COLONNA, Pompeo
Nacque da Camillo di Marcello e da Vittoria Colonna in data imprecisabile. Sposò Orinzia Colonna e nel 1554 fu riconosciuto colpevole di averne fatto uccidere la madre, Livia.
Tutti i testimoni narrarono che la sera del 25 gennaio la donna giaceva in letto lievemente ammalata, nel palazzo Colonna ai SS. Apostoli, quando le fu annunciata la visita del Colonna. Fatto passare, egli si scoprì il capo, baciò la mano alla suocera e quindi fece cenno a due sicari, che si gettarono su di lei e l'uccisero. Non è chiaro se furono motivi di interesse ad armare la mano del C., sposato da appena quattro mesi, contro la suocera, alla quale era debitore di 4.000 ducati, o motivi d'onore, generati da un comportamento della donna da lui ritenuto lesivo della sua onorabilità.
Il 16 marzo fu emessa contro il C. la sentenza che lo condannava a morte, lo scomunicava e gli imponeva una multa di 10.000 ducati. Tuttavia la condanna non fu eseguita e il C. nello stesso anno poteva partecipare con il padre e il parente Marcantonio Colonna alla guerra di Siena. Successivamente continuò a militare dalla parte imperiale contro Paolo IV nella guerra che si concluse nel 1557 con la pace di Cave.
Quando, il 26 dic. 1559, fu eletto papa Pio IV, il C. gli fece chiedere la grazia dal cardinale Guido Ascanio Sforza, ma il nuovo pontefice rispose negativamente, sostenendo di non volere iniziare il suo pontificato con l'assoluzione di un matricida. Negli anni seguenti, su cui non si hanno notizie, il C. dovette conquistarsi il favore del papa, se nel 1565, quando i Turchi iniziarono l'attacco contro Malta, Pio IV gli affidò il comando di seicento uomini e lo inviò in soccorso dei cavalieri. Tre anni prima la madre aveva donato a lui e ai fratelli Prospero e Marcantonio lo, Stato di Zagarolo e di Colonna.
Anche il nuovo pontefice, Pio V, dimostrò che le colpe del C. erano ormai dimenticate, ponendolo al comando, nel febbraio del 1566, insieme con Ascanio della Cornia, di tremila soldati destinati a Malta. La spedizione tuttavia non ebbe luogo e il C. offrì per tutto quell'anno e in quelli successivi i suoi servigi all'imperatore prima e poi a Filippo II. Nel 1569, con una bolla del 17 giugno, Pio V erigeva Zagarolo a ducato in suo favore.
Nel 1570 fu nominato luogotenente generale della spedizione inviata dal papa in Levante agli ordini di Marcantonio Colonna. In questa veste partecipò alla campagna che ebbe inizio nell'agosto a Otranto, si sviluppò nel Levante e finì nel novembre con il ritorno di poche galere pontificie ad Ancona. Prima che si concludesse la spedizione, Marcantonio inviò il C. dal pontefice.
Egli doveva ragguagliare Pio V sull'insoddisfacente svolgimento dell'impresa e sul comportamento di Gianandrea Doria, comandante delle galere spagnole, che, secondo il parere dei Pontifici e dei Veneziani, era stato pregiudizievole alla campagna. Il papa lo accolse con benevolenza, contrariamente a quanto fece con Marcello Doria, inviato da Gianandrea, e mostrò di aderire alla sua tesi riguardo al comandante spagnuolo.
Il pontefice decise poi di inviare il C. presso Filippo II in Spagna. Secondo le istruzioni del 31 ott. 1570, il C. doveva denunciare al re il comportamento del Doria, sollecitarlo ad addivenire alla conclusione della lega e indurlo a invitare l'imperatore a entrare nella lega stessa.
Filippo Il dette a queste richieste risposte di cortesia, dicendosi pronto a intervenire presso l'imperatore una volta che la lega fosse conclusa e affermando che da allora in avanti i suoi dipendenti avrebbero operato in modo che il papa fosse soddisfatto. L'ambasceria si protrasse almeno fino al dicembre.
Nel 1571, conclusa la lega, il C. partecipò alla nuova campagna in Levante al comando di don Giovanni d'Austria, ancora come luogotenente di Marcantonio, generale della squadra pontificia; al comando della capitana, prese parte il 7 ottobre alla battaglia di Lepanto. Nel dicembre partecipò al trionfo tributato a Roma al parente Marcantonio. Prese parte anche alla campagna del 1572, che ebbe risultati non confortanti, e quando Marcantonio, che aveva guidato le squadre pontificia e veneziana in assenza di don Giovanni, ricongiuntosi a questo nel settembre, offrì al comandante generale le sue dimissioni, propose di cedere il posto al Colonna.
Tale offerta era fatta solo perché fosse respinta: la figura del C. risulta infatti irrilevante fra quelle dei protagonisti. Egli dovette subire anche una ritorsione per la discordia fra i due generali; don Giovanni infatti, al solo scopo di contrastare Marcantonio Colonna, non volle il C. al consiglio generale del 6 settembre. Tuttavia, conclusa la campagna, il principe spagnolo lo definì in una lettera al sovrano "hombre que save servir".
Il C. aveva ormai legato le sue sorti a quelle di Marcantonio e nel 1577, quando quest'ultimo divenne viceré di Sicilia, lo seguì nell'isola e ne divenne una specie di vicario generale. Nel Parlamento del 1579 gli fu concessa la cittadinanza siciliana. Straticò di Messina dal febbraio 1581, nell'estate fu inviato a Malta per sedare la rivolta dei cavalieri contro il gran maestro.
In quest'epoca fu coinvolto pesantemente nelle vicende private di Marcantonio. Il 21 agosto scriveva infatti al viceré che era stato trovato nelle strade di La Valletta il corpo senza vita di Galcerano Corbera, marito della presunta amante di Marcantonio. Quest'ultimo fu accusato dalla voce popolare di essere il mandante dell'assassinio; il C. ne sarebbe stato l'organizzatore. Mai provata quest'accusa, contro il C. furono tuttavia intentati dal visitatore Gregorio Bravo ben cinque processi, riguardanti il suo operato quando era stato vicario del viceré, che però non furono conclusi, essendo sopravvenuta la sua morte.
Morì nel 1583, mentre, infermo, si faceva trasportare via mare da Catania a Messina.
Nel 1580 il C., che aveva avuto quattro figli, Camillo, Marzio, Camilla e Laura, aveva fondato con la moglie Orinzia, sopravvissutagli fino al 1594, e con il fratello Marcantonio, la chiesa dell'Annunziata a Zagarolo.
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