ROCCHI, Pompeo
ROCCHI, Pompeo. – Nacque a Lucca nel 1547 da Cosimo e da Caterina di Filippo di Poggio. Fu battezzato nella basilica di S. Frediano il 4 aprile ed ebbe per compari il lucchese Pietro Carelli e due artigiani di origine forestiera. Ebbe due sorelle, Laura (che sposò il figlio del medico Tommaso Giusti il 15 agosto 1574) e Dionea (sposò Pompeo Trenta il 7 gennaio 1588), e due fratelli, Giuseppe (battezzato il 6 febbraio 1543, marito della figlia di Bernardino Lippi) e Cesare (che si trasferì a Palermo, dove ebbe due figli, Cosimo e Pompeo).
Come si ricava dal testamento del padre, di professione tintore, dettato nel 1582, la famiglia Rocchi abitava a Lucca nella contrada di Santa Maria Forisportam, ma possedeva anche un altro edificio in città (nei pressi dell’attuale via Busdraghi) e beni immobili, per un valore superiore ai seicento scudi, in alcuni comuni del Lucchese. Benché all’incirca duecento scudi fossero stati investiti sul Banco dei Buonvisi, la situazione economica della famiglia non era mai stata particolarmente florida, tanto che in punto di morte Cosimo Rocchi lasciò duecento scudi al figlio Pompeo per averlo aiutato in momenti di bisogno economico.
Poco sappiamo della sua formazione. Studiò humanae litterae a Lucca e quindi logica, retorica e filosofia nelle università di Pisa, Bologna e Padova, dove forse ebbe modo di assistere alle lezioni di Francesco Robortello. Nel 1569 ottenne il titolo di giureconsulto. Già l’anno prima, tuttavia, dette alle stampe la sua opera più nota, il dialogo Il gentilhuomo.
Stampato a Lucca, da Vincenzo Busdraghi, nel 1568, e dedicato ai fratelli lucchesi Giuseppe e Lorenzo Buonvisi, Il gentilhuomo doveva essere composto da due libri, ma soltanto uno vide poi la luce. Il testo è ambientato nello studium bolognese, dove Rocchi aveva trascorso gli anni della formazione, ed è impostato come un dialogo mimetico di taglio socratico, in cui il giovane studente Orazio, maschera dell’autore, spiega al collega Cesare «che cosa in verità sia questo che noi chiamiamo gentilhuomo, e di poi di che qualità ornato esser debba» (c. 6v). Introdotto come un approfondimento del tema solo cursoriamente trattato da Fausto da Longiano nell’incompiuto Il Gentil’huomo, stampato a Venezia nel 1542, il testo si presenta come un’analisi della vera «essenza» del gentiluomo, inteso aristotelicamente come colui «che ha havuto nella sua schiatta molti huomini eccellenti nelle cose desiderabili» (c. 12v). Il gentiluomo viene così a identificarsi, mediante il ricorso ad auctoritates classiche (Platone, Aristotele e Cicerone in particolare), ma anche volgari (Dante, Petrarca e Boccaccio fra gli altri), con quello che gli antichi romani chiamavano «patritio» (e non «senatore», come sottolinea Rocchi in polemica con Robortello), all’interno di una più complessiva interpretazione della «nobiltà civile», terza nella tripartizione proposta da Bartolo da Sassoferrato dopo nobiltà teologale e naturale (c. 18v). Il discorso di Rocchi si estende però ben oltre l’argomento principale dell’opera, toccando temi come la ricchezza e la mercatura, il duello e la virtù, il rapporto tra nobiltà ed esercizio del potere, le donne, l’educazione e le arti liberali. Cesare Lucchesini, riproducendo un’annotazione di Nicola Francesco Haym, suppose che il testo fosse stato originariamente composto in latino e solo successivamente volgarizzato dal lucchese Nicolao Granucci.
Subito dopo la pubblicazione del Gentilhuomo, probabilmente anche grazie alla protezione accordatagli dai fratelli Giuseppe e Lorenzo Buonvisi, dedicatari del dialogo, Rocchi iniziò la carriera ecclesiastica nella curia romana, prima come protonotario apostolico, e quindi come vicario del vescovo di Mariana, in Corsica. Di ritorno a Lucca nel 1574, affidò al maestro Pasquino Minucciani le cure della sua seconda e ultima opera a stampa: i due libri De insignibus familiarum, pubblicati nel 1576.
Uscito a stampa presso il medesimo editore del dialogo Il gentilhuomo con dedica al cardinale Filippo Boncompagni, nipote di papa Gregorio XIII, il De insignibus familiarum è un trattato di diritto civile che integra le indicazioni di Bartolo da Sassoferrato in materia di simboli e imprese familiari, con frequenti riferimenti al tema della nobiltà, tema peraltro già ampiamente affrontato nel precedente dialogo. Il testo, ricordato da Scipione Bargagli nel trattato Dell’imprese come «un molto nobil trattato» (1594, p. 172) e frequentemente citato da Gilles-André de La Roque nel suo Traité de la noblesse, è organizzato in due libri, di rispettivamente 28 e 15 capitoli, ed è preceduto da alcuni distici dell’editore e da un epigramma in greco dell’erudito Girolamo Catena, ulteriore conferma dei rapporti diretti fra Rocchi e la curia romana.
Dopo aver fatto ritorno in Corsica, nel 1577 fu inviato in Francia come luogotenente di Domenico Grimaldi, al tempo rettore del Contado Venassino; il 10 gennaio 1581 fu quindi nominato suo coadiutore e il 20 febbraio 1584, quando Grimaldi fu eletto vescovo di Cavaillon e vicelegato di Avignone, Rocchi divenne rettore del Contado. In questa veste perseguì fin da subito un programma di rigida applicazione delle ordinanze papali, tanto da attirare gli strali di alcuni critici che il giorno di Natale del 1584 affissero a Carpentras testi polemici contro il nuovo rettore; una commissione apposita venne costituita per cercare i colpevoli del gesto. In quegli anni Rocchi provvide inoltre alla raccolta di tutte le ordinanze, leggi e regolamenti relativi al Contado Venassino, poi suddivisi in quattro libri di Ordinationum Apostolicarum Comitatus Venaissini ad sacrosanctam Romanam Ecclesiam pleno jure spectantis. Per l’impegno profuso in tale occasione fu deliberata una donazione di ottanta scudi in suo favore, e il suo nome fu incluso in numerosi trattati relativi al diritto nel Contado Venassino pubblicati nel corso del XVII secolo.
Alla morte di Grimaldi, Rocchi fu nominato da Innocenzo IX vescovo di Cavaillon, diocesi nella quale si trasferì definitivamente il 7 febbraio 1586 e in cui rimase fino alla morte. Qui fu raggiunto anche dal fratello Giuseppe, che continuò ad avere rapporti sia con la diocesi di Cavaillon sia con quella di Avignone anche dopo la morte di Pompeo. Il 14 luglio 1590, come già Grimaldi, il vescovo rinunciò alla carica di rettore del Contado Venassino. Tra le iniziative portate avanti negli anni del suo episcopato ci fu anche il restauro, ingrandimento e abbellimento della cappella di Saint Jacques sull’omonima collina di Cavaillon.
Morì nella villa episcopale di Cavaillon alla fine del 1591.
Una lapide in sua memoria venne posta dal successore nella cattedrale della cittadina francese nel 1601; l’epigrafe recitava: «Pompeio Rochio Lucensi, / Episcopo Cavallicensi, / Hieronymus Centelles Romanus, / nec singularis integritatis / ac prudentiae viri memoria / in obscuris jaceret, praedecessori suo / posuit / Anno Domini MDCI».
Fonti e Bibl.: L’atto di battesimo di Pompeo Rocchi si conserva presso l’Archivio parrocchiale di San Frediano a Lucca, Battesimi, 11, c. 41r; il testamento del padre Cosimo presso l’Archivio di Stato di Lucca, Archivio Notarile. Testamenti, 124 (Ser Benedino Benedini, 18 novembre 1582), ff. 125-127. La raccolta di Ordinationum Apostolicarum Comitatus Venaissini ad sacrosanctam Romanam Ecclesiam pleno jure spectantis si conserva nel manoscritto Tissot 1723 della Bibliothèque Inguimbertine de Carpentras, ff. 103-179 (cfr. Catalogue général des manuscrits des bibliothèques publiques de France. Séries des Départements, Tome XXXV, Carpentras, II, Paris 1899, p. 8). Del solo Gentilhuomo è disponibile un’edizione moderna commentata, a cura di R. Sabbatini, Lucca 1995.
Biblioteca statale di Lucca, 1130: G.V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi, cc. 217 s.; S. Bargagli, Dell’imprese […] dove, doppo tutte l’opere così scritte a penna, come stampate, della vera natura di quelle si ragiona, Venetia, appresso Francesco de’ Franceschi, 1594, p. 172; Decisiones Rotae Sacri Palatii Apostolici Avenionis, Lugduni 1600, p. 245; V. Carocci - M. D’Amato, Decisionum libri II, nunc primum in Germania variegatis characteribus mendisque sublatis, in gratiam studiosorum excusi, Francofurti 1664; G.-A. de La Roque de La Lontière, Traité de la noblesse, des ses différentes espèces, de son origine, du gentilhomme de nom et d’armes, Paris 1678, pp. 49, 220, 226, 237, 298, 339, 403; A. Paradisi, Ateneo dell’uomo nobile, Venezia 1704-1713, t. I, pp. 8, 23, 38, 126, 326-327, 369; Gallia Christiana in provincias ecclesiasticas distributa, qua series et historia archiepiscoporum, episcoporum et abbatum Franciae vicinarumque ditionum ab origine ecclesiarum ad nostra tempora deducitur et probatur ex authenticis instrumentis ad calcem appositis, Parisiis 1715-1785, I, col. 956; N.F. Haym, Biblioteca italiana, o sia Notizia de’ libri rari nella lingua italiana, Venezia 1728, p. 14; C. Cottier, Notes historiques concernant les recteurs du ci-devant Comté-Venaissin, Carpentras 1806, pp. 224-228; C. Lucchesini, Della storia del ducato lucchese, Lucca 1825, p. 265; Id., Opere edite e inedite, Lucca 1832-1834, t. XVII, pp. 158, 180; J.-F. André, Histoire du gouvernement des recteurs pontificaux dans le Comtat-Venaissin, Carpentras 1847, pp. 148 s.; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii aevi, sive summorum pontificum, S.R.E. cardinalium, ecclesiarum antistitum series e documentis tabularii praesertim Vaticani collecta, digesta, edita, Regensburg 1913-1923, III, p. 161; P.B. Gams, Series Episcoporum Ecclesiae Catholicae, Graz 1957, p. 532; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1962, p. 270; C. Donati, L’idea di nobiltà in Italia, secoli XIV-XVIII, Roma-Bari 1988, pp. 127, 147; R. Sabbatini, Per la storia di Lucca in età moderna, Lucca 2005, pp. 55-82; I. Melani, Di qua e di là da’ monti. Sguardi italiani sulla Francia e sui francesi tra XV e XVI secolo, Firenze 2011, p. 188.