PIZZOLO Nicolo di Pietro di Giovanni, detto Nicolo Pizzolo o Pizolo
PIZZOLO Nicolò (Niccolò) di Pietro di Giovanni, detto Nicolò Pìzzolo o Pìzolo. – Nicolò nacque a Padova nel 1421 o nel 1422 ed era detto ‘pìzolo’ – parvus o pìcolo (Rigoni, 1948, ed. 1970, p. 29, doc. XII) – forse perché basso di statura, o forse in quanto era il più giovane dei due figli di Pietro, banditore presso il Comune di Padova (Lazzarini, 1908, ed. 1974, pp. 69 s., docc. LXXVIIII, CIII).
Conosciamo un altro frammento della vita del padre, Pietro di Giovanni, grazie al suo testamento nuncupativo del 13 aprile 1453, quando lasciava la casa in contrada S. Luca con tutti i mobili alla moglie Flora, istituendo eredi universali i figli Giovanni Gerardino e Nicolò. Pietro risiedeva colà dal 13 aprile 1428, quando ricevette l’investitura perpetua da Anastasia di maestro Tura «de una domo partim de muro et partim de lignamine, solerata coperta cupis, cum una corticella a parte anteriore, posita Padue in contrata S[anctæ] Luce» (ibid., ed. 1974, p. 70, doc. LXXVIIII).
Originario di Villaganzerla, una località a sud di Vicenza al confine con il territorio padovano, era il nonno di Nicolò, Giovanni. Il fratello di Nicolò, Giovanni Gerardino, era il maggiore, come si ricava da un documento del 9 marzo 1431, attraverso il quale apprendiamo che assieme al padre ricevette la conferma dell’investitura della casa dove abitavano (ibid., doc. LXXX). Giovanni Gerardino, strazarolus e poi sarto, all’epoca doveva avere superato i venticinque anni, se già in questa circostanza giurò senza riserva. Da questo dato si può dedurre che era nato prima del 1406 e, di conseguenza, che forse proprio alla differenza di età con Nicolò – perlomeno quindici anni – deve essere imputata la ragione del soprannome del pittore. In questo stesso atto, Pietro e Giovanni Gerardino promettevano che Nicolò avrebbe giurato di accogliere l’onere nei confronti del livello subito dopo aver compiuto i venticinque anni di età («faciet se maiorem annis viginti et viginti quinque»).
Sappiamo all’incirca la data di nascita di Nicolò grazie sia a quest’ultimo documento, sia a un documento del 12 febbraio 1444, quando egli riconobbe, mallevadore Giovanni de Cartosi, un debito di 69 ducati d’oro e 20 soldi di piccoli per vestiti e olio nei confronti di Giovanni di Nicolò casolino (pizzicagnolo) della contrada dei Contarini. In questo atto, redatto dal notaio Andrea da Bovolenta, Nicolò è detto «maior annis viginti duobus, minor tamen viginti quinque», mentre più precisamente, nel corrispondente giuramento pronunciato dinanzi all’Ufficio della Volpe quello stesso giorno, si dichiarava «annis viginti duobus ultra». Vittorio Lazzarini (ibid., pp. 71 s., docc. LXXXII-LXXXIII), sottolineando il fatto che Pìzolo in questi due atti, e in un terzo ancora, veniva chiamato «pictor publicus mercator», ipotizzava un’attività commerciale di supporto al fratello, di cui il debito verso Giovanni di Nicolò e quello del 4 settembre 1452 con Giovan Pietro di Bartolomeo Galeazzo di 58 ducati d’oro, per frumento fornitogli l’anno precedente, offrirebbero ulteriori, validi indizi. Grazie al documento del 1452 sappiamo che Nicolò, nel frattempo, aveva lasciato la casa paterna e si era stabilito «in contrata Turrisellarum supra flumen» (ibid., pp. 72 s., doc. LXXXIX), probabilmente la stessa abitazione nella quale dimorava dopo il gennaio 1449, e dove all’epoca si trovava un S. Sebastiano di sua mano. Pìzolo aveva dipinto anche altre figure in viridi per decorare l’abitazione del suo proprietario di casa, il beccaio Paolo Grasseto, in contrada Rudena, verso il lato S. Giorgio, stimate, assieme al S. Sebastiano il 9 gennaio 1454, 6 ducati e mezzo da Andrea Mantegna e Giovanni Storlato (Rigoni, 1948, ed. 1970, pp. 30 s., doc. XII).
Il 22 febbraio – secondo la Rigoni del 1438 (ibid., pp. 26 s., doc. II) – Nicolò, assieme ad alcuni giovani, tra cui i cugini Ilario e Nicolò della nobile famiglia Sanguinazzi, con cui era ancora in contatto sicuramente il 28 giugno 1447, venne sorpreso armato da alcuni birri nella contrada S. Sofia, davanti alle case Sanguinazzi (ibid., pp. 26 s., doc. II). Portato in carcere, interrogato e torturato il giorno seguente, venne trattenuto agli arresti per essersi rifiutato di confessare.
Al 1441 risalgono le sue prime commissioni. Forse è proprio lui il Nicolò che assieme a un collega di nome Jacopo realizzò alcune pitture per Giovanni da Cremona, giudicate il 12 ottobre dello stesso anno da un pittore di nome Luca, da Francesco Squarcione e da Bartolomeo da Mantova. Di sicuro Pìzolo dipinse nel monastero di S. Maria di Monteortone, su incarico del priore Simone, un lavoro durato quattro mesi e valutato il 10 novembre da Francesco Squarcione e da un Nicolò fiorentino, forse Nicolò Baroncelli, la cifra di 47 ducati (Lazzarini, 1908, ed. 1974, pp. 56 s., doc. XXX).
Il 27 agosto 1449 Pìzolo prendeva le difese di Luca di Puglia, che a suo avviso giustamente reclamava il compenso di 1 ducato mensile per il lavoro svolto nella bottega di Francesco dei Bazalieri, un pittore che, secondo Nicolò, «nescit pingere nisi laboreria grossa», e dal quale Luca nulla avrebbe potuto imparare (Rigoni, 1948, ed. 1970, pp. 28, 32, doc. V). Dallo stesso documento si apprende che il pittore di origini pugliesi si era rivolto a Nicolò nel novembre precedente per apprendere a dipingere «in recenti». Altre testimonianze archivistiche, sempre relative a opere perdute, consentono di cogliere il prestigio precocemente raggiunto dal pittore padovano. Il 27 maggio 1443 venne nominato con il miniatore Gerardo di Francia a valutare un messale miniato da Bartolomeo da Urbino e, l’anno seguente, quando era gastaldo della fraglia dei pittori, giudicava assieme all’altro gastaldo, Andrea del fu Natale, un paliotto d’altare dipinto dal pittore Giacomo della contrada del duomo (ibid., p. 27, docc. III-IV). Assieme a Giovanni d’Alemagna era stato chiamato il 6 agosto 1448 a valutare la decorazione della Scuola di S. Giacomo, presso Maldura, dipinta da Nicolò Miretto e Giacomo della Bianca della contrada del duomo (ibid., p. 31, doc. XI). Il 9 giugno 1450 fu chiamato da Francesco Capodilista a valutare il lavoro di Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna, eseguito nella cappella Ovetari agli Eremitani di Padova, della quale Capodilista era commissario (Lazzarini, 1908, ed. 1974, pp. 90 s., doc. CIII). Il 30 luglio 1451 si trovava a giudicare assieme a Francesco Squarcione un’ancona e alcuni cofani dipinti da Giovanni Storlato, e, nel dicembre dell’anno seguente, «magistro Nicolò depentore, dito picolo», stimava le pitture realizzate in casa Badoer da Giacomo della contrada del duomo (Rigoni, 1948, ed. 1970, p. 29). Infine il 24 febbraio 1452 Nicolò venne convocato da Giovanni Descalzi come perito di parte per stimare i lavori del pittore Cecco da Roma nella chiesa di S. Nicolò a Padova (Lazzarini, 1908, ed. 1974, p. 76, doc. LXXXVIII).
La sua fama, acquisita in tempi rapidissimi, gli derivava senz’altro dall’avere collaborato con Donatello alla decorazione bronzea della basilica del Santo. L’11 febbraio 1447 «Nicolò depentori» fu citato come «disipollo over garzon» di Donatello nel cantiere del Santo, e venne pagato dall’aprile al giugno dello stesso anno per «parte de l’agnollo el fa» e per lavori relativi all’ancona (Lazzarini, 1906, ed. 1974, pp. 3-10 dell’estratto; Sartori, 1983, p. 89). Nel gennaio 1449 gli vennero corrisposti pagamenti, sempre dall’Arca del Santo, per la coloratura d’azzurro e d’oro della croce lignea su cui doveva essere posto il Cristo bronzeo di Donatello (Caglioti, 2015, pp. 48-51), e, nel maggio successivo, per lavori nella libreria (Lazzarini, 1908, ed. 1974, p. 76, doc. LXXXVI). Nicolò Pìzolo deve però la sua nomea principalmente all’impresa della cappella Ovetari, condivisa a metà con Andrea Mantegna, e assieme alla compagnia di Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna, per la quale ricevette pagamenti dal 19 ottobre 1448 al 9 giugno 1452 (ibid., pp. 81-97, doc. CIIII); e forse a questa commissione è collegata la controversia sorta tra Pìzolo e Mantegna, risolta da Giacomo Alvarotti il 30 luglio 1449 (Rigoni, 1948, ed. 1970, p. 30, doc. X).
La critica è divisa sul ruolo da assegnare al Pìzolo nell’esecuzione dell’ancona della cappella Ovetari, commissionata il 16 maggio 1448 contestualmente agli affreschi, di cui esistono due copie: una a Padova, presso i Musei civici agli Eremitani, e l’altra a Londra, presso il Victoria & Albert Museum (F. Magani, in Mantegna e Padova, 2006, pp. 182-185, scheda 21). Si deve comunque tenere fermo che l’unico pagamento noto, datato 8 luglio 1448, della cospicua somma di 12 ducati, risulta a vantaggio di Giovanni da Pisa, e che, nell’arbitrato del 27 settembre 1449 (Rigoni, 1927-28, ed. 1970, p. 4, doc. VI), in cui si distinguevano i compiti di Pìzolo e Mantegna, la pala, già realizzata, è detta «ornanda et aureanda» per opera del Pìzolo (Caglioti, 1993, p. 24, nota 70). Gli studiosi che hanno invece sostenuto la partecipazione sua all’ancona in veste di scultore hanno a più riprese tentato di attribuirgli opere in bronzo e in terracotta (Rearick, 1999; Gentilini, 1999), nonostante che egli non sia mai menzionato nei documenti con questa qualifica. Per quanto riguarda la decorazione ad affresco, l’arbitrato amichevole disposto da Pietro Morosini da Venezia il 27 settembre del 1449, sentito il parere di alcuni esperti tra cui Francesco Squarcione, stabiliva che Nicolò dovesse «complere e perficere totam tribunam super altaris per ipsos inceptam» – a eccezione dei Ss. Pietro, Paolo e Cristoforo, già iniziati da Mantegna –, «facere medietatem volti sive archi a parte jntus et extra, videlicet a parte dextra dicte capelle», e infine dipingere «de sex quaris ystoriarum Sancti Jacobi […], solum unum, videlicet inferiorem positum prope archum versus altare» (Rigoni, 1927-28, ed. 1970, p. 4, doc. VI). La decorazione prevedeva anche due teste colossali, forse gli autoritratti dei pittori (una copia dell’autoritratto del Pìzolo è segnalata da Schmitt, 1974, pp. 205 s., fig. 1).
Andrea De Marchi (1999, pp. 120 s.), riconsiderando queste disposizioni, ha posto l’attenzione sul ruolo del Pìzolo, il quale, maggiore di dieci anni rispetto a Mantegna, si era riservato il quadro inferiore, ovvero il più visibile, e il progetto dell’incorniciatura illusiva delle due pareti, modificata da Mantegna – dopo la morte del collega e rivale – nel Martirio di s. Cristoforo con l’utilizzo del campo unificato. Il ruolo di protagonista del Pìzolo in questa fase progettuale troverebbe un’ulteriore conferma nei due fogli del British Museum con Storie di s. Cristoforo, già attribuitigli da Hans Tietze (1942).
Dopo la morte di Nicolò, Francesco Squarcione e Giovanni Storlato, il 6 febbraio 1454, constatarono che non erano stati dipinti l’Assunta nella parete di fondo e alcuni fregi (Rigoni, 1927-28, ed. 1970, p. 6, doc. VII).
Tra le opere documentate di Pìzolo va ricordato il disegno «di proprietà di Francesco Squarcione, el qual fo di man de Nicolò Pizolo» per la pala del ‘Mulino delle ostie’, destinata a decorare la cappella di Bernardo de Lazara nella basilica del Santo, che il pittore Pietro Calzetta doveva dipingere come da contratto stipulato il 17 ottobre 1466. Perduto l’originale, conosciamo il modello grazie a due copie, l’una attribuita a Bartolomeo Sanvito (Los Angeles, J. Paul Getty Museum, inv. 90-A215), l’altra di Luca Antonio Brida, databile al XVIII-XIX secolo (Padova, Biblioteca civica, ms. BP.2537.XIII, c. 8e), che ci informano del sofisticato meccanismo centinato, a campo unificato, progettato dal Pìzolo in anticipo sullo stesso Mantegna (Callegari, 1996, ed. 1998, p. 44). Altra memoria della sua attività grafica si trova nella menzione di un disegno stimato 1 ducato d’oro, realizzato per il falegname Andrea da Mantova in data 26 aprile 1451 (Rigoni, 1948, ed. 1970, p. 29, doc. VII). Molti sono stati i tentativi compiuti dagli studiosi per individuare nuove testimonianze dell’attività pittorica e grafica del maestro (Boskovits, 1977, p. 63, nota 39; De Nicolò Salmazo, 1999; Rearick, 1999), senza incontrare tuttavia il consenso unanime della critica.
I racconti biografici di Giorgio Vasari circa la vita turbolenta e la morte violenta del pittore («un giorno che tornava da lavorare, affrontato e morto a tradimento»: 1568, III, 1971, p. 548), forse ricavati da una lettera di Girolamo Campagnola a Niccolò Leonico Tomeo, databile ante 1522 (Agosti, 2005, pp. 303-306), hanno trovato in seguito conferma documentaria. L’eco della morte di Nicolò si ritrova ancora nelle parole di minaccia che Agostino de’ Fondulis, tramite Bartolomeo ‘scodellaro’, aveva fatto arrivare a Pietro Calzetta, il 14 novembre 1470: «sel non lo lassava stare el ge entravegnera de quello che intravene a m[agistr]o Nicolao depentore, qui fuit interfectus» (Rigoni, 1948, ed. 1970, pp. 25 s., doc. I). Non trova più credito, invece, la testimonianza di un alunnato di Pìzolo presso Filippo Lippi, basata sulla notizia fornita da Girolamo Campagnola – e in seguito recepita parzialmente da Marcantonio Michiel e Giorgio Vasari –, secondo cui, assieme a lui e ad Ansuino da Forlì, egli avrebbe dipinto la cappella del Podestà, cioè la «cappella di Urbano Perfetto» ricordata nelle Vite (1568, III, 1971, p. 548). Creato dello Squarcione, Pìzolo ebbe comunque un ruolo centrale nella Padova di metà Quattrocento, sia nella formazione di Andrea Mantegna (Christiansen, in Andrea Mantegna, 1992, p. 122, scheda 6), sia in quella di Ansuino da Forlì, anch’egli attivo nella cappella Ovetari (De Marchi, 1999).
La morte dell’artista può essere fissata tra il 13 aprile, data del testamento paterno, e il 24 novembre 1453, quando Donatello fece ritirare presso il fratello di Nicolò, Giovanni Gerardino, «ymagines quinque in quaris quinque inceptis et septem in quari non inceptis» (Rigoni, 1948, ed. 1970, p. 29, doc. VIII), probabilmente lavori di pittura e non di scultura (Caglioti, 1993, p. 24, nota 70).
Il 18 dicembre 1453 la moglie Maria, che non aveva avuto figli da Nicolò, intendendo passare a nuove nozze con il calzolaio Galvano da Montagnana, si fece promettere dal cognato 200 lire di dote (Rigoni, 1927-28, ed. 1970, p. 6).
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