RIZZO, Pippo
RIZZO, Pippo. – Nacque il 6 gennaio 1897 a Corleone da Nino Rizzo, proprietario del ristorante Stella d’Italia, e da Rosa Trentacoste, sorella dello scultore Domenico Trentacoste (erroneamente si riporta che questi gli impartì la prima formazione artistica).
Conclusi gli studi tecnici, ai quali era stato destinato dal padre, si iscrisse al Regio Istituto di belle arti di Palermo, città dove si trasferì, alloggiando nel convento francescano che ospitava il fratello Nicola. Al Regio Istituto fu allievo di Ettore De Maria Bergler, Mario Rutelli, Ernesto Basile, Salvatore Marchesi e Vincenzo Ragusa, conseguendo a diciott’anni il diploma di pittura. Corteo sotto la pioggia, datato intorno al 1915, testimonia la cultura visiva degli esordi, affondando le radici nel postimpressionismo francese di Gustave Caillebotte, rimeditato attraverso la pittura di Michele Catti.
La tavola è parte di un consistente nucleo di opere donate alla Fondazione Banco di Sicilia dalla figlia Alba Rizzo Amorello nel 2001 (Imbellone, in Le collezioni della Fondazione Banco di Sicilia, 2015, pp. 174-187).
L’esordio espositivo di Rizzo risale al maggio del 1916, quando partecipò alla mostra «Pro patria ars» presso il teatro Kursaal Biondo di Palermo, accanto ad artisti già affermati quali lo zio scultore o il maestro De Maria. La fondazione del circolo di cultura giovanile Rinnovamento da lui ideato a Corleone nel 1918 attirò l’attenzione di Filippo Tommaso Marinetti, che Rizzo avrebbe conosciuto poi a Roma, dove soggiornò dal 1919. Nell’Urbe l’artista frequentò lo studio di Giacomo Balla e il gruppo dei futuristi romani, da Enrico Prampolini ad Anton Giulio Bragaglia, Fortunato Depero, Gerardo Dottori e Duilio Cambellotti, tenendo nel 1921 al teatro Quirino la sua prima mostra personale. L’attore Angelo Musco ne presentò le opere, firmate Pippo Rizzo Trentacoste in omaggio allo zio.
Ritornato a Palermo nel 1922, Rizzo tenne una personale presso la galleria Interguglielmi ed entrò con Vittorio Corona nel grande studio di Giovanni Varvaro in vicolo Malfitano, presto affermatosi come vivace cenacolo culturale che svolse una funzione propulsiva nel rinnovamento dell’arte siciliana.
Nel 1924 sposò Maria Carramusa, dalla quale avrebbe avuto due figlie, Elica (1925) e Alba (1932). I Rizzo vissero in via Serradifalco 78, per poi trasferirsi in via Vincenzo da Pavia 51, dove nel 1925 fondarono la Casa d’arte futurista Pippo Rizzo che, sull’esempio di quella creata da Balla a Roma, produsse pitture e manufatti di arredamento futurista (tappeti, ceramiche, ricami, mobili, arazzi, cuscini, costumi ecc.). La frenetica attività della Casa si associò a un intenso impegno espositivo, mirato a diffondere il futurismo in Sicilia: nel 1925 Rizzo espose prodotti d’arte applicata e dipinti nel Caffè del teatro Massimo e alla Primaverile siciliana al Circolo della stampa, nel 1926 alla Mostra regionale d’arte presso villa Gallidoro e nella sala futurista della IV Biennale di Reggio Calabria, con i quadri Treno notturno in corsa e Sogno di adolescente. Nello stesso 1926 partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia, con I lampi, e alla mostra «Die Abstrakten» di Berlino.
Nel 1927 accolse come praticante nella sua casa-studio il giovane Renato Guttuso, che mosse i primi passi nell’arte sotto l’ala protettrice del maestro. Nel giugno di quell’anno la grande Mostra d’arte futurista nazionale organizzata da Rizzo fu inaugurata da Marinetti presso il circolo culturale Il Convegno di Palermo, che «finalmente entrò nel numero delle città moderne» (Mostra d’arte futurista a Palermo, 1927, p. 244).
Rizzo partecipò nello stesso anno alla Quadriennale di Torino, a una collettiva da Bragaglia a Roma (cui seguì una personale), alla mostra «Trentaquattro artisti futuristi» alla Galleria Pesaro di Milano e alla Grande mostra di pittura futurista presso la Casa del fascio di Bologna. Prese parte dal 1927 al 1930 alle Biennali di arti decorative di Monza e nel 1928 allestì a Taormina, all’interno della Prima Mostra nazionale d’arti decorative, una sala con mobili e oggetti di arte applicata futurista con gli amici Corona e Varvaro. Nel 1928 espose il futurista Football alla Biennale di Venezia, partecipando nel 1929 alla Mostra internazionale d’arte di Barcellona, alla Mostra d’arte sacra di Palermo e alla collettiva siciliana presso la Camerata degli Artisti a Roma. Nello stesso anno il numero unico Arte Futurista Italiana 1909-1929, curato da Rizzo per il ventennale del futurismo, costituì il suo ultimo atto di promozione del movimento.
La rottura con il futurismo avvenne infatti nel 1930, in occasione della XVII Biennale di Venezia, dove, disertando l’invito di Marinetti a inviare opere per la sala futurista, Rizzo presentò un gruppo di quadri ispirati alla campagna siciliana: fra questi Anno VIII, Lavoro nei campi, La battitura del grano e Sicilia interna, tele che oscillavano tra una stilizzazione serrata e una monumentalità solenne, bloccata, composta da larghe stesure di piani di colore, in cui è evidente l’avvicinamento ai modi arcaicistici del Novecento di Margherita Sarfatti e la ricerca di un nuovo realismo sulle orme di Carlo Carrà.
Novecentisti sono i dipinti presentati alle Sindacali siciliane dal 1930 al 1942, così come quelli esposti alla prima Quadriennale romana (La dipartita), alla seconda (fra questi Risveglio dell’Etna e Ricordo di Venezia), alla terza (fra questi Il sole di Sicilia, Vita campestre, Alba a mare) e alla quarta, dove Rizzo fu anche membro della giuria e tenne una personale con venti opere (fra queste Paesaggio siciliano e Il padrone del grano). Con Alberto Bevilacqua fu l’unico siciliano a partecipare alla grande mostra del «Novecento italiano» organizzata da Sarfatti a Buenos Aires nel 1930.
Segretario del Sindacato fascista degli artisti siciliani dal 1928 al 1932, Rizzo aprì in via Stabile la Bottega dell’arte legata al Sindacato, promuovendo l’attività dei giovani artisti. Fu insegnante titolare di pittura nella Regia Accademia di belle arti di Palermo dal 1933 al 1939, ricoprendo l’incarico di direttore dal 1936. Comandato alla Regia Accademia di belle arti di Roma negli anni 1933, 1934 e 1940, tenne nel 1933 una nuova personale romana nella galleria di Dario Sabatello, e il suo Amore puro fu acquistato dalla Galleria nazionale d’arte moderna. Tramite Sabatello partecipò nel 1935 alla «Exhibition of contemporary Italian paintings», itinerante per varie città americane, da Washington a New York, Buenos Aires e Montevideo. A Roma affrescò lo studio della poetessa Edvige Pesce Gorini (1934) e l’atrio del palazzo dell’INPS con figure di Atleti. La sua vasta attività di pubblicista culminò nel volume Cenacoli, paesaggi, incontri, edito nel 1936.
Della sua intensa attività espositiva si menzionano le partecipazioni nel 1931 alle mostre di Tunisi, Oslo, Copenaghen e Baltimora, a quelle del Sindacato laziale allestite ai Mercati Traianei (1934 e 1940), alla III Sindacale d’Abruzzo (1936), a New York per il club Amici dell’arte (1937), a Varsavia alla mostra «Il paesaggio italiano» (1937), alla II Mostra nazionale del Sindacato artisti di Napoli (1937), alla mostra «Sessanta artisti italiani» organizzata da Lia Pasqualino Noto nella galleria Mediterranea di Palermo (1937), alla VIII Mostra Interprovinciale del Sindacato siciliano (1938), alla Mostra sindacale per le celebrazioni dei grandi siciliani (1939), al premio Bergamo (1939 e 1942), alla XXXII Mostra della Galleria di Roma, dedicata agli artisti siciliani (1940), alla III Mostra nazionale del Sindacato artisti a Milano (1941). Alcune acqueforti su carta di papiro, alle quali si dedicò dalla fine degli anni Trenta, furono presentate alla XXII Biennale di Venezia (1940).
Negli anni della guerra, residente con la famiglia a Roma, in via del Babuino, Rizzo frequentò artisti e galleristi tra via Margutta e il Caffè Aragno, fra i quali Giorgio De Chirico, Arturo Tosi, Giovanni Omiccioli, Franco Gentilini ed Emilio Greco. Egli stesso diresse nel 1940 la galleria Il Tevere. Nel 1944 e 1945 allestì due personali alla galleria San Marco.
Rientrato a Palermo nel dopoguerra, riprese a insegnare all’Accademia, partecipando, nel febbraio del 1946, alla prima mostra postbellica, organizzata nella galleria A.I.R. di via Rosolino Pilo. Tenne poi una personale presso la nuova galleria palermitana 2 A + C (1947), continuando a esporre alle Biennali di Venezia (fino al 1955) e alle Quadriennali romane, così come al circolo artistico Lumen di Genova (1949), al premio Roma per la pittura e alla mostra collettiva «Arte nella vita del Mezzogiorno d’Italia» (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1953).
Tagliato ormai fuori dall’attualità, dal 1954 dedicò la sua pittura al mondo dei paladini del teatro dei pupi, a quello dei carabinieri e alle scene dei pittori di carretto, realizzando inoltre una serie di omaggi dal sapore metafisico ai maestri dell’arte contemporanea (Pablo Picasso, Piet Mondrian, Giuseppe Capogrossi, Carlo Carrà, Henri Matisse, Giorgio De Chirico, Hans Arp, Fernand Léger). Sono le opere che espose, con ampio successo di mercato, nelle personali tenute nel 1955 a Rovereto (galleria Delfino), Palermo (galleria Flacconio), Milano (galleria del Naviglio), Roma (galleria Alibert), e in numerose altre esposizioni personali e collettive che si susseguirono negli anni.
A Roma diresse nuovamente l’Accademia di belle arti dal 1960 al 1962, dedicandosi in questi anni alla scultura astratta. Le sue ultime personali furono allestite nel 1963 alla galleria Russo di Roma e nel 1964 alla biblioteca De Nava di Reggio Calabria.
Morì a Palermo il 4 marzo 1964.
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