POLESINE (A. T., 27-28-29)
Vasto territorio del Veneto meridionale, il cui nome deriva non già, per metatesi, dal greco Πολύς-νῆσος "terra dalle molte isole", ma piuttosto da Pullici7ium derivato dal latino pullus o pullum, donde poi Policinium e Polesino, nel significato di "terra emergente dalle acque correnti, coltivabile". La voce in questo suo significato risale al Medioevo e il nome si applica a varie zone: Polesine di Ariano, Polesine di Ferrara o di San Giorgio e Polesine di Rovigo; l'accentazione Polésine invece di Polesìne probabilmente d'origine dotta; l'aggettivo derivato è polesano.
Il Polesine forma una ben distinta unità geografica, creata in epoca geologicamente recentissima per l'accumulo di detriti fluviali depositatisi fra i corsi inferiori dell'Adige e del Po.
L'espressione di Polesine di Rovigo da principio si riferiva solo ai dintorni di Rovigo, tra Adige e Adigetto (Vecchio Polesine), ma poi fu estesa a indicare anche la zona più meridionale, inclusa tra Adige e Canalbianco (Nuovo Polesine) e in seguito (sec. XV) quella fino al Po. Al Polesine di Rovigo, che comprendeva i circondarî di Rovigo, Lendinara, Badia, furono aggregati con la pace di Bagnolo (1484), col nome di Comuni aggiunti (ultra canalia), Castelguglielmo, Fiesso, Bosaro, Pontecchio, Polesella. Nei secoli XVI-XVIII (fino alla caduta della repubblica veneta) Loreo e Cavarzere appartenevano al dogato, Adria e il suo distretto costituivano una dipendenza della repubblica, Ariano, Papozze, Crespino e la restante zona transpadana erano territorio ferrarese. L'ordinamento napoleonico non tenne alcun conto dell'unità geografica della regione, che venne a fare parte di quattro dipartimenti diversi, il Polesine di Rovigo con la Transpadania ferrarese del dipartimento del Basso Po, la zona di Badia dell'Adige, Melara e Bergantino del Mincio, Adria dell'Adriatico. Solo nel 1815 l'erezione della regione in provincia di Rovigo con l'aggregazione del territorio di Adria e poi nel 1851 dei territorî di Loreo e di Ariano fece estendere il nome di Polesine fino al mare. La divisione amministrativa differisce da quella naturale solo perché le manca il territorio di Cavarzere, che fa parte della provincia di Venezia. Il Polesine è quindi molto bene limitato, a E. dall'Adriatico, a N. dall'Adige (provincia di Venezia e di Padova), a S. dal Po (provincie di Ferrara e di Mantova); a occidente il confine con la provincia di Verona (Valli grandi veronesi) è meno preciso e s'appoggia sull'alveo abbandonato del Castagnaro, sul Tartaro e sul Cavo Fossetta.
Il Polesine è una regione del tutto pianeggiante, che degrada leggermente da O. a E., formata da alluvioni minute (argille e sabbie), con acque abbondanti. Il territorio, che si trovava in difficili condizioni di scolo, era già abitato in epoca etrusca e romana, ma si spopolò nei secoli barbarici. L'uomo, trovatosi davanti una fitta distesa di boschi e di paludi, le quali davano scarsi prodotti spontanei (canne), iniziò un lungo lavoro di difesa (argini) e di regolazione (canali), per combattere il disordine delle acque e ridurre i terreni a coltura. Modificazioni notevoli furono arrecate anche da fenomeni catastrofici in coincidenza con le maggiori piene (rotte) e dal lento assestamento dei materiali (sommersione della parte prossima al mare). L'antica spiaggia è ancora oggi riconoscibile attraverso una serie di dune (dossi o "monti" di sabbia, alti 10-20 m.) che in linea quasi retta si protendono da S. Basilio, sulla sponda sinistra del Po di Goro, per Donada e Rosolina fino all'Adige. Sulla sinistra del Po il cordone è unico, sulla destra si hanno tracce di più cordoni successivi separati da bassure.
Nell'impossibilità di riassumere le complesse vicende attraverso le quali si è andato costituendo l'aspetto attuale della regione (v. adige; po), ricordiamo che nel tronco inferiore il corso principale del Po aveva in passato un andamento più meridionale (rami ora indipendenti del Po di Volano e del Po di Primaro, quest'ultimo per la massima parte interrato, i quali si separavano presso Ferrara). Soltanto nel 1150 (o 1152) il corso fu spinto più a N. dalla rotta di Ficarolo. Nel corso inferiore, parte delle acque furono immesse nel Tartaro, che prese il nome, nel tratto inferiore, di Po di Levante. Dato però che le sedimentazioni di questo danneggiavano la Laguna, per evitare il troppo rapido avanzamento del ramo settentrionale, nel 1598 venne deciso il Taglio di Porto Viro, iniziando sulla destra del Po lo scavo d'un canale di 7 km. che, con andamento da NO. a SE., condusse gran parte delle acque alla sacca di Goro, dove si ripartirono in più rami (Maestra, Tolle, Gnocca): è questo tuttora il delta del Po. L'opera ebbe il suo compimento nel 1623, quando con l'intestatura del ramo delle Fornaci il corso del Tartaro-Canalbianco-Po di Levante fu reso di nuovo indipendente. L'Adige è andato soggetto a minori modificazioni di corso, ma con le sue rotte (ben 182 se ne contano nel periodo 1502-1786) ha prodotto danni ingentissimi. Nel 1432 a Castagnaro e nel 1438 a Malopera l'argine venne abbattuto e una vasta zona allagata per ragioni militari. Le acque si avviarono verso il Tartaro, che per il colore bianchiccio delle nuove acque prese nel tratto seguente il nome di Canalbianco. L'ultima rotta spaventosa è quella di Legnago (18 ottobre 1882) che ha allagato tutte le terre fra il Tartaro-Canalbianco e il Po Grande fino ad Adria e oltre per un'estensione di 1200 kmq.
Il suolo del Polesine è poi solcato da una rete di corsi d'acqua e canali minori, alcuni a scopo di navigazione, altri di scolo, in parte naturali, in parte artificiali. Ricorderemo il Tartaro, che un tempo era l'ultimo affluente di sinistra del Po; esso ha origine da alcune sorgenti presso Villafranca Veronese, prende il nome di Canalbianco dopo aver ricevuto da sinistra i due canali già ricordati, tocca Trecenta, Canda, Castelguglielmo, poi s'incontra col canale Scortico che l'unisce all'Adigetto. Nel tratto successivo ha un decorso regolarmente parallelo all'Adige: presso Polesella scarica parte delle acque in Po, oppure le riceve nei periodi delle piene (Fossa Polesella) e prosegue traversando il sostegno di Bosaro, tocca Adria e si getta nel mare col nome di Po di Levante. Il canale di Loreo mette in comunicazione il Canalbianco con l'Adige. Sono in corso lavori per approfondirne e allargarne il letto in modo da consentire la navigazione e lo scolo regolare delle acque. L'Adigetto traversa a sua volta tutto il Polesine settentrionale; s. stacca dall'Adige a Badia, attraversa Lendinara, bagna Rovigo e si getta in Canalbianco, dopo essersi molto avvicinato all'Adige alle Botti Barbarighe. Di canali minori di smaltimento (scoli) 4 si trovano tra Adige e Adigetto e mettono in Canalbianco (Ceresolo, Dossi Valieri, Tartaro Osellin, Bresega), 13 si trovano tra Adige e Canalbianco e a destra dell'Adigetto, 8 sboccano a destra del Canalbianco, 10 sboccano in Po. Inoltre il Polesine meridionale è percorso in tutta la sua lunghezza sulla destra del Canalbianco dal collettore padano e polesano. Grande importanza per l'economia del Polesine ha avuto l'introduzione delle macchine idrovore (sperimentate per la prima volta nel 1853), che hanno permesso di estendere ancor più la bonifica mediante il sollevamento meccanico delle acque. Così nell'isola di Ariano sono stati prosciugati 12 mila ha., trasformando in fertili pianure i fondi delle valli e delle lagune, che prima erano un dedalo di canali, di stagni, di canneti melmosi.
Poiché a occidente (Alto Polesine) le campagne sono state bonificate in epoca più antica attraverso un lavoro secolare, che ha fatto leggermente innalzare il piano originario per la lenta deposizione del letame, per il trasporto artificiale di terre, per il limo depositato durante le rotte, l'aspetto del paese è più ridente, i campi sono limitati da filari di viti e di alberi, e interrotti da argini (rilievi artificiali) e da fosse di scolo ad andamento sinuoso. Ivi prevale la piccola proprietà; l'agricoltura è rivolta, oltre che alla produzione del frumento, alle più redditizie colture industriali (canapa, barbabietole). Le case spesso guardano i canali o sono attirate dagli argini. Il Medio Polesine ha condizioni intermedie tra la zona alta e la zona deltizia; la piccola proprietà è meno diffusa; come colture prevalenti hanno il primo posto il grano e le barbabietole (5 zuccherifici sugli 11 che possiede il Polesine si trovano in questa zona), la vite è abbastanza frequente. Nel Basso Polesine, che è la zona di bonifiche recenti, dove un settimo del territorio è occupato da valli da pesca e due settimi da incolto produttivo, prevale la grande proprietà e l'agricoltura viene esercitata su grande scala; vi sono strade rettilinee e grandi fattorie. Le colture principali sono il frumento, la barbabietola, il mais e il tabacco. Le abitazioni vanno facendosi più numerose specialmente ai crocicchi delle strade; le tenute sono di solito divise in quartieri e la dimora è detta corte. Il territorio è intersecato da un reticolato regolare di vie e di canali; non vi sono siepi e l'arboratura è più scarsa (in prevalenza pioppi e salici). Vaste zone di terreno sono riserbate alle erbe da foraggio; frequente è anche l'aratura meccanica. Qualche tratto è poco fertile, composto com'è da terreno sabbioso e torboso. Seguono verso oriente le "valli", dove vi sono pochi "casoni" di pescatori; frequenti anche la risaia e il canneto nella zona che costeggia il mare.
Tra le diverse colture del Polesine i cereali sono al primo posto, coprendo circa un terzo della superficie agraria (che è pari all'86% della superficie totale); viene data la preferenza al frumento che copre in media il 21% della superficie agraria, e che ha dato nel periodo 1923-28 una produzione di 21,9 quintali per ha. (complessivamente 720 mila quintali). Il mais, che è stato introdotto nel sec. XVII e che trova condizioni favorevoli nei terreni pesanti e umidi del Basso Polesine, copre un'estensione che è pari al 4,8% della superficie agraria (produzione di 246 mila q., in notevole diminuzione rispetto al passato). Circa un quarto della superficie, con oscillazioni notevoli da un anno all'altro, è riservato alle colture industriali (barbabietole e canapa, rispettivamente 18,9 e 4,3% della superficie agraria, con una produzione media di 8,7 milioni di q. di bietole e 68 mila q. di tiglio di canapa), un quinto circa alle colture foraggere. La coltura della canapa dà un'impronta caratteristica alla regione, sia per il grande numero di vasche da macero, sia per la necessità di avere locali e cortili per la prima lavorazione e per il deposito del prodotto. L'avvicendamento delle colture è biennale, con qualche irregolarità nei terreni meno fertili. La produzione foraggera è in media (1923-28) di 2 milioni 600 mila quintali di fieno. Il valore della produzione agraria è costituito per il 28,7% dai cereali, per il 27,6% dalle piante industriali, per il 21,7% dai foraggi. La coltura del riso occupa circa 2500 ha., con una produzione di 86 mila quintali.
Nell'allevamento vi è una grande prevalenza del bestiame bovino: vi sono infatti ben 310.360 capi (circa 1 per abitante) e questo alto numero è in rapporto con la necessità di avere a disposizione molte paia di buoi per un'aratura profonda. Il tiro dell'aratro è costituito da un minimo di 8 a un massimo di 12 paia di buoi. Gli equini sono circa 45 mila, i suini 29.400, gli ovini 1770 (in diminuzione rispetto al 1908, quando erano circa 3000), i caprini 1050 (più che raddoppiati dal 1908). L'allevamento del pollame trova condizioni favorevoli date le ricche colture granarie; frequente è la gallina faraona. La bachicoltura è pure abbastanza diffusa; in media vengono incubate ogni anno 3000 once da 30 grammi.
L'industria non ha nel Polesine una grande importanza, all'infuori degli zuccherifici, che producono annualmente circa un milione di q. di zucchero (poco meno d'un terzo della produzione italiana). Basterà poi ricordare le fabbriche di concimi, i molini, le distillerie, le officine tessili (cotone, lana, canapa, per quanto quest'ultima venga lavorata per la massima parte fuori della provincia). A Badia vi sono un mobilificio, uno zuccherificio, molini ecc., a Lendinara uno zuccherificio, una fabbrica di concimi, un iutificio, ecc., a Guarda Veneta, a Ficarolo e a Polesella viene esercitata la pesca dello storione, nel Basso Polesine vi è qualche stabilimento per la pilatura del riso e piccole fabbriche di stuoie di diverso genere. Diffuse anche le fabbriche di laterizî, specie nelle vicinanze del Po.
Nei suoi limiti attuali il Polesine copre una superficie di 1788 kmq. e si suddivide in 48 comuni. Nel 1550 (su una superficie di 693 kmq.) gli abitanti erano 25.451, nel 1570, 28.500, nel 1620, 44.800, nel 1776, 64.167, nel 1795, 67.922. Nel 1820 (su una superficie pari a quella attuale, contando cioè anche i territorî venuti a far parte del Polesine solo posteriormente) la popolazione aumenta a 148.622, nel 1844 a 165.776, per passare poi a 173.253 nel 1857, 200.835 nel 1871, 221.904 nel 1901, 257.723 nel 1911 (aumento del 16, 1%). La popolazione era nel 1931 di 315.868 ab., con un aumento del 9,9% nell'ultimo decennio, dovuto all'elevata natalità (1932:29,5 per 1000 ab., in diminuzione rispetto al 1910-12, quando era del 40,4), che permette, data la mortalità non troppo alta (14,5 per 1000, pur essa in diminuzione: nel 1910-12 era pari al 19,4), una notevole eccedenza (15 per 1000, cifra raggiunta nell'alta Italia soltanto da Padova), che tuttavia va in parte perduta per la forte emigrazione (1921-31: esodo di 28 mila persone). L'incremento demografico risulta tuttora molto alto nel Basso Polesine, dove nella zona di bonifica moderna alcune località hanno segnato aumenti fortissimi. Ca' Venier è passata dal 1780 al 1911 da 824 abitanti a 3216, Donzella da 841 a 3450, Tolle da 169 a 4187, Porto Tolle nel quarantennio 1871-1911 è aumentato del 112%, Ariano del 110°6. Nell'insieme i Polesani sono caratterizzati da statura lievemente più bassa della media, indice cefalico pure più basso, maggiore prevalenza del tipo bruno che in tutto il resto del Veneto. II dialetto veneto è influenzato, soprattutto nella parte meridionale, dall'emiliano, e il confine con questo oscilla in relazione con le vicende politiche. La densità, notevolmente superiore a quella media dell'Italia, è di 177 ab. per kmq. (Rovigo è invece superata nel Veneto da tutte le altre provincie, salvo quelle montuose di Udine e Belluno); essa va da un massimo di 223 ab. per kmq. nel Medio Polesine (che comprende il capoluogo) a un minimo di 130 ab. nel Basso Polesine (con vaste estensioni di terreno in corso di bonifica) attraverso un valore medio di 196 nell'Alto Polesine.
L'emigrazione permanente transatlantica era diretta di preferenza verso il Brasile e fu, specie sulla fine del sec. XIX, notevolissima, data l'esistenza di gran numero di contadini giornalieri e dato il sistema delle affittanze. Nel 1891 sono partite 16.625 persone, pari al 7,9% della popolazione, con valori che per alcuni comuni sono stati pari al settimo della popolazione presente (Ramodipalo 14,8%; Buso Sarzano 15,9; Villa d'Adige 16,3; Villadose 16,8); in 15 anni (1887-1901) 64 mila persone si sono recate in emigrazione permanente nel Brasile. In seguito l'emigrazione si è attenuata, ma il Polesine continua tuttora ad avere larga disponibilità di mano d'opera. Il 27% della popolazione (49 ab. per kmq.) ha l'agricoltura come occupazione principale. Vi sono in tutto 24.528 aziende agricole. Della superficie agraria e forestale il 2% è occupato da aziende piccolissime con una superficie media di ha 0,30, il 6% da aziende piccole (grandezza media ha.1, 18), il 22% da aziende medie (8 ha.), il 44% da aziende grandi (43,3 ha.), il 26% da grandissime (300 ha. di media). Queste ultime si sermvoo di salariati fissi e di avventizî e fanno uso di tutti i più moderni metodi di coltura. Nel Polesine vi sono 8 comuni con popolazione superiore ai 10 mila abitanti e cioè Badia (12.508) e Lendinara (14.706) nell'Alto Polesine, Rovigo (37.355) nel Medio Polesine, Adria (31.025), Loreo (10.673), Ariano (11.151), Porto Tolle (14.540) e Porto Viro (20.332) nel Basso Polesine.
Bibl.: C. Silvestri, Istorica e geografica descrizione delle antiche paludi adriane, Venezia 1736; G. Bronziero, Istoria delle origini e delle condizioni dei luoghi principali del Polesine di Rovigo, ivi 1748; E. Lombardini, Studi idrologici e storici sopra il grande estuario adriatico, Milano 1867-68; F. A. Bocchi, Trattato geografico-economico comparativo per servire alla storia dell'antica Adria e del Polesine di Rovigo, Adria 1879; G. Cavaglieri, La emigrazione dal Polesine, in La riforma sociale, IX (1902); A. Tasso, La regione polesana, Firenze 1904; A. Lorenzi, I gorghi del Polesine, in Boll. R. Soc. geogr. ital., 1905; id., Geonomastica polesana, in Rivista geografica italiana, 1908; id., Studi sui tipi antropogeografici della Pianura Padana, ibid., 1914; A. Bononi, La bonifica polesana, Rovigo 1916; A. Cappellini, Il Polesine, ivi 1925; C. Malandra, I terreni e le culture della provincia di Rovigo, Lendinara 1927; Relazione statistica sulla situzione economica della provincia nell'anno 1929 (Consiglio provinciale dell'economia), Rovigo 1930; G. Sbampato, Centri abitati e forme d'economia lungo il Po da Ficarolo al mare, in Bollettino della R. Società geografica italiana, 1931; Catasto agrario 1929. Compartimento del Veneto. Provincia di Rovigo, fasc. 24, Roma 1932.
Storia. - Il Polesine appare abitato in età storica dai Veneti, la cui cultura, fortemente influenzata dagli attivi scambî commerciali con l'Oriente ellenistico, brillò di viva luce col grande centro mercantile e culturale di Adria, fiorito massimamente dalla metà del VI alla metà del sec. IV a. C. (v. adria). La penetrazione gallica nella valle padana, e a sud di essa nell'odierna Emilia, non pare abbia preso nel Polesine stabile piede. Col sec. II a. C., già decaduta Adria, si afferma nella regione, come in generale nel Veneto, il dominio romano, che dedica le sue cure alla viabilità e al risanamento agricolo. L'ordinamento augusteo comprese il Polesine nella X regione (Venetia et Histria), a cui rimase aggregato per tutta l'età imperiale.
La caduta dell'impero e le incursioni barbariche, distruggendo le opere romane che regolavano il deflusso delle acque, fecero cadere la regione nell'impaludamento, nella malaria, nell'abbandono. La memoria di essa riaffiora in un documento dell'838, che ricorda per la prima volta la villa que nuncupatur Rhodigo, cioè, con Adria, il centro urbano più importante del Polesine. Nell'843 (patto di Verdun) la regione veniva aggregata al regno d'Italia. Interferivano però in questa dominazione anche diritti del pontefice, come erede e successore dell'Esarca ravennate. La storia del Polesine, che non ebbe signorie feudali proprie, si confonde sostanzialmente con quella delle signorie confinanti, che si alternarono nel dominio della regione: v'ebbero giurisdizione Almerico da Pigna (903), Ugo marchese di Toscana (948); quindi (1160) gli Estensi. Contemporaneamente vigevano la giurisdizione vescovile d'Adria, e quella dell'abbazia della Vangadizza, attraverso la quale Venezia, fino da allora, spingeva le sue mire di possesso sul Polesine. Sotto la dominazione degli Estensi, fatti conti di Rovigo, il Polesine subì divisioni familiari, come quella alla morte di Alberto Azzo (1097); una passeggera occupazione veronese, la reintegrata signoria estense, fino al 1282, quando fu parzialmente assoggettato dal comune padovano. Nel 1310, anche Rovigo, posseduta da Azzo d'Este, veniva vendu̇ta ai Carraresi, dal fratello e nemico d'Azzo, Francesco. Carraresi ed Estensi si alternano quindi nel dominio; dal 1367 vi ridominano i secondi, con una breve interruzione di riconquista carrarese (1390-91). Nicolò d'Alberto d'Este, nel 1395, cede in pegno per 5 anni la contea di Rovigo alla repubblica di Venezia, contro un prestito di 50.000 ducati. e Venezia, s'insedia su questa agognata regione che, dominando gli sbocchi fluviali dell'Adige e del Po, comandava direttamente tutto il commercio fluviale del Veneto. Scaduto il quinquennio, e non rimborsato il prestito, Venezia non si muove dalla regione tenuta per diritto pignoratizio. Nelle lotte fra Venezia e Francesco Novello da Carrara, Nicolò d'Este crede di vedere l'occasione favorevole per riavere il Polesine; ma la passeggera invasione è respinta dai Veneziani, che nella pace (5 marzo 1405) impongono la restituzione, come pegno, del Polesine, fino a saldo del debito; la cessione di Badia e Lendinara, il distacco di Nicolò dall'alleanza col Carrarese. Questi tenta allora, per conto suo, la conquista polesana, ma, battuto dai Veneziani e dalle genti di Gian Francesco Gonzaga duca di Mantova, ripiega, e, di sconfitta in sconfitta, si avvia alla tragedia finale, che ha l'epilogo nelle segrete del Consiglio dei X. Nel 1438, il Polesine era offerto dai Veneziani a Nicolò III d'Este, a condizione che non si unisse ai Milanesi e al Gonzaga, in lotta con la Repubblica. Tutte queste guerriglie avevano sempre per conseguenza desolazione e distruzione nel territorio polesano, perché, fra le prime azioni di guerra, v'era costantemente il taglio degli argini, e l'inondazione delle campagne, per ostacolare l'avanzata delle truppe. Dal 1441 al 1481, sul Polesine regnò una relativa pace. Borso d' Este (figlio naturale di Nicolò III, morto nel 1441, che aveva avuto in donazione il Polesine da Lionello, suo fratello) ebbe da Federico III d'Austria (1452), la conferma del titolo comitale. Fra il 1481 e il 1484 (7 agosto, pace di Bagnolo), il Polesine fu desolato dalla guerra implacabilmente condotta da Venezia contro gli Estensi e nella quale intervennero quasi tutti i maggiori potentati d'Italia. Ercole I d'Este doveva poi cedere a Venezia il Polesine, conservando il solo dominio su Adria. Il Polesine, da allora, fu strettamente legato alle sorti della Repubblica. Al tempo della Lega di Cambrai, riebbe la dominazione estense, con Alfonso II (1509), poi il danno d'una occupazione spagnola (1511), e finalmente, dal 1515, ritornò alla Repubblica di San Marco che vi signoreggiò fino alla caduta. Dal 1797 al 1813, la regione passa successivamente dalle mani di Francia (1797-98), a quelle d'Austria (1798-1801), di Francia ancora (1801-1813) e quindi ancora d'Austria, fino al luglio 1866.
La particolare situazione del Polesine, come regione di confine fra il Veneto austriaco e le Legazioni di Romagna, contribuì a farne, durante il Risorgimento, attivissimo centro di moti antiaustriaci, tanto che, proprio dal Polesine, e precisamente da Fratta, mosse quella cospirazione carbonara che ebbe il suo epilogo giudiziario nella sentenza del 22 dicembre 1821.
Bibl.: V. De Vit, Le più antiche lapidi romane del Polesine, Venezia 1853; G. Bronziero, Istoria delle origini e condizioni dei luoghi principali del Polesine, ivi 1747-48; L. A. Muratori, Antichità estensi, Modena 1740; A. Cappellini, Il Polesine, Rovigo 1925; F. A. Bocchi, Il Polesine di Rovigo, nella Grande illustraz. del Lombardo-Veneto, Milano 1861, V, ii, pp. 46-52; A. S. Minotto, Monumenta ad Ferrariam, Rhodigium, Policinum ac Marchiones Estenses spectantia, Venezia 1873; B. Cessi, Venezia, Padova e il Polesine di Rovigo, Città di Castello 1904. Per le cospirazioni polesane del 1819-20, v. Bocchi, op. cit.; per gli avvenimenti del '48, G. Piva, La cacciata degli austriaci da Rovigo nel marzo veneto, XXXII, II (1916), p. 481 e segg.; C. Bullo, Dei moti insurrezionali del Veneto sotto il dominio napoleonico e specialmente del brigantaggio politico del 1809, in Nuovo archivio veneto, XXIII, ii. Per il Polesine dopo la caduta della Repubblica, v. Le ragioni del Polesine di Rovigo per formare un separato dipartimento, Venezia 1797. V. anche adria; rovigo.