Plasticità nervosa
Le moderne tecniche che consentono la visualizzazione dell'attività cerebrale hanno mostrato che a ogni percezione, azione, pensiero o immaginazione si attivano specifiche aree cerebrali, corticali e non corticali. Svolgere attività diverse significa attivare aree cerebrali diverse. L'attivazione delle aree cerebrali, visualizzata con le tecniche di imaging, riflette quella delle cellule nervose presenti in queste aree. Le cellule nervose presenti nel cervello sono circa 100 miliardi. I neuroni sono tra loro connessi attraverso strutture specializzate dette sinapsi, che servono a trasmettere l'informazione da un neurone presinaptico a uno o più neuroni postsinaptici. La complessità del nostro cervello è tale che in un mm3 di corteccia cerebrale possono essere presenti fino a 600 milioni di connessioni. L'insieme di un gruppo di neuroni connessi fra loro costituisce un circuito nervoso. Il nostro comportamento dipende dall'attivazione coordinata di molteplici circuiti nervosi, che possono includere anche neuroni situati in aree cerebrali differenti. La capacità dei circuiti nervosi di modificarsi in risposta all'esperienza viene detta plasticità nervosa o neurale. Tale proprietà, particolarmente evidente nei circuiti corticali, è essenziale per la nostra esistenza e per la nostra identità. Senza di essa il nostro cervello non si sarebbe sviluppato in maniera appropriata, il nostro comportamento sarebbe rigido e stereotipato, saremmo esseri senza memoria.
La p. n., a sua volta, si basa sulla modificabilità dell'efficacia della trasmissione sinaptica. È la stessa attività elettrica evocata nel circuito dall'esperienza che induce la modificazione dell'efficacia sinaptica, promuovendone un potenziamento o una riduzione: l'efficacia sinaptica si modifica in funzione dell'attivazione che la sinapsi ha avuto precedentemente. La modificazione dell'efficacia sinaptica determina a sua volta una variazione della probabilità che il neurone postsinaptico ha di generare potenziali d'azione in risposta all'attività del neurone presinaptico, e quindi di ritrasmettere l'informazione ad altri neuroni. In questo modo si determina, in risposta all'esperienza, la modificazione della funzionalità di un circuito neurale; se la modificazione dell'efficacia sinaptica risulta duratura nel tempo (modifiche a lungo termine), ne consegue un cambiamento duraturo nella funzione dei circuiti stessi.
Le regole della plasticità neurale
L'esistenza di meccanismi di plasticità sinaptica era stata postulata già nel 1949, prima di averne le prove sperimentali, dallo psicologo D. Hebb, che ne ipotizzava un ruolo nell'apprendimento associativo. Egli affermò che quando l'assone della cellula A prende parte attiva in maniera ripetuta o persistente all'attivazione del neurone B l'efficienza con cui A eccita B aumenta. In questo modo fu introdotto il concetto che la presenza di correlazione fra l'attività del neurone pre- e postsinaptico promuove il rafforzamento della trasmissione sinaptica.
Come corollario, la mancanza di correlazione determina un indebolimento dell'efficacia sinaptica. La verifica sperimentale dell'ipotesi di Hebb si ebbe con la scoperta, all'inizio degli anni Settanta del 20° sec., del fenomeno del potenziamento a lungo termine (LTP) e con la successiva scoperta del fenomeno speculare, la depressione a lungo termine (LTD). Il LTP consiste nell'aumento prolungato (fino a diverse ore in vitro o a diversi giorni in vivo) dell'efficacia sinaptica, misurabile dall'aumento del potenziale postsinaptico eccitatorio. Tale potenziamento si verifica in seguito a un periodo di intensa attività presinaptica e postsinaptica correlata ed è specifico, ovvero si verifica solamente per le sinapsi in cui tale attività si è verificata. La LTD consiste nella diminuzione dell'efficacia sinaptica, misurabile dalla riduzione del potenziale postsinaptico eccitatorio in seguito al succedersi di stimolazioni a bassa frequenza.
Anche in questo caso i cambiamenti sono specifici per i siti sinaptici che sono andati incontro a tale stimolazione. LTP e LTD sono stati osservati in molte aree cerebrali, corticali e sottocorticali. La sequenza degli eventi che conducono a modifiche a lungo termine dell'efficacia sinaptica sembra essere, nella maggior parte dei casi, la seguente: a) rilevamento della presenza di attività correlata fra l'elemento pre- e l'elemento postsinaptico; b) innesco delle modifiche dell'efficacia sinaptica con l'attivazione di vie intracellulari; c) sintesi locale; d) attivazione di fattori di trascrizione e sintesi di nuovi mRNA.
Rilevamento della presenza di attività correlata fra l'elemento pre- e l'elemento postsinaptico. - Per le sue proprietà, il recettore per il glutammato NMDA (N-Metil-D-Aspartato) è considerato il più adatto per rivelare la correlazione fra attività pre- e postsinaptica. Infatti, questo recettore necessita della coincidenza di due eventi affinché una corrente ionica possa attraversare il canale: la presenza di glutammato, segno dell'attività presinaptica, e la depolarizzazione della membrana postsinaptica, segno dell'attività del neurone postsinaptico. Appare opportuno sottolineare che l'attività dei circuiti inibitori svolge un ruolo determinante nel regolare l'induzione dei fenomeni di plasticità sinaptica sia attraverso la regolazione del pattern di attività nel circuito sia attraverso la regolazione dell'attivabilità dei recettori NMDA.
Innesco delle modifiche dell'efficacia sinaptica con l'attivazione di vie intracellulari. - Vi possono contribuire fattori extracellulari quali le neurotrofine (NT), che determinano i primi effetti, quali cambiamenti nella densità dei recettori sinaptici e nel rilascio di neurotrasmettitori, presenti entro pochi minuti dall'innesco. I processi che conducono alla modificazione dell'efficacia sinaptica si verificano localmente, ovvero solo alla o alle sinapsi per cui è avvenuto il rilevamento della presenza di attività correlata. Anche in questo caso l'elemento cruciale è il recettore NMDA e in particolare il massiccio ingresso di calcio all'interno della zona postsinaptica mediata dai recettori NMDA che a sua volta attiva specifiche vie intracellulari. L'induzione dei fenomeni di plasticità sinaptica a lungo termine è fortemente modulata da una classe di fattori neurotrofici, le NT, quali NGF, scoperto da R. Levi-Montalcini, BDNF, NT-4 e NT-3. La produzione e il rilascio di NT è dipendente dall'attività elettrica e, a loro volta, le NT possono modulare l'attività elettrica e la trasmissione sinaptica sia a livello presinaptico sia postsinaptico. È probabile che questa reciproca interazione tra NT e attività elettrica contribuisca a rinforzare selettivamente le connessioni neurali attive (Berardi, Pizzorusso, Ratto et al. 2003).
Sintesi locale. - La sintesi locale, alla sinapsi attivata, di nuove molecole a partire da mRNA già esistenti, determina ulteriori cambiamenti funzionali locali, per es., a carico dei recettori sinaptici, e i primi, rapidi cambiamenti morfologici a carico dei contatti sinaptici (in particolare delle spine dendritiche, che possono anch'essi avvenire entro pochi minuti dall'innesco). Bloccando la sintesi proteica si ottengono, infatti, potenziamenti o depressioni di breve durata. La presenza di rapidi cambiamenti morfologici nei fenomeni di plasticità sinaptica suggerisce la presenza di un'attività proteolitica, che degradi componenti della matrice extracellulare (MEC) rendendo così possibili tali cambiamenti: in effetti, l'attività di proteasi quali il tPA (tissue Plasminogen Activator) è coinvolta nell'instaurarsi di LTP nell'ippocampo.
Attivazione di fattori di trascrizione e sintesi di nuovi mRNA. - L'attivazione di fattori di trascrizione e la sintesi di nuovi mRNA (processi di trascrizione genica) determinano ulteriori cambiamenti morfologici e stabilizzano quelli già avvenuti. Tali processi avvengono dopo alcune decine di minuti dall'innesco e sono essenziali per il mantenimento dei cambiamenti dell'efficacia sinaptica con durata superiore a due o tre ore. Per questi processi appare essenziale l'attivazione di fattori di trascrizione quali CREB. In presenza di blocco dell'attivazione di CREB si induce un processo di potenziamento che decade rapidamente.
Plasticità corticale
Plasticità corticale durante lo sviluppo
Durante lo sviluppo il ruolo dell'esperienza è fondamentale affinché i circuiti cerebrali, inizialmente formatisi sulla base di specificazioni genetiche, maturino in maniera appropriata a garantire il normale sviluppo sia delle funzioni cerebrali sia del comportamento.
Alla specificazione genica va il ruolo di guidare i processi iniziali dello sviluppo cerebrale e quello della formazione iniziale delle connessioni neurali. All'esperienza specifica dell'individuo e alle sue interazioni con l'ambiente va il ruolo di guida delle fasi finali dello sviluppo dei circuiti cerebrali, conducendoli allo stato maturo e quindi allo sviluppo delle diverse espressioni del comportamento in maniera individuo-specifica. L'esperienza integra e completa quindi il lavoro svolto dai geni e agisce entro i vincoli da essi stabiliti. In maniera molto semplificata potremmo dire che i geni sono la potenzialità di un comportamento, cioè la costruzione iniziale dei circuiti che potrebbero esserne alla base. L'esperienza specifica dell'individuo determina se e in che modo tali potenzialità verranno espresse. Senza i geni l'esperienza è inutile; senza l'esperienza la potenzialità iniziale resta inespressa. L'esperienza è in grado di guidare la maturazione dei circuiti neurali in sviluppo in quanto tali circuiti sono estremamente sensibili all'esperienza stessa, mostrano ovvero una plasticità elevata. Un modo per evidenziare l'elevata plasticità dei circuiti corticali in sviluppo e i meccanismi che ne sono alla base è quello di alterare l'esperienza. Nello studio della plasticità corticale visiva durante lo sviluppo un metodo classico per alterare l'esperienza visiva è la deprivazione monoculare (DM). Se durante lo sviluppo la visione da parte di un occhio è condizionata, a causa di cataratta unilaterale, da forte anisometropia o da occlusione sperimentale, l'acuità visiva di quest'occhio, ma non quella dell'occhio normale, mostrerà un'assenza di sviluppo, rimanendo simile a quella di un neonato. Se la cataratta, l'anisometropia o l'occlusione sperimentale vengono rimosse tardivamente, l'acuità visiva dell'occhio deprivato rimarrà permanentemente più bassa del normale; questa condizione è nota con il nome di ambliopia. Nell'uomo, l'acuità visiva dell'adulto è intorno ai 50 cicli/grado (dieci decimi); nell'ambliope, l'acuità visiva può risultare inferiore a 5 cicli/grado, una situazione che corrisponderebbe all'incapacità di leggere le lettere della prima riga in alto di una tabella ottotipica. Oltre a una acuità visiva molto più bassa, l'occhio ambliope mostra anche una curva di sensibilità al contrasto più bassa rispetto all'occhio normale: la visione attraverso questo occhio è quindi molto deficitaria e, nella maggior parte dei casi, l'informazione proveniente da tale occhio viene soppressa.
Per comprendere i meccanismi alla base degli effetti riscontrati in presenza di deprivazione o alterazione dell'esperienza visiva nell'uomo, D. Hubel e T.N. Wiesel iniziarono, negli anni Cinquanta del 20° sec., una serie di studi in modelli animali. I risultati ottenuti mostrarono che la DM determinava un forte spostamento della dominanza oculare (DO) dei neuroni corticali visivi a favore dell'occhio non deprivato, ovvero la maggior parte dei neuroni corticali visivi rispondeva solo alla stimolazione dell'occhio non deprivato. Si aveva anche una forte riduzione del numero di neuroni binoculari. Nell'animale sottoposto a DM si osserva anche un calo di acuità visiva, documentato sia con la tecnica elettrofisiologica dei potenziali evocati visivi, sia con tecniche comportamentali: l'occhio deprivato diventa quindi, come nell'uomo, ambliope e la visione binoculare è fortemente compromessa. A livello anatomico, si può osservare: a) un'espansione delle colonne di DO corrispondenti ai terminali assonici delle fibre del nucleo genicolato laterale (NGL), guidati dall'occhio non deprivato; b) una riduzione di quelle corrispondenti all'occhio deprivato (NGL è il nucleo talamico che ritrasmette alla corteccia visiva le informazioni dalla retina).
Va sottolineato che, a differenza di quanto già ipotizzato, la formazione delle colonne di DO, e più in generale lo stabilirsi iniziale dell'architettura funzionale della corteccia visiva, si basa soprattutto su meccanismi intrinseci, indipendenti dall'esperienza, anche se l'esperienza visiva ne determina il successivo mantenimento, raffinamento e modificazione. I risultati ottenuti alterando l'esperienza visiva sono paradigmatici di quanto accade anche in altri sistemi sensoriali in seguito a modificazione dell'esperienza sensoriale durante lo sviluppo: per es., l'occlusione di un orecchio conduce a modifiche nei neuroni acustici e della mappa dello spazio acustico; alterazioni del contenuto in frequenze acustiche dell'ambiente producono un'alterazione delle curve di selettività per la frequenza acustica (selettività tonale) e della mappa tonotopica nella corteccia acustica. Anche in quest'ultimo caso gli effetti dell'alterazione dell'esperienza durante lo sviluppo sono permanenti (Chang, Merzenich 2003). Nel caso della DM le fibre afferenti guidate dall'occhio chiuso hanno un'attività scorrelata rispetto a quelle guidate dall'occhio aperto e mentre queste ultime, avendo un'attività elettrica più ricca, riescono efficacemente a guidare i neuroni postsinaptici, le altre non vi riescono. L'attività delle fibre che ricevono ingresso dall'occhio deprivato risulta quindi scorrelata rispetto all'attività dei neuroni postsinaptici; tali fibre perdono quindi le loro connessioni sinaptiche sui neuroni corticali. Di conseguenza, le cellule corticali diventano monoculari e sono guidate solo dall'occhio non deprivato in quanto le connessioni corticali guidate dall'occhio deprivato vengono ritratte a causa della 'competizione' con quelle guidate dall'occhio non deprivato.
Il ruolo cruciale svolto dalla distribuzione temporale degli impulsi nervosi è stato dimostrato anche nello sviluppo di circuiti non visivi. Per es., gli effetti deleteri della presenza simultanea di tutte le frequenze acustiche udibili sullo sviluppo della selettività per le frequenze acustiche è attribuito alla mancanza di 'scorrelazione' fra l'attività di neuroni che rispondono a frequenze diverse, il che proverebbe il raffinamento dei circuiti per la selettività tonale, impedendo l'eliminazione delle connessioni acustiche attivate da frequenze molto diverse da quella che evoca la risposta maggiore.
Meccanismi alla base della plasticità corticale visiva
Al rilevamento della presenza di attività scorrelata fra due insiemi di fibre afferenti farebbe seguito una serie di effetti funzionali rapidi, che si instaurano nel giro di poche ore (poche ore di DM sono già sufficienti a spostare la distribuzione di DO in maniera apprezzabile) e che portano al potenziamento dell'efficacia sinaptica delle fibre guidate dall'occhio aperto e a una depressione dell'efficacia sinaptica delle fibre guidate da quello chiuso senza che vi siano visibili cambiamenti morfologici. Solo numerosi giorni più tardi si verificherebbero cambiamenti morfologici su larga scala consistenti nella ritrazione dei terminali assonici delle fibre del NGL guidate dall'occhio deprivato e alla espansione dei terminali assonici delle fibre guidate dall'occhio non deprivato.
Alla identificazione della presenza di attività scorrelata fra i due insiemi di fibre afferenti e all'innesco dei processi di plasticità, per cui è necessaria l'attività dei recettori NMDA e la funzionalità dei circuiti inibitori intracorticali (Hensch 2005), fa seguito una serie di effetti rapidi funzionali e morfologici, che si instaurano nel giro di poche ore: a) l'inserzione in membrana di nuovi recettori sinaptici ai siti sinaptici corrispondenti all'occhio non deprivato; b) la riduzione di quelli inseriti ai siti sinaptici corrispondenti all'occhio deprivato; c) l'aumento della mobilità delle spine dendritiche che conduce, nel giro di qualche decina di ore, alla ritrazione delle spine dendritiche giustapposte ai terminali assonici guidati dall'occhio deprivato. Come risultato di questi cambiamenti morfologici su piccola scala, l'ingresso dall'occhio non deprivato si potenzia, mentre quello dall'occhio deprivato si deprime per riduzione del territorio sinaptico, e il neurone diventa monoculare. In linea con la presenza di rapidi cambiamenti morfologici, la sintesi proteica e la trascrizione genica a livello corticale risultano necessarie per il manifestarsi degli effetti della DM: il blocco della sintesi proteica nella corteccia visiva e il blocco dell'attivazione di CREB bloccano infatti tali effetti. Nel giro di qualche giorno dall'inizio della DM inizia ad aumentare il numero di spine dendritiche che si giustappone ai siti sinaptici corrispondenti all'occhio non deprivato, che conduce a un ulteriore potenziamento dell'ingresso sinaptico guidato da quest'occhio (Berardi, Pizzorusso, Maffei et al. 2004; Hensch 2005).
Ancora più tardivamente sono visibili cambiamenti morfologici su larga scala a carico dei terminali assonici delle fibre del NGL. La somministrazione esogena di NT modifica gli effetti della DM e previene gli effetti deleteri della mancanza di esperienza visiva, risultato ottenibile anche con la sovraespressione di BDNF, suggerendo che la disponibilità di NT sia un fattore cruciale per la maturazione delle connessioni corticali. In effetti, il blocco dell'azione delle NT endogene, e in particolare di NGF, previene lo sviluppo delle connessioni corticali visive (Berardi, Pizzorusso, Ratto et al. 2003). La rapida presenza di cambiamenti nella densità delle spine in seguito a DM suggerisce l'attivazione di proteasi extracellulari che degradano la MEC, favorendo i cambiamenti morfologici necessari per il manifestarsi degli effetti della DM. Una di queste proteasi è il tPA, che è prodotto in maniera attività-dipendente e la cui attività proteolitica aumenta in seguito a DM. L'attività del tPA è necessaria per il manifestarsi della plasticità corticale visiva, in quanto gli effetti della DM, sia morfologici sia funzionali, sono assenti in topi con delezione del gene del tPA (Berardi, Pizzorusso, Maffei et al. 2004; Hensch 2005).
Periodi critici per la plasticità esperienza-dipendente
Una scoperta fondamentale per la comprensione della relazione fra geni, ambiente e sviluppo del comportamento è stata quella dell'esistenza di 'periodi critici'. I periodi critici sono quelle particolari finestre temporali durante lo sviluppo postnatale entro le quali l'esperienza può agire in maniera particolarmente efficace per modellare lo sviluppo dei circuiti nervosi. Terminati questi periodi, che hanno una durata diversa per le diverse funzioni in sviluppo, l'esperienza non avrà più lo stesso effetto e quindi, se i circuiti cerebrali non sono stati 'esercitati' in maniera appropriata durante queste finestre di opportunità, qualcosa è andato perso per sempre.
Anche se in seguito fosse possibile per il soggetto esercitare tali circuiti, essi non risponderebbero più all'esperienza e lo sviluppo della corrispondente funzione non avviene più come se l'esperienza appropriata fosse stata fatta nel momento in cui avrebbe dovuto essere fatta. Emblematico è il caso di un soggetto che aveva perso la vista per un incidente intorno ai tre anni di età (Fine, Wade, Brewer et al. 2003). Da adulto, per una innovativa operazione oftalmologica, riacquistò la capacità di vedere, ma la sua acuità visiva risultò di poco superiore a quella di un neonato, senza nessun segno di miglioramento ancora 21 mesi dopo l'operazione. È da notare che il soggetto non mantenne neanche le capacità visive che aveva al momento dell'incidente: la mancanza di esperienza visiva aveva causato quindi addirittura un regresso rispetto ai valori di acuità raggiunti, perché i circuiti non erano ancora completamente maturi e l'esperienza era ancora necessaria per il consolidamento delle connessioni. Abbiamo detto che l'esperienza è in grado di guidare lo sviluppo dei circuiti corticali in quanto essi sono estremamente plastici. L'elevata plasticità dei circuiti neurali in sviluppo ha probabilmente proprio lo scopo di consentire all'esperienza di guidare la maturazione delle connessioni neurali. Lo sviluppo esperienza-dipendente di una funzione e il declino della plasticità nei circuiti corticali alla base di tale funzione sono due facce dello stesso fenomeno, la maturazione attività-dipendente delle connessioni neuronali: man mano che l'esperienza guida la selezione delle connessioni neurali, determinando la maturazione di un circuito e della corrispondente funzione, il circuito e la funzione diventano sempre meno modificabili dall'esperienza. Questo è rappresentato vividamente dal fatto che c'è correlazione tra la durata del periodo critico per la plasticità corticale e la durata dello sviluppo di una funzione. L'esperienza guida quindi lo sviluppo dei circuiti e la chiusura dei periodi critici, come evidenziato dalla mancata chiusura dei periodi critici visivi in assenza di esperienza visiva. Anche l'induzione di fenomeni di plasticità sinaptica quali LTP e LTD mostra un periodo critico: la possibilità di indurre tali fenomeni declina dopo la nascita in modo parallelo al periodo critico per la deprivazione sensoriale, sia nella corteccia visiva sia somatosensoriale. Inoltre, la mancanza di esperienza visiva, che ritarda la chiusura del PC per la DO, ritarda anche la chiusura del PC per la plasticità sinaptica nella corteccia visiva primaria. Questa evidenza correlativa è consistente con la teoria che LTP e LTD siano coinvolte nella modificazione dei circuiti neurali guidata dall'esperienza. In un esperimento è stato ottenuto un dato causale in questa direzione (Heynen, Yoon, Liu et al. 2003): è stato dimostrato che una breve DM mette in moto gli stessi cambiamenti molecolari e funzionali causati dall'induzione di LTD in corteccia visiva. Non solo, l'induzione dei cambiamenti dell'efficacia sinaptica causati dalla DM e sopra descritti occludono la successiva induzione di LTD, indicando che i meccanismi della LTD contribuiscono alla plasticità corticale visiva. Quali sono i meccanismi che rendono facilmente possibile l'induzione di plasticità sinaptica nella corteccia durante i periodi critici e che la limitano nell'adulto? Non tutti i fattori di plasticità corticale visiva sopra menzionati sono anche possibili determinanti dei periodi critici. Per es., i recettori NMDA, fattore cruciale per il manifestarsi della plasticità della DO, non sembrano determinarne il declino che caratterizza la fine del PC, nonostante l'espressione delle diverse subunità del recettore NMDA cambi con lo sviluppo in maniera esperienza dipendente (Berardi, Pizzorusso, Ratto et al. 2003). Lo sviluppo dell'inibizione intracorticale, le NT e lo sviluppo di componenti della MEC sono invece possibili determinanti per il declino della plasticità corticale. Per il primo fattore, ci sono evidenze che un accelerato sviluppo della circuiteria inibitoria intracorticale, presente in topi con precoce espressione di BDNF, accelera l'apertura e la chiusura del PC per la plasticità della DO; una precoce apertura del PC si osserva anche in seguito al precoce aumento del tono inibitorio intracorticale ottenuto farmacologicamente (Berardi, Pizzorusso, Ratto et al. 2003; Hensch 2005). Per le NT, è stato dimostrato che il blocco di NGF endogeno prolunga la durata del PC, mentre la precoce espressione di BDNF ne accelera la chiusura (Berardi, Pizzorusso, Ratto et al. 2003). Alcuni dati suggeriscono infine che lo sviluppo di una classe di componenti della MEC, i condroitinsolfato proteoglicani (CSPG), contribuisca al declino della plasticità corticale. I CSPG sono non permissivi per la generazione di terminali assonici e la loro rigenerazione dopo lesione. Nel sistema nervoso centrale dell'adulto i CSPG sono condensati in reti perineuronali (RPN) che circondano completamente i corpi cellulari e i dendriti. Nella corteccia visiva il processo di condensazione inizia tardivamente durante lo sviluppo e si completa dopo la fine del PC, suggerendo che tale sviluppo renda progressivamente più difficili quei cambiamenti morfologici che sono necessari per il manifestarsi della plasticità della DO. Una diretta dimostrazione di questa teoria si è avuta degradando i CSPG nella corteccia visiva adulta: tale degradazione riattiva la plasticità della DO (Pizzorusso, Medini, Berardi et al. 2002).
Un'esperienza particolare durante lo sviluppo: l'arricchimento ambientale
Cambiamenti nello stile di vita quali l'aumento dell'attività fisica volontaria e delle interazioni sociali, sono di beneficio non soltanto per il tono muscolare e la vita di relazione ma anche per le funzioni cerebrali. Negli animali, l'esposizione a un ambiente in cui vi sia la possibilità di fare esercizio fisico, giocare, esplorare oggetti nuovi (ambiente arricchito, AA) ha effetti strutturali, in quanto aumenta lo spessore corticale e la densità sinaptica, e funzionali, perché potenzia le capacità di apprendimento e memoria (van Praag, Kempermann, Gage 2000). Per qualche tempo AA è stato considerato un artificio di laboratorio, un tentativo di ripristinare condizioni simili a quelle presenti in natura, in cui gli animali esplorano l'ambiente e compiono esercizio fisico per procurarsi il cibo, per sfuggire ai predatori e trovare un compagno. Tuttavia, osservando gli animali che giocano negli AA sorge una differente interpretazione: mentre l'attività in natura è guidata dalla necessità, dalle 'sfide' che l'ambiente pone, in AA l'attività appare guidata dalla curiosità. È come se si fosse scambiata la sfida con il gioco. L'esposizione ad AA dalla nascita ha effetti sorprendenti sullo sviluppo visivo, accelerando cospicuamente lo sviluppo dell'acuità visiva e il declino della plasticità corticale (Cancedda, Putignano, Sale et al. 2004) e prevenendo gli effetti deleteri della mancanza di esperienza visiva (Bartoletti, Medini, Berardi et al. 2004). AA agisce influenzando l'espressione dei fattori cruciali per la plasticità corticale visiva di cui abbiamo parlato precedentemente, quali le NT e lo sviluppo della circuiteria inibitoria. Anche nell'adulto AA produce effetti sulla plasticità corticale visiva, aumentandola al punto da favorire il recupero dagli effetti di una pregressa DM. Inoltre, in un modello murino di Alzheimer, è stato dimostrato che un'esposizione precoce ad AA previene l'insorgenza dei deficit cognitivi e anatomici, mentre l'esposizione tardiva ne rallenta la progressione. Gli effetti dell'esercizio fisico sulla produzione di NT è stata documentata anche nell'uomo, dimostrando che l'espressione di BDNF aumenta e rimane elevata in soggetti che compiono esercizio fisico regolare (Cotman, Berchtold 2002) e dati correlativi suggeriscono che l'esercizio fisico rallenta il declino cognitivo nell'anziano (Laurin, Verreault, Lindsay et al. 2001; Weuve, Kang, Manson et al. 2004). Una maggiore attività fisica e sociale potrebbe essere quindi utilizzata come approccio terapeutico anche nell'invecchiamento dell'uomo.
La plasticità nel cervello adulto
Fino alla fine degli anni Ottanta, la possibilità che anche le strutture nervose dell'individuo adulto fossero capaci di plasticità veniva limitata a quelle aree chiaramente coinvolte nei fenomeni dell'apprendimento e della memoria, quali sono quelle dell'ippocampo. Oggi invece è ben documentato il fatto che le cortecce sensoriali e motorie possono andare incontro a riorganizzazioni funzionali, anche se di entità molto minore rispetto a quanto accade nello sviluppo. L'osservazione che la plasticità dell'adulto è ridotta rispetto al periodo dello sviluppo è comprensibile considerando che una certa stabilità delle connessioni neurali è necessaria per una certa stabilità delle relazioni con l'ambiente. Numerosi studi hanno dimostrato che la p. n. nelle strutture corticali adulte si verifica in risposta all'apprendimento percettivo e motorio. L'esperienza induce un rimodellamento delle connessioni corticali che porta a una modifica delle mappe corticali o rimappatura, ovvero lo spostamento del campo recettivo sotto l'influsso degli stimoli provenienti dall'esterno. Per fare un esempio, G.H. Recanzone e i suoi collaboratori hanno esaminato la rappresentazione tonotopica della corteccia acustica in scimmie allenate a discriminare piccole differenze fra toni acustici. Le cellule acustiche sono selettive per i toni e rispondono in maniera più vigorosa a una particolare frequenza acustica detta frequenza caratteristica. Cellule corticali vicine hanno frequenze caratteristiche simili, e la frequenza caratteristica cambia ordinatamente passando da una zona della corteccia acustica primaria a quella adiacente. Nelle scimmie che avevano acquistato con l'allenamento una capacità discriminativa più fine, l'estensione della rappresentazione corticale delle frequenze utilizzate per l'apprendimento era maggiore di quella trovata, per le stesse frequenze, in scimmie che non avevano ricevuto alcun addestramento. Questa variazione della mappa, corrispondente a una espansione dei campi recettivi, si verifica solo se l'animale è coinvolto in un processo di apprendimento attivo e non in seguito alla semplice esposizione passiva agli stimoli sonori. Infatti, in scimmie che avevano ascoltato gli stessi stimoli di quelle sottoposte all'apprendimento acustico (e per lo stesso numero di volte), ma che erano impegnate in un compito di discriminazione tattile, la capacità discriminativa tonale non migliorava e non si osservava alcuna estensione dell'area di rappresentazione corticale per le frequenze udite. Ciò suggerisce che siano implicati in questo processo i sistemi reticolari ascendenti, che modulano l'attività delle cellule corticali in funzione dello stato comportamentale. In effetti, l'appaiamento della presentazione di una frequenza acustica con la stimolazione del fascio colinergico che innerva la corteccia determina una massiccia rimappatura nella corteccia acustica primaria paragonabile a quella provocata dall'apprendimento. La coattivazione ripetuta di cellule diverse sembra essere il fenomeno cruciale per l'espansione della mappa. Evidenze per una rimappatura sono state ottenute anche in pazienti che hanno subito l'amputazione di un arto, i quali sperimentano spesso il fenomeno dell'arto fantasma, continuando a percepire la presenza dell'arto amputato e a provare sensazioni provenienti da esso, che mostrano la presenza di una rappresentazione dell'arto amputato sulla cute del moncone e del viso. In questi pazienti l'area corticale corrispondente alla rappresentazione della mano mancante poteva essere attivata sia toccando la faccia sia toccando la zona del braccio menomato sopra la linea di amputazione. Quali meccanismi possono spiegare queste modificazioni in un cervello adulto? La risposta è probabilmente nell'esistenza di una certa ridondanza nelle afferenze e nelle efferenze delle cellule corticali: l'area corticale potenziale su cui può essere rappresentato un punto della periferia recettoriale può essere molto grande e, di converso, l'area recettoriale che fornisce l'afferenza a una cellula corticale è piuttosto ampia. Un campo recettivo misurato in maniera convenzionale è quindi un sottoinsieme di questa vasta zona periferica. Il ruolo della sincronicità delle afferenze nel modificare i campi recettivi e la topografia potrebbe quindi essere quello di selezionare, a richiesta, un sottoinsieme di tali afferenze aumentandone l'efficacia sinaptica, ed eventualmente riducendo quella delle altre. Un campo recettivo è quindi una struttura dinamica, che può cambiare senza che si formino connessioni anatomiche nuove che inviano segnali alla cellula corticale. I meccanismi alla base del cambiamento sono del tipo LTP e LTD. In effetti, è stato dimostrato che l'apprendimento di abilità manuali determina il potenziamento della trasmissione sinaptica nelle connessioni intracorticali della corteccia motoria nella zona di rappresentazione della mano e che tale potenziamento indotto dall'apprendimento occlude LTP indotto elettricamente.
Riorganizzazione delle mappe corticali dopo lesione corticale e terapia riabilitativa
La rimappatura corticale che fa seguito a una lesione periferica non ha conseguenze positive per i soggetti, anzi spesso si accompagna alla presenza di dolore riferito all'arto fantasma. La rimappatura sarebbe invece di grande utilità nel caso di una lesione corticale, in quanto consentirebbe, per es., di spostare la guida del movimento della mano da un gruppo di cellule della corteccia motoria lesionate a un gruppo di cellule adiacenti sane. Conoscere le regole della plasticità ha aiutato a progettare una strategia riabilitativa basata sull'allenamento incrementale (la difficoltà dell'esercizio viene progressivamente aumentata) e sull'utilizzo forzato dell'arto controlesionale (CIT, Constraint Induced Therapy). I risultati ottenuti in modelli animali mostrano che avviene una rimappatura corticale motoria: cellule che prima guidavano il movimento del polso ora guidano il movimento delle dita e ciò correla con un buon recupero comportamentale. Risultati analoghi sono stati ottenuti nell'uomo: la CIT determina una rimappatura nella corteccia motoria lesionata che si mantiene per mesi e che è in ottima correlazione con il recupero delle abilità motorie (Taub, Uswatte, Elbert 2002).
Aumentare la plasticità corticale nell'adulto per favorire la riparazione cerebrale
La conoscenza dei fattori che determinano la chiusura dei periodi critici potrebbe permettere di aumentare la plasticità corticale dell'adulto, favorendo così i fenomeni di recupero. In un lavoro è stato verificato se l'aumento della plasticità corticale visiva ottenuto rimuovendo i CSPG dalla corteccia adulta potesse favorire il recupero dall'ambliopia. Gli animali erano stati sottoposti a DM durante il PC e lasciati deprivati fino all'età adulta. A questo punto è stato applicato il protocollo della sutura inversa (SI), ovvero l'occhio inizialmente deprivato è stato riaperto e l'occhio inizialmente non deprivato chiuso. Negli animali di controllo, la SI è inefficace nel recuperare l'acuità visiva dell'occhio deprivato dal PC mentre negli animali trattati con condroitinasi ABC, che rimuove i CSPG dalla MEC, il recupero dell'acuità visiva in animali sottoposti a SI è completo (Pizzorusso, Medini, Landi et al. 2006). Questo recupero funzionale è accompagnato da modificazioni morfologiche. Nell'animale deprivato monocularmente dal PC, la densità delle spine nella corteccia visiva primaria è ridotta in quanto le spine dendritiche che mediavano la trasmissione sinaptica delle fibre guidate da tale occhio si sono ritirate così come i terminali presinaptici di queste fibre. La SI non produce nell'adulto modifiche della densità delle spine, suggerendo che le fibre guidate dall'occhio inizialmente deprivato non riescono a recuperare connettività sinaptica funzionale. La SI in animali trattati con condroitinasi ABC fa sì che la densità delle spine dendritiche aumenti, suggerendo che la rimozione dei CSPG rende di nuovo possibile all'esperienza visiva di indurre cambiamenti morfologici e facendo quindi in modo che le fibre guidate dall'occhio inizialmente deprivato riescano a recuperare connettività sinaptica funzionale, spiegando così il recupero dell'acuità visiva e della DO (Pizzorusso, Medini, Landi et al. 2006). Dal momento che la rimozione dei CSPG favorirebbe non solo i fenomeni di rimappatura corticale ma anche i fenomeni di crescita assonale dopo lesione, l'utilizzo della condroitinasi ABC potrebbe rivelarsi di grande utilità nel caso di lesioni corticali. La comprensione dei meccanismi alla base della plasticità nello sviluppo e nell'adulto potrebbe permettere di progettare interventi per correggere deficit dovuti a difetti nella formazione delle connessioni durante lo sviluppo o alla loro modificabilità esperienza-dipendente nell'adulto e di sfruttare al meglio o potenziare i tentativi spontanei di recupero che il sistema nervoso mette in atto dopo una lesione.
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