PIGMENTAZIONE CUTANEA
. La grande diffusione e l'estrema varietà dei colori della cute, dei peli e delle penne nel regno animale costituiscono per il biologo una serie di problemi che riguardano: la fine struttura dei tessuti pigmentati; la natura chimica dei pigmenti; il destino funzionale, in rapporto al singolo organismo, dei pigmenti contenuti nella cute e nelle sue appendici; il significato biologico dei varî colori e della differente disposizione di essi, ossia dei disegni che si osservano negli ordini, generi e specie animali, e i criterî di classificazione che se ne traggono; le alterazioni patologiche della pigmentazione cutanea nell'uomo e la loro patogenesi. L'importanza e il significato dei colori animali (v. colore, X, p. 878 seg.) fanno di questo studio uno dei campi più attraenti della biologia generale e speciale, toccando, fra gli altri problemi, quelli dell'adattamento all'ambiente, della scelta sessuale, dell'etologia, della distribuzione geografica delle specie animali e i principî della classificazione. Ci limiteremo a trattare qui dell'anatomia e fisiologia del pigmento cutaneo nei riguardi dei singoli organismi; e dei colori (degli animali).
Anatomia e istologia. La colorazione normale della cute nell'uomo e nei Vertebrati superiori è legata alla presenza di minutissimi granuli di color bruno o giallo-bruno, grigio-giallastro, situati in speciali cellule melanofore o cromofore, immobili o scarsamente dotate di movimento, situate nell'epidermide e anche nel derma. Nella cute dei Vertebrati inferiori e degl'Invertebrati si trovano cellule pigmentifere fisse, che possono contenere, oltre alle melanine, anche lipocromi e pigmenti della serie purinica e clorofillica; ma in questi gruppi zoologici il colore degl'integumenti, e specialmente i suoi caratteristici mutamenti, sono dovuti a una forma speciale di cellule, i cosiddetti cromatofori, che possiedono granuli pigmentari dai colori più svariati, spesso molto vivaci, e sono dotati di movimenti abbastanza rapidi, i quali dànno luogo a caratteristici cambiamenti di colorito della cute.
Nella pelle dell'uomo e degli animali superiori il pigmento si trova tanto nell'epidermide quanto nel derma; ma è quel primo strato la sede principale della colorazione della pelle nella razza bianca e di quella ancor più caratteristica delle razze di colore (fig.1). Nelle razze bianche si può avere una colorazione oscura abbastanza spiccata, per la donna, sul capezzolo, sulle grandi labbra della vulva, e sulla linea alba nella gravidanza; per l'uomo nell'ascella, nello scroto e attorno all'orificio anale. Nell'epidermide le comuni cellule dello strato germinativo o di Malpighi, e specialmente quelle della parte basale, accolgono i pigmenti sotto forma di granuli più o meno fini riuniti attorno al nucleo. Quando la colorazione è molto intensa, come negl'individui di razza nera il pigmento è diffuso a tutta la cellula e gli elementi colorati formano 2-4 o più strati. In questi casi anche le cellule dello strato corneo possono presentare una colorazione diffusa. Gl'individui di colore presentano, inoltre, nella parte superficiale e nelle papille del corion, numerose cellule ramificate o stellate rli natura connettivale, ricche di granuli di pigmento. Queste cellule melaniche dermiche si trovano talvolta anche nei punti molto pigmentati della cute dei soggetti di razza bianca e sono abbondanti nella pelle di color nero degli animali. Se s'innesta un pezzetto di cute bianca in un negro o viceversa, la cute innestata assume il colore di quella dell'ospite, e in questa trasformazione hanno gran parte le cellule ramificate del derma.
Secondo alcuni autori queste cellule connettivali, dotate di una certa mobilità formerebbero il pigmento e lo trasporterebbero agli elementi epidermici (epitelî, peli, unghie e penne). Ma non è escluso che le cellule dello strato germinativo epidermico possano formare esse stesse il pigmento melanico.
Colorazione variabile della cute, dovuta a cromatofori. - La capacità in molti animali (ben nota per i Cefalopodi e per il camaleonte) di cambiar di colore era conosciuta anche dagli antichi Greci e Romani, e già da Aristotele era interpretata come un fenomeno di adattamento difensivo all'ambiente. Ma si era già veduto che anche condizioni interne (paura, collera) erano capaci di modificare il colore di certi animali. Intorno a questi fenomeni esiste una letteratura ricchissima dei tempi più moderni, a cominciare da A. Vallisnieri (1715). G. Sangiovanni (1819) riconobbe per primo la presenza nella cute dei cromatofori come cagione della funzione cromatica. I cromatofori sono cellule pigmentate mobili, che con i loro cambiamenti di forma producono certe modificazioni caratteristiche nel colore della cute. Sono situati più spesso nel derma, ma s'insinuano anche fra gli elementi dell'epidermide. Il pigmento, in forma di granuli finissimi, è costituito da melanina o da lipocromi. Quando i cromatofori sono espansi al massimo, dànno alla cute un colore oscuro, nero, oppure le varietà e combinazioni del rosso, del verde e del violetto. I cromatofori semplici (fig. 2) sono formati da una sola cellula ramificata, le cui espansioni sono fatte dai prolungamenti della cellula stessa, dotati di movimento ameboide e che s'accompagnano a correnti del protoplasma cellulare. I cromatofori composti (fig. 3) sono costituiti da una cellula centrale, rotondeggiante, circondata da una membrana ialina, sulla quale s' inseriscono varie cellule radiate, di natura muscolare, che dànno al cromatoforo una figura stellata. Contraendosi, il cromatoforo prende la figura stellare, mentre allo stato di riposo è globoso e piccolo. La funzione di questi elementi sta sotto la dipendenza dei centri nervosi cromato-motori, situati attorno all'esofago. La lesione d'un nervo ottico produce la paralisi dei cromatofori di un lato. Una serie di azioni locali modifica la colorazione di queste strutture, così stimoli meccanici, termici, elettrici e chimici.
Ma il grado di luminosità e le caratteristiche dell'ambiente immediato del luogo dove si trova l'animale hanno la principale importanza per la funzione dei cromatofori. Di notte o nell'oscurità alcune forme animali divengono quasi incolori; invece di giorno assumono un colore molto somigliante a quello del luogo dove si trovano. Questo fenomeno di colorazione indotta è la proprietà più importante e caratteristica di tali apparati (cambiamento simpatico di colore, omocromia variabile); essa è bene appariscente nei Cefalopodi, nei Pesci e nei Rettili (camaleonte).
Nella cute dei Vertebrati (Pesci, Anfibî e Rettili) si trovano molto diffusi i cromatofori. Nei Pesci l'ablazione degli occhi produce di solito un colore più oscuro della pelle. La luce ha azione locale dopo il taglio del nervo; nondimeno in condizioni normali essa agisce in via riflessa, con l'intervento del sistema nervoso centrale (centri spinali e bulbari).
Secondo alcuni autori, dopo l'accecamento l'illuminazione non produce più cambiamenti di colore.
Nel camaleonte (fig. 4) i prolungamenti dei cromatofori, quando sono distesi al massimo, traversano il derma e si espandono sotto l'epidermide, dando all'animale un colore più o meno oscuro; quando sono retratti, si vede il colore dello strato superficiale del derma (bianco o giallo pallido).
Il camaleonte assume di regola un colore somigliante, quanto più gli è possibile, a quello ambiente, e che perciò lo sottrae meglio alla caccia nemica e gli facilita la ricerca della preda. Come nei Cefalopodi, anche questo speciale fenomeno di adattamento è dovuto agli stimoli luminosi che agiscono in via riflessa sulle cellule pigmentifere.
Alla luce la pelle è oscura; nell'oscurità è chiara. Stimolando lo sciatico tagliato, i cromatofori distendono i prolungamenti. L'azione della luce può essere locale.
Resta ora da considerare lo scopo funzionale dei cambiamenti rapidi di colore dovuti ai cromatofori; anche per questi si manifesta un'influenza del grado di luminosità ambiente e dell'insolazione, in quanto gli stimoli luminosi modificano direttamente e in via riflessa il tono dei cromatofori stessi. Si è già detto che non solo l'intensità luminosa, ma anche il tono di colore dell'ambiente immediato ha la sua importanza nel fenomeno, in quanto dà luogo a un colore d'induzione nella cute, com'è, per esempio, il caso dei Cefalopodi e del camaleonte. In queste circostanze non può più trattarsi d'una funzione difensiva del pigmento contro i raggi chimici, ma entrano evidentemente in giuoco altri fattori.
Il mimetismo cromatico, ossia la capacità di assumere il colore, e in alcuni casi perfino i disegni dell'ambiente, ha come finalità biologica la protezione dell'individuo, nascondendolo al nemico, e l'utilità per la sua esistenza, in quanto, dissimulandolo alla preda, gli rende più facile la ricerca dell'alimento. In alcuni casi questa colorazione protettiva giunge quasi all'unisono con il tono del colore ambiente, rappresentando uno degli esempî più dimostrativi dei fenomeni biologici di adattamento.
Non è escluso che quando il mimetismo non è in giuoco, il movimento dei cromatofori possa avere anche una funzione termoregolatrice. Alcuni autori (R. F. Fuchs, M. Weber) ammettono che questa sia l'unica funzione dei cromatofori o almeno la più importante, in quegli esseri in cui fa difetto una termoregolazione chimica.
In alcune specie di rane (Hyla) si ha il cambiamento di colore cutaneo anche a seconda della temperatura e del grado di umidità. Più difficile da interpretare è il significato delle modificazioni emozionali di colore, dovute egualmente ai cromatofori.
Chimica dei pigmenti cutanei. - Le innumerevoli varietà cromatiche dei pigmenti cutanei, che si osservano nella serie animale, si possono ricondurre ai seguenti gruppi di sostanze chimiche: le melanine, i lipocromi, i pigmenti della serie purinica, quelli del gruppo biliare e i pigmenti clorofilloidi.
Le melanine sono i pigmenti cutanei più diffusi, e i soli che nell'uomo e negli altri Mammiferi colorano la pelle e i peli. I lipocromi e gli altri pigmenti ora ricordati concorrono, con le melanine, a dare i colori vivaci alla cute e alle appendici cutanee del resto dei Vertebrati e degl'Invertebrati. Alcuni di questi pigmenti sono di natura esogena.
a) Melanine. - Le melanine sono sostanze di color nero o bruno, insolubili nell'acqua, nell'alcool e negli acidi; sono solubili negli alcali. Contengono azoto, carbonio e idrogeno, frequentemente nelle proporzioni rispettive di 1:5:5. Spesso vi si trova lo zolfo, più raramente il ferro, che con probabilità non fa parte della loro molecola; non cristallizzano. Dànno nella cute i colori nero, caffè, grigio, giallo oscuro. Molto si è discusso sull'origine di queste sostanze. L'ipotesi più probabile è che siano prodotti d'elaborazione del nucleo delle cellule melanogene, aventi i caratteri d'un cromogeno di natura aromatica, che per l'azione di speciali fermenti ossidanti (del tipo delle tirosinasi) si trasformano nel pigmento, probabilmente per un processo di condensazione. Come sostanze melanogene furono considerate, per molto tempo, la tirosina e l'ossitirosina, l'adrenalina e la ossifenilalanina. Più recentemente (1915) A. Angeli ha supposto che i composti ad anello pirrolico, piuttosto che quelli ad anello benzolico, costituiscano nell'organismo le sostanze madri delle melanine. Le ricerche condotte in questo senso da B. Oddo e N. Pollani, da P. Savardi, da P. Rondoni, e da altri studiosi italiani, hanno dimostrato appunto che l'introduzione sottocute del pirrolo e dei suoi composti (l'a-dimetilpirrolo e l'acido carbopirrolico) dà luogo tanto nel derma cutaneo quanto nei bulbi piliferi e nei peli (non nei conigli albini) a un'intensa colorazione bruna o nera, dovuta a sostanze analoghe alle melanine, che si trovano poi come melanogeno nell'urina. Anche l'indolo e lo scatolo darebbero risultati analoghi, i quali non escludono però che anche composti aromatici ad anello benzolico possono produrre melanine (I. Bloch, H. S. Raper).
b) Lipocromi. - È un gruppo di sostanze assai diffuse nel regno vegetale e animale, di costituzione ancora non ben nota, salvo alcune eccezioni (carotine). Sono di solito solubili in alcool, cloroformio, etere, benzolo e nei grassi; raramente cristallizzano. Trattati con acido solforico o nitrico concentrato, i lipocromi dànno un colore violetto o verde azzurro. Allo spettroscopio mostrano 2 0 3 strie d'assorbimento nell'azzurro. Si scolorano alla luce. Sono costituiti di carbonio, idrogeno, ossigeno e non contengono azoto. La luteina del torlo d'uovo, i pigmenti di color giallo, arancio e rosso della cute e delle sue appendici (penne, squame, ecc.) in molti Vertebrati e numerosissimi pigmenti delle strutture di rivestimento degl'Invertebrati, specialmente degl'Insetti e dei Crostacei, sono lipocromi.
c) Pigmenti della serie purinica. - Il pigmento bianco e quello giallo delle ali di alcune farfalle è costituito da acido urico e da guanine; anche il pigmento argenteo delle scaglie dei pesci è composto di guanina.
d) Sostanze del gruppo dei pigmenti biliari. - Nella cute di alcune farfalle (Vanessa) si trova, in varî stadî di sviluppo, in unione con una proteina, una sostanza colorante rossa, che è molto simile ai pigmenti biliari. Questo pigmento rosso avrebbe anche, secondo alcuni autori, rapporti d'origine con la clorofilla delle piante di cui si alimentano le larve. I pigmenti biliari possono colorare la cute e le mucose negli animali superiori (itterizia), quando è ostacolata l'eliminazione della bile.
e) Pigmenti clorofilloidi. - Le larve degl'insetti con integumento verde devono il loro colore a una sostanza che presenta grandi analogie (specialmente spettroscopiche) con la clorofilla delle piante, dalla quale si originerebbe. Infatti, se si alimentano quelle larve con sostanze vegetali prive di clorofilla, esse si scolorano. Nondimeno alcuni mettono in dubbio l'esistenza d'una clorofilla animale.
Fisiologia comparata. - La cute di tutte le razze umane contiene pigmento, con eccezione dei rari individui albini. Il colore della cute nelle razze negre e gialle, rispetto alle bianche, rappresenta solo delle gradazioni, che riguardano il numero degli strati di cellule pigmentate dell'epidermide, la ricchezza in esse di granulazioni giallo-brune o nere e la partecipazione maggiore o minore degli strati superficiali del derma alla pigmentazione.
È noto che il colorito della pelle nelle razze umane è in rapporto con le condizioni climatiche, principalmente con l'insolazione e con la temperatura, ossia con la latitudine propria dei luoghi nei quali quelle razze hanno la loro sede ab antiquo. Gli abitanti delle regioni tropicali hanno la pelle più pigmentata (gli animali che vivono in queste regìoni hanno tinte più intense e vivaci), mentre, quanto più ci si avvicina alle zone temperate e a quelle polari, la cute delle razze umane si fa più pallida, passando per il rosso rameico e il giallo, fino a giungere al color bianco o leggermente roseo per trasparenza del sangue; un rapporto simile, riguardo alla vivacità delle tinte, si verifica anche negli animali, che nelle regioni polari possono assumere un color niveo. Del resto in molte specie animali la superficie dorsale, esposta alla luce, ha di solito un colorito più intenso e più tendente al nero che la regione ventrale. È noto che negl'individui di razza bianca le porzioni di cute esposte a lungo ai raggi solari acquistano un colorito bruno più o meno intenso. Questa iperpigmentazione è preceduta da arrossamento e da eritema; ma se l'insolazione fu troppo prolungata, si può avere, oltre all'eritema, gonfiore e forme infiammatorie intense, seguite esse pure da pigmentazione molto pronunciata. Un particolare assai importante a questo riguardo è che, quanto più la cute si pigmenta, tanto più è tollerata l'esposizione solare. Se quest'ultima cessa, anche l'imbrunimento della pelle regredisce più o meno. Questi fatti inducono a pensare che nella specie umana la pigmentazione cutanea abbia una funzione protettiva contro i raggi solari. Ma a prima vista questa ipotesi è in contraddizione con il fenomeno ben noto che le superficie nere assorbono i raggi luminosi e calorifici e quindi si riscaldan0 più di quelle bianche, che li riflettono; per questo motivo l'uomo si veste di bianco nei paesi tropicali. Ma la luce del sole, oltre agli effetti luminosi e termici, possiede, molto intensi, anche quelli chimici dovuti specialmente ai raggi più rifrangibili; è molto probabile che l'iperpigmentazione cutanea si produca per difendere le strutture vascolari e nervose del derma e i tessuti sottostanti dall'azione dei raggi chimici solari. J. C. Finsen ha osservato che se si tinge un tratto di cute del braccio con inchiostro di china e poi si espone il braccio al sole per alcune ore, tolto l'inchiostro si nota che la parte annerita non presenta l'eritema caratteristico e la pigmentazione; se poi si espone nuovamente il braccio al sole senza tingere la stessa zona di cute, questa sarà affetta da eritema e non più quelle circostanti. L'azione dei raggi solari è specialmente intensa in alta montagna, dove sono più attivi i raggi chimici dello spettro solare; del resto che veramente siano questi raggi (gli ultravioletti) a provocare la pigmentazione cutanea, è noto anche per esperienze fatte direttamente con essi (J. C. Finsen).
Allora il color oscuro o nero della cute non ha come scopo di proteggerla dall'azione di quei raggi solari di maggior lunghezza d'onda, in cui prevale l'effetto calorifico, anzi ne rende più facile l'assorbimento; contro l'aumento della temperatura cutanea l'organismo ha mezzi di difesa molto attivi, mentre contro i raggi di breve lunghezza d'onda, ossia d'azione chimica prevalente, verso i quali gli elementi cellulari del nostro corpo sono sensibilissimi, la cute oppone una valida barriera per mezzo del pigmento nero che trasforma anche questi raggi in calorifici. Non è escluso però che le radiazioni assorbite dai granuli di pigmento e da questi nuovamente emesse, secondo la legge di Kirchhoff, possano essere utilizzate dall'organismo come tali, o per mezzo di sostanze sensibilizzatrici ad azione fotodinamica. Gli organismi viventi possiedono numerose sostanze dotate di tale azione (clorofilla, bile, lipocromi).
Negli animali eterotermi, impropriamente detti a sangue freddo, il colorito oscuro degl'integumenti avrebbe lo scopo di assorbire il calore solare, e questo spiegherebbe perché gl'insetti sono neri anche nei paesi polari. Gli animali eterotermi non possiedono, come gli omotermi, meccanismi chimici molto attivi di produzione e di regolazione termica e i cromatofori ne farebbero in gran parte le veci, graduando l'assorbimento del calore con il variare l'intensità del colorito cutaneo.
Fissatosi, attraverso lunghi secoli, nelle varie razze umane quel colore difensivo della cute che è il più adatto per una data latitudine terrestre, esso si trasmette ereditariamente come carattere etnico e persiste, salvo lievi variazioni, anche se l'individuo o la razza cambiano di sede.
Nella specie umana, oltre all'azione della luce solare, anche altri fattori sono capaci di produrre modificazioni individuali del colorito cutaneo o discromie, le quali possono essere d'origine interna od organica oppure dovute ad azioni esterne. Le influenze organiche sono rappresentate: da condizioni fisiologiche, come la cosiddetta maschera gravidica (cloasma uterino) e l'ipercromia della linea alba addominale e dell'areola mammaria, che accompagnano ugualmente la gravidanza; dagli stati di congestione prolungata, quali si osservano per esempio in corrispondenza delle varici; da lesioni del sistema nervoso centrale o periferico, che producono alterazioni trofiche della pelle, tali le macchie chiare o scure che accompagnano la lebbra; da malattie delle capsule surrenali (morbo bronzino o di Addison), che possono dare una melanodermia accentuata; oppure da infezione malarica (melanodermia palustre). La presenza dei pigmenti biliari nel sangue, dovuta a svariate circostanze patologiche, dà luogo a un colorito giallo o giallo-verdastro della cute (itterizia). Le cause esterne di discromia cutanea sono costituite principalmente da irritanti meccanici (il calore continuato, le irradiazioni elettriche, i grattamenti ripetuti e accompagnati da escoriazioni, i parassiti cutanei), da irritazioni di natura chimica (i revulsivi cutanei, come la senape e l'olio di croton, i caustici) e da agenti patologici cutanei, come le diverse dermiti, la pellagra, l'orticaria, la sifilide della pelle, ecc.
Forme congenite di discromia sono l'albinismo dell'uomo e degli animali, che può trasmettersi ereditariamente per selezione e le ipercromie parziali, come quelle dei nei pigmentati e delle lentiggini. Vi sono anche discromie di origine tossica.
Bibl.: C. Richet, Dictionnaire de physiologie, III, 1898, p. 742; G. van Rynberk, Über den durch Chromatophoren bedingten Farbenwechsel der Tiere, in Ergebn. d. Physiol., V (1906), p. 347; R. F. Fuchs, Der Farbenwechsel und die chromatische Hautfunktion d. Tiere, in Handb. d. vergleichend. Physiol., III, ii (1914), p. 1189; W. Hausmann, Über einige Beziehungen d. natürl. Pigmente zum Licht, in Ergebn. d. Physiologie, XVI (1918), p. 228; J. Verne, Les pigments dans l'organisme animal, Parigi 1926; I. Bloch, Monografia sui pigmenti, in Handb. d. Haut-u. Geschlechtkr., I, Berlino 1927.