plebiscito
Nella Roma antica, ogni norma votata dalla plebe su proposta dei tribuni. Nel diritto moderno il termine fu ripreso (per la prima volta in Francia nel 1851) per un istituto di democrazia diretta con cui il popolo è chiamato ad approvare o a disapprovare un fatto, un avvenimento, che riguarda la struttura stessa dello Stato o del governo e, più spesso, il passaggio di un territorio dalla sovranità di uno Stato a quella di un altro.
Fu chiamata p. presso i romani ogni norma votata dalla plebe su proposta dei tribuni. In origine ebbe vigore di legge solo per la plebe; in seguito alcune norme, tra le quali quella sulla inviolabilità dei magistrati, furono accettate dagli organi della repubblica mediante giuramento (si dissero leges sacratae); più tardi, non prima della legge Ortensia del 286 a.C., quando tutte le pretese della plebe circa la parificazione col patriziato ebbero trionfato, si ottenne che anche le norme votate dalla plebe nella sua particolare assemblea vincolassero tutto il popolo. Ne derivò allora una sorta di divisione del lavoro, per cui, mentre le proposte di portata politica venivano presentate dai consoli all’assemblea centuriata, quelle di carattere strettamente tecnico, come la legislazione sul diritto privato, erano lasciate all’iniziativa dei tribuni, che si facevano assistere da esperti giuristi. Dimostratasi, con la crisi graccana e postgraccana, pericolosa e insidiosa per la tradizionale costituzione repubblicana questa duplicazione legislativa, una legge Cornelia dell’88 a.C. toglieva alla plebe tale funzione o la limitava comunque, sottoponendo le proposte dei tribuni alla preventiva approvazione del senato: ma la legge fu abrogata nel 70 a.C., su proposta di G. Pompeo Magno e di P. Licinio Crasso.
Attualmente per p. in senso lato s’intende ogni diretta manifestazione di volontà del popolo e più precisamente di quella parte di esso che gode dei diritti politici. In senso più ristretto, p. è la manifestazione di volontà diretta alla creazione dell’ordinamento giuridico, mentre, una volta che questo sia stato instaurato, la volontà popolare si manifesta con l’esercizio del diritto di voto nelle elezioni o nel referendum, quando questo sia ammesso e nei limiti in cui è consentito. La nozione di p. fu ripresa con l’affermarsi delle idee contrattualistiche del sec. 18° e di quelle della sovranità popolare. Il principio, sull’esempio di ciò che era avvenuto in alcuni stati dell’America Settentrionale, fu applicato alla Costituzione francese del 1793 (mai entrata in vigore) e, nel 1851, ripreso e sviluppato da Luigi Napoleone, che rinnovò per primo il nome di plebiscito. Diversa natura e portata hanno avuto i p. d’annessione, con i quali, dal 1848 al 1870, fu votata l’unione (al regno di Sardegna prima e al regno d’Italia poi) delle nuove province. Con essi, infatti, si attuò il principio dell’autodeterminazione dei popoli e il p. passò dal diritto pubblico interno nel campo del diritto internazionale, nel quale assunse il significato di una diretta manifestazione della volontà della popolazione di un determinato territorio, ai fini del trasferimento della sovranità del territorio stesso da uno Stato a un altro Stato.