DIDASCALICA, POESIA
Antichità. - La poesia didattica appartiene al medesimo ceppo dell'epica; una distinzione teoretica, come fra due generi essenzialmente diversi, non è stata fatta dagli antichi, né si poteva fare, quando la mente ricorreva ai creatori e rappresentanti di quelle che erano, per così dire, le due facce di un'identica creazione; era lecito, tutt'al più, dire con arguzia che Omero era l'aedo dei re, Esiodo quello degli agricoltori (Dio Chrys., II, 6-8), creatore uno di più alta, l'altro di più umile epopea, ma sempre con un carattere d'universalità, che la rendeva ben differente da ciò che fu la gnomica pura e da ciò che fu e spesso volle soltanto essere apprendimento facilitato dal verso. Le fonti d'ogni forma di poesia. che si rintracciavano in Omero, si potevano, anche se in forma e proporzione diversa, rintracciare nei poemi esiodei. Dall'arte di questo poeta discese quella poesia narrativa ed espositiva, che, in vista della finalità, fu detta didattica.
Esiodo come esemplare di stile e, sostanzialmente, di tecnica, è presente a tutta la tradizione, almeno a quella che aspira a salire dall'aridità o dalla difficoltà della materia alla poesia vera; cfr. fra i tanti il famoso accenno virgiliano (Georg., II, 176): Ascraeumque cano Romana per oppida carmen, cioè, non materia esiodea ma concepita in spirito esiodeo. Elemento di non piccolo rilievo è il proemio, che si stacca nettamente dalla tradizione omerica, assumendo un aspetto suo proprio, destinato a permanere nei successivi sviluppi. Elemento di gran fondo è poi quello subiettivo, destinato a costituir sempre come il segno distintivo della tradizione esiodea rispetto all'omerica. Ognuno dei poeti didattici ha una sua personalità, positiva o negativa ch'essa sia: da semplicità di particolari si arriva a complicate composizioni, da materia vivificata dall'afflato poetico all'esposizione, spesso volutamente, più arida, che costituisce il trattato scientifico o pseudoscientifico in versi, ma alcuni dei tratti fondamentali, fosse anche in semplice embrione, sono sempre facilmente rintracciabíli. Anche la poesia didattica d'argomento filosofico ha atteggiamenti esiodei, che, per lunga trafila, riecheggiano in Lucrezio. Dall'inno alle Muse della Teogonia esiodea deriva sostanzialmente il proemio di Arato (cfr. G. Pasquali, in Χάριτες, für Leo, Berlino 1911, p. 113 segg.); vero inno, con l'intersezione di motivi personali, è il proemio lucreziano e da questo, nonostante diversità di tecnica e di particolari, non è da disgiungersi l'inizio delle Georgiche di Virgilio; e la tradizione ha il suo seguito in Ovidio, Grazzio e Manilio. Un posto stabile viene quindi a prendere la dedica e, insieme, l'affermazione della novità dell'opera. Importanza notevole assume soprattutto l'inserzione di episodî, che dall'informe giustapposizione sale al pregio di squisito artifizio; nelle opere di maggior rigore e concentrazione, in Arato e Nicandro, l'allusione mitologica, la breve sosta narrativa, compiono l'uguale ufficio d'introdurre varietà nella materia. V'è uno stile della poesia didascalica, almeno in quella che vuole ancora esser poesia, che è riposto nel tono, che limita il solenne e l'augusto a determinate battute e situazioni, che si esprime come in fresca ingenuità, così in tratti di ieratica austerità o di consenso mite e quasi sentimentale con le cose che sono argomento del canto. Per i Greci conta l'esempio formale di Esiodo, per i Romani ha speciale significato, nella didattica non frivola, un temperato arcaismo lucreziano.
Nella poesia esiodea sono in embrione anche gli elementi della poesia gnomica, destinata ad avere uno svolgimento suo, per lo più differenziato come forma, dalla tradizione didattica e filosofica, questa ultima essenzialmente teoretica e interessata ai problemi universali della natura. Per le questioni etiche, per la propaganda spicciola, per la polemica mordace poteva a volte servire il verso epico trattato parodicamente; non certo il poema didattico. In Esiodo, autore della Teogonia e delle Opere e Giorni, vi è, ancora conglomerata, materia destinata ad avere sue proprie speciali trattazioni, e appunto per questa sua varietà egli è considerato legittimamente capostipite di tutta una varia discendenza. Delle composizioni gnomiche, georgiche, astronomiche fatte risalire al suo nome non interessa ora parlare; più importa notare come le grandi correnti didattiche delle età successive scorrono per lo più entro i confini qui già tracciati o, in qualche modo, significati.
La poesia georgica, che considera ideale progenitore il poema delle Opere, rinasce nell'età ellenistica con Menecrate di Efeso e si svolge in Nicandro, che, a torto o a ragione, è considerato esemplare diretto di Virgilio, e in questo trova il suo perfezionamento. Quel tanto di astronomico che riguarda il calendario pratico dell'agricoltore, come acquista una sua peculiare importanza già in età preellenistica, così è il primo germe della poesia astronomica e astrologica, destinata la prima ad assumere una sua forma definitiva in Arato a cui si rifà Virgilio georgico, oltre il cui prodotto non va la didattica romana, che pure ebbe per tale argomento il più vivo interesse: Cicerone, Germanico, Avieno sono, in diverse età e rispecchiando differenti tendenze e finalità artistiche, interpreti del poema arateo; né molto devono essersi scostati dal modello Varrone Atacino e Ovidio, sebbene nulla si possa concludere circa l'opera del primo (fr. 22; Arat., Phaen., 942 segg.) e incerto sia pure il carattere di quella dell'altro, in cui erano assai ridotte le proporzioni (Lact., Inst., II, 5,24, librum, quo Phaenomena breviter comprehendit). È da notare il fondersi dell'elemento astronomico nella poesia etiologica e anche più caratteristiche sono le composizioni mitologiche aventi come conclusione un catasterismo: si esce così dal campo della didattica rigorosamente intesa; ma in tutte queste opere non è possibile tracciare netti confini, poiché essi non furono posti né dalla teoria né, ancor meno, da precise intenzioni dei singoli poeti: letteratura puramente romantica e letteratura rigorosamente didattica, come gusti e tendenze, si tengono spesso assai vicine. Alla tradizione astronomica, che non dispregia la mitologia, e a quella mitologica, che dalle figure celesti trae buona materia, dev'essere tenuta vicina la fortuna poetica dell'astrologia. Forme tutte di un interesse fondamentalmente uguale, anche se diverso è il loro svolgersi ulteriore. Un elenco di nomi (Doroteo, Manetone, Manilio) vuol esprimere in forma concleta il prosperare di tale poesia in entrambe le letterature antiche.
Come nel campo dell'astronomia e astrologia si deve tener conto della tradizione prosastica, perché soltanto la forma esterna distingue prosa e poesia; così chi consideri altri due campi ben coltivati da quella medesima antichità ellenistica e greco-romana, cioè la scienza medicinale e la geografia, deve tener presente che la poesia didattica non è che raffinamento della prosa e che da trattati attinge fedelmente e pedissequamente la sua materia. Il trattatista ha, nei buoni periodi, il desiderio di far progredire la ricerca; il poeta, spesso, soltanto quello di esprimere in politi versi i resultati altrui; non di rado quello d'imprimervi un senso di trascendenza filosofica o, segnando i confini della materia senza rigore di scienza e senza preoccupazione di seguire la fonte migliore, d'infondervi un tratto di romantica indeterminatezza. Chiaro è così perché, ad esempio, Arato si attenga ancora a Eudosso, e perché la scienza geografica di Dionisio il Periegeta sia tanto arretrata.
L'interesse per la scienza corografica ed etnografica è cospicuo nell'età ellenistica: Callimaco ed Eratostene sono nomi di corifei; Filostefano ha la sua parte con notazioni di carattere paradossografico. All'età di Cicerone appartiene Alessandro di Efeso, autore di poemi astronomici e geografici, e forse a lui si ricongiungono Varrone Atacino con la sua Corografia (G. Knaack, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 1449) e Dionisio il Periegeta, il cui poema, come quello di Arato per l'astronomia, segna il punto d'arresto ed è libro classico per le età posteriori e per il mondo romano, al quale in tardi secoli lo volgarizzano Avieno e Prisciano, con inserzioni che non mutano né ravvivano le linee tracciate dal poeta greco.
Connessi con manuali medici, più propriamente farmacologici, di Apollodoro, vissuto al tempo dei due primi Tolomei, sono i poemi di Nicandro che trattano dei. rimedî contro i morsi di belve velenose (Θηριακά) e di contravveleni ('Αλεξιϕάρμακα), che, nella ricercata difficoltà del loro lessico e nella studiata stringatezza dell'esposizione, hanno tuttavia essi pure in Roma la loro eco e la loro fortuna, come prodotto caratteristico di quell'arte ellenistica che, a cominciare sporadicamente dagl'inizî stessi della letteratura e in forma integrale dai νεώτεροι in poi, ha pervaso spiriti e forme della cultura romana: che Emilio Macro sia stato humilis nella sua materia, come, condannandolo a un oblio al quale era già fatalmente condannato, lo qualifica Quintiliano (Inst., X,1,87), poco importa; per noi il suo nome vale in quanto ci mostra il penetrare nella nuova letteratura anche di quest'astrusa forma di poesia didattica. Un'ultima eco di tale moda, per diverso che sia l'argomento, incontriamo nell'opera di Sereno Sammonico, durante l'impero di Alessandro Severo, che per giunta ha comune con i didattici dell'età ellenistica l'attingere a manuale materia a lui praticamente ignota. Ugualmente medici greci dell'età imperiale si servivano del verso per trattare argomenti della loro scienza: Andromaco di Creta, medico di Nerone, in distici, e, forse di poco più antico, Eliodoro di Atene, che in esametri si occupava di veleni. Da questo stesso ceppo, come rampollo laterale, germoglia, non diremo la poesia, ma la serie versificata delle ricette; non soltanto mediehe, poiché parte di questa tradizione è il De medicamine faciei femineae di Ovidio, anche se nell'intenzione del poeta esso deve formare unico ciclo con l'Ars amatoria e i Remedia amoris.
Il mondo degli animali, uccelli, pesci, fiere è pure argomento di poesia didattica, sia come esposizione di caratteristiche di vita e costumi, sia subordinando queste alla descrizione dei metodi di caccia. Tutto ciò ha i suoi precedenti prosastici e non poche delle osservazioni sulle consuetudini ferine risalgono ad Aristotele; ippica e caccia avevano destato già l'interesse di Simone e Senofonte. Anche qui poema mitologico e poema puramente didattico sconfinano e, come l'illustrazione di speciali caratteri ha larga parte nella poesia metamorfica, così accenni di tal natura rompono la monotonia dell'esposizione dottrinaria. Il poema ornitogonico di Boio sta rispetto agli Ixeutika, in certo qual modo, come i Catasterismi nei confronti delle composizioni poetiche di astronomia. Quali rapporti intercorrano fra gli Halieutica di Ovidio, il poema cinegetico di Grazzio e la tradizione ellenistica, non si può stabilire con certezza; ma senza dubbio anche in questi argomenti la poesia romana si attiene a modelli precedenti. Il vanto di novità che Oppiano di Apamea si attribuisce, è spunto di prammatica che va inteso con discrezione. Che Nicandro sia stato autore di Κυνηγετικά o Θηρευτικά (O. Schneider, Nicandrea, p. 125 segg.), è congettura, anche se non improbabile; ma i nomi di Numenio di Eraclea, autore di Θηριακά e ‛Αλιευτικα, di Pankrates di Arcadia, Posidonio di Corinto, Kaikalos di Argo, come autori di poemi sui pesci, sono prova che i poeti di caccia e di pesca dell'età imperiale greco-romana hanno avuto i loro precursori.
Minor seguito ha avuto, per ragioni di facile evidenza, la poesia didattica di argomento filosofico, che dopo Platone e Aristotele non aveva più ragione di essere. Soltanto la fisica di Epicuro e la sua visione dell'armonia cosmica poté attrarre il genio di Lucrezio e far sì ch'egli ritenesse che la poesia empedoclea potesse, dopo silenzî di secoli e mutamento di gusti, rinnovare la sua vita.
Un puro caso è che Accio appaia, cronologicamente, prima di altri a trattare in verso argomenti di natura letteraria. La tendenza, che doveva dare l'Arte poetica di Orazio e via via altri prodottii più o meno pedanteschi, sino a Terenziano Mauro e ad altri grammatici, è anch'essa di origine greca e risale a quel periodo ellenistico, in cui erudito e poeta sono termini congiunti. Eraclide Pontico, dell'età di Claudio e Nerone (Funaioli, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, col. 497), è anello d'una catena le cui parti sono per noi irrimediabilmente spezzate; ma le sue Λέσχα sono prova che appunto nel campo greco, come nel romano, ha sua vita la discussione poetica di problemi letterarî. Se avesse invece un'esistenza sua quella forma tra parodica e parassitaria della poesia didascalica, che ha nell'Ars amatoria e nei Remedia amoris di Ovidio un'espressione artisticamente perfetta, noi certo non possiamo stabilire. Esistenza di τεχναι ἐρωτικαί, concepite sotto i più varî aspetti, è sicura; ma se si sia svolta una tradizione poetica sull'argomento, è cosa che si sottrae alla dimostrazione.
La forma della poesia didattica è, per lunga tradizione, l'esametro; l'uso del metro elegiaco, venuto in uso nell'età alessandrina in questa come nell'epica mitologica, è soltanto sporadico e compare soprattutto in composizioni che non dovettero essere di ambito considerevole e nelle ricette mediche e farmacologiche versificate. Metri lirici, come nelle Λέσχαι di Eraclide Pontico iuniore, costituiscono rara apparizione, limitata alla didattica letteraria, dove poteva avere sue particolari ragioni.
Più attenta considerazione merita il comparire del trimetro giambico come veste poetica di temi didascalici. Che Accio nelle sue polemiche grammaticali con Lucilio adoperasse tale forma di verso non ci sorprenderebbe neppure s'egli non avesse avuto, in questo, precedenti: trimetri, senarî, settenarî trocaici (questo è infatti il metro dei suoi Pragmatica, che avevano pure argomento letterario) ben si convengono alla varia materia e, i primi, certamente anche al tono polemico nell'impostazione dei problemi. I suoi Didascalica, una specie di storia letteraria, varî di contenuto, lo sono pure di forma (F. Leo, Gesch. der röm. Literatur, Berlino 1913, p. 386 segg.): la mistura di verso e prosa tende a portarci verso altre forme e tipi letterarî. Ma in tutto ciò non vi è nulla di sistematico; anzi proprio in queste composizioni la poesia didattica sconfina verso la parodica, la satirica, la gnomica. Se si vuole, esse indicano anche come in realtà la divisione in generi sia qualcosa di artificioso, che soltanto la teoria finisce con l'inasprire e rendere rigidamente scolastica. All'infuori peraltro di questo, che potremmo chiamare territorio di confine della poesia didascalica, il trimetro giambico serve realmente, per dirla con Callimaco, a passare a piedi il campo delle Muse. Ché, se si poteva dubitare in genere dai teorici che questa didattica rientrasse veramente nella grande poesia (cfr. Arist., Poet., 1447 b, 17), erano certamente convinti di non esser poeti e non lo vollero essere coloro che considerarono la veste poetica dei loro trattati nemmeno come attrattiva esteriore, ma semplicemente come piu̇ facile mezzo di apprendimento. Ciò professava senz'altro lo Pseudo-Scimno (33 segg.), dichiarando di aver scelto il metro comico τῖς σαϕηνείας χάριν "per motivo di chiarezza", e "vedendo che la materia sarebbe stata così più facilmente ricordabile". E che l'esempio non fosse senza precedenti e senza seguito dimostrano le Cronache di Apollodoro Ateniese (sec. II a. C.), parecchie raccolte di ricette mediche e l'Ora maritima di Avieno, che, pur fondandosi su importanti fonti antiche, segue l'esempio del Periplo dello Pseudo-Scimno. Nella scuola ha poi avuto per necessità la sua importanza un'analoga produzione poetica grammaticale e retorica.
La poesia didascalica veniva così ad essere, in forma e sostanza, una vera manualistica in verso, e anche questa consuetudine era destinata ad avere influsso e seguito duraturi. Senza ideali di arte né scopo di diletto o di scienza riduceva una nobile tradizione a esaurirsi in necessità scolastiche e a soddisfare ai bisogni di età di limitata cultura, disposte a vivere dei residui della grandezza passata.
Bibl.: Un'opera che studii di proposito gli elementi caratteristici e differenziatori dell'epica didascalica non vi è: non mancano studî speciali sulla composizione dei proemî, come I. Stenzel, De ratione quae inter caminum prooemia et hymnicam Graecorum poesin intercedere videatur, Breslavia 1908; Engel, De antiquorum epicorum didacticorum historicorum proemiis, Marburgo 1910. Di più e di meglio vi è negli studî che si rivolgono ai singoli scrittori. Le notizie riguardanti i varî periodi e l'opera e la personalità dei poeti didattici si possono ricavare facilmente dalle grandi letterature del Christ-Schmid, Schanz-Hosius, Teuffel-Kroll, M. e A. Croiset. Uno sguardo d'insieme al genere visto attraverso ai suoi rappresentanti è quello di W. Kroll, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., XII, col. 1842 segg.
Medioevo ed età moderna. - Il Medioevo, che volle anche nelle decorazioni simboliche delle cattedrali le "somme", i "fiori", gli "specchi", i "tesori", i "conviti" della sapienza, compendiò spesso lo scibile in esposizioni versificate. I componimenti più fortunati, per lo più in esametri, risalgono al sec. IX e al X, quando per la cosiddetta rinascenza carolina si diffuse un gusto letterario fuori dallo spirito religioso ed ecclesiastico. Il Liber de cultura hortorum di Valafrido Strabone trasportava nel verso, con interesse descrittivo, alcune pagine di Columella; l'Ecbasis captivi, opera di un monaco, ci conserva il primo poemetto sugli animali, che con il testo più tardo dell'Isengrinus sarà la prima fonte del Roman de Renard. Al mondo vegetale ci riporta il De viribus herbarum, in esametri, rapidamente diffusosi tanto da diventare testo scientifico nella stessa scuola salernitana. Dei secoli XI e XII sono: il Physiologus di Tebaldo, che indaga la natura degli animali; il Liber lapidum di Marbodo d'Angers, il poema delle pietre e delle loro virtù; il Flos medicinae, l'opera medica più letta nel Medioevo, a cui segue quanto a fortuna e interesse il De balneis Puteolanis di Pietro da Eboli, sulle virtù terapeutiche delle acque di Pozzuoli. E nella stessa epoca Matteo di Vendôme esponeva in versi nella sua Ars versificatoria la stessa dottrina della versificazione.
Sono trattati poetici su argomenti di cultura e di curiosità d'indole determinata e circoscritta, che si producono in margine della prosa, e che ritroviamo inseriti nelle vaste compilazioni enciclopediche medievali e neolatine, nelle quali s'insegnano le arti del trivio e del quadrivio, la fisica e la storia, l'etica e la geografia, la filosofia e il mito classico: dall'Anticlaudiano di Alano da Lilla all'opera di Ildeberto da Lavardin, di Balderico da Bourgueil, fino alle vaste allegorie del Roman de la Rose e del Trésor di Brunetto Latini.
Letteratura italiana. - Il primo secolo della letteratura italiana è ricco di opere dottrinali, per lo più in forma allegorica, nelle quali la dottrina s'asconde "sotto il velame delli versi strani". Lasciando da parte i componimenti dialettali di Bonvesin da la Riva, citeremo: il Tesoretto di Brunetto Latini; l'Intelligenza attribuita a Dino Compagni; il Fiore, rifacimento, attribuito da alcuni a Dante, del Roman de la Rose; Del reggimento e costumi di donna e i Documenti d'amore di Francesco da Barberino.
La stessa Divina Commedia, la nuova epopea delle genti cristiane, è anche indubbiamente il più grande poema enciclopedico medievale. Altri poemi enciclopedici abbiamo nel Trecento, in relazione con quello di Dante, come l'Acerba di Francesco Stabili, detto Cecco d'Ascoli (morto nel 1327), il Dottrinale di Iacopo di Dante; e vere e proprie imitazioni della Divina Commedia, quali il Dittamondo di Fazio degli Uberti, l'Amorosa visione del Boccaccio, i Trionfi del Petrarca, il Quadriregio di Federico Frezzi, descrizione d'un viaggio allegorico nei quattro regni di Amore, di Satana, dei Vizî e delle Virtù. L'imitazione dantesca continua nel Quattrocento: degna di menzione la Città di vita di Matteo Palmieri, esposizione d'una teoria neoplatonica sulla provenienza e le sorti delle anime umane. Ma già l'Umanesimo rifiuta la forma didattico-allegorica dantesca per la classica, lucreziana, e soprattutto virgiliana: ecco i poemetti di Giovanni Pontano sulle stelle, sulle meteore, sulla coltivazione dei cedri (De hortis Hesperidum).
Nel Cinquecento il poema didascalico, seguitando avviamenti già presi nel secolo precedente, oscillò tra l'intento rettorico d'uno sfoggio di pura virtuosità formale e il proposito di esporre i risultati di serie e originali meditazioni dottrinali, giungendo talvolta, quando s'atteneva alla prima maniera, a pregevoli imitazioni virgiliane, e quando alla seconda, a forme di stile vigorose nella loro stessa incuria di eleganza e di purità. Difficile distinguere nettamente l'un dall'altro i due tipi; ché se il medico Girolamo Fracastoro intese soprattutto a far opera di perfetta eleganza, e nel poema Syphilis sive de morbo Gallico (1530) riuscì a superare tutti i didascalici del suo tempo per sincerità d'ispirazione poetica e per spontaneità di atteggiamenti e spiriti virgiliani, egli non dimenticò però i dettami e le esperienze della sua scienza; né la squisita raffinatezza del verso latino toglie ai Poeticorum libri tres di Girolamo Vida (1520) di essere la prima trattazione ampia e complessa di problemi critici nell'età del Rinascimento. Poesia e dottrina, ricordi virgiliani e lucreziani e ardore di pensiero e di fede si uniscono nel poema teologico De animorum immortalitate di Aonio Paleario da Veroli (m. 1570); mentre nello Zodiacus Vitae di Marcello Palingenio Stellato (1537) la vigoria della meditazione intellettuale sopraffà ogni cura di perfezione stilistica. Di pura virtuosità formale sono esempî i poemetti sul gioco degli scacchi e sulla cultura dei bachi da seta del Vida e i Cynegeticon libri sex (1561) di Pietro Angelo Bargeo. Virgilio fu anche il maestro dei didascalici italiani "in verso etrusco da le rime sciolto", assai lontani, per altro, dalla finitezza del loro modello: Giovanni Rucellai, autore delle Api; Luigi Alamanni, autore della Coltivazione; Bernardino Baldi, che è il migliore di tutti, autore della Nautica (1555). Preferì la terza rima, nel Podere e nella Balia, Luigi Tansillo; l'ottava nella Caccia (1591) Erasmo di Valvasone. Troppo inferiore alla citata poetica del Vida è l'Arte poetica di Girolamo Muzio (morto nel 1576).
Scarsissima la produziome di veri e proprî poemi didascalici nel Seicento, che parve preferisse a quelli i poemi descrittivi a imitazione del Mondo creato, ultima infelice opera dello stanco Tasso. Si ebbero così la Creazione del mondo (1608) di Gaspare Murtola; la Primavera di Giovanni Botero, cui altri aggiunse la descrizione delle altre stagioni; lo Stato rustico (1613) di Giov. Vincenzo Imperiale. Il Seicento ci diede anche la notevole Arte poetica, in terza rima, di Benedetto Menzini, mentre l'Ottocento ci dà il miglior poemetto italiano su questa materia: l'Arte poetica di Paolo Costa.
Nel "secolo dei lumi", che con la poetica dell'utile reagisce alla poetica secentesca della "maraviglia", il rifiorimento degli studî classici, dispettati nel Seicento, porge al filosofismo enciclopedico la forma già cara al classico Cinquecento: il poema didascalico, quasi sempre in verso sciolto. Lo Spolverini e il Roberti, infatti, nei loro poemi, inneggiano all'Alamanni. Il concetto, comune a tutti gli illuministi, dover la poesia essere una forma leggiadra d'insegnamento (ma spesso era tutt'altro che leggiadra!), spiega la straordinaria fortuna che ebbe il poema didascalico nel sec. XVIII, massime dopo che il Rolli ebbe pubblicato nel 1717 l'egregia traduzione di Lucrezio di Alessandro Marchetti. Si ebbero allora non soltanto poemi georgici e descrittivi delle stagioni e dei costumi (che hanno talvolta qualche valore artistico), ma poemi precettivi sulle arti e i mestieri, poemi espositivi di metafisica, teologia, estetica, morale, economia, legislazione, fisica, scienze naturali, astronomia. Poemi nei quali il verso (quasi sempre il comodo verso sciolto, metro preferito dal poeta pedagogo) non è che un mezzo di divulgazione di utili idee. Tutta questa immensa produzione non appartiene alla storia della letteratura, bensì a quella della cultura.
Il Parini, al quale il poema didascalico dovette venire fieramente a noia, se, come si può credere, ne fece la parodia nel Giorno, giudiziosamente osservava, a proposito della Coltivazione del Lorenzi, che "gli argomenti di questa sorta sono un pretesto per la bella poesia". Il solo modo di salvare alcuni di questi poemi è quello di considerare appunto l'insegnamento come un pretesto a qualche lirica accensione e a qualche grazioso episodio. Diventano così leggibili il Globo di Venere (1739), poema metafisico di Antonio Conti, che non dispiaceva al Foscolo; le Perle (1746) di G. B. Roberti; la Coltivazione del riso (1758) di G. B. Spolverini; la Coltivazione dei monti (1778), in ottava rima, di Bartolomeo Lorenzi, e i poemetti di C. Gastone della Torre di Rezzonico, Il sistema dei cieli e L'origine delle idee (i778). Il miglior frutto della poesia didascalica in Italia è l'Invito a Lesbia Cidonia (1793) di Lorenzo Mascheroni, quasi tutto vera opera di poesia.
Non senza efficacia fu l'esempio del Mascheroni sui poeti didascalici dell'Ottocento: Giuseppe Barbieri (La sala fisica e altri poemetti); Ilario Casarotti (L'origine dei metalli); Cesare Arici (La coltivazione degli ulivi, Il corallo, La pastorizia, L'origine delle fonti); Angelo Maria Ricci (La georgica de' fiori e altri poemi); Carlo Tedaldi Fores (I cavalli); Giuseppe Nicolini (La coltivazione de' cedri); Lauro Lauri, poco noto ma valente autore de La luce (1850-55). Ma questi poemi sono strascichi settecenteschi. Tutti sentivano che il genere "bastardo", come il Tommaseo lo chiamava, proprio dell'infanzia dei popoli, non si poteva conciliare col rigore delle scienze adulte.
Letterature straniere. - Vicende press'a poco analoghe presenta la poesia didascalica anche nelle altre letterature. Dalle medievali raccolte di "bestiarî, lapidarî, erbarî" e versificate "somme" del sapere sacro e profano, dappertutto la poesia didascalica, quando non si risolve in semplici sentenziosità come, in Germania, nella Bescheidenhait di Freidank, tende a rigonfiarsi in complesse architetture allegoriche; e pochi libri hanno avuto in tutta Europa così numerose imitazioni come il Roman de la Rose. Per una parte s'accentua, sul contenuto scientifico, una prevalenza di contenuto morale; e per l'altra parte s'insiste sulla decorazione retorica; caratteristiche in Francia, sotto questo aspetto, ancora alla fine del sec. XV, le fatiche dei grands rhétoriqueurs.
Alla poesia didascalica, nel più stretto senso della parola, con tendenze scientifiche informative, più che moraleggianti, si torna quasi soltanto con il Rinascimento, per spiegabile influsso di Virgilio e di Esiodo, e anche allora in molto minor misura che in Italia. S'incontrano difatti bensì singole composizioni georgiche. Come Les plaisirs des champs di Gauchet in Francia (1587) o le Hundred Pointes of good Husbandry di Th. Tuper (1557) in Inghilterra e poemi latini varî in Germania; ma all'infuori dell'interminabile enciclopedica Semaine del Du Bartas sono soprattutto e quasi sempre le "arti poetiche" le opere di maggiore rilievo: tanto in Francia dove Vauquelin volle rivaleggiare col Vida col suo Art poétique, quanto in Germania a opera di Opitz e dei poeti raccolti intorno a lui. Anche in Inghilterra, sebbene la maggior parte della trattatistica si sia svolta in prosa, non mancano trattazioni in versi, come il poema di John Sheffield e lord Roscommon sulla prosodia.
Dappertutto la poesia didascalica raggiunse la maggior diffusione soltanto con la fine del Seicento e col principio del Settecento. Basterà ricordare in Francia: per la poesia latina gli Hortorum libri di padre Rapin e il Praedium rusticum di padre Vanière: per la precettistica di poesia e d'arte l'Art poétique di Boileau, la Peinture di Lemierre, la Déclamation theatrale di Dorat; per la poesia filosofeggiante la Religion di Racine figlio, il Discours en vers sur l'homme di Voltaire; per la poesia descrittiva georgica le Saisons di Saint-Lambert, i Mois di Roucher, le Quatre Saisons del Bernis, e, specialmente, il più tipico poeta francese del genere, il Delille. Anche la Germania ebbe in quel tempo una fiorente peesia didascalica con Brockes, Hagedorn, Zachariae, Bodmer, Gleim: culminante nel poema sulle Alpi di Haller. In Inghilterra i poemi celebri del Pope diedero addirittura il tono alla poesia del secolo, con un influsso che fu tanto più grande in quanto s'inserì in una tradizione razionalistica già esistente all'epoca di Dryden e che fu rafforzato dalla forte tendenza istruttiva e moraleggiante della prosa discorsiva e narrativa. Dallo svilupparsi della nuova sensibilita nella seconda parte del secolo sorsero poi, da un lato, la poesia descrittiva delle Seasons di Thomson e dall'altro la meditazione sentimentale dei Night Thoughts di Young: e residui se ne troveranno ancora più tardi nel Cowper stesso (The Task) e nel Wordsworth (The Excursion). Ma oramai la poesia ha già incominciato a cercare nel sentimento la sua origine e la tendenza didascalica viene necessariamente a morire.
Bibl.: Manca una storia della poesia didascalica. Per la letteratura italiana bisogna ricorree alle maggiori storie letterarie, che qui non occorre citare, e ad alcuni vecchi libri (per es., F. Re, Della poesia didascalica georgica degli Italiani, Bologna 1809, e G. B. Cereseto, Storia della poesia in Italia, Napoli 1859, II, pp. 373-496), e ai più ampî trattati d'arte del dire (p. es., G. Mestica, Istituzioni di letteratura, 2ª ed., Firenze 1882, II, pp. 640-82). Pel secolo in cui più abbondano i poemi didascalici, v. E. Bertana, In Arcadia, Napoli 1909 (cfr. G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, pp. 233-38 e 684-91). Per la Germania, v. R. Eckart, Die Lehrdichtung; ihr Wesen und ihre Vertreter, 2ª edizione, Glückstadt 1909.