platonismo
La filosofia, la dottrina, il pensiero di Platone, negli sviluppi e nelle rielaborazioni che si susseguirono nel corso dell’antichità, nonché gli influssi che il pensiero platonico ha esercitato nei secoli successivi. Più genericamente si parla di p. con riferimento in partic. al carattere della filosofia di Platone che si può sommariamente definire con la formula di «trascendenza dei valori». Per Platone, infatti, le «idee», che costituiscono quanto di eternamente valido può riconoscersi nella realtà e nell’essere, sia dal punto di vista ontologico sia da quello assiologico, non esistono nel mondo sensibile, bensì in una sfera sovraceleste, che nella sua costante identità a sé medesima si contrappone al mondo terreno del divenire, della nascita, della mutazione e della morte.
Se per p. si intende ogni determinato orientamento filosofico o generica visione del mondo che dipenda dall’influsso (avvertito o inavvertito, diretto o indiretto) delle dottrine di Platone, da un punto di vista storico si possono approssimativamente individuare scuole e periodi storici, in cui ciò si manifestò in modo particolare. Nel mondo classico, la storia del p. coincide in larga misura con quella dell’Accademia platonica (➔ Accademia), ma non del tutto, sia perché in alcuni periodi essa si distaccò sensibilmente dallo spirito del p. (con il suo orientamento scettico e probabilistico, che peraltro voleva riallacciarsi all’insegnamento di Socrate), sia perché la più viva tradizione del p. fu spesso proseguita e vivificata da altre scuole e ambienti speculativi. In età ellenistica la fortuna, larghissima, del p. è rappresentata soprattutto dal movimento medio e neoplatonico (➔ neoplatonismo) che riprende i temi essenziali della filosofia di Platone in un intento sistematico (soprattutto, attraverso l’opera di Plotino, con un’organizzazione della dottrina del Bene, delle Idee, dell’anima del mondo in una struttura gerarchica di ipostasi; con una più precisa dottrina dell’anima umana, della sua ‘discesa’ nel corpo e del suo ritorno, ripercorrendo il ritmo circolare che regge tutta la realtà, ecc.) e con forti suggestioni di origine religiosa (che si manifesteranno soprattutto negli scritti ermetici, in seguito nel tardo neoplatonismo con esiti teurgici e magici). D’altra parte motivi platonici sono presenti in tutta la cultura ellenistica, e insieme allo stoicismo costituiscono uno sfondo comune dei vari orientamenti filosofici di quel vasto periodo che va dal 2° sec. a.C. al 5° d.C. (andrà anche ricordata l’opera di commentatori greci di Aristotele, come Ammonio, Giovanni Filopono, Simplicio, che avviano quella compenetrazione tra aristotelismo e p. che tanta influenza ha avuto sul pensiero di Boezio e poi in genere sulla cultura araba e cristiana medievale e rinascimentale).
Assai notevole fu l’influenza esercitata dal p. sulla formazione della filosofia cristiana, i cui inizi sono paralleli al neoplatonismo; il p., per la sua apertura a tematiche religiose, fu avvertito dagli scrittori cristiani come la filosofia più vicina al cristianesimo: Giustino ne faceva il culmine del pensiero pagano per il richiamo alla contemplazione della realtà intelligibile; più in generale il concetto platonico di filosofia come purificazione, ritorno al mondo delle idee, assimilazione alla divinità, era ampiamente ripreso come indicazione di quello che anche per i cristiani deve essere la filosofia; del resto la stessa identificazione di filosofia e religione (εὐσέβεια), già maturata in ambiente medioplatonico, era fatta propria dai pensatori cristiani che identificavano la filosofia, come contemplazione – e possesso – di Dio, con la religione che professavano. Ma al di là della generale concezione della filosofia, molti altri elementi della tradizione platonica erano fatti propri dalla speculazione cristiana dei primi secoli: il concetto di Dio come unità (Uno, monade) trascendente il molteplice (che da lui trae esistenza) e quindi, al di là di ogni distinzione categoriale, inconoscibile e indicibile (principio fondamentale della teologia negativa); il rapporto tra uno e molteplici, tra Dio e mondo scandito secondo il tema della ‘discesa’ e del ‘ritorno’, ritmo circolare in cui il molteplice discende dall’uno scalarmente, attraverso intermediari, per poi ripercorrere il cammino sino all’uno; in partic., l’idea dell’anima che attinge Dio facendosi ‘una’, ‘semplice’, superando la dispersione del mondo sensibile e ogni distinzione razionale per cogliere l’Uno con un atto che supera l’intelletto. In questa visione della realtà come processo dell’Uno si tenta di inserire anche la dottrina trinitaria: se facile era l’accostamento tra l’Uno e Dio padre, e tra il νοῦς o λόγος e Verbo figlio di Dio (non senza correre il rischio di farne un’ipostasi inferiore all’uno), più difficile, e pure tentata, fu l’assimilazione dell’anima del mondo con lo Spirito Santo; comunque, anche al di fuori di questi diretti accostamenti, la terminologia platonica è stata largamente utilizzata nell’elaborazione della dottrina teologica cristiana. In antropologia risulta decisiva l’influenza del dualismo platonico anima-corpo che garantisce l’immortalità dell’anima: quindi autonomia e spiritualità dell’anima, suo stretto legame con il mondo intelligibile e divino della cui natura l’anima partecipa (anche, in alcuni autori cristiani, preesistenza dell’anima e ‘discesa’ nei corpi), in contrapposizione al regno della materia e quindi al corpo inteso come ‘carcere’ del quale ci si deve liberare per ritornare a Dio e riconquistare la propria vera natura (tema in cui anche il conoscere è un processo di liberazione dalle condizioni della materialità). Sono posizioni che facilmente si incontravano con prospettive etiche e ascetiche del cristianesimo e che anche più profondamente operarono in certe tendenze gnostiche e docetistiche. In generale tutti i temi accennati, che non esauriscono affatto la vasta gamma delle suggestioni platoniche, ebbero una diversa e varia influenza sulla cultura cristiana dei primi secoli, ora agendo in profondità così da conferire un’impronta decisamente platonica alla speculazione cristiana (a prescindere dalle tendenze gnostiche e docetistiche cui si è fatto cenno, poi emarginate, uno degli esempi più cospicui è offerto dal pensiero dello pseudo-Dionigi Areopagita; ma influenze decisive operarono più spesso in precisi settori della speculazione cristiana come quello della dottrina dell’anima, della tematica Dio-Bene-Uno, della teologia negativa, ecc.), ora restando più in superficie, soprattutto a livello di prestiti lessicali o di temi isolati. Tra i maggiori rappresentanti del p. cristiano dei primi secoli si collocano anzitutto i Padri alessandrini (Clemente e Origene), quindi i Padri cappadoci come Eusebio, Metodio d’Olimpo, Gregorio Nazianzeno, Gregorio di Nissa, Basilio, Evagrio e ancora Teodoreto di Ciro, Nemesio, l’autore del Corpus areopagiticum (o dionysianum). Tra i latini Agostino è l’autore che ha assorbito e utilizzato maggiormente motivi neoplatonici (soprattutto attraverso la lettura di alcune delle Enneadi), convinto della vicinanza tra p. e cristianesimo (egli diceva di ritrovare nei platonici gran parte degli insegnamenti del prologo del Vangelo di Giovanni, ma non la dottrina dell’incarnazione; e moltissimi sono i temi platonici ripresi, come la dottrina dell’anima e dell’illuminazione, la nozione della materia come prope nihil, ecc.: ➔ Agostino). Attraverso l’opera di Agostino il p. ha operato profondamente sulla successiva speculazione cristiana con una serie di temi che vengono trasmessi già cristianizzati e quindi non sempre avvertiti come platonici. Cospicua risulta anche l’influenza del tardo neoplatonismo greco su Boezio, soprattutto dei commentatori di Aristotele come Ammonio, dai quali derivava anche l’ideale di una concordia da realizzare tra Platone e Aristotele, sicché lo stesso Boezio diventerà un tramite di dottrine platoniche al Medioevo.
Sono scarse le fonti dirette del p. medievale: alle traduzioni di alcuni dialoghi di Platone si aggiunsero nel 13° sec. quelle dell’Elementatio theologica e di alcuni opuscoli di Proclo. Ma è assai più notevole l’influenza di fonti indirette: oltre agli scritti di Agostino e ad alcuni testi della patristica greca tradotti in latino, come il De principiis di Origene, il De hominis opificio di Gregorio di Nissa, il De natura hominis di Nemesio di Emesa e, fondamentale, il corpus delle opere dello pseudo-Dionigi Areopagita (fonti, queste, che presentano temi platonici e neoplatonici già assorbiti in un contesto cristiano), abbiamo fonti della tarda antichità la cui influenza si esercita soprattutto in ambienti dotti, quali il commento di Calcidio al Timeo (➔); il commento di Macrobio al Somnium Scipionis (6° libro del De republica di Cicerone); gli opuscoli De Platone et eius dogmate e De deo Socratis di Apuleio, sotto il cui nome circolava anche l’Asclepio, traduzione latina di un testo ermetico. Alla fine del 12° sec. comincia a circolare lo scritto, fortunatissimo, dal titolo Liber de causis (attribuito ad Aristotele ma in realtà, come comprese Tommaso d’Aquino, estratto dall’Elementatio theologica di Proclo). Si deve tener presente che frattanto il pensiero arabo aveva assorbito molti temi platonici attraverso la cultura siriaca, divenendo a sua volta veicolo di p. nel Medioevo latino dal 12° sec.: pensatori come al-Fārā´bī, al-Ġāzālī, Avicenna avevano ampiamente utilizzato dottrine platoniche nella loro riflessione teologica e filosofica (processo dall’Uno al molteplice per intermediari, immortalità dell’anima, ecc.), fondendole spesso con motivi aristotelici che vengono profondamente modificati dal prevalente platonismo. Nel Medioevo cristiano è spesso difficile distinguere il p. dalla più generale influenza del p. cristiano e soprattutto dall’agostinismo (➔); l’influenza platonica si fa più precisa e definita negli ambienti dove si leggono il Timeo, Calcidio, Macrobio, Boezio, testi che danno al p. un orientamento fisico-cosmologico. Tale tipo di p. giunge a maturità nel 12° sec. e ha il suo centro nella Scuola di Chartres, diventando lo sfondo filosofico prevalente nella cultura di quel secolo e alimentando anzitutto (come motivo più caratteristico) una nuova idea di natura, fuori e anche contro le più consuete trasposizioni simboliche e allegoriche del discorso fisico. Questo p. favorisce anche l’acquisizione di nuovi temi provenienti dall’allora incipiente riscoperta della cultura greca e araba (dottrine astrologico-ermetiche; accoglimento di motivi aristotelici già platonizzati dalla cultura araba, ecc.); d’altra parte il p. esercita anche la sua influenza sul piano della speculazione teologica e dell’esegesi biblica (accentuazione dell’identificazione Uno-Bene; dottrina del verbo come forma essendi e generale concezione platonica del rapporto tra Uno e molteplici, tra Verbo come mondo delle idee e mondo sensibile; schema emanatistico pur in una dottrina creazionistica; interpretazione del Genesi secondo temi della cosmologia del Timeo; oltre, ovviamente, i più generali temi agostiniani). Nel complesso si può dire che il 12° sec. rappresentò l’età aurea del p. medievale (nell’Alto Medioevo forti motivi platonici sono presenti nell’opera di Scoto Eriugena sotto l’influenza dello pseudo-Dionigi, di Gregorio di Nissa e di Massimo il Confessore). Nel 13° sec. il progressivo trionfo dell’aristotelismo emargina la presenza nelle scuole del Timeo e limita fortemente l’influenza del p., che tuttavia continua ad agire attraverso l’agostinismo, soprattutto presso i francescani, e l’opera di Avicenna e degli Arabi (notevoli elementi platonici sono presenti in Alberto Magno, come pure nella metafisica della luce, ripresa, per es., da Roberto Grossatesta). A partire dagli ultimi decenni del secolo, si fa presente la componente neoplatonica attraverso le versioni di Proclo (un amplissimo commento all’Elementatio theologica sarà scritto da Bertoldo di Moosburg): si tratterà di un’influenza limitata ad alcuni ambienti (soprattutto la scuola albertina di Colonia), ma di notevole rilievo in partic. nello svolgimento della teologia mistica speculativa (ove Proclo si inseriva sulla scia dello pseudo-Dionigi).
Una più precisa difesa del p. ricercato nelle sue fonti primarie si manifesta nell’Umanesimo: già Petrarca mostra grande interesse per Platone (che conosce attraverso le versioni medievali del Timeo, Fedone (➔) e Menone (➔); si procurò anche vari dialoghi in greco ma ne aveva una conoscenza troppo limitata per intenderli); tuttavia, la vera rinascita del p. si deve soprattutto all’afflusso in Italia di maestri greci nel Quattrocento. Guarino, allievo di E. Crisolora, riportò da Costantinopoli vari dialoghi di Platone in greco; l’umanista siciliano A. Cassarino nel 1438, rientrando anch’egli da Costantinopoli, li portò forse tutti; ormai per varie vie affluivano in Italia nuovi codici greci, non solo con le opere di Platone, ma anche dei commentatori platonici di Aristotele e dei neoplatonici (Plotino, Porfirio, Proclo, Giamblico, il Corpus hermeticum, ecc.). Presto cominciarono le traduzioni, fino alla versione completa dei dialoghi platonici fatta da Ficino, che tradusse in latino anche le Enneadi e molti altri testi neoplatonici. Fu larghissima la fortuna dei nuovi testi e profonda l’influenza del p. nel Quattrocento e Cinquecento (spesso fondata sulla tradizione agostiniana medievale, ma ben più ricca e articolata per la lettura di opere fino ad allora rimaste ignote ai latini). Se il sogno di Gemisto Pletone di una riforma sociale e religiosa sotto l’insegna della filosofia di Platone (accordata con il cristianesimo) non ebbe seguito, il suo insegnamento contribuì ad accendere a Firenze l’interesse per Platone e provocò una significativa polemica: l’attacco contro gli ideali di Pletone, e, più direttamente, contro la filosofia platonica a opera di Giorgio da Trebisonda, trovò un’ampia replica da parte del cardinale Bessarione (In calumniatorem Platonis), che indicò alcune linee interpretative dell’accordo tra p. e cristianesimo in polemica con l’aristotelismo. A Firenze, al centro della cultura platonica, si pone l’opera di Ficino non solo come traduttore e commentatore dei platonici antichi, ma come autore della Theologia platonica in cui si delinea la tematica e la storia della pia philosophia, cioè di una tradizione speculativa filosofica e religiosa in cui l’insegnamento di Platone si colloca all’interno di un ampio disegno che abbraccia sia l’antica sapienza orientale (peraltro conosciuta attraverso testi ellenistici platonizzanti), sia la tradizione ermetica e neoplatonica (Ficino riteneva ancora autore del Corpus dionysianum il discepolo di Paolo e quindi era facile stabilire una dipendenza da esso degli scritti neoplatonici che in realtà ne erano la fonte), e che era convergente con il cristianesimo. Il p. opera profondamente anche in Pico della Mirandola (sia nella problematica relativa all’Uno, sia, più ampiamente, nella prospettata convergenza di orientamenti culturali diversi – p., aristotelismo, ermetismo, cabala – in un’unica tradizione speculativa), così come cospicua è l’influenza del neoplatonismo, soprattutto di Proclo, nella filosofia di Niccolò da Cusa (➔). Il p. rinascimentale, avvertito in molti ambienti come antidoto al carattere anticristiano dell’aristotelismo e dell’averroismo, riprende moltissimi temi della tradizione della patristica greca e di Agostino (anche in polemica con la teologia scolastica); ma sviluppa altresì motivi nuovi: primo fra tutti quello della filosofia dell’amore in rapporto soprattutto al Simposio (➔) platonico, testo commentato da Ficino, ampiamente discusso e riecheggiato in ambienti diversi; si ricordano in questo senso i Dialoghi d’amore di Leone Ebreo, in cui il tema dell’amore assurge a ispiratore di una visione cosmica di cui è il nesso profondo e dinamico. D’altra parte, nel corso del Cinquecento si avvia anche il tentativo di una nuova concordia tra p. e aristotelismo, attraverso la particolare utilizzazione dei commentatori platoneggianti di Aristotele, soprattutto Simplicio: ne è uno dei massimi esponenti Genua; mentre altrimenti opera in vari orientamenti del naturalismo rinascimentale alimentando una visione dinamica e magica del cosmo in cui confluiscono suggestioni ermetiche, stoiche, cabalistiche (ma andrà anche ricordata la fortuna del p. in certi ambienti della nuova scienza, fra Cinque e Seicento: per es., in Keplero, misto a motivi pitagorici ed ermetici; ma anche in Galilei, nella cui celebrazione della priorità delle matematiche si possono vedere suggestioni platoniche). Sul finire del Cinquecento è tentata da Patrizi una nuova grande sintesi di tutta la tradizione platonica (nel più ampio senso già inteso da Ficino e da Pico e che comprende così la favolosa sapienza caldaica come la tradizione ermetica e cristiana) in un sistema fisico e metafisico imperniato attorno ai temi della luce, dei principi, dell’anima e dello spazio.
Nel Seicento l’influenza del p. sull’apologetica cristiana è ancora assai precisa (strettamente connessa all’agostinismo) come pure sui testi di carattere magico e occultistico (per es., in Fludd); ancora più netta si definisce nel gruppo dei ‘platonici’ di Cambridge, tra i quali (soprattutto in Cudworth) si presenta, ancora una volta, il tentativo di un sistema fisico e metafisico che nel p. vedeva l’antidoto a certi ambigui esiti materialistici e ateistici della filosofia contemporanea. Ma ormai il p., anche se continua a essere punto di riferimento di successive rinascite di filosofie spiritualistiche, continuando quindi a esercitare profonda influenza nella storia del pensiero, non può più considerarsi come un insieme organico di dottrine e la sua storia si dissolve in altri contesti speculativi.
Nella filosofia della matematica, per p. si intende la concezione secondo la quale gli oggetti matematici sono enti forniti di un loro tipo di realtà (paragonabile a quella delle idee platoniche) astratta e ideale ma non per questo meno oggettiva di quella degli oggetti fisici; di questi enti reali la matematica dà una descrizione formale. Al p. si ispirano la teoria cantoriana degli insiemi e le stesse teorie assiomatiche degli insiemi. Anche il logicismo di Frege e Russell è costruito, sotto certi aspetti, in una prospettiva platonistica.