POMPA DI CALORE
Si chiama p. di c. una macchina in grado di prelevare energia termica da un ambiente a bassa temperatura e cederla, a temperatura più alta, a un altro ambiente. Il termine nasce dall'analogia con la pompa idraulica, che serve normalmente a sollevare una massa d'acqua da una quota geometrica più bassa a una quota geometrica più elevata. È immediato osservare che la p. di c. compie la stessa attività di una macchina frigorifera, da cui si differenzia soltanto perché in essa l'azione utile è la cessione di calore a un ambiente a temperatura elevata, mentre nella macchina frigorifera l'azione utile è la sottrazione di calore a bassa temperatura. La conseguenza di quanto detto è che, almeno da un punto di vista teorico, ogni macchina frigorifera può funzionare come p. di c.; in realtà, perché questo si verifichi, bisogna superare alcune difficoltà che consistono essenzialmente nella necessità di modificare le temperature di funzionamento e nell'esigenza d'invertire, a seconda delle situazioni, gli scambiatori termici della macchina.
La p. di c., come del resto la macchina frigorifera, nel compiere il trasferimento di calore da un ambiente a bassa temperatura a un ambiente a temperatura più alta obbedisce al secondo principio della termodinamica: secondo l'enunciato di Clausius infatti il processo non può avvenire spontaneamente, ma richiede, perché si verifichi, un opportuno "fenomeno di compenso", cioè un onere che bisogna fornire dall'esterno in termini di energia. È proprio in relazione al diverso tipo di energia ceduta al sistema che si può fare una prima suddivisione delle p. di c.: meccaniche, a compressione di vapore; termiche, ad assorbimento; termoelettriche, a effetto Peltier.
Il parametro che caratterizza il comportamento di una p. di c. è il COP (coefficiente di prestazione), che è dato dal rapporto fra la quantità di calore disponibile ad alta temperatura (Q1) e l'energia che dev'essere fornita dall'esterno al sistema (L). Sono di seguito riportate le espressioni del COP per le tre categorie di p. di c. di cui sopra; viene inoltre indicata la corrispondente espressione dell'effetto utile refrigerante (σ), concettualmente identica al COP, che tiene però conto della quantità di calore (Q2) sottratta a bassa temperatura.
Per le p. di c. meccaniche:
ove Q1 è la quantità di calore fornita dal condensatore all'ambiente ed L è l'energia meccanica fornita al sistema nel compressore.
Per le p. di c. termiche:
ove Q1 è la somma dei calori ceduti dall'assorbitore (Qa) e dal condensatore (Qc) all'ambiente; Qg è la quantità di calore fornita dall'esterno al sistema; L è energia meccanica (generalmente trascurabile rispetto a Q1) fornita al sistema per far lavorare eventuali pompe presenti nella macchina; Qe è la quantità di calore sottratta dall'evaporatore all'ambiente.
Per le p. di c. termoelettriche:
ove Q1 è il calore fornito dal giunto caldo all'ambiente; Q2 è il calore sottratto dal giunto freddo all'ambiente; W è l'energia elettrica fornita al circuito.
Pompe di calore meccaniche. − La storia delle p. di c. a compressione inizia, in pratica, insieme a quella delle analoghe macchine frigorifere, il cui primo prototipo, realmente funzionante, fu realizzato da J. Perkins nel 1834. Il primo scienziato a parlare specificatamente di p. di c. meccaniche fu in realtà W. Thomson, più noto come Lord Kelvin, che già nel 1852 scriveva della possibilità di utilizzare, appunto, il ciclo di una macchina frigorifera per produrre calore. Le prime realizzazioni di p. di c. meccaniche commerciali risalgono al periodo compreso fra la prima e la seconda guerra mondiale. J.G.N. Haldane descrisse (1930) una macchina di piccole dimensioni, costruita nel 1928 per produrre acqua calda sanitaria e riscaldamento in un ambiente domestico. A Zurigo, nel 1938 e 1939, furono invece realizzate e installate le prime due p. di c. di elevata potenza, rispettivamente in grado di produrre 175 kW termici utilizzando acqua di fiume come sorgente calda e 58 kW termici utilizzando invece aria esterna. Successivamente, fino al 1955, ci fu un forte sviluppo commerciale di queste macchine che trovarono molte applicazioni anche nel settore industriale e militare. Tra il 1955 e il 1973, soprattutto per questioni di costi, si bloccò quasi completamente la vendita delle p. di c., mentre dal 1973 al 1990 si è avuto un nuovo sviluppo del settore con una generazione di macchine per la cui realizzazione è stato possibile sfruttare gli enormi progressi fatti dall'elettronica, così da renderle più affidabili e più economiche di quelle prodotte precedentemente. Negli ultimissimi anni, però, la conferma scientifica dei problemi d'inquinamento causati sull'ozonosfera da alcuni fluidi frigorigeni, i clorofluorocarburi (CFC), ha determinato un certo rallentamento all'espansione commerciale di queste macchine (v. oltre).
Il principio di funzionamento di una p. di c. parte dal ciclo teorico di Carnot percorso in senso inverso, come riportato sul piano temperatura-entropia, nella fig. 1; in pratica il sistema termodinamico costituito da liquido e vapore assorbe calore a bassa temperatura (Q2) nell'evaporatore compiendo la trasformazione isoterma BC, e diviene quasi completamente vapore. Successivamente viene immesso in un compressore che ne eleva pressione e temperatura, realizzando la trasformazione adiabatica CD in cambio di lavoro meccanico fornito dall'esterno. A questo punto il vapore viene mandato nel condensatore dove cede all'esterno la quantità di calore Q1, a temperatura elevata, compiendo la trasformazione isoterma DA. Il ciclo si conclude recuperando un lavoro di espansione, peraltro piccolissimo, lungo la trasformazione adiabatica AB. Questo, pur essendo il ciclo di massimo effetto utile fra due temperature stabilite, non può essere tuttavia concretamente realizzato, per tutta una serie di difficoltà pratiche. In particolare la trasformazione CD porterebbe nel compressore, oltre al vapore, anche del liquido che, essendo incomprimibile, lo danneggerebbe irrimediabilmente; inoltre molte trasformazioni dovrebbero essere effettuate lentamente per poterle considerare ''quasi reversibili'', compromettendo la potenza finale della macchina. Per queste e per altre ragioni si è pertanto pensato di modificare il ciclo di Carnot arrivando a quello riportato in fig. 2, sia sul piano temperatura-entropia (I) sia sul piano pressione-entalpia (II).
Come si può notare, il segmento AB di fig. 1 è stato sostituito dal tratto di curva AB di fig. 2; con ciò si è rinunciato a recuperare il piccolo lavoro di espansione, dissipandolo in attrito in una valvola adiabatica; in tal modo, però, pur perdendo energia meccanica, si è semplificata notevolmente la macchina. Inoltre, per evitare danneggiamenti al compressore, il punto C di fig. 1 è stato spostato nella fig. 2 sulla curva dei vapori saturi, ove certamente non vi sarà presenza di liquido. Nella stessa figura è riportato anche, tratteggiato, il corrispondente ciclo frigorifero che è perfettamente identico a quello della p. di c. ma spostato più in basso, per la diversa esigenza dell'utenza (temperatura negli scambiatori, mediamente più bassa).
Il ciclo di fig. 2 è ottenibile utilizzando lo schema funzionale di principio di fig. 3, ove a è il rubinetto adiabatico, b il condensatore, c il compressore, d l'evaporatore. La parte utile del ciclo della p. di c. avviene nel condensatore, mentre la parte utile del ciclo frigorifero avviene nell'evaporatore.
Le p. di c. meccaniche possono essere divise ancora in due categorie sulla base del tipo di motore che muove il compressore (a sua volta del tipo alternativo, a vite o a turbina): a) p. di c. a motore elettrico; b) p. di c. a motore a combustione interna.
Le p. di c. a motore elettrico sono quelle di gran lunga più commercializzate e coprono tutta la gamma di potenzialità termica, da pochi kW fino a varie centinaia di kW. La durata media di una macchina, correttamente mantenuta, supera i 15 anni; il COP varia di norma fra 3 e 5. Le oscillazioni del costo del petrolio hanno condizionato molto la diffusione sul mercato di questo tipo di macchina. Infatti mentre il costo dell'energia termica prodotta mediante combustione in caldaia è soltanto influenzato dal prezzo del combustibile e dei suoi derivati, il costo dell'energia termica prodotta da una p. di c. dipende dal prezzo dell'energia elettrica ove questo è legato in parte al costo del combustibile e in parte ad altri fattori (sociali, politici, ecc.).
A titolo indicativo, riferendosi ai prezzi medi del 1994, si può dire che il costo della caloria nel settore industriale, prodotta da una caldaia a metano, equivale a quello di una p. di c. con COP di 3,5. Per applicazioni civili i dati cambiano leggermente a sfavore della p. di c., ma confermano, nella sostanza, che la scelta economica di una p. di c. per la produzione di energia termica ha un significato quando il COP medio è maggiore di 3,5. È opportuno comunque segnalare che un elemento che gioca a sfavore delle p. di c. elettriche è che producono energia termica a una temperatura generalmente non superiore a 60÷70 °C, ed è noto che la qualità della caloria è misurata dalla temperatura alla quale questa è disponibile. Altro aspetto negativo di queste macchine è che il COP, ma soprattutto la potenzialità termica, diminuiscono al diminuire della temperatura della sorgente fredda.
Un discorso a parte meritano alcune applicazioni in cui esiste la necessità di disporre contemporaneamente di caldo e di freddo (per es., celle frigorifere con uffici climatizzati annessi, centro di calcolo, ecc.). In questi casi infatti, essenzialmente nella stagione invernale, si può sfruttare il doppio effetto (termico e frigorifero) della p. di c., con un costo di esercizio che si riduce praticamente alla metà; inoltre l'investimento per l'acquisto della macchina si ripartisce fra i due esercizi (invernale ed estivo), abbassando in modo indiretto il maggior onere di primo impianto, che risulta generalmente molto maggiore di quello previsto per una caldaia.
Le p. di c. con motore a combustione interna hanno avuto solo di recente un'introduzione importante sul mercato commerciale. Esse hanno generalmente una potenza che va da 20 kW fino ad alcune centinaia di kW. Il ciclo termodinamico non si discosta da quello già visto per le p. di c. elettriche; in questo caso però il lavoro meccanico viene fornito al compressore da un motore a combustione interna.
L'impianto nel suo insieme offre notevoli vantaggi che consistono soprattutto nella disponibilità di calore a elevata temperatura (90÷120 °C), ottenuto recuperando energia dai gas di scarico e dal raffreddamento del motore, e nell'autoproduzione di energia elettrica ottenibile associando un generatore al motore a combustione interna. Inoltre queste p. di c. presentano il vantaggio di poter svincolare i costi di produzione della caloria dal costo dell'energia elettrica. I problemi che queste macchine comportano sono legati all'esercizio che risulta abbastanza delicato e all'inquinamento da rumore non sempre facilmente eliminabile.
Un'altra distinzione che viene fatta per classificare le p. di c. è quella basata sul tipo di sorgente (aria, acqua) da cui si preleva calore e sul tipo di mezzo (aria, acqua) cui si cede calore. Secondo questa suddivisione le p. di c. possono essere così classificate: p. di c. aria-aria, p. di c. aria-acqua e p. di c. acqua-acqua.
La p. di c. a compressione aria-aria è quella più semplice, e copre il campo di potenzialità più basso (2÷40 kW). Oggi una larga parte dei piccoli condizionatori autonomi sfrutta, in inverno, il funzionamento a p. di c. aria-aria. Del resto la differenza fra un condizionatore autonomo solo estivo e uno che consente anche il funzionamento invernale a p. di c. aria-aria consiste nella possibilità d'invertire l'evaporatore con il condensatore a seconda della stagione. Questo si realizza per es. mediante una valvola a quattro vie.
L'impiego dell'aria come sorgente fredda presenta però alcuni inconvenienti; infatti la sua temperatura non è generalmente costante e questo comporta, come già detto, sia una differenza del COP, sia una variazione della potenzialità termica. Inoltre, al di sotto di un certo valore (5÷6 °C), la temperatura dell'evaporatore, che dev'essere di alcuni gradi più bassa, può scendere, a sua volta, sotto 0 °C, causando la formazione di brina con conseguente disfunzione legata alla difficoltà di avere un adeguato scambio termico. La tecnica più impiegata per eliminare questo inconveniente è quella che consiste nell'inversione temporanea del ciclo (da invernale in estivo), cosicché, a un certo punto, l'evaporatore, divenuto condensatore, si riscalda e scioglie la brina. Un'altra tecnica utilizzata è quella che prevede l'impiego di una resistenza elettrica aggiuntiva che funziona solo nella fase di sbrinamento. Il COP medio delle p. di c. aria-aria è il più basso della categoria ''macchine a compressione'', ed è generalmente compreso fra 2,5 e 3.
La p. di c. a compressione aria-acqua copre un campo di potenzialità più elevato (20÷600 kW) rispetto a quello delle p. di c. aria-aria. Le macchine sono destinate soprattutto a impianti centralizzati e si avvalgono spesso di sofisticati sistemi di controllo per le varie esigenze. Il COP medio è generalmente compreso fra 3 e 4.
Dallo schema riportato nella fig. 4 si può vedere che è possibile utilizzare questo tipo di p. di c. in alternativa o in serie a una caldaia tradizionale la quale, per es., può intervenire nell'impianto quando la temperatura esterna è troppo bassa o quando è necessario elevare la temperatura di mandata dell'acqua al di sopra di 40÷45 °C. Nel caso in cui non ci sia la caldaia d'integrazione sul circuito dell'acqua, quando ci si trovi in presenza di temperature esterne molto basse, si deve procedere, come nel caso della p. di c. aria-aria, all'inversione del ciclo per eliminare la brina dall'evaporatore.
Le p. di c. a compressione acqua-acqua hanno il vantaggio di sfruttare una sorgente fredda a temperatura pressoché costante e ciò consente di avere prestazioni praticamente sempre eguali. Inoltre c'è da tener presente che la resa di scambio termico, quando il fluido secondario è acqua, è notevolmente migliore di quella che si ha nel caso dell'aria e ciò migliora ancora le prestazioni di questo tipo di macchina. Le acque utilizzabili per fornire calore a bassa temperatura sono teoricamente moltissime. Nella realtà, problemi di varia natura (corrosione, presenza di melma, inquinamento, ecc.) impongono un'attenta analisi prima di effettuare la scelta; le più utilizzate sono comunque l'acqua di falda, di lago e di fiume. Le p. di c. acqua-acqua trovano il loro impiego nel settore sia civile che industriale. Nel settore civile la potenzialità varia generalmente fra 50 e 1500 kW con temperatura dell'acqua calda all'uscita del condensatore che non supera generalmente i 50 °C e un COP medio compreso fra 3,5 e 4,5.
Esistono p. di c. acqua-acqua equipaggiate con compressori semi-ermetici e scambiatori a fascio tubiero. Per queste macchine è generalmente prevista un'installazione in ambiente chiuso e quindi non è necessario proteggere la macchina con un apposito contenitore, come nel caso di una p. di c. aria-acqua. Gli impieghi industriali delle p. di c. acqua-acqua sono molteplici; vanno dal ciclo di produzione della birra alla stagionatura del legno, al trattamento delle pelli, ecc. La differenza importante, che l'impiego industriale spesso impone, è la maggior temperatura del calore reso al condensatore; per es. la macchina denominata Templifier, prodotta dalla Westinghouse negli anni Settanta, forniva calore a 100 °C. Questa condizione richiedeva sorgenti a temperatura abbastanza elevata (60÷70 °C) e l'impiego di un fluido frigorigeno speciale (R114). Il COP della p. di c. industriale dipende dalla temperatura della sorgente, ma generalmente è superiore a 4.
Va comunque tenuto presente che le p. di c. industriali vengono spesso appositamente studiate per scopi prefissati, e quindi non si può parlare di una potenzialità commerciale; si può comunque dire che macchine da 25 MW vengono oggi impiegate normalmente in vari settori. L'unica differenza fra il ciclo termodinamico utilizzato in questi casi e quello riportato in fig. 2 è costituita dal fatto che la compressione, attuata generalmente da una turbina, è frazionata in più stadi.
Per completezza di trattazione bisognerebbe parlare anche delle p. di c. acqua-aria che pure vengono realizzate, ma non costituiscono una categoria realmente rappresentativa e non hanno campi di applicazioni diversi da quelli già coperti dagli altri tipi di macchine. È opportuno invece accennare alle p. di c. che utilizzano sorgenti fredde diverse dall'aria e dall'acqua come, per es., il terreno; a tale proposito sono stati costruiti impianti, per lo più sperimentali, ove l'evaporatore (che in alcuni casi raggiunge alcune centinaia di metri) è stato interrato a una profondità variabile fra 0,5 m e 2 m.
I fluidi che percorrono il ciclo delle p. di c. a compressione sono, di norma, gli stessi impiegati nelle macchine frigorifere. Nella storia della termotecnica sono stati impiegati dapprima composti inorganici come l'ammoniaca (NH3) e l'anidride carbonica (CO2); poi, a partire dagli anni Trenta, la scelta fu orientata soprattutto verso i carburi alogenati, spesso noti con il nome di freon. Alcuni di questi fluidi e in particolare R12, R22 ed R114 hanno trovato, fino a ieri, larga applicazione nelle p. di c. commerciali.
A tale riguardo, nella tab. 1, sono riportate le principali caratteristiche termofisiche dei vari composti utilizzabili nel ciclo termodinamico a compressione di vapor saturo. È opportuno precisare che, nel convegno di Montreal del 1987, i rappresentanti di 92 paesi si sono impegnati a bandire alcune di queste sostanze perché risulta dimostrato che compromettono l'integrità della fascia di ozono presente alle alte quote, con rischi potenziali per la vita dell'uomo. Tra i maggiori imputati vi sono proprio i CFC, clorofluorocarburi (R11, 12, 13, 112, 113, 114, 115); v. per questo clorofluorocarburi e ozono, in questa Appendice.
Questo fatto ha creato notevoli problemi all'industria del settore termo-frigorifero. Infatti, secondo un protocollo che è stato messo a punto in Europa, prima con la Conferenza di Londra (1990) e successivamente con quella di Copenaghen (1992), l'impiego di questi fluidi deve ridursi del 75% entro il 1994 per essere definitivamente bandito a partire dal 1996. Unica sostanza molto utilizzata nel settore e ancora consentita, almeno nel periodo di transizione, sarà R22 che fa parte della categoria degli HCFC (idroclorofluorocarburi) la cui aggressività nei confronti dell'ozono è inferiore a quella dei CFC; ma anche dell'R22 è prevista l'eliminazione entro il 2030. Nella tab. 2 sono riportati i fluidi refrigeranti che sono destinati a essere sostituiti con alcuni composti alternativi possibili. I suddetti problemi d'inquinamento, unitamente alla crisi economica internazionale, hanno in questi ultimi anni determinato una leggera flessione di vendite a livello mondiale delle p. di c. che, si presume, potrà essere superata quando le industrie chimiche saranno in grado di offrire valide e sperimentate soluzioni alternative all'impiego dei CFC.
Pompe di calore termiche. − Come nel caso delle p. di c. a compressione, anche per quelle termiche o ad assorbimento (come vengono più comunemente chiamate) si può far coincidere la loro storia con quella delle corrispondenti macchine frigorifere. A tale proposito la prima realizzazione conosciuta può ritenersi quella di J. Leslie, con cui lo scienziato riuscì (1810) a produrre 3 kg di ghiaccio cedendo contemporaneamente calore nell'assorbitore, costituito da un vaso di vetro che conteneva acido solforico da sostituirsi periodicamente. Il primo brevetto ufficiale di macchina ad assorbimento spetta però a F. Carré, che nel 1859 presentò un prototipo a funzionamento intermittente. In questa prima fase ad essere privilegiato fu l'effetto frigorifero a quello termico, che fu anzi per molti anni trascurato. Successivamente, nei primi anni del Novecento, tutta l'avviatissima industria delle macchine frigorifere ad azione termica fu bloccata dal diffondersi dell'energia elettrica e conseguentemente dalla produzione delle macchine a compressione azionate da motori elettrici. Solo alla fine degli anni Cinquanta, con il ritorno all'impiego della tecnologia ad assorbimento, furono realizzate (Carrier, York) le prime macchine a doppio effetto (termico e frigorifero), che consentivano cioè di sfruttare simultaneamente il calore ceduto nel condensatore e nell'assorbitore, e la capacità frigorifera dell'evaporatore.
Le prime p. di c. termiche commerciali sono state però prodotte di recente; in particolare in questi ultimi anni anche l'industria giapponese si è affiancata a quella statunitense del settore, proponendo soluzioni interessanti in campo sia civile che industriale.
Il principio di funzionamento di una p. di c. termica è molto semplice; infatti, se si prendono opportune coppie di fluidi, per es. acqua-ammoniaca (H2O-NH3), di cui uno molto più volatile dell'altro, si può vedere che a 0 °C uno (l'acqua) assorbe l'altro (ammoniaca) fino a 1000 volte il suo volume, e a 100 °C lo libera nuovamente tutto. L'assorbimento, così come la ricondensazione, è un processo che sviluppa calore, mentre l'evaporazione avviene con sottrazione di energia termica dall'ambiente esterno. Lo schema di principio di una macchina ad assorbimento è riportato in fig. 5.
L'azione utile della p. di c. si esplica nell'assorbitore e nel condensatore, dove viene fornito calore all'esterno. Nel generatore viene invece ceduto calore dall'esterno al sistema per quell'effetto di compensazione, riconosciuto indispensabile dal secondo principio della termodinamica, che nelle macchine a compressione veniva dato al compressore sotto forma di energia meccanica. Il ciclo teorico di una p. di c. ad assorbimento può essere rappresentato come in fig. 6, ove sono anche riportate le rette a titolo (x) costante. Dal diagramma si possono desumere sia la temperatura (TA=TC) alla quale verrà ceduta la quantità di calore Q1 all'esterno, sia la temperatura (TG) alla quale dovrà essere prelevato il calore QG dall'esterno per far funzionare la macchina.
Apparentemente potrebbe sembrare un controsenso energetico fornire calore ad alta temperatura (140÷150 °C), per riaverlo successivamente a temperatura più bassa (50÷60 °C), ma il vantaggio consiste nel fatto che l'energia termica resa aumenta circa di un fattore 2, il che rende conveniente l'operazione. Recentemente sono state realizzate macchine industriali di elevata potenza termica (3,5 MW) in grado di fornire calore anche a 90 °C, con temperature d'ingresso di 70 °C, che utilizzano, come coppia di fluidi, l'acqua-bromuro di litio (H2O-LiBr).
Il mercato delle p. di c. ad assorbimento è assai recente ed è rivolto soprattutto al settore industriale ove sono state realizzate interessanti soluzioni progettate appositamente per le varie esigenze. Non è invece ancora molto sviluppato il settore civile, neanche paragonabile a quello delle p. di c. meccaniche, anche se cominciano a essere prodotte macchine di piccola potenzialità assai interessanti.
Un cenno particolare merita un altro tipo di macchina termica che, pur discostandosi dalla p. di c. classica, produce però effetti simili: il trasformatore di calore che ''trasforma'' appunto il calore acquisito a temperatura media nel generatore e nell'evaporatore, in calore ad alta temperatura, da cedere nell'assorbitore, e in calore a bassa temperatura da cedere nel condensatore. In questa operazione il COP è minore di 1, ma è evidente che in questo caso importante è soprattutto la ''nobilitazione'' dell'energia termica. Per es. si può pensare di fornire calore a 60 °C al generatore tramite pannelli solari e riaverlo a 90 °C, in modo che possa essere utilizzato in un impianto di riscaldamento convenzionale. Oltre agli impieghi civili si possono prefigurare per queste macchine interessanti applicazioni industriali.
I fluidi da usare nelle p. di c. termiche sono ancora elemento di ricerca, e il problema è più delicato che per le macchine frigorifere. Infatti la coppia NH3−H2O, molto impiegata per le basse temperature, presenta già per temperature di condensazione di 40 °C una pressione molto elevata di circa 1 MPa, che a 70 °C diventa poi di 3 MPa. La coppia che si presta meglio, da questo punto di vista, è l'acqua-bromuro di litio che infatti è quella più utilizzata in questo tipo di macchine. Sono state in realtà provate molte altre combinazioni con risultati a volte incoraggianti (GLS-R22, NaSCN-NH3, Zeolite-H2O), che però non sono ancora impiegate in macchine commerciali. In generale si può comunque dire che questo tipo di p. di c. non presenta praticamente problemi d'inquinamento; la macchina si presenta quindi con interessanti caratteristiche ecologiche e offre notevoli possibilità di risparmio energetico data la sua capacità di sfruttare cascami di calore industriale.
Pompe di calore termoelettriche. − Le p. di c. termoelettriche sono nate nel 1834 con la scoperta compiuta da J.C.A. Peltier, un orologiaio francese, il quale notò che sulla giunzione fra un conduttore di antimonio e uno di bismuto si poteva ottenere un aumento o una diminuzione di temperatura a seconda che si facesse passare una corrente elettrica in un verso o in quello opposto. In realtà questo fenomeno è collegato con quello scoperto nel 1822 da T.J. Seebeck, che riuscì a far circolare una corrente elettrica in un circuito chiuso, costituito da due conduttori diversi, riscaldando differentemente le giunzioni. Negli anni successivi alla scoperta di Peltier, anche Lord Kelvin si cimentò nella realizzazione di alcune macchine termoelettriche, offrendo alcuni contributi originali. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento si assistette a un grande sforzo di ricerca per trovare coppie di materiali che presentassero le migliori caratteristiche termoelettriche di accoppiamento, unite a un'elevata conduttività elettrica. Dal 1960 la scoperta dei semiconduttori ha portato un nuovo stimolo per approfondire le applicazioni dell'effetto Peltier e tuttora si studiano varie leghe di materiali che consentano di ottenere importanti risultati pratici; attualmente la soluzione migliore sembra quella di utilizzare una lega di bismuto-tellurio-antimonio e una lega di bismuto-tellurio-selenio. In realtà la produzione commerciale di p. di c. termoelettriche non ha rappresentato un fatto importante anche se, per es., esse presentano il vantaggio, assai interessante, di non avere parti in movimento. Vari motivi ne hanno rallentato lo sviluppo; fra tutti basta ricordare la difficoltà e il costo necessari a unire molte coppie termoelettriche in serie per ottenere una quantità di calore accettabile a temperatura elevata. Inoltre il COP è assai modesto e supera di poco l'unità, rendendo estremamente costosa la caloria prodotta.
Negli anni Settanta e Ottanta ci sono stati alcuni tentativi di realizzare commercialmente, soprattutto negli Stati Uniti (Westinghouse), alcuni frigoriferi termoelettrici di piccole dimensioni per impieghi speciali (automobili, barche, alberghi) che non hanno avuto larga diffusione. Recentemente (1990) sono entrate in commercio anche piccole p. di c., utilizzabili per lo più a bordo di veicoli mobili (aerei, navi, automobili), per scaldare per es. le vivande o i biberon dei neonati. In futuro si può ipotizzare un più largo utilizzo di macchine termoelettriche soprattutto in quelle applicazioni ove è indispensabile non avere alcun impatto ambientale e ove è determinante la possibilità di funzionare, anche in assenza di gravità, come per es. capita nelle applicazioni di tecnologia spaziale.
Bibl.: Opere generali: W. Thomson, On the economy of the heating or cooling of buildings by means of currents of air, in Proceedings Glasgow Phil. Society, 3 (1852); pp. 666-75; J.G.N. Haldane, The heat pump - an economical method of producing low grade heat from electricity, in I.E.E. Journal, 68 (1930), pp. 666-75; J.H. Keenan, Thermodynamics, New York 1957; M.W. Zemansky, Heat and thermodynamics, ivi 1957; E.F. Obert, Concepts of thermodynamics, ivi 1960; U. Bordoni, Fondamenti di fisica tecnica, Bologna 1967; P. Grassmann, Physical principles of chemical engineering, Oxford 1971; J.A. Sumner, Domestic heat pumps, Dorchester 1976; R. Dumon, G. Chrysostome, Le pompe di calore, Masson 1981; G. Parolini, A. Del Monaco, D.M. Fontana, Fondamenti di fisica tecnica, Torino 1983; R.C. Reid, J.M. Prausnitz, B.E. Poling, The properties of gases and liquids, New York 1986.
Pompe di calore a compressione: R. Thevenot, Essai pour une histoire du froid artificiel dans le monde, Parigi 1978; D.A. Reay, Heat pump. Design and applications, Oxford 1979; C.Y. Chan, G.G. Haselden, G. Hundy, The HallScrew compressor for refrigeration and heat pump duties, in Int. Journal of Refrigeration, 1981, pp. 275-80; J.M. Calm, Heat pumps in the USA, ibid., 1987, pp. 190-96; K. Matsubara, K. Suefuji, H. Kuno, The latest compressor technologies for heat pump in Japan, in Prospects in Heat Pumps Technology & Marketing, Chelsea (Michigan) 1987, pp. 131-42; L. Mattarolo, Le pompe di calore. Problemi attuali. Attività normativa, in La Termotecnica, 10 (1988), pp. 33-37; G. Lorentzen, Future prospects of the heat pump, in IEA Heat Pump Newsletter, 7, 2 (1989), pp. 32-42.
Pompe di calore ad assorbimento: M. Felli, Absorption refrigeration thermodynamics, in ASHRAE (American Society of Heating Refrigerating and Air - Conditioning Engineers) Transaction, 89, n. 2748 (1983), i, pp. 189-240; R. Lazzarin, Le pompe di calore ad assorbimento, in Condizionamento dell'aria, 1985, pp. 291-306, 389-403, 475-96, 733-41; B.A. Phillips, A new future for absorption, in ASHRAE Journal, 1986, pp. 38-42; R.C. De Vault, Developments in gas-fired absorption heat pumps in North America, in Prospects in Heat Pumps Technology & Marketing, Chelsea (Michigan) 1987, pp. 351-58; S. Kurosawa, Developments in utilization technology for absorption heat pumps in Japan, ibid., pp. 359-73; F. Ziegler, G. Alefeld, Coefficent of performance of multistage absorption cycles, in Int. Journal of Refrigeration, 1987, pp. 285-95; A. de Lieto Vollaro, M. Felli, Sulla dissociazione termochimica dell'ammoniaca in pompe di calore ad assorbimento, in Il Freddo, 42 (1988), pp. 711-15; W. Kern, A two stage absorption heat pump for heating and cooling, in IEA Heat Pump Newsletter, 7, 3 (1989).
Pompe di calore termoelettriche: W. Huck, Thermoelectric heat pumping, in Proceedings of Annual Meeting, Vancouver 1960, pp. 13-15; B.D. Wood, Applications of thermodynamics, Reading (Mass.) 1969.
Fluidi: H. Kruse, The advantages of non-azeotropic refrigerant mixtures for heat pump application, in Int. Journal of Refrigeration, 1981, pp. 119-25; Id., Current status and future potential of non-azeotropic mixed refrigerants, in Prospects in Heat Pumps Technology & Marketing, Chelsea (Michigan) 1987, pp. 173-94; M. Narodoslawsky, F. Moser, New compression heat pump media as replacements for CFCs, in Int. Journal of Refrigeration, 11 (1988), pp. 264-68; H. Kruse, Latest developments and future trends in the field of CFC substitutes, in IEA Heat Pump Newsletter, 7, 2 (1989), pp. 12-20; IEA Heat Pump Centre Newsletter, 9, 2 (1991).