo riguardo, il fatto che in Francia, dove già nell'epoca romanica si predilesse in modo particolare, più che in qualunque altro paese, il tradurre complessi sistemi dottrinali in sculture che ornano stipiti e timpani dei portali, sono rarissime, di quel periodo, le porte istoriate). In Italia per contro, mentre la scultura non svolgeva che raramente all'esterno delle cattedrali quei grandi temi iconografici (Orvieto, campanile di Firenze), essa seguitò a istoriare le porte di bronzo rianimandone l'inveterata iconografia, e producendovi alcuni dei suoi maggiori capolavori. Dal Trecento fino al principio del Seicento una serie di porte bronzee dà modo di seguire passo per passo lo sviluppo del rilievo nella scultura italiana: la porta del battistero fiorentino di Andrea Pisano (1330), fusa nel 1332 da fonditori veneziani; due altre porte dello stesso battistero (1403-1424; 1425-1452), di cui la seconda, la più famosa di tutte, è detta del Paradiso, entrambe di L. Ghiberti; la porta, con apostoli e dottori contrapposti in appassionato colloquio, di Donatello nella sacristia di S. Lorenzo a Firenze; la porta della sacristia nuova nel duomo fiorentino, di Luca della Robbia, coadiuvato da Michelozzo e il Taso di Bartolomeo (1446-74); la porta del Filarete nella basilica vaticana (1433-45); la porta della sacristia di S. Marco a Venezia, con due grandi rilievi della Deposizione e della Resurrezione di Cristo, di Iacopo Sansovino, le porte della facciata del duomo pisano, di scolari del Giambologna (circa 1500); le tre porte di bronzo (1890-1610) della basilica di Loreto, di diversi scultori.
L'arte barocca, che diede alle facciate delle chiese una struttura mossa e dinamica, quasi confondendola con l'atmosfera per mezzo di membrature ricurve e statue gesticolanti, pose nauralmente termine alla lavorazione delle porte di bronzo istoriate, che richiedono un'osservazione attenta di particolari in contrasto con le linee e forme grandiose e sommarie, proprie del gusto barocco. Solo alla fine del sec. XIX si riprese un po' dappertutto la fusione in bronzo di porte istoriate, d'uno stile alquanto vuoto e magniloquente. Citiamo in Francia, a Parigi, quelle delle chiese della Madeleine e di San Vincenzo di Paola, delle facciate laterali del Panthéon, della Bibliothèque Nationale, e, in Italia, la porta del duomo di Milano di L. Pogliaghi, commessa nel 1894 e terminata nel 1908, e le tre porte del duomo fiorentino, due del Passagilia (1897 e 1903) una di G. Cassioli (1899). Tra le moderne va ricordata quella della basilica di S. Paolo a Roma, di A. Maraini (1928-30).
Oltre al legno e al bronzo, fu largamente impiegato, specie nel Medioevo, quale ornamento delle imposte lignee il ferro battuto, per cui v. ferro.
Nell'oriente musulmano e nell'Estremo Oriente le porte sono quasi sempre intagliate in legno, ricoperte generalmente di complicati e fitti motivi geometrici, con, a volte, guarnizioni metalliche.
V. tavv. CCXXI-CCXXXII. E v. anche infissi; serramento.
Bibl.: Oltre alle singole voci di città e artisti, ricordati nel testo, vedi per le porte medievali, che, sole, hanno avuto trattazioni speciali, A. Schnerich, Die Türflügel des Hauptportals am Dom zu Gurk, in Mitt. d. Zentralkom., n. s., XV (1889), p. 174 segg.; A. Goldschmidt, Die Kirchenthür d. hl. Ambrosius in Mailand, Strasburgo 1902; W. Schmitz, Die mittelalterlichen Metall- und Holztüren Deutschlands, Treviri 1905; T. L. Preston, The bronze doors of the abbey of Montecassino, and St. Paul, Princeton 1915; C. Angelillis, Le porte di bronzo bizantine, Arezzo 1924; R. Domm, Das Bronzetor des augsburger Doms, Augusta 1925; A. Goldschmidt, Die deutschen Bronzetüren d. frühen Mittelalters, Marburgo 1926; R. Hamann, Die Halztür d. Pfarrkirche zu St. Maria im Kapitol, ivi 1926; P. Toesca, Storia dell'arte ital., I, Il Medioevo, Torino 1927; Johann Georg Herzog zu Sachsen, Die Holztüre in Deir-Mar-Aelian in Syrien bei Karjaten, in Oriens Christianus, III-IV (1928-29), pp. 59-63; K. Ginhart e B. Grimschitz, Der Dom zu Gurk, Vienna 1930, pp. 54-57; A. Boeckler, Die Bronzetür von Verona, Marburgo 1931; A. Goldschmidt, Die Bronzetüren von Novgorod und Gnesen, ivi 1932; A. Fikry, L'art roman du Puy et les influences islamiques, Parigi 1934, pp. 172-84; L. Serra, La nuova porta in bronzo della basilica di S. Paolo in Roma, in Bollettino d'arte, nuova serie, XXV (1931-32), pagine 83-88.